44. Porgo la carta biancaa' vostri sacri inchiostri
Un altro nome, insieme a quello di fra Bernardino da Siena, si stava facendo strada tra i religiosi e Vittoria era già curiosa di saperne di più. Appena al convento di San Silvestro in Capite arrivò una lettera di Maria d'Aragona, ritornata da poco ad Ischia, che parlava di lui, il suo interesse salì alle stelle. Maria diceva di averlo sentito predicare e che le sue parole le avevano scaldato il cuore tanto da volersi recare alle riunioni che lui teneva in casa sua, a Chiaia, un quartiere napoletano.
«Non mi stupisce che vostra nuora sia rimasta tanto colpita dalle parole di Juan de Valdés» le disse Caterina Cybo quando la Messa fatta da fra Bernardino nella chiesa di San Lorenzo in Damaso fu conclusa, «anche io, quando ero a Napoli, ho avuto modo di ascoltarlo e vi assicuro che è un'esperienza che vi consiglio con tutto il cuore: pensate che i sermoni di fra Bernardino sono ispirati da quelli di Valdés, lui stesso è un suo grande seguace.»
Quelle parole bastarono perché Vittoria fosse invasa dall'ardente desiderio di tornare ad abitare al suo palazzo a Napoli in modo da poter fare quella nuova conoscenza che era certa sarebbe stata importante quanto quella che aveva fatto lì a Roma con fra Bernardino. Si decise a partire una settimana dopo durante la quale si curò di salutare tutte le nuove e vecchie conoscenze che aveva fatto a Roma: andò a trovare Pietro Bembo, salutò la duchessa di Camerino che, anch'ella, sarebbe partita entro poco, fra Bernardino e prese congedo dal Papa. L'ultimo giorno della sua permanenza a Roma lo riservò a Michelangelo: non voleva partire senza averlo salutato, non sapeva quando sarebbe tornata a Roma e non voleva sparire in modo così improvviso. Gli scrisse chiedendogli se avesse tempo perché potessero vedersi e lui le rispose che poteva passare a qualunque ora a casa sua al Macel de Corvi. Vittoria non ne fu sorpresa, non c'erano tanti altri luoghi in cui avrebbero potuto vedersi: lei non poteva certamente accoglierlo al convento, sarebbe stato disdicevole e poco rispettoso nei confronti delle sorelle portarsi in cella un uomo che non fosse un suo parente.
Andò verso le quattro di pomeriggio, il sole splendeva alto in cielo e Vittoria pensò che quella sarebbe stata la giornata perfetta per fare una passeggiata nei giardini di Monte Cavallo, ma era felice lo stesso di passarla con Michelangelo. A dire la verità era più emozionata di quanto avrebbe potuto immaginare: non capiva perché teneva così tanto all'amicizia con il Buonarroti, desiderava che diventasse molto più profonda non solo perché lui era l'artista più famoso d'Italia, ma perché le sembrava di vedere un'affinità che, crescendo, avrebbe potuto trasformarsi in un bellissimo rapporto.
Vittoria non si sentì molto a suo agio quando fu arrivata alla piazzetta di Macel de' Corvi, in quel quartiere di periferia così trasandato, sporco e puzzolente, perché, per quanto avesse deciso di non vivere più nei palazzi, non era comunque abituata a certi luoghi. Çapata si fermò davanti alla prima casa sulla strada: non era grande ma l'ingresso era coperto da una graziosa loggetta in pietra. Le finestre del piano di sopra erano aperte e questo significava che Michelangelo era in casa. Appena Vittoria alzò lo sguardo vide affacciarsi proprio da una di quelle un ragazzo dai capelli spettinati e gli abiti da lavoro sporchi.
«Cercate il maestro?» gridò sporgendosi in avanti, non doveva sapere di avere davanti una marchesa altrimenti non avrebbe avuto quell'aria annoiata e arrogante sul viso.
«Sono Vittoria Colonna, la marchesa di Pescara» gli rispose sorridendogli, invece che infastidirla quel ragazzo non aveva fatto altro che divertirla.
