51. Perché 'l tuo gran valore d'ogni men grado accresce suo durezza (parte 2)
L'ampia sala da pranzo, dal soffitto completamente affrescato, era piena di persone, una grande tavola imbandita e decorata con vasi pieni di fiori colorati occupava il centro della stanza e, intorno ad essa, si erano affollati tutti gli invitati a parlare vivacemente tra loro. Vittoria fece il suo ingresso al fianco di Tommaso de' Cavalieri, tutti si voltarono verso di loro e li osservarono farsi avanti, a passi lenti e silenziosi: nessuno, però, era stupito di vederli insieme, chi mai si sarebbe sorpreso di vedere la più grande poetessa e letterata del tempo in compagnia del più intelligente e talentuoso nobile romano?
«Conoscete tutti, messer Tommaso?» sussurrò all'orecchio del giovane accompagnatore, Vittoria osservava il volto di ognuno dei presenti e molti, che non aveva notato nella Cappella, le risultavano nuovi.
«Quasi, signora marchesa» rispose il ragazzo con un sorriso, «chi vi interessa?»
Tommaso se ne era accorto, lo sguardo di Vittoria si era posato su un cardinale: era giovane ma sembrava avere un ruolo molto importante nella corte papale. La incuriosiva, forse perché il suo sguardo, al contrario di quello di molti altri ecclesiastici del suo rango, era puro, i suoi occhi non indugiavano sugli scolli un po' più pronunciati delle dame come quelli del Bembo e nemmeno si soffermavano ad osservare con insistenza i ragazzi giovani e belli come Tommaso.
«Chi è quel cardinale?» gli domandò, «quello giovane, con la barba lunga, vicino a Sua Santità?»
«Reginald Pole» rispose immediatamente Tommaso de' Cavalieri, aveva perfettamente capito, «inglese, stretto parente del re Enrico VIII, uomo devotissimo a Dio per quanto si dice ma non lo conosco se non di vista.»
«Quindi non posso chiedervi di presentarmelo?» gli sorrise, tenendo comunque la sua attenzione fissa sul cardinale che sembrava non essersi accorto di lei.
«Temo che dobbiate fare da sola, signora marchesa» Tommaso colse il senso scherzoso di quelle parole e sorrise, «sicuramente avrà già sentito parlare di voi, sarà felicissimo di fare la vostra conoscenza.»
Vittoria lo ringraziò, ma non fece in tempo a fare appena non più di qualche passo lontano da lui che il Papa si alzò dallo scranno su cui era seduto per prendere posto alla tavola, il primo: era il momento di cominciare il pranzo.
«Signora marchesa, sedetevi pure qui di fianco a me» Vittoria si voltò, non si era accorta che Pietro Bembo le si era avvicinato, «vi assicuro che con me non vi mancherà la compagnia.»
Lei gli sorrise e, con garbo, si sedette al suo fianco. Non si era neanche accorta che, proprio di fronte a lei, accanto ad un altro prelato che aveva visto già un paio di volte insieme al cardinal Ippolito de' Medici, aveva preso posto Reginald Pole. Non poteva andare meglio di così, pensò tra sé sorridendo impercettibilmente.
La cena fu lunga, Vittoria non era più abituata a questo tipo di cerimonie e l'uomo di fronte a lei sembrava del suo stesso avviso.
«Scrivete ancora, signora marchesa?» fu la domanda del Bembo, poco prima che la prima portata gli fosse servita nel piatto.
Vittoria scosse leggermente il capo.
«Non ciò che piace a voi, messere» rispose, poi alzò un po' il tono di voce in modo che non solo il Bembo ma anche gli altri che le stavano intorno potessero udire le sue parole, «adesso mi sto dedicando anima e corpo alle cose dello spirito, sapete: nella mia vita non c'è più posto per liriche d'amore, ma, anzi, dato che scrivere è un dono che Dio mi ha dato, sono tenuta ad usarlo per lodare Lui.»
«Vi state quindi dedicando alla poesia religiosa?» domandò il Bembo, dalla sua espressione non era difficile intuire che preferisse i sonetti d'amore.
«Esattamente, signore.»
Quando pronunciò quelle parole, Vittoria lanciò un'occhiata al cardinale di fronte a lei e vide che aveva alzato la testa e che la stava osservando con un paio di grandi e profondi occhi azzurri. La marchesa era sempre più incuriosita da lui, a vederlo così le sembrava una persona estremamente seria e da una grande, irremovibile fede. Lo stimava anche se non lo conosceva, che cosa singolare. Doveva esserci qualcosa, pensò, non era possibile che fosse così attratta da una persona senza conoscerla minimamente.
