42. Se con l'armi celesti avess'io vinto
Sebbene la situazione politica si fosse un po' calmata, non si poteva dire lo stesso di quella sanitaria. La vita di Vittoria ad Ischia era tornata ad essere piuttosto monotona: pregava, scriveva, studiava e passava un po' di tempo con Maria d'Aragona e il suo bambino appena nato. Da quando il quadro del Noli Me Tangere era arrivato al castello, concluso in tutti i suoi particolari da Jacopo da Pontormo, il rapporto epistolare tra Vittoria e Michelangelo aveva cominciato a sfoltirsi fino quasi a scomparire: ogni tanto le arrivava qualche lettera di saluto da parte dell'artista ma niente di più. Un po' le era dispiaciuto, se doveva dire la verità, ma non lo mostrava: tutto ciò che di cui avevano realmente da discutere era finito, non avevano altro da dirsi.
In quei giorni cominciarono ad arrivare brutte notizie da Napoli: una malattia fulminante aveva cominciato a diffondersi prima nella città costiera e adesso anche nell'isola. Un tipo di peste, credevano, anche se i dottori erano inclini a chiamare tutte le malattie con lo stesso nome, stava cominciando ad insediarsi nel ceto inferiore degli abitanti di Ischia e si pensava che presto avrebbe potuto alzarsi anche a quelli superiori.
Costanza d'Avalos non attese molto, si presentò da Vittoria mentre lei era immersa nella preghiera. Quando la duchessa entrò, Vittoria si alzò dall'inginocchiatoio e la accolse nella sua stanza.
«Vittoria cara, ho atteso anche troppo nella speranza che questa situazione potesse migliorare» disse, la guardava con un'espressione angosciata che la fece preoccupare più di quanto già lei non fosse.
«Ditemi tutto, signora duchessa» Vittoria le fece cenno di andare avanti, di solito Costanza non veniva mai ad interromperla nell'ora della preghiera e questo la rendeva molto sospettosa, «sapete che con me potete parlare di qualsiasi cosa.»
«Ho paura per te, figlia mia» gli occhi di Costanza erano fissi sul suo viso, Vittoria impallidì e la guardò con aria interrogativa.
«Per me, mia signora?» ripeté.
«Sì, cara. Devi andare via da Ischia il prima possibile, abbiamo già aspettato troppo» il tono della duchessa, per quanto seriamente preoccupato, aveva un che di un ordine: il suo non era un consiglio ma un qualcosa che Vittoria non poteva trasgredire, «i malati qui aumentano ogni giorno di più, presto qui al castello non saremo più al sicuro.»
«Allora ve ne andrete via anche voi» esclamò lei, «e Maria con il piccolo.»
«Maria andrà via perché teme per il suo bambino» rispose Costanza, «e tu devi andare via perché sei in pericolo.»
«Anche voi lo siete» ribatté Vittoria, se doveva mettersi in salvo lei perché Costanza non voleva farlo? Sapeva che era una donna buona e altruista ma era giusto che pensasse anche alla sua salute, non era più giovane e una malattia come quella bastava a far perdere la vita anche a bambini e ragazzi.
«Non quanto te, mia cara» rispose lei con un triste sorriso di incoraggiamento, «so che non lo vuoi ammettere o non lo vuoi ricordare, ma la tua salute è cagionevole, Vittoria, e la tua vita qui è in pericolo molto più della nostra».
Vittoria rimase un attimo in silenzio, era vero che non voleva ammettere di essere debole? Quella strana malattia che l'aveva colpita negli anni della morte di Ferdinando con quelle forti e strazianti febbri adesso non c'era più. In realtà, aveva sempre cercato di non farci caso, ma da quegli anni si era sempre sentita debole, lo giustificava con i digiuni e le penitenze che si obbligava a fare ma dentro di lei sapeva che era un qualcosa di più grande e incontrollabile. A volte, completamente all'improvviso, le prendevano delle strane fitte ai fianchi che si era sempre costretta a ignorare, pensando e tentando di convincersi che non fosse niente di importante.
«Farò come volete, mia signora» rispose, consapevole che non aveva scelta. Non era il rischio di morire che la spaventava, ma il poter causare dolore e costante preoccupazione a coloro che le stavano intorno e che si preoccupavano di lei come Costanza.
«Ti prego di partire il prima possibile» rispose la duchessa, non gioì per la risposta affermativa, probabilmente non avrebbe gioito fino a quando Vittoria non fosse stata al sicuro, «Maria e Alfonso si ritireranno con il piccolo nelle terre del Vasto tra due giorni, il tempo di preparare tutto, mentre tu? Roma è abbastanza sicura, adesso, perché possa accoglierti?»