Il giovane garzone impallidì, balbettò qualche parola di scusa, ma proprio in quel momento la porta si aprì. Michelangelo apparve vestito non in modo migliore del suo garzone, ma, stranamente, sul suo volto era impresso un cordiale sorriso.
«Vi prego di perdonare il mio giovane apprendista, signora marchesa» disse alzando lo sguardo verso il ragazzo che ormai era rientrato, «anche se può sembrare strano non sono stato io a farlo diventare così maleducato.»
Vittoria rise, da quelle parole si accorse che l'artista doveva volere molto bene al giovane anche se, probabilmente, non gli mostrava tutto l'affetto che provava.
«Non sapevo aveste anche degli apprendisti» esclamò lei affascinata da quel modo di vivere così diverso da quello in cui era cresciuta: certe volte si domandava cosa voleva dire nascere una persona del popolo e, ora che vedeva la vita singolare in quelle case nella piazza di Macel de' Corvi si accorgeva che forse non ci sarebbe stata tanto male. Certo, non avrebbe avuto la possibilità di scrivere poesie, neanche di leggere libri antichi, ma sicuramente la gente povera aveva una vita più semplice e essenziale, simile a quella a cui lei aspirava. «Credevo viveste solo o almeno questo è ciò che si dice di voi.»
«Solo perché non ho aperto una bottega si dice che non voglia insegnare e formare giovani artisti, per gelosia o per non so cosa» Michelangelo scrollò le spalle in un atteggiamento noncurante, erano frasi che sentiva così spesso che ormai non gli davano più alcun fastidio, «eppure Urbino non è certamente il primo ragazzo che viene in casa mia ad imparare e dubito che sarà anche l'ultimo.»
Urbino, quindi, si chiamava il garzone. Vittoria non sapeva perché ma cercò di tenerlo a mente, aveva la sensazione che presto lui, la casa e il sudicio quartiere di Macel de Corvi le sarebbero diventati molto familiari.
«Entrate, signora marchesa» Michelangelo fece cenno a lei e al suo servo di farsi avanti all'interno dell'abitazione.
Appena Vittoria entrò si ritrovò in un piccolo ingresso collegato ad una grande stanza che, da quello che riusciva a vedere, doveva servire come una specie di laboratorio: era lì, quindi, che lo scultore portava i suoi blocchi di marmo e li trasformava in assoluti capolavori. Proprio davanti a lei una scala in legno scricchiolante conduceva al piano superiore dove sicuramente dovevano trovarsi le stanze da letto.Vittoria si affacciò e scoppiò a ridere quando, in cima alla scala, vide disegnato uno scheletro sotto il quale stava una scritta:
Io dico a voi, c'al mondo avete dato
l'anima e 'l corpo e lo spirito insieme
in questa cassa oscura è 'l vostro lato
«Messer Michelangelo, questo simpatico scheletro lo usate come promemoria?» scherzò cercando di soffocare una risata, tutto in quella casa era così strano, così diverso e anche un po' inquietante, ma le piaceva.
«Prima o poi bisogna morire tutti» l'artista fece spallucce, «meglio non dimenticarselo.»
«Perché non disegnate, invece, un crocifisso?» propose lei, «così che vi ricordiate ogni giorno che la morte porta a Cristo e se seguite Lui sarete beato per l' eternità.»
Michelangelo non rispose subito, parve rimanere colpito da quelle parole, Vittoria vide passare sui suoi occhi un'ombra.
«I vostri occhi si illuminano quando parlate di Cristo» mormorò guardandola con un'espressione triste, «voi non avete da temere la morte, io devo perché ho peccato più di quanto possiate immaginare.»
«Tutti noi pecchiamo» rispose lei, le sembrava di risentire nella sua mente i discorsi di fra Bernardino, «l'importante è rendersene conto e pentirsi veramente, non so che cosa abbiate fatto ma non dovete temere niente, Michelangelo.»
