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6. Seguir si deve il sposo e dentro e fuora (parte 2)

La sala da ballo del palazzo di Ischia era stata allestita con grandi tavolate per il solenne pranzo. Al centro dell'ampia stanza, tappezzata ovunque di arazzi e stemmi della famiglia, c'era il tavolo degli sposi. Decorata con una tovaglia bianca interamente tempestata di motivi classicheggianti di colore dorato, quasi in accostamento al vestito della sposa, con vasi di fiori di colori allegri come il rosso, il giallo e l'arancio, piatti di ceramica decorati con disegni naturali da bravissimi artigiani, bicchieri e brocche di vetro veneziano, posate d'argento brillante, la tavolata era il centro della stanza, il punto in cui tutti guardavano.

Vittoria, seduta di fronte a Ferdinando, non aveva tardato a capire che tutti gli occhi erano puntati verso di lei e non avrebbe avuto neanche un momento di pace da passare parlando con il suo sposo. Accanto a lei sua madre e accanto a Ferdinando la duchessa Costanza non stavano neanche un attimo in silenzio: Agnese non smetteva di fare complimenti alla cara figlia mentre Costanza non riusciva a non elogiare, tutte le volte che apriva bocca, con termini aulici e ricercati, il beneficio che questa unione avrebbe portato ad entrambe le famiglie. Vittoria si limitava a rispondere quando non poteva farne a meno, quando le veniva rivolta direttamente la parola con qualche domanda o complimento, per il resto i suoi occhi erano sempre posati su Ferdinando e quelli di lui su di lei. Nessuno in quella sala avrebbe potuto non notare il gioco di sguardi, prima di timidi e riservati e poi sempre più arditi, che si era instaurato tra i due giovani sposi, ma, tra tutti gli occhi che Vittoria si sentiva addosso, ce n'erano alcuni in particolare che la infastidivano molto. Quando si era girata un attimo per guardarsi intorno, lanciando uno sguardo alle altre tavolate dove stavano seduti, impegnati a mangiare tutte le grandi portate di cacciagione e pesce appena pescato che erano state preparate, gli ospiti aveva incontrato ancora lo sguardo di quel giovane che l'aveva turbata durante la processione. Lo guardò meglio, ma non riusciva in alcun modo a capire chi fosse. Sembrava completamente rapito da lei, la guardava con un'espressione affascinata, l'espressione di chi era stato colpito inaspettatamente e senza alcun preavviso dalla freccia di Cupido.

«Che cosa guardi, cara?» le sussurrò Agnese vedendola fissare preoccupata un punto della stanza.
Vittoria si voltò immediatamente.

«Stavo ammirando la sala, madre» rispose facendole un sorriso rincuorante, avrebbe desiderato sapere chi fosse quello strano giovane, magari sua madre ne era a conoscenza, ma non voleva insospettirla e preoccuparla inutilmente.

Furono finalmente messe in tavole le ultime portate, grandi vassoi di dolciumi ricoperti da zucchero che veniva comunemente chiamata polvere di Cipro. Vittoria non vedeva l'ora di potersi alzare da tavola e, magari, avere modo di parlare da sola con Ferdinando; un pranzo non era mai durato così tanto, si erano fatte quasi le quattro e mezza del pomeriggio e il sole di fine dicembre stava già cominciando a tramontare. Finalmente, dopo un'altra mezz'ora, tutti ebbero finito di pranzare e la sala fu sgomberata, gli ospiti si trasferirono nella sala adiacente, adibita alle danze.

Quando Vittoria si alzò da tavola, insieme a Ferdinando, tutte le voci nella sala si zittirono e tutti gli occhi furono su di loro. Ferdinando la prese sottobraccio e lei sentì fermare il suo respiro, lo guardò con un'espressione che lasciava vedere tutto l'amore che gli portava e la gioia che quel gesto le arrecava. Procedettero l'uno di fianco all'altra, seguiti dalla duchessa, i suoi nipoti e dalla famiglia della sposa, poi si mossero, dietro di loro, tutti gli altri ospiti illustri.

«Non vi ho ancora detto quanto siete bella oggi» le sussurrò Ferdinando mentre proseguivano insieme fino all'altra sala.

Vittoria arrossì ancora di più e gli rivolse un sorriso carico di gratitudine.
«Vi ringrazio.»