Vittoria annuì, le acque turbolente tra il Papa e il Colonna si erano calmate, Clemente VII l'avrebbe accolta volentieri nella Città Santa e lei sarebbe tornata ad abitare al convento di San Silvestro in Capite insieme alle altre sorelle.
«Va bene» disse, desiderava tornare in quei luoghi che aveva tanto cari, pieni di ricordi e di sogni infranti, «partirò anche io dopodomani.»
***
Roma era diversa da come la ricordava, molto diversa da come l'aveva vista l'ultima volta. Vittoria cavalcava lentamente tra le strade della città, gli occhi, attenti a guardarsi intorno, riconoscevano ogni particolare della distruzione del sacco di qualche anno prima: c'erano molti edifici abbandonati che minacciavano di cadere a pezzi, segni di palle di cannone per strada o nei muri e scritte di scherno sull'intonaco che ancora nessuno aveva avuto modo di cancellare. Il senso di colpa riaffiorò ancora più forte quando passò davanti a Palazzo Colonna: era ancora più bello e imponente di quanto ricordasse, l'unico a non essere stato toccato dai soldati lanzichenecchi. Proseguì con lo sguardo basso, nonostante Costanza le avesse consigliato di trovare rifugio da suo fratello in modo che potesse vivere dignitosamente, Vittoria continuò la sua strada diretta al convento di San Silvestro in Capite: era quello l'unico luogo a Roma che avrebbe potuto accoglierla in un ritorno a casa. Fu sollevata quando vide che il convento appariva piuttosto simile a come lo ricordava, da come le avevano detto appena successo il saccheggio si aspettava di trovarlo in condizioni terribili, invece i soldi che aveva mandato come aiuti erano stati sufficienti a restituirgli un po' di decoro.
Appena entrò le venne incontro la madre superiora, tutte le sorelle stavano attendendo il suo arrivo e le avevano sistemato la cella che aveva abitato prima di dover scappare da Roma. Era così bello tornare in quel luogo che tanto amava! Vittoria, però, fu immensamente dispiaciuta quando non ritrovò molti visi a cui era affezionata.
«Molte nostre sorelle non ce l'hanno fatta» le disse la badessa facendosi il segno della croce, Vittoria sapeva che i lanzichenecchi non avevano avuto alcun rispetto per chiese e conventi, anzi, i luoghi religiosi erano quelli su cui i lanzichenecchi si erano accaniti maggiormente. Non osava pensare quale strazio dovettero aver passato le suore del convento, «adesso riposano con Nostro Signore.»
I giorni che Vittoria trascorse a Roma furono piacevoli, tutti seppero che la marchesa di Pescara era arrivata e non le mancarono le visite dei vecchi amici: vennero a trovarla il Bembo, il Sannazaro, l'Aretino e anche una persona di cui non si aspettava assolutamente una visita.
Caterina Cybo, la duchessa di Camerino, era una donna intraprendente e molto attenta alla religione e alla dottrina. Vittoria la conosceva poco, l'aveva vista un paio di volte ma molte di più ne aveva sentito parlare. Non avrebbe immaginato di trovarsela nella sua piccola cella del convento.
«Signora marchesa, è un piacere fare la vostra conoscenza!» esclamò appena Vittoria le venne incontro per accoglierla, «era da molto che speravo di potervi conoscere e quando ho saputo che eravate tornata a Roma ho sentito il bisogno di venirvi a visitare.»
Parlarono un po', purtroppo un monastero umile e povero non era il luogo migliore perché due signore di tale rango si riunissero, ma la duchessa di Camerino non pareva darci importanza: era una donna molto pia e sicuramente apprezzava la vita di povertà.
«A che cosa devo la vostra visita?» le domandò Vittoria, sapeva che nessuno, lei per prima, veniva a trovare qualcuno senza avere un preciso scopo, soprattutto se era qualcuno che non conosceva per niente bene.
La duchessa sorrise sommessamente.
«Vorrei chiedervi un favore» disse, il viso di Vittoria si incupì e lei si affrettò ad aggiungere, «non per mio interesse, sia chiaro: sono venuta da voi perché siete la persona più indicata e sono certa che sarete anche molto interessata alla situazione che sto per esporvi.»
Vittoria era curiosa, non voleva entrare in mezzo a giochi politici ma la duchessa di Camerino sembrava proiettata su tutto un altro piano e questo la rendeva interessante ai suoi occhi.
«Ditemi tutto, senza alcun problema» le sorrise.
Caterina si schiarì la voce: quella che aveva da raccontare era una lunga storia e doveva fare in modo di riassumerla al meglio.