«Ne posso leggere qualcuna?» continuò il Bembo, «sono certo che trasmettete, con le vostre parole, tutta la vostra grande fede!»
Vittoria stava per replicare quando, finalmente, udì quella voce che stava desiderando ormai da molto.
«Dicono che siate una donna pia, signora marchesa» Reginald Pole parlò con un'espressione seria, ma Vittoria percepì nelle sue parole una sfumatura di ammirazione.
«Aspiro ad esserlo con tutta me stessa» rispose lei ignorando completamente la domanda del Bembo, ormai non le interessava più, «voi, invece, siete un cardinale, giusto?»
«Reginald Pole» si presentò, «esule da Londra per essermi opposto a mio cugino, Enrico VII d'Inghilterra.»
«Esule?» ripeté Vittoria affascinata e preoccupata insieme.
Il cardinal Pole annuì e cominciò a raccontarle tutta la propria storia. Se Vittoria ne era affascinata prima adesso non poteva assolutamente dire il contrario: Reginald si era opposto allo stacco dalla Chiesa di Roma da parte di Enrico VIII che, con il suo egoismo, non si era curato di ripudiare una moglie e prenderne un'altra senza interessarsi dei precetti e delle regole della Chiesa Cattolica Romana. Pole e sua madre si erano opposti, lui era stato costretto ad andare via mentre lei era stata rinchiusa, con una falsa accusa, nella Torre di Londra.
A quella cena, Vittoria imparò a conoscere una persona che le smosse l'animo in un modo che nessuno aveva fatto prima di lei, nemmeno Suor Lucia da Narni.
«Vi prego di scrivermi, monsignore» gli disse quando la festa si fu conclusa ed fu arrivata l'ora per lei di tornare al convento, «e spero di non disturbarvi se io scriverò a voi.»
Pole sorrise: sarebbe stato l'inizio di una grande amicizia.
***
Con Reginald Pole le sembrava di essere rinata, ancora, una terza volta. Non riusciva a fare a meno della sua compagnia, soprattutto non riusciva più a fare a meno delle sue parole, così consolatorie, così piene di fede, così piene di amore per Cristo. Era un uomo meraviglioso, giorno dopo giorno Vittoria cresceva con lui nella fede e, con essa, anche il loro affetto: presto cominciò a vederlo con quell'amore così puro, attento e apprensivo di una madre con un figlio, anche se il cardinale era più piccolo di lei di solo una decina d'anni. Lo invitava spesso al convento di Sant'Anna e, quando lui non poteva venire, gli scriveva e lui le rispondeva immediatamente con lettere così piene di parole sante, di incoraggiamenti e di preghiere che la marchesa si commuoveva ogni volta.
Anche quel giorno Vittoria mandò Foao alla dimora del cardinale per chiedergli se fosse libero per venire a passare un po' di tempo con lei, per poter leggere insieme i passi della Bibbia e per pregare. Reginald Pole venne ma, appena Vittoria vide l'espressione sul suo viso, comprese che c'era qualcosa che non andava.
«È successa una cosa terribile» fu lui il primo a parlare, come se avesse letto negli occhi di Vittoria tutta la sua preoccupazione.
La marchesa vide che i suoi occhi erano pieni di lacrime e che stringeva, ferventemente ma con la mano tremante, il rosario nella mano destra.
«Vi prego sedetevi e raccontatemi tutto» esclamò, vederlo in quel modo la faceva stare male e un triste presentimento, che l'aveva invasa già da un po', cominciava a farsi sempre più strada dentro di lei.
Pole si lasciò cadere sul seggio con un gemito e stette qualche attimo in silenzio, torturandosi la fronte con le dita. Vittoria posò la sua mano su quella di lui, ancora stretta a pugno sul rosario che, probabilmente, non avrebbe mai lasciato.
«Sono arrivate notizie da Londra» sospirò Pole alzando i suoi occhi lucidi e posandoli intensamente su quelli preoccupati di Vittoria, «vi avevo già raccontato di mia madre, rinchiusa nella Torre di Londra» la marchesa sentì il cuore aumentare i suoi battiti, scosse leggermente il capo come per evitare che il cardinale pronunciasse quelle parole, aveva già capito tutto, «Lady Margaret Pole, contessa di Salisbury, è stata giustiziata sotto accusa di tradimento.»