Vide nei suoi occhi un desiderio, una passione che non gli aveva mai visto. Non l'aveva mai guardata in quel modo e credeva che non lo avrebbe mai fatto. Invece adesso sembrava completamente preso da lei, come se non ci fosse, tra tutte le donne invitate alla cerimonia, una ragazza più bella, più desiderabile. Vittoria ne fu immensamente felice.

Quando la sala si fu riempita, tutti gli invitati si disposero a coppie. Vittoria, attorno a sé, osservava le eleganti proposte di ballo di gentiluomini a giovani donne: la maggior parte di loro erano sposati, ma, per questo tipo di feste, le coppie si mescolavano ad ogni danza. Amava i balli di questo tipo, amava ballare e amava la musica, ma in quel momento si sentiva in tensione, sapeva che tutti gli occhi degli spettatori sarebbero stati su di lei e questo la metteva non poco in imbarazzo.
Su un lato dell'ampia e spaziosa sala c'erano i suonatori che, al via del marchese, cominciarono a intonare una prima, lenta e dolce bassadanza: ancora era troppo presto per darsi a balli scatenati e dispendiosi come la moresca, tipica delle corti spagnole, o il salterello. Le coppie cominciarono a muoversi flessuosamente, a spostarsi lentamente e ritmicamente per la sala, ora mano nella mano, ora avvicinandosi con rapidi e veloci passetti, ora sventolando le lunghe gonne e agitando i ventagli piumati. Vittoria non smetteva di guardare Ferdinando negli occhi, mentre danzavano, mani congiunte e petti vicini. Tutto quello che aveva intorno a sé non lo vedeva più, sentiva solamente la musica armoniosa che la isolava completamente da tutto ciò che la circondava. Vedeva solamente il suo amato e bellissimo Ferdinando, davanti a sé, niente e nessuno avrebbe potuto farle distogliere lo sguardo. I loro occhi erano come incatenati, ad ogni mossa, ad ogni passo, continuavano a guardarsi, a volte curiosi, a volte passionali, a volte adoranti.

Quando la musica, dopo un lento e progressivo diminuire di volume, finì, i due novelli sposi furono costretti a distruggere questo legame che incollava i loro sguardi e a doversi guardare intorno. Tutte le coppie si stavano scombinando, scambiando, per la prossima danza. Non era buon costume che i due sposi ballassero insieme tutta la sera e ignorassero gli altri invitati, Vittoria dovette abbandonare la speranza di fare tanti balli consecutivi con Ferdinando.

Vittoria vide sua madre farle cenno di avvicinarsi e accanto a lei riconobbe quel giovane che l'aveva colpita più volte con il suo sguardo perforante. Sbiancò, anche in quel momento gli occhi di lui erano fissi su di lei, attirati dalla sua bellezza e come incantati da un magico incantesimo. Guardò Ferdinando come per chiedergli il permesso di andare, le sembrava scortese lasciarlo senza dirgli niente. In realtà non voleva neanche allontanarsi tanto da lui. Ferdinando annuì con un cenno della testa e poi le rivolse un sorriso.

«Tornate presto» le sussurrò e Vittoria si ritrovò a rispondergli con un sorriso carico di spontanea emozione.

Agnese di Montefeltro le sorrideva, guardando sempre più orgogliosa quella figlia che, nel giorno del suo matrimonio, era a dir poco splendida. Il giovane uomo accanto a lei le rivolse un profondo inchino e Vittoria rispose allo stesso modo, imbarazzata dal suo comportamento.

«Volevo farti conoscere, figlia cara» cominciò Agnese portando lo sguardo al ragazzo di fianco a lei, «sua Signoria Galeazzo di Tarsia, Principe di Belmonte.»

Vittoria abbozzò un sorrisetto e la madre proseguì.

«È un piacere conoscervi, madonna Vittoria» disse lui, continuando a fissarla con quel suo sguardo completamente perso che la faceva sentire terribilmente in soggezione.

«Sua Signoria, oltre ad essere di nobilissima stirpe e di gentilissimi costumi» proseguì Agnese tutta eccitata, «è anche un coltissimo intellettuale e raffinatissimo poeta.»

Vittoria non si meravigliò più di tanto, non serviva solamente essere chiamati poeti o intellettuali per stimolare il suo interesse: in quel giovane non vedeva niente che la affascinasse.

«Avete i miei stessi interessi allora» disse abbozzando un lieve e infastidito sorriso.

«Quando accettai l'invito per queste nozze non avrei mai potuto immaginare di incontrare la donna più radiosamente bella che abbia mia visto in tutta la mia vita» sussurrò.