Lui abbozzò un sorriso, i suoi occhi erano puntati in quelli di lei come se, guardando la luce che proveniva da essi, ne fosse completamente abbagliato. Michelangelo si sentì sollevato, aveva sentito molte volte parole come quelle pronunciate da tante persone diverse ma sentirle dire da lei, la donna che aveva sempre segretamente ammirato e che adesso lo affascinava ancora di più, era la migliore consolazione che avrebbe potuto ricevere. Non sapeva nemmeno perché si era aperto così tanto con lei, non sapeva perché aveva avuto il bisogno di parlarle in quel modo ma si rese conto, in quel momento, che Vittoria era stata, per quei pochi attimi che aveva cercato di rassicurarlo, tutto ciò che in quegli anni di tormento interiore aveva sempre desiderato. Adesso che era nella sua casa, nonostante fosse ancora una marchesa e nobildonna, la vedeva come un dono, un improvviso e insperato sollievo da tutte le sue pene.
Non aveva mai conosciuto una donna così, già le prime volte che l'aveva vista gli era sembrata rara ma adesso che vedeva il fuoco della fede che la divorava vedeva in lei un modo per riscattare se stesso. Stava cominciando a diventare vecchio, lei aveva ancora l'allegria di una ragazza mentre lui aveva sempre avuto una disperazione dentro da cui non era mai riuscito a liberarsi: adesso, al tramonto della sua vita, Dio gli aveva mandato un amore che lo avrebbe purificato, un affetto che lo avrebbe innalzato al cielo. Se c'era una cosa di cui adesso era certo era che non voleva separarsi da Vittoria, perché era sicuro che lei gli avrebbe cambiato la vita.
***
Quando fu arrivata a Napoli, Vittoria si stabilì nel palazzo d'Avalos che le era rimasto d'eredità dalla morte di suo marito. Vivere lì la rendeva ancora più triste che stare al castello di Ischia: le stanze del palazzo erano piene di ricordi, di memorie risalenti ai primissimi giorni, mesi e anni di matrimonio con Ferdinando, piene di quella speranza d'amore che aveva arso così tanto nel suo cuore e che ormai si era completamente prosciugata. Non aveva nascosto a nessuno il motivo del suo ritorno: voleva conoscere Juan de Valdés e, proprio in quel momento, si trovava in città una delle persone con cui lui era più in intimità.
Quando la vide varcare il portone del palazzo, non solo i servitori e i domestici ma anche la stessa Vittoria rimase senza parole. L'aveva vista poche volte quando era ancora praticamente una bambina ma il suo nome aveva continuato a passare di bocca in bocca man mano che cresceva: Giulia Gonzaga era considerata la donna più bella di tutta Italia. Vittoria si ricordava di averla vista anni addietro quando, appena tredicenne, aveva sposato un suo parente, Vespasiano Colonna, che l'aveva lasciata vedova appena due anni dopo. Si era diffusa la voce che la piccola Giulia era stata così tenace da costringere il marito a conservare la sua verginità e che, alla sua morte, aveva deciso che non si sarebbe mai più risposata. Si era avvicinata, allo stesso modo di Vittoria, al mondo spirituale e adesso la sua mente era completamente immersa nella religione.
Nonostante indossasse abiti semplici quasi quanto quelli della marchesa di Pescara, Giulia Gonzaga era splendente, i suoi grandi occhi scuri brillavano di gioia nel vedere Vittoria e le sue labbra dolcissime erano aperte in un sincero e raggiante sorriso.
«Signora marchesa, non sapete da quanto desideravo poter approfondire il nostro rapporto» Giulia, nonostante fosse ancora giovanissima, si comportava in modo molto più maturo rispetto alla sua età, mostrava, anche con parole semplicissime, tutta la sua intelligenza e accortezza, «e il fatto che sia proprio la figura di Juan de Valdés ad unirci mi rende più felice di quanto possiate immaginare.»