Vittoria strinse ancora di più la sua mano, senza dire una parola: vedeva tutto il suo dolore e sapeva che non poteva fare niente per alleviarlo: non c'era niente di più brutto che perdere una persona cara, lo sapeva bene, e non osava immaginare quanto dolore in più potesse provocare la consapevolezza che era stata uccisa ingiustamente e in modo brutale.
«Non sono più angosciato per mia madre, adesso» continuò il Pole vedendo la tristezza degli occhi di Vittoria, «lei è una martire, non ha mai fatto niente di male, ho pregato tanto per lei e se Dio non le ha concesso di rimanere ancora in questa vita significa che voleva portarla con sé nell'altra. La mia preoccupazione è più per l'Inghilterra: c'è bisogno di molta preghiera, signora marchesa.»
«Pregherò ancora di più, allora» rispose lei, «state lottando molto contro re Enrico VIII, Dio è sempre stato con voi.»
«Lo so» sospirò lui, «ma non posso più tornare in Inghilterra, non ho più alcun potere lì, rischio di finire anche io nella Torre di Londra. Mi stabilirò a Viterbo, Alvise Priuli e Marcantonio Flaminio hanno già detto che mi accompagneranno e staranno come per cercare di fare del bene alla Chiesa di Roma.»
Vittoria intuì, dal tono della sua voce, quello che il cardinale non osava chiederle e ne fu entusiasta: ancora commossa dalla terribile notizia dell'esecuzione di Margaret Pole, in quel momento, non desiderava altro che potersi chiudere ancora più nella preghiera e vivere ancora più immersa nella spiritualità in modo da poter avere un ancora maggiore contatto con Dio e ricevere aiuto e sostegno da Lui. C'era tanto bisogno di una riforma, non come quella luterana e nemmeno come quella anglicana dettata dall'avidità, ma qualcosa che riportasse la Chiesa alle sue vere origini, a quella fede che ormai, tra lussi, feste e banchetti, era andata completamente perduta.
«Verrò anche io» rispose decisa, Roma non aveva più niente di interessante per lei adesso.
***
Più che il tempo passava, più che Vittoria era convinta di quella sua improvvisa scelta e più che stava a Roma più che desiderava allontanarsene. Dopo una settimana le arrivò la notizia che Reginald Pole era partito, mentre a Viterbo erano già arrivati altri membri della sua compagnia: il cardinale Giovanni Morone, già sospettato di seguire qualche dottrina non molto ortodossa, Pietro Carnesecchi e Alvise Priuli che aveva già conosciuto durante i suoi incontri in casa di Juan de Valdés. Una lettera del Carnesecchi, molto amico e intimi della duchessa di Fondi, le fece sapere che presto avrebbe fatto delle visite a Viterbo pure Giulia Gonzaga con tutta probabilità insieme a Marcantonio Flaminio e Jacopo Sadoleto: mancava solo lei.
Ogni ora che passava Vittoria si sentiva sempre più fremente di partire, voleva lasciare tutto, abbandonare questa città che cominciava a non sopportare più, troppo piena di feste, sfarzi e peccato, e ritirarsi nel silenzio del convento di Viterbo per passare il tempo libero insieme alla nuova comitiva a parlare di Cristo e pregare tutti insieme. Preparò tutto il necessario, se il tempo fosse stato bello e le avesse permesso di viaggiare sarebbe partita due giorni dopo. Vittoria non vedeva l'ora, ma, quasi improvvisamente, si ricordò che c'era una persona che ancora la legava a Roma: era stata così presa, da quando aveva conosciuto Pole, dalla sua fede e dalle sue idee per far ritornare la Chiesa di Roma alla santità delle origini che si era completamente dimenticata di Michelangelo. Fu presa da un improvviso senso di colpa: era vero che nell'ultimo periodo si erano allontanati l'uno dall'altra, ed era anche per questo che Vittoria non aveva esitato a voler partire per Viterbo, ma non voleva e neanche le sembrava giusto andare via così, senza dirgli niente.