Agnese sorrise compiaciuta, Vittoria sbiancò cercando di non mostrarsi però eccessivamente scortese: aveva capito che in quelle parole non c'era solo una formale cortesia, ma nel suono della sua voce aveva percepito anche delle nascoste velature di desiderio.

«Vi ringrazio per le vostre parole» gli rispose accennando un sorriso.

«Vedo che adesso non siete impegnata» le disse, quella frase le fece venire i brividi, sapeva che cosa stava per succedere, «e sarebbe un onore immenso per me ballare con la sposa, me lo concereste?»

Vittoria lanciò un'occhiata a sua madre, avrebbe risposto immediatamente di no se Agnese non le avesse fatto intendere che sarebbe stato maleducato. Si costrinse a farsi forza e, rivolta di nuovo all'ospite, annuì.

Fortunatamente la musica terminò prima del previsto e il ballo fu più breve di quanto si aspettasse, quei pochi minuti erano passati rispondendo quasi a monosillabi alle dotte frasi del principe di Belmonte e evitando di incrociare troppo spesso il suo sguardo.

Quando finalmente la danza terminò, Vittoria fece un veloce inchino rivolto a Galeazzo di Tarsia, lo salutò distrattamente e si allontanò dal centro della sala. Incrociò lo sguardo di Ferdinando che aveva appena finito di danzare con una nobildonna piuttosto avanzata in età, la stava guardando e Vittoria si era accorta che non aveva fatto altro per tutta la durata della danza. Si sentiva così felice di ricevere tutte quelle attenzioni da lui: non si era aspettata minimamente che tenesse così tanto a lei, fino a quel momento era stata solo una speranza creduta vana, una fantasia di una giovane innamorata. Anche lui salutò la sua accompagnatrice, gentilmente, e si avvicinò a Vittoria.
«Non vi siete perso un mio passo, signore» gli disse lei con espressione volutamente seria, le piaceva scherzare in questo modo.

Ferdinando sorrise, i suoi occhi brillavano di desiderio.

«Non mi piace vedervi ballare con altri» le disse stringendole la mano, unico intimo contatto che potevano avere.

«E a me non piace farlo» rispose lei sorridendo.

«State con me» le propose, entrambi sapevano che non era buon costume ma a entrambi non importava, «tutta la sera. Tutte le sere a venire.»

***

Vittoria non si era mai sentita così felice, non sapeva come esprimere quello che aveva provato quel giorno. Tutto il pomeriggio era passato tra danze e chiacchierate, sempre mano per la mano oppure fianco a fianco del suo amato Ferdinando. Ora, che il sole stava cominciando a scendere, il cielo a tingersi dei caldi colori del tramonto, era arrivato il momento di concludere quella magnifica festa. Gli sposi uscirono, seguiti di nuovo dal corteo nuziale, dal castello aragonese, passarono l'istmo accompagnati dalle urla e dalle grida degli abitanti che avevano preso ad affollare, come quella mattina, le strade. Una nave li portò a Napoli, dove, dopo aver fatto una breve processione, acclamati dalla gente del popolo, si ritirarono nella loro nuova abitazione.

Vittoria si ricordava bene il palazzo d'Avalos, aveva pensato molte volte a come sarebbe stato vivere dentro a quella meraviglia e ora era finalmente arrivato il momento. Quando era entrata, lasciando fuori tutto il corteo e il seguito degli abitanti di Napoli che avevano seguito la processione, si era guardata intorno e le era tornato in mente il giorno di due anni prima quando era venuta per stipulare il contratto di matrimonio. Ferdinando, accanto a lei, la guardava con un sorriso. Una domestica entrò nella stanza che fungeva da ingresso e fece una riverenza alla nuova padrona di casa.
«Fatevi accompagnare nella vostra stanza, la servitù vi preparerà per la notte» le disse Ferdinando guardandola con lo sguardo pieno di desiderio, sembrava non riuscisse più a sopportarlo dopo l'intera giornata, «arriverò il più presto possibile.»

Vittoria annuì, le sue guance si erano colorate dolcemente di porpora.

«Seguitemi mia signora.»