«Credo abbiate sentito parlare dei cappuccini» iniziò, Vittoria tentennò il capo in segno di risposta non completamente affermativa, «e credo che sappiate anche del mio amore per Dio e per la religione. Ho conosciuto, ormai un po' di anni fa, Matteo Serafini, un sacerdote del convento di Montefalcone di cui penso abbiate sentito parlare, e mi ha parlato del suo ardente desiderio di riportare all'origine la regola francescana. Mal sopporta, come molti altri frati, la via che la maggior parte dei francescani ha preso, distaccandosi quasi completamente dagli originari insegnamenti di San Francesco.»
Vittoria ascoltò attentamente, aveva già sentito parlare di quell'uomo ma era sempre stata immersa nelle sue vicende personali che non ci aveva posto mai più di tanta attenzione: adesso che gli si presentava così, all'improvviso, era curiosa di sapere che cosa la duchessa di Camerino avesse da proporle.
«Ha deciso, così» proseguì Caterina, «di fondare un nuovo ordine che sia ancora più duro e rigido nella regola dei francescani, che aiuti i poveri per davvero e con tutte le sue forze: vorrebbe chiamarli frati cappuccini per la veste dal singolare cappuccio che servirebbe a distinguerla dal semplice saio dei francescani. Matteo Serafini, quindi, ha chiesto a me di intercedere per lui presso il Papa, ma la mia influenza non è sufficiente e questo è il motivo per cui mi sono rivolta a voi: Sua Santità ha molta stima di voi, signora marchesa, del vostro ritiro spirituale in questo convento e della fede e della bontà che sempre dimostrate, sono certa che non vorrà negarvi questo favore.»
Vittoria rimase un attimo in silenzio, pensierosa. Da come Caterina diceva, il nuovo ordine dei cappuccini sarebbe servito a riportare alla fede anche i francescani, ad aiutare ancora di più le persone povere, soprattutto in un momento come questo che ce ne era molto bisogno, ma sapeva ancora troppo poco.
«Non posso darvi una risposta così su due piedi, spero capiate» le rispose abbozzando un sorriso, «non so molto di questo nuovo ordine tralasciando ciò che voi adesso mi avete detto: desidererei informarmi di più prima di prendere una decisione.»
«È assolutamente normale» la duchessa di Camerino le sorrise, raggiante, «non abbiate fretta, quando avrete deciso non esitate, però, a contattarmi. Se vi può essere d'aiuto vi consiglierei, questa domenica, di fermarvi alla chiesa di San Lorenzo in Damaso: troverete fra Bernardino da Siena, un forte sostenitore della nascita del nuovo ordine, a predicare. Vi assicuro che sarà illuminante e comprenderete il motivo che mi spinge ad impegnarmi così tanto per la loro causa.»
La marchesa di Pescara annuì veementemente, non conosceva neanche questo fra Bernardino da Siena ma si fidava di Caterina Cybo: se diceva che i suoi sermoni le avrebbero portato una grande ispirazione e risposte alle sue domande sul nuovo ordine era sicura che così sarebbe stato.
«Vi aspetto, allora» le disse la duchessa di Camerino prima di prendere congedo, «ci sarò anche io, così avrò modo di presentarvelo di persona.»
***
La chiesa di San Lorenzo in Damaso non era poi così lontana dal convento di San Silvestro in Capite, Vittoria si fece accompagnare da João Çapata, un giovane garzone che era entrato al suo servizio quando si era trasferita nel monastero. Appena arrivata entrò nella chiesa e si stupì di trovarla piena di persone, Çapata le fece strada e si avviò per trovarle un posto nelle prime file ma Vittoria lo fermò dicendo che preferiva rimanere in disparte. Tra tutte quelle persone non riuscì a vedere la duchessa di Camerino se non dopo aver scrutato attentamente tutte le nobildonne che sedevano sulle prime panche: tutte quelle persone erano venute a sentir dire Messa da quel tale fra Bernardino? Doveva essere davvero sorprendente, pensò. Non ci fu bisogno di attendere più di qualche minuto che tutti si alzarono in piedi e, dalla porta laterale della sacrestia, fece il suo ingresso davanti all'altare fra Bernardino. Era un uomo piuttosto basso, con i capelli quasi totalmente rasati tranne un piccolo cerchio che gli incorniciava la fronte, indossava il saio marrone simile a quello dei francescani che gli lasciava in vista i piedi scalzi. Vittoria non fu più in grado di staccare gli occhi da lui quando, dopo aver letto il Vangelo, cominciò a spiegarlo con un tale fervore e una tale emozione che nessuno avrebbe potuto rimanere indifferente. La sua voce arrivava dritta al cuore, la marchesa la sentiva come se la colpisse con tutta la sua forza. Non c'era violenza nel suo modo di predicare come c'era stata nel Savonarola, anzi, il suo modo di parlare dell'amore di Cristo era proprio la dimostrazione che quell'amore era vero e che ogni uomo poteva provarlo.
