45. Debile e inferma, alla salute vera ricorro (parte 1)
Sorprendendo tutti, persino il Papa, Vittoria era partita da Napoli con sei dame di compagnia e altrettante guardie, era arrivata a Roma ma ci era stata pochi giorni, e adesso si trovava alle porte di Ferrara, da lì aveva in programma di arrivare a Venezia per potersi imbarcare verso la Terra Santa. Nonostante cercasse di convincere se stessa che non era vero, il viaggio, sin da pochi giorno dopo la sua partenza, le stava risultando faticoso, molto di più di quanto si fosse aspettata. Sapeva che non erano solo le tante ore di cavalcata a spossarla così tanto, sentiva degli strani giramenti di testa e dei dolori ai fianchi che cercava invano di attribuire alla posizione in cui cavalcava.
«State bene, signora marchesa?» le sussurrò una delle sue dame di compagnia mentre avevano rallentato il loro andamento, erano sulla strada che portava al centro della città, al castello estense, la residenza del duca e della duchessa. Aveva scritto a Ercole II d'Este descrivendogli tutto il suo progetto e il duca di Ferrara aveva acconsentito con grande gioia ad ospitarla per qualche giorno prima che riprendesse il viaggio verso Venezia. Ercole II era figlio di Alfonso d'Este e, tramite suo padre che era stato, a suo tempo, protetto e aiutato da Fabrizio, era molto riconoscente alla famiglia dei Colonna. Aveva cercato di convincere Vittoria a rimanere almeno un mese ma lei aveva cortesemente rifiutato, voleva rimanere lì il meno possibile perché desiderava raggiungere più velocemente che poteva la Terra Santa.
«Sto bene, sono solo stanca» Vittoria annuì tentando di rassicurare la fanciulla con un sorriso, ma il suo viso bianco e pallido dimostrava tutto il contrario delle sue parole, «stiamo cavalcando da molto e non sono abituata a viaggi così lunghi.»
La damigella si trattenne dall'insistere ma la sua espressione esplicitava tutto il suo disappunto, non ci credeva e neanche Vittoria lo faceva.
Il castello era grande e imponente, interamente circondato da un fossato, costruito con mattoncini rossi e alte e massicce torri. Vittoria fu accolta in un modo ancora più festoso di quanto potesse immaginarsi, ad attenderla davanti all'ingresso del castello erano riuniti un gran numero di signori e dame insieme ad altrettante guardie che cingevano lo stendardo con lo stemma della famiglia degli Este. Il duca Ercole II la salutò con un grande inchino, era la prima volta che Vittoria lo vedeva ma già le piaceva il suo modo di comportarsi: era gentile e caloroso.
«È un grandissimo onore per noi avervi come nostra ospite seppur per un tempo così breve, signora marchesa» Vittoria notò che il duca aveva pronunciato le ultime parole con un tono veramente dispiaciuto, ne fu commossa perché questo significava che la sua presenza lì era davvero gradita e quelle che le aveva rivolto non erano solo parole di cortesia.
Un po' distante da lui c'era sua moglie, Renata di Valois, la figlia dell'ormai defunto re Luigi XII di Francia. La salutò molto cortesemente con il suo particolare accento francese, ma Vittoria si accorse che cercava sempre di non incrociare lo sguardo di suo marito: non fu difficile indovinare che il rapporto matrimoniale tra i due non fosse uno dei migliori.
Il duca le porse la mano per accompagnarla negli appartamenti che avevano preparato per lei e per il suo seguito, lei la accettò e proseguirono all'interno del castello uno affianco all'altra.
«Vi prego di riposarvi, signora marchesa» le disse Ercole II, i suoi occhi brillavano da quanto era felice di averla lì a Ferrara, «sarete stanca per il viaggio, ma questa sera non potevano rinunciare a fare dei festeggiamenti per il vostro arrivo che fossero degni del vostro nome e della vostra famiglia.»