Vittoria era felicissima di vederla ma non riusciva a non pensare alla sua bellezza, anche se tra loro c'era una notevole differenza di età non poteva non sentirsi un po' invidiosa del suo meraviglioso aspetto. Pensò che, sicuramente, se fosse stata bella quanto lei Ferdinando non l'avrebbe abbandonata, non l'avrebbe tradita e non si sarebbe preso gioco del suo amore. Quella era una cosa che ancora non riusciva ad accettare, cercava di convincersi che l'amore che suo marito era in grado di provare per una donna non andava oltre al desiderio fisico e che, quindi, non c'era alcun vero sentimento che portasse pura felicità, ma in realtà sapeva che le sarebbe stato di consolazione se suo marito avesse provato per lei anche solo attrazione fisica. Giulia, invece, nonostante avesse uno stuolo di spasimanti, tanto era focalizzata sulle questioni ultraterrene che non si curava né della sua bellezza né di tutte le persone che le facevano la corte: aveva completamente eliminato l'amore, che non aveva mai provato, dalla sua giovane vita. Meritava tutta la stima che Vittoria fosse in grado di portarle.
«Sono contentissima di vedere quanto siete cambiata, mia cara, dall'ultima volta che vi ho vista» le sorrise la marchesa di Pescara, «non solo fisicamente ma soprattutto intellettualmente.»
Non rimasero molto a parlare nel palazzo d'Avalos, Giulia era venuta per accompagnare Vittoria alla riunione che quel giorno, come ogni settimana, si teneva nella casa di Juan de Valdés ,a cui l'avrebbe presentata.
«Ho già parlato a messer Juan di voi» le disse entusiasta e emozionata Giulia, «e gli ho detto che desideravate conoscerlo e che sareste venuta, prima o poi, a sentire i suoi sermoni. Sono così felice che quel giorno sia finalmente arrivato, vi assicuro che rimanete colpita dalle sue parole.»
A Vittoria sembrava la ripetizione di una scena che aveva già vissuto, la presentazione di Caterina Cybo a fra Bernardino, e fu felice di vedere che erano tante le persone che predicavano la vera fede contro la terribile corruzione in cui versava la Chiesa di Roma. Sicuramente sarebbe stato di grande ispirazione, si fidava di Caterina, di Giulia e soprattutto di fra Bernardino: se l'aveva detto lui doveva essere per forza la verità.
***
La casa di Juan de Valdés si trovava nel quartiere napoletano di Chiaia, non eccessivamente lontano dal palazzo d'Avalos in cui Vittoria risiedeva. Era un luogo piuttosto semplice, il Valdés viveva in modo umile e essenziale perché dedicava tutto se stesso e donava tutto il suo tempo alle cose di Dio. La casa era più affollata di quanto Vittoria si aspettasse, Juan de Valdés venne ad accogliere le due nobildonne all'ingresso, prese la mano di Giulia e se la portò alla bocca in un elegante gesto di cortesia, poi fece lo stesso con la marchesa di Pescara. Da come la guardava, Vittoria era convinta che anche lui non fosse completamente estraneo al fascino che la Gonzaga esercitava sugli uomini.
«Signora marchesa, il vostro nome qui a Napoli è ricordato con grandissima devozione» il Valdés le fece gentilmente cenno di entrare e di accomodarsi nel piccolo ma affollato salottino. Vittoria si guardò intorno, non riuscì a riconoscere molti visi, anzi nessuno a dire la verità, e fu curiosa di fare la conoscenza con tutti i presenti. Giulia le fece cenno di sedersi di fianco a lei, Vittoria lo fece con piacere. Le furono presentate molte persone ma quella che spiccava di più all'interno del circolo del Valdés era un giovane prelato dai capelli rossi che gli arrivavano sopra le spalle e i lineamenti delicati di un bambino. Si chiamava Pietro Carnesecchi e Giulia lo conosceva molto bene. Cominciarono a parlare e Vittoria si stupì di quanto concitati fossero i suoi discorsi, lo ammirò quasi di più di quanto ammirò il Valdés.
***
La discussione con Juan de Valdés era stata così di ispirazione per Vittoria che, appena tornata a casa e salutata Giulia Gonzaga, scrisse immediatamente una lettera a Maria d'Aragona. Era da un po' che riceveva anche dolci e sconsolate lettere da parte di sua cugina Costanza che ormai non vedeva da molto tempo. Neanche il suo matrimonio era stato felice, suo marito, il duca di Amalfi, si era rivelato un uomo dai comportamenti strani e sospettosi, Costanza aveva bisogno di staccare un po' da quella vita e trovare dei nuovi interessi che le risollevassero lo spirito. Vittoria non ci pensò neanche un attimo: nella sua risposta le raccontò tutta la sua esperienza, le parlò in modo così accorato del Valdés che Costanza non poté fare altro che bruciare dal desiderio di partecipare anche lei a questi incontri.
