Prologo
Marino, 1497
Fabrizio Colonna e sua moglie Agnese di Montefeltro attendevano, in silenzio, nello studio del loro palazzo a Marino, vicino a Roma. La luce di quel caldo pomeriggio filtrava attraverso le tende scostate, illuminava lo scrittoio pieno di carte, documenti e libri appoggiati in modo ordinato. Fabrizio sedeva al di là del tavolo, con aria seria, lo sguardo fisso davanti a sé. Agnese, invece, era un po' più in là, in disparte, accomodata su un seggio. Non era necessario che fosse presente, anzi non era affatto prassi che le donne attendessero a tali incontri, ma aveva chiesto al marito di poter almeno osservare quel colloquio perché la sorte dei suoi figli le premeva più di ogni altra cosa e Fabrizio aveva accettato senza grossi problemi.
Il Colonna lanciò un'occhiata al sole, fuori dalla finestra: si stava facendo pomeriggio inoltrato e ancora non avevano ricevuto nessuna notizia di colui che stavano aspettando. Sbuffò, spazientito, quella che doveva affrontare era una questione che gli stava particolarmente a cuore.
«Arriverà, non temete» tentò di rassicurarlo la moglie, con la sua voce dolce e pacata. Fabrizio, nonostante il loro fosse stato un matrimonio combinato, la stimava molto: Agnese era figlia di quei duchi di Urbino grandemente onorati e considerati i padroni di una delle città più culturalmente ricche di tutta la penisola e, come tale, non poteva mancare di una brillante intelligenza unita a una profonda formazione culturale e letteraria, la stessa che voleva impartire ai suoi figli.
«La lettera diceva che Sua Signoria era arrivata a Roma ieri» rispose Fabrizio riprendendo, tra le carte che aveva sullo scrittoio, quella di cui stava parlando: una lettera che gli era stata inviata da Alfonso d'Avalos, marchese di Pescara, il giorno precedente e che gli comunicava il suo arrivo da Napoli alla Città Eterna, «il feudo di Marino non è poi così distante.»
Agnese abbassò gli occhi, consapevole che non rimaneva altro che attendere ancora. Strinse le mani una nell'altra, nervosamente. Aveva ansia, l'ansia che le madri provano quando c'è in ballo la vita dei propri figli. La mossa che i Colonna, con quell'accordo, si apprestavano a fare poteva agevolare o distruggere la reputazione delle persone coinvolte e Agnese temeva tremendamente per la sorte della sua bambina: alleandosi con gli Avalos si sarebbero messi contro il Papa e questo avrebbe causato loro non pochi problemi. Ne erano consapevoli, i Colonna avevano militato, non molto tempo prima, per i Francesi e per il Papa che li sosteneva ma poi avevano scelto di cambiare alleanze e Alessandro VI Borgia, Sua Santità, non avrebbe aspettato molto a vendicarsi. Agnese non aveva potere di decidere niente, ma, almeno, aveva chiesto di poter sapere e di poter dire ciò che lei credeva, anche se niente avrebbe mai cambiato le idee e le posizioni di suo marito.
Guardò dalla finestra e finalmente li vide: Alfonso d'Avalos stava marciando, in pompa magna, con il passo spedito e sicuro degli spagnoli, preceduto e seguito da uno stuolo di servi armati, verso il portone d'ingresso di Palazzo Colonna.
«Lo vedo» disse Agnese con un tono di entusiasmo nella voce che poi si tramutò in una stretta d'ansia al ventre, «sta arrivando, mio signore.»
Fabrizio sgranò gli occhi, pareva non sperarci più. Si sedette più dritto, impettito, sul seggio vellutato e guardò, un'ultima volta, che la stanza tutt'intorno a lui fosse in perfetto ordine per ricevere un personaggio di tale importanza. Non che gli Avalos fossero più importanti dei Colonna, ma quel giorno tutto doveva essere perfetto, doveva essere sancita una grande alleanza tra due altrettanto grandi potenze.
Il marchese di Pescara non ci mise molto ad essere condotto, dopo aver lasciato fuori dalla porta maggior parte dei suoi servitori e delle sue guardie, nello studiolo dove i due illustri coniugi lo stavano aspettando. Fece un inchino con quei movimenti graziosi e leggiadri che si addicevano alle persone di educazione tipicamente spagnola. Fabrizio e Agnese si alzarono e lo imitarono, più rigidi e severi.
«È un piacere per me, Fabrizio Colonna, essere qui» Alfonso d'Avalos parlò, storpiando le parole a causa del suo fortissimo accento ispanico, «Sua Illustrissima Signoria, il sovrano di Napoli, mi aveva già parlato dello sfarzo dei Colonna» aggiunse guardandosi intorno abbagliato. Era stato mandato da Ferrandino, re di Napoli, il quale desiderava un'alleanza con quella che era una delle più importanti famiglie della nobiltà romana.
«Sua Signoria è la benvenuta nella nostra casa» rispose Fabrizio senza sostituire la sua espressione seria: non si faceva mai vedere troppo trasportato dalle emozioni, voleva mostrarsi a tutti come solenne, imperturbabile e soprattutto solido. Nonostante i contrasti con il papato i Colonna dovevano mostrarsi forti e fermi.
Agnese rimase in silenzio, doveva essere un discreto osservatore e niente di più.
«Prendete pure posto, Eccellenza» lo invitò Fabrizio indicandogli il seggio che stava dall'altra parte della sua scrivania in legno scuro e pregiatissimo.