Si trovò dopo qualche ora davanti alla porta di casa sua, si era fatta portare da Çapata che si ricordava perfettamente la strada e ora era lì, che doveva bussare. Non sapeva perché si vergognasse, perché avesse timore della reazione di lui: non era voluto rimanere con lei al banchetto durante l'inaugurazione della Sistina, forse non voleva avere niente a che fare con lei neanche in quel momento. Si fece forza, accostò la mano alla porta e, dopo un leggero sospiro, afferrò la maniglia in ferro e bussò. Attese qualche secondo, con il cuore in gola, il pensiero che Michelangelo non fosse in casa fu immediatamente sostituito da quello che non volesse aprire o mostrarsi. Dopo qualche attimo udì un rumore di passi avvicinarsi sempre di più e, quando la porta fu aperta, le si presentò davanti Michelangelo, vestito con una camicia che aveva ormai perso il suo colore originario e un grembiule macchiato di colori e di argilla. Il suo cuore si sciolse quando si accorse che l'artista la guardava, senza dire una parola, con un'espressione stupita che, però, mostrava tutta la sua felicità nel vederla lì. Si sentì per un attimo cattiva per essere venuta solamente per dargli una notizia che probabilmente gli avrebbe recato molto dispiacere.
«Signora marchesa» mormorò abbassando lo sguardo verso i suoi vestiti sporchi e macchiati, per niente adatti a presentarsi a lei, «perdonate per le mie condizioni ma non attendevo visite quest'oggi.»
«Non preoccupatevi, Michelangelo» sorrise lei, era contenta più di quanto immaginasse di vederlo ma questa emozione non riusciva totalmente a nascondere il suo senso di colpa per quello che avrebbe dovuto dirgli. Avrebbe voluto aggiungere che era venuta solo per qualche attimo, a prendere congedo da lui come si faceva con i buoni amici, ma non ne ebbe il coraggio e Michelangelo non parve sospettare niente di questa sua indecisione.
«Entrate, signora marchesa» le disse facendo un passo di lato e lasciando libero il vano della porta. Vittoria, però, esitò qualche attimo.
«Çapata» si rivolse al suo caro servitore, «non c'è bisogno che tu stia qui, torna pure tra un'ora.»
Vittoria guardò Michelangelo con uno sguardo interrogativo come per chiedergli se andasse bene il tempo che aveva detto oppure se l'artista aveva altro da fare quel giorno.
«Anche due, se non vi dispiace» rispose lo scultore ma non sorrise.
«Non voglio prendervi troppo tempo...» rispose, «un'ora va benissimo.»
Michelangelo abbassò gli occhi ma non replicò, a Vittoria non sfuggì il modo strano con cui si comportava, perché aveva voluto distaccarsi così improvvisamente da lei? Era una domanda a cui non era riuscita a darsi una risposta da sola.
«Venite» l'artista le fece cenno di seguirlo e la condusse nella spoglia e piccola cucina, l'unico posto della casa in cui avrebbero potuto mettersi a sedere ad un rovinato e vecchio tavolo in legno. Si sedettero, l'uno di fronte all'altra, e rimasero qualche attimo in silenzio. Michelangelo non osava alzare gli occhi verso di lei, come se avesse paura, e Vittoria pensò che forse avrebbe fatto meglio a non venire. Non riuscì a resistere.
«Perché vi comportate così, Michelangelo?» esclamò, «perché avete voluto troncare così tutti i nostri rapporti? Sono venuta a dirvi che parto, di nuovo, e non voglio andare via senza prima aver chiarito con voi.»
«Ve ne andate?» Michelangelo alzò la testa come allarmato per quelle parole.
«A Viterbo» rispose Vittoria, ma poi cambiò di nuovo argomento, «perché siete stato così freddo con me in questi tempi? Per favore, non nascondetemelo.»
L'artista sospirò, si guardò intorno e prese uno dei fogli che stavano ammucchiati sul mobiletto di cucina, la sua casa era completamente cosparsa di carte disegnate. Lo guardò per qualche attimo come per controllare che fosse quello giusto e poi lo porse a Vittoria.
«Leggete» le disse, «e non fate caso ai disegni.»
La marchesa lo prese, lo osservò per qualche secondo soffermando il suo sguardo sugli schizzi che contornavano la parte del foglio su cui era scritto, con una grafia confusa e a tratti cancellata, un sonetto.
«È solo una bozza, ma è la descrizione di tutto ciò che sento.»
Vittoria non rispose e cominciò, lentamente a leggere.
Non ha l'ottimo artista alcun concetto
c'un marmo solo in sé non circonscriva
col suo superchio, e solo a quello arriva
la man che ubbidisce all'intelletto.
Il mal ch'io fuggo, e 'l ben ch'io mi prometto,
in te, donna leggiadra, altera e diva,
tal si nasconde; e perch'io più non viva,
contraria ho l'arte al disïato effetto.