Più che la compagnia aumentava più che le comuni discussioni, sempre sorvegliate dalla dottrina vigile del Valdés, si facevano più intense a svariate. Diventarono un piacere a cui nessuno dei presenti voleva più fare a meno e parlare di religione divenne ancora più bello di quanto poteva essere ascoltare il sermone di un qualsiasi prete: era una partecipazione attiva che stimolava la loro fede e la loro visione del mondo, era un luogo di confronto che vedeva tanti diversi punti di vista che venivano indirizzati verso la verità della Parola grazie alle sapienti parole del Valdés. Vittoria non si stupì di trovare in lui, come riflesso poi inevitabilmente nelle parole di fra Bernardino, un sentimento in comune con le tesi di Lutero, un animo pericolosamente riformista che però le piaceva perché si opponeva a quello che lei aveva sempre visto come terribilmente sbagliato: la corruzione della Chiesa. Continuava a tenersi in contatto con fra Bernardino che sembrava essersi veramente affezionato a lei quanto lo era a Caterina Cybo, si scrivevano lettere che parlavano di fede, di speranza e di preoccupazioni. Vittoria si era aperta a lui e gli aveva mostrato tutti i suoi dubbi in ambito spirituale convinta che lui avrebbe potuto guarirli: la stessa cosa avrebbe fatto con il Valdés.
***
Più che queste riunioni occupavano le sue giornate più che la religione, che Dio, che la Parola entravano nel suo cuore. Non era la prima volta che si trovava a desiderare di poter visitare la Terra Santa, il luogo in cui era vissuto Cristo e che aveva visto succedere tutto ciò che era raccontato nella Sacra Bibbia. All'inizio le parve solo una strana idea, un desiderio irrealizzabile che doveva rimanere parte di una fantasia nascosta, ma, più che i giorni passavano, più che si faceva intenso e il progetto prendeva tinte sempre meno sfocate.
«Vorrei andare in Terra Santa» esclamò esponendo finalmente la sua pericolosa idea agli altri, «poter visitare la Basilica del Santo Sepolcro e pregare dove Nostro Signore è salito al cielo sono l'unica aspirazione che possiedo in questa vita terrena.»
In quel momento vicino a lei c'erano solamente Giulia, Maria e Costanza, era a loro, infatti, che Vittoria voleva comunicare la sua proposta: sicuramente sapevano che non sarebbe potuta andare da sola, che la sua idea era molto più ampia. Sul volto della Gonzaga apparve un largo sorriso, mentre le altre due guardarono la marchesa di Pescara con un'aria incerta.
«Sarebbe l'esperienza più bella di tutta la mia vita» rispose Giulia con un tono quasi nostalgico, «ma dubito che per me sia realizzabile, non credo di poter mai essere in grado di lasciare qui e il mio castello di Fondi. Voi lo fareste, Vittoria?»
«Sarebbe bello non solo per noi» intervenne Costanza con voce sommessa, «ma per tutti, sicuramente un pellegrinaggio fino a quelle terre così lontane salverebbe moltissime anime.»
«Lo credo anche io» Vittoria non era mai sembrata così convinta, «potremmo fare qualcosa di buono per noi e per il mondo tutto, non vi pare una cosa meravigliosa? Dovremmo partire tutte insieme, quattro pellegrine in una crociata di sole donne!»
Ma le altre non erano così entusiaste, scossero il capo dicendo che, per loro, era un qualcosa di assolutamente irrealizzabile. Vittoria non si perse d'animo, il suo sogno stava diventando sempre più vicino alla realtà e non voleva rinunciare per niente al mondo, neanche quando cominciarono ad arrivarle lettere di divieto da parte non solo di Alfonso ma del Papa stesso: usavano come scusa la sua salute malferma che non avrebbe mai sopportato un viaggio di tale portata. Ma Vittoria non ci dava peso, voleva partire e sarebbe partita a tutti i costi.
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