Vittoria sorrise cercando di nascondere la sua reale preoccupazione: non voleva ammetterlo ma era stanchissima, la testa le girava in modo strano e le tempie le pulsavano, quella sera avrebbe voluto solamente poter risposare e dormire il prima possibile ma non poteva in alcun modo deludere il duca.
***
La lasciarono davanti alla porta che conduceva ai suoi appartamenti, sia il duca e la duchessa presero congedo da lei ricordandole che si sarebbero visti dopo per il grande banchetto che era stato preparato in suo onore. Vittoria promise che sarebbe arrivata puntuale.
Appena fu lasciata sola insieme alle sue ancelle, Vittoria si sedette sul letto: non riusciva più a stare in piedi e tirò un sospiro di sollievo. Avrebbe voluto distendersi e chiudere gli occhi, lasciarsi cadere in quel sonno profondo che tanto agognava. Rimase lì, i suoi occhi erano fissi mentre pensava a che cosa avesse, perché doveva soffrire di questo strano male che non le concedeva di fare niente? Non capiva perché la sua non le pareva una malattia normale, era un tormento che la accompagnava da anni e anni e che appariva con lancinanti febbri e poi scompariva a suo piacimento.
Si lasciò cadere sul letto, appoggiò la testa sui morbidi cuscini: le sembrava che stesse andando a fuoco, riusciva a malapena a sentire i bisbigli delle sue damigelle. Una di loro le si avvicinò preoccupata.
«Signora marchesa, state bene?» le chiese ancora, dal giorno stesso della partenza Vittoria non sentiva altro che farsi ripetere questa frase, «il vostro viso è bianco come un cadavere, mia signora, siete sicura di non avere bisogno di un medico?»
Vittoria scosse ancora la testa con quella poca forza che le rimaneva: sentiva il bisogno di chiudere gli occhi e di lasciarsi andare al sonno anche se sapeva che non le avrebbe fatto niente, probabilmente si sarebbe svegliata ancora peggio di quando si era addormentata.
«Nessun medico può guarirmi» rispose, era la prima volta in tutto quel tempo che non negava di stare male. Molti dottori avevano provato a capire quale fosse l'origine e la natura della sua malattia ma avevano fallito, si erano inventati motivi stupidi e insensati e i rimedi che le avevano assegnato erano pressoché inutili.
La damigella le posò delicatamente una mano sulla fronte, sentì che scottava e la ritirò immediatamente.
«Signora marchesa, avete la febbre!» esclamò allarmata, Vittoria sospirò ma non rispose: odiava dover ammettere di stare male, odiava doversi mostrare così debole soprattutto davanti a persone che avevano una grandissima stima di lei, ma non c'era altro da fare, «vado subito a cercare un dottore.»
***
«Dovrete rimanere a riposo non meno che per un paio di settimane, Eccellenza» il medico aveva appena finito di visitarla, sembrava confuso e stupito dalla condizione della sua paziente ma ostentava un fare sicuro e consapevole.
Vittoria, con il viso affondato nei morbidi cuscini, lasciò vagare lo sguardo per la bella camera da letto che le era stata affidata. Per quanto sarebbe dovuta rimanere lì? Un paio di settimane erano troppe ma era certa che mai le avrebbero permesso di andare via neanche dopo un mese. Il suo sogno di raggiungere Venezia per imbarcarsi verso la Terra Santa si era infranto in meno di una giornata: Alfonso aveva avuto ragione a preoccuparsi per la sua salute, fortunatamente si era trovata in un luogo in cui avrebbero fatto di tutto pur di prendersi cura al meglio di lei.
«Potete dire che cosa mi affligge, dottore?» gli domandò lei, era sicurissima che avrebbe risposto secondo non sapeva quale ispirazione e che la malattia che le avrebbe diagnosticato sarebbe stata completamente diversa da quelle riferite dagli altri medici. Non aveva speranza di sapere da che cosa era tormentata.