Alfonso d'Avalos si sedette, sistemandosi la giacca di folta pelliccia, ricchissima e preziosissima, e il capello ampio e piumato. Fabrizio fece cenno ad un uomo di entrare; questo, silenziosamente, si posizionò vicino a loro, con un calamaio, una penna e dei fogli di carta pregiata, pronto a scrivere. Si trattava di un uomo molto colto e stimato alla corte dei Colonna e Fabrizio gli aveva affidato il compito di mettere per iscritto tutte le decisioni che, in quel colloquio tra le due potenti casate, sarebbero state prese.
«Vostra figlia quanti anni ha, adesso?» domandò il marchese di Pescara, per tirare in ballo l'argomento.
«Sette, compiuti già da mesi» rispose, era certo che l'Avalos lo sapesse già ma non disse niente a riguardo, «è la mia unica figlia femmina, almeno per adesso» aggiunse.
«Mio figlio otto» disse Alfonso annuendo, «ma i maschi crescono più in fretta delle femmine.»
Ferdinando Francesco d'Avalos era un promesso guerriero, già in tenera età aveva cominciato ad allenarsi perché doveva essere in grado, in un futuro non poi così tanto lontano, di poter condurre in guerra il suo esercito: era molto importante che i figli di famiglie potenti come gli Avalos venissero avviati subito all'arte della guerra e delle armi. E, quando avesse raggiunto l'età giusta, sarebbe divenuto pure il marito di una Colonna.
«Non tutte le femmine crescono allo stesso modo» ribatté Fabrizio facendo intendere che, appena la figlia sarebbe stata in grado di procreare, lui avrebbe dato il via libera al matrimonio. Agnese corrugò la fronte preoccupata, ma nessuno la vide: non voleva che la sua bambina fosse strappata troppo presto alla fanciullezza e costretta ad atteggiarsi da moglie e madre prima del tempo.
«Lo spero vivamente» rispose Alfonso, «prima si verrà a creare un legame saldo e indissolubile tra le nostre famiglie e meglio sarà. Quanto dite che merita aspettare?»
«Meno di una decina d'anni sicuramente» rispose Fabrizio sicuro, «abbiamo ancora tempo, Eccellenza, per decidere il momento preciso, data e luogo.»
«Certamente» annuì l'Avalos, «di questo ci preoccuperemo in futuro.»
I due uomini continuarono a parlare di tutte le questioni, oltre all'età, che dovevano essere chiarite. Stettero molto a discutere della dote, ma Agnese aveva smesso di ascoltare, il suo cuore si era colmato così tanto di angoscia che il pensiero di lasciar partire per i territori degli Avalos la figlia ancora bambina non le permetteva di concentrarsi. Sapeva quanto fosse importante e urgente quel matrimonio, ma lei, prima di essere una Colonna, era una madre e soffriva inevitabilmente ad un simile pensiero. Si alzò con un movimento leggero anche se il suo volto era oscurato dalla preoccupazione.
«Perdonatemi, ma devo lasciarvi» disse e, senza aspettare l'approvazione del marito, uscì dallo studio. Si sarebbe fatta dire tutto dopo da Fabrizio, non era quello l'importante. Adesso aveva bisogno di vedere la sua bambina.
Andò diretta nella stanza dove sapeva che avrebbe trovato la piccola. Entrò senza bussare nella sala che era adibita a biblioteca: era una stanza non molto grande, tappezzata, però, di scaffali riempiti di libri nuovi e vecchi, di scrittori moderni e di scrittori antichi. Negli angoli erano riposti, su delle colonnine, dei busti di statue antiche: era uso di tutte le famiglie prestigiose collezionare reperti di arte antica. Al centro, seduta al grande tavolo, composta e precisa, la piccola Vittoria sedeva davanti ad un grosso manuale aperto e una penna d'oca in mano, di fianco a lei il Molza, il suo maestro, le stava spiegando che cosa dovesse fare.
«Non dimenticatevi di fare esercizi, signorina» le stava dicendo, «dovete impegnarvi a copiare e copiare tantissime volte le lettere se volete imparare a scriverle da sola nel modo che vi si addice.»
«Ma è noioso!» sentì protestare la piccola, «perché non mi leggete una di quelle novelle di cui mi parlavate prima?»
«Appena imparerete a leggere e a scrivere sarete in grado di farlo da sola» rispose il Molza, sorridendole. Era una bambina molto intelligente e imparava in fretta, lo rendeva orgoglioso e lui non smetteva mai di lodarla.
Quando maestro e allieva sentirono la porta aprirsi alle loro spalle si voltarono. Agnese vide il volto di Vittoria illuminarsi e ne fu ricolma di gioia.
«Madre mia!» esclamò la bambina correndole incontro e abbracciandola teneramente.
Nonostante Vittoria, come tutti i figli di famiglie nobili, fosse stata cresciuta da una balia, che si sarebbe presa cura di lei fino a quando non fosse diventata una donna maritata, aveva un grande rapporto di intimità anche con sua madre e la amava di quell'amore incondizionato proprio di tutti i bambini.
La nobildonna baciò la testolina della figlia e poi la allontanò da sé per guardarla meglio, con un sorriso misto tra il felice e il malinconico sulle labbra. Gli occhi ambrati di Vittoria la scrutavano curiosi e attenti, poi la bambina corrugò la fronte.
«State bene, madre?» chiese con tutta l'innocenza del mondo.
Agnese sorrise, quasi commossa dalla tenerezza e dall'ingenuità della piccola. Le sistemò dolcemente qualche ciuffo ribelle che le era uscito dalla acconciatura fatta dalla balia. La guardò ancora: Vittoria sarebbe stata una grande Colonna.
Bạn đang đọc truyện trên: Truyen247.Pro