Amor dunque non ha, né tua beltate
o durezza o fortuna o gran disdegno,
del mio mal colpa, o mio destino o sorte;
se dentro del tuo cor morte e pietate
porti in un tempo, e che 'l mio basso ingegno
non sappia, ardendo, trarne altro che morte.
Quando ebbe concluso alzò gli occhi verso Michelangelo che attendeva pazientemente, lo guardò per qualche secondo e poi posò il foglio sul tavolo.
«Ho sbagliato tutto con voi» le disse lo scultore, la sua voce era appena un sussurro, «mi sono lasciato trasportare troppo dalle mie passioni, dalla foga e dal desiderio. Ho scritto quel sonetto quando ho saputo che stavate male, invasato dall'amore che vi porto, per paura di perdervi, e ho scritto cose che non avrei dovuto scrivere. Quando, poi, ve l'ho consegnato ho avuto paura della vostra reazione, me ne sono andato e non ho più voluto ricevere niente di vostro» fece un lungo sospiro, «non vi volevo più cercare perché ero convinto di aver rovinato tutto, di aver trasformato tutto ciò che c'era tra noi in qualcosa di peccaminoso e di poter trarre da voi e dal vostro amore solamente del male. Ho sbagliato a prendere le misure e ho cavato la vostra figura dal mio cuore in un modo sbagliato, me ne sono vergognato e l'ho rigettata. Ho cominciato a credere, sempre di più, che a voi non importasse più niente di me... fino quando non vi ho visto poco fa davanti alla porta.»
Vittoria, che non aveva mai smesso, mentre parlava, di guardarlo negli occhi, raggiunse le sue mani, che teneva unite sul tavolo, e ci mise sopra le sue. Avrebbe volute stringerle più forte a sé, portarsele alla bocca e ricoprirle con dolci baci, ma si trattene e cominciò ad accarezzarne dolcemente le dita.
«Siete la persona più cara che abbia, Michelangelo» gli disse semplicemente, «ho bisogno della vostra amicizia, io non la negherò mai a voi e voi non negatela a me, vi prego.»
Michelangelo si costrinse a trattenere le lacrime, approfondì quel poco contatto fisico stringendo più forte le loro mani. Non si sarebbero più separati, adesso.
«Vorreste qualcosa?» le chiese, Vittoria lo guardò confusa per quella domanda.
«Che cosa intendete?» esclamò.
«Voglio scusarmi con voi» spiegò lui, «ditemi che accetterete un mio regalo.»
«Non ce n'è bisogno» Vittoria scosse leggermente la testa, «mi basterà che mi scriviate sempre, così che, anche se saremo distanti, il nostro rapporto possa continuare dove si è interrotto.»
Sul volto di Michelangelo si dipinse un'espressione triste.
«Andate via, davvero?» le domandò, prima non ci aveva creduto?
Vittoria si trovò costretta ad annuire.
«Seguirò il cardinal Reginald Pole a Viterbo» rispose senza indugiare oltre, «non corro alcun pericolo, non temete. Non si ripeterà la situazione di Orvieto, solamente ho bisogno di cambiare aria, andare in luogo in cui la religione è messa da tutti al primo posto, in cui si parla, si legge e si prega Cristo, si vive completamente in Cristo.»
Guardò di nuovo Michelangelo: dall'espressione del suo viso, Vittoria comprese che aveva capito, che aveva perfettamente compreso ciò che la spingeva a Viterbo e che, forse, desiderava seguirla anche lui.
«Non vi biasimo» rispose con un sospiro, «il vostro animo non è come il mio, non vi permette di vivere lontana da Dio, anzi, ha un bisogno quasi materiale di avvicinarsi sempre di più a Lui. Vorrei tanto poter essere come voi, signora marchesa, poter amare ed essere amato da Cristo quanto lo siete voi.»
Vittoria si lasciò sfuggire un sorriso.
«Venite anche voi a Viterbo» esclamò, «so bene che non potete lasciare Roma, non vi sto chiedendo, infatti, di trasferirvi là. Viterbo non è poi così lontana, se lo desiderate potrete venire alle nostre riunioni, la domenica magari: sarebbe un modo per continuare a vederci, per pregare insieme e per conoscere persone sante come il cardinale Pole».
Michelangelo sgranò gli occhi, il suo volto si illuminò d'un tratto.
«Se me lo permettete lo farò davvero» esclamò.
«Allora vi aspetto a Viterbo».
Bạn đang đọc truyện trên: Truyen247.Pro