La domestica la portò in un'ala del palazzo che era quasi completamente per lei. Molte stanze, una dopo l'altra, prive di un corridoio, formavano i suoi appartamenti che comprendevano, oltre alla stanza da letto, un piccolo e graziosissimo studiolo dove poteva studiare e scrivere senza essere disturbata, un grazioso salottino con le finestre che guardavano sul cortile interno in cui poteva passare il tempo tessendo, pregando e chiacchierando con la servitù o con qualche ospite e una stanza da bagno in cui c'era tutto il necessario per lavarsi, profumarsi e sistemarsi. Ovviamente quella che la colpì di più fu il piccolo e tranquillo studio, ma la domestica proseguì fino a raggiungere la stanza da bagno nella quale avrebbe sistemato la sua padrona. Vittoria si sentiva già stanca e pensò che un bagno non le avrebbe fatto molto bene: si raccomandava di fare bagni solo quando ci si sentiva in perfetta salute. Non che stesse male, ma aveva passato tutta la giornata tra balli e processioni e si sentiva le gambe affaticate.

La serva chiuse la porta dietro alle sue spalle.

«Vi aiuto a spogliarvi, mia signora» le disse con un gentile sorriso sul volto.
Vittoria la ringraziò e lei cominciò intanto a slegare le maniche, poi il corpetto e la gonna che scese fino ai piedi. La ragazza si sganciò la camicia bianca e la sottoveste e rimase nuda. Cominciò a sentire freddo e la sua pelle a ricoprirsi di brividi. La domestica scelse un olio profumato da sparlarle sul corpo, uno dei più pregiati, e, quando aprì la boccetta, la stanza fu inondata da un intenso ma buonissimo profumo floreale.

«Vi renderà la pelle liscissima» le disse la donna cominciando a spalmarglielo addosso ed era vero: quando ebbe finito Vittoria sentì che la sua pelle era diventata morbidissima.

Poi fu il turno dei capelli, ci volle tempo perché la serva riuscisse a districare nastri e perline e a sciogliere le trecce, ma, alla fine, la grande massa di capelli mossi fu libera. Li pettinò e li rese morbidi e lisci come la seta, poi li raccolse di nuovo in una lunga treccia. Le fece indossare una camicia da notte e Vittoria si sentì a dir poco imbarazzata non avendo niente sotto, anche se sapeva che non le sarebbe servito.

Quando ebbe finito la donna la lasciò sola, seduta sul bordo del letto, praticamente nuda, ad aspettare l'arrivo di suo marito. Vittoria si guardava intorno ansiosa, osservava la stanza con attenzione, per cercare di distrarsi e ingannare l'attesa che tanto la emozionava: era molto bella, la luce appena soffusa delle candela le dava un'aria quasi magica. Vittoria si alzò, fece qualche passo verso la finestra con i piedi nudi a contatto con le fredde piastrelle in cotto del pavimento, scostò la tenda e osservò il paesaggio che si vedeva fuori. Le altre luci del palazzo erano tutte spente, il bellissimo giardino, con i suoi grandi alberi e le spillanti fontane, sembrava completamente addormentato. Il rumore del fuoco che scoppiettava era l'unico in mezzo ad un frusciante silenzio. Lo era almeno fino a quando Vittoria non udì bussare alla porta, il cuore cominciò a batterle così forte che le pareva di sentirlo in gola.

«Vittoria» la sua voce era un sussurro, chiuse la porta dietro di sé e girò il chiavistello. Il suo sguardo tornò a posarsi insistente su di lei.

Vittoria si sentì vulnerabile, le sue guance si tinsero di rosso: si vergognava a farsi vedere in quel modo, con i capelli sciolti e la camicia da notte che non copriva abbastanza il suo corpo. Non doveva avere paura, lo sapeva, ma lì per lì non ci riusciva.

Ferdinando le sorrise, vedendo quanto fosse in ansia. Le si avvicinò e le accarezzò le mani, l'espressione del suo volto fu rassicurante.

«Mi ami, Vittoria?» le sussurrò avvicinando il suo viso a quello di lei, la guardò negli occhi e trovò già la risposta.

Lei annuì, la sua vicinanza la mandava in confusione tanto da non riuscire a rispondere.

«Allora non devi avere paura.»

Quello che provò dopo Vittoria non seppe riconoscerlo. Quando le sue labbra incontrarono quelle di Ferdinando fu assalita da un misto di emozioni che non riusciva a descrivere. Si lasciò guidare da lui e fu travolta da un piacere che non credeva nemmeno di poter provare. Non ebbe più dubbi: sposarsi era la cosa più bella che la vita le avrebbe mai potuto regalare.

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