«Siete di costituzione delicata, mia signora» rispose il dottore, cercando un qualche appiglio, «e, abituata all'aria pulita e fresca di Ischia, non eravate pronta per quella insalubre di Ferrara.»
«Credete, quindi, che l'aria sia l'unica causa?» sorrise impercettibilmente, il suo tono aveva una chiara vena ironica.
«I fattori possono essere molti» si giustificò lui, «io non vi conosco, signora marchesa, e non saprei dire che cosa nella vostra vita, nel vostro modo di vivere, possa aver influenzato il vostro male. Per quello che posso capirne adesso la vostra mi pare una semplice febbre passeggera, non troppo grave da mettervi in pericolo di vita ma neanche troppo leggera da essere trascurata.»
«Vi ringrazio, dottore» chiaramente il medico non sapeva che questo tipo di febbre che lui chiamava passeggera si era affezionata così tanto a lei da farle visita molto spesso.
«Faremo di tutto perché possiate ristabilirvi al meglio» Ercole II d'Este, che era lì al fianco del dottore, parlò con una voce piuttosto allegra per una tale situazione, «e perché il vostro soggiorno qui, che dovrà inevitabilmente prolungarsi, sia il più piacevole possibile.»
Vittoria si sforzò di sorridere, apprezzava la sua gentilezza e aveva sempre sospettato che il duca desiderasse che la sua permanenza durasse più di qualche giorno, adesso che gli si era presentata questa inaspettata occasione Ercole II era felicissimo di poter trattenere e prendersi cura della sua famosa ospite. Lei, d'altro canto, non sapeva se esserne contenta o no: la delusione per il fallimento dei suoi piani era forte, ma la curiosità di conoscere Ferrara e i suoi abitanti le stava dando testa.
«Non ne dubito, Eccellenza» rispose Vittoria rivolgendosi al duca, «già tutto quello che avete fatto per me in queste poche ore mi mostra quanto vi stia a cuore il mio benessere.»
«Riposate adesso» si raccomandò il medico prima di varcare la soglia della stanza in compagnia del duca, «e cercate di liberarvi da ogni preoccupazione: prendete la vostra permanenza a Ferrara come un viaggio di piacere.»
***
Era tardo pomeriggio, Vittoria si era fatta portare carta e penna e stava rispondendo alle lettere che immediatamente le erano state mandate quando si era diffusa la notizia del suo malore. Aveva letto, appoggiata alla testiera del letto, l'accorata e preoccupata lettera di Alfonso ed era immensamente dispiaciuta di averlo fatto preoccupare. Forse aveva sempre avuto ragione, non sarebbe dovuta partire: si sarebbe risparmiata questo male e soprattutto la delusione di non poter raggiungere il luogo che tanto desiderava visitare. Doveva, però, ammettere che Ferrara era il miglior posto in cui avrebbe potuto essere accolta: il duca Ercole II faceva di tutto per renderle piacevole questo soggiorno e per fare in modo che si ristabilisse il prima possibile. Dopo qualche giorno di costante riposo la febbre era calata, la fronte aveva smesso di scottare, ma il viso era ancora pallido e gli occhi ancora lucidi e Vittoria non sapeva più come passare il tempo.
«Signor marchesa, vi disturbo?»
Vittoria trovò a farle visita la persona che meno si sarebbe aspettata: il duca era venuto spesso, ma lei non aveva avuto modo di vederla se non di sfuggita. Renata di Valois, vestita non negli abiti sontuosi e preziosissimi con cui Vittoria l'aveva vista quando era stata accolta al suo arrivo ma in altri piuttosto semplici, le sorrideva mentre faceva qualche passo verso il suo letto.
«Come state?» le domandò prima che lei potesse rispondere, «non sapete quanto sono addolorata di questo vostro malanno, ma mi rassicura vedervi sulla via della guarigione.»
Vittoria si tirò ancora più su appoggiandosi ai cuscini e alla testiera del letto, doveva ammettere di essere stupita di quella visita: la duchessa non era mai venuta a visitarla insieme a suo marito e, per questo, credeva che non lo avrebbe mai fatto. Si ritrovò a pensare che, con tutta probabilità, era suo marito il problema delle sue mancate visite.
«Sua Eccellenza non mi disturba affatto, anzi, è stata gentilissima a preoccuparsi per me» rispose Vittoria sorridendole, vide che gli occhi di Renata si illuminarono. Il modo con cui la guardava era strano: le sembrava di vedere in lei lo sguardo pieno di ammirazione di un alunno per il suo maestro. Renata era giovane, aveva poco più di vent'anni e i suoi lineamenti aggraziati e dolci la facevano somigliare quasi ad una bambina.
«Siete l'ospite più illustre che Ferrara abbia ospitato in quest'ultimo tempo» la duchessa pronunciò quelle parole con una sfumatura di astio nella voce, bastò perché Vittoria capisse che non amava Ferrara come non amava suo marito.
«Desideravo conoscervi, signora marchesa, non sapete quanto» continuò, stavolta con tono allegro e emozionato, «molti mi hanno parlato di voi, non solo riguardo alle vostre poesie, ma anche ai vostri interessi.»
Vittoria le sorrise, curiosa di sapere che cosa Renata conosceva di lei.
«A cosa vi riferite, Eccellenza?» le chiese.
«So che siete stata allieva di Juan de Valdés e di fra Bernardino Ochino» disse eccitata.
«Li conoscete bene?» domandò Vittoria interrompendola, «anche voi avete potuto udire i loro meravigliosi sermoni?»
Renata scosse il capo.
«No, ma so che si stanno avvicinando alle idee luterane» rispose la duchessa, «e non sapete quanto mi renda felice sapere che anche voi lo state facendo.»
Vittoria rimase un attimo perplessa.
«Vogliono combattere la corruzione della Chiesa e in questo io sono molto d'accordo, ma non credo che sia così sostanziale l'ispirazione a Martin Lutero.»
La marchesa, per quanto fosse evidente che ci fosse stata un'influenza delle nuove idee provenienti dalla Germania sui due pensatori che lei aveva seguito, non voleva mostrare di essere contro la Chiesa. La verità, infatti, era che non lo era: Vittoria non voleva separarsi dalla Chiesa di Roma come aveva fatto Lutero, desiderava solo riformarla in modo da eliminare tutto il marcio che stava al suo interno e farla ristabilire come il principale luogo di fede e di ispirazione.
«Io penso di sì, invece» replicò Renata, «se non ci fossero stati i luterani a dar loro forza, Juan de Valdés e fra Bernardino non avrebbero mai avuto il coraggio di esporsi così tanto. Ad ogni modo, sono molti gli intellettuali della corte di Ferrara, che io stessa ho invitato, che ragionano di questo, di Lutero e della sua fede contrapposta a quella della Chiesa. Se vi farà piacere, quando vi sarete ristabilita e avrete recuperato la vostra completa salute, potrete partecipare anche voi alle nostre discussioni e ai nostri dibattiti.»
Nonostante non avrebbe dovuto, Vittoria fu molto colpita da quelle parole: non voleva staccarsi dalla Chiesa e non lo avrebbe fatto ma non voleva neanche essere sorda alle nuove idee in arrivo dalla Germania.
«Sono certa che sarete d'accordo con molte cose, signora marchesa» aggiunse Renata, «conoscete Giovanni Calvino?»
Vittoria annuì, ovviamente ne aveva sentito parlare: le sue idee erano molto concordi con quelle di Lutero e i due nomi spesso si accompagnavano.
«È partito da Ferrara da non molto» proseguì Renata, «le sue parole vengono dal cielo, signora marchesa, e così quelle di molti altri esponenti del nostro circolo.»
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