Sembravano passati appena pochi minuti quando in realtà il sermone era durato più di un'ora. La chiesa cominciò a svuotarsi pian piano, tutti mormoravano mentre si accingevano ad uscire, ancora scossi da quelle parole di fede. Vittoria stette da una parte fino a che non vide la duchessa di Camerino venire verso di lei con un grande sorriso sulle labbra e le lacrime agli occhi.
«Signora marchesa» le sussurrò prendendole gentilmente le mani, «non vi avevo vista e pensavo non foste venuta, non sapete che piacere mi fa, invece, vedervi qui!»
Sulle labbra di Vittoria si riflesse il suo sorriso, lanciò uno sguardo verso fra Bernardino che era uscito nuovamente dalla sacrestia e stava sistemando le candele all'altare, aveva un grande desiderio di potergli parlare.
«Anche per me, mia signora» le rispose, «vi ringrazio per avermi fatto dono di una così bella esperienza, le parole di fra Bernardino mi sono arrivate al cuore, non ho mai sentito qualcuno predicare così bene e in modo così diretto.»
Caterina Cybo sorrise nel vedere che l'attenzione di Vittoria era attratta dal frate dietro di lei e si voltò anche lei a guardarlo.
«Venite con me» le disse, «ve lo presento.»
***
Fra Bernardino alzò la testa quando le vide arrivare, se non fosse stata accompagnata dalla duchessa di Camerino, Vittoria non sarebbe sembrata assolutamente una nobildonna ma una semplice sorella di un convento.
«Fra Bernardino» esclamò Caterina Cybo, «lasciate che vi presenti la signora Vittoria Colonna, marchesa di Pescara. È arrivata da non molto a Roma e risiede al monastero di San Silvestro di Capite, credo abbiate sentito parlare molto di lei.»
«Molto e molto bene, signora marchesa» il frate fece una piccola riverenza davanti a lei, Vittoria ebbe l'impressione, a vedere l'espressione del suo volto, che la duchessa di Camerino l'avesse avvertito del suo arrivo e di ciò che lei avrebbe fatto per il nuovo ordine, «in tutta Roma si parla di voi, del vostro amore per la letteratura, l'arte e la poesia ma soprattutto del vostro amore per Dio.»
«La mia fede è ancora debole, fra Bernardino» rispose lei, vedere una persona come lui parlare così ardentemente di Cristo l'aveva fatta sentire come se fosse nuova a quella disciplina, ancora inesperta e con tantissime cose da imparare, «e sono certa che i vostri sermoni, quello di oggi e quelli futuri, saranno per me un modo per rafforzarla a dismisura. Le vostre parole sono le più belle che io abbia mai sentito.»
«Non dovete elogiare me ma Dio» sorrise lui, «Dio è il solo che merita lodi, quello che faccio io lo faccio solamente per merito Suo.»
La sua umiltà colpì tantissimo Vittoria, aveva avuto modo di conoscere molti religiosi e uomini di chiesa e, ora che lo aveva davanti, vedeva l'enorme differenza tra lui e i cardinali alla corte del Papa che si curavano solamente del potere, della ricchezza e del loro benessere. Era stata convinta ad intercedere per i cappuccini, non c'era altro che desiderasse fare in quel momento se non aiutare persone ispirate come fra Bernardino a costituire un nuovo ordine di uomini santi.
«La signora duchessa vi ha parlato di ciò a cui io, lei e molti altri, tra cui Matteo Serafini, aspiriamo?» le domandò il frate, sempre con un sorriso gentile suo volto.
Vittoria annuì con un cenno del capo.
«State certo che farò tutto ciò di cui avete bisogno per la nascita del vostro nuovo ordine» rispose sicura.
Il volto di Caterina si illuminò e il sorriso di fra Bernardino si allargò, i loro occhi brillavano di gioia e gratitudine.
«Dio vi ricompenserà per tutte le opere buone che avete fatto e che farete» esclamò il frate, «il vostro aiuto è per noi fondamentale, signora marchesa, e non potremo mai ringraziarvi abbastanza.»
«Avete avuto modo di parlare con il Papa?» chiese lei, ignorando per modestia tutti quegli elogi, «vi ha dato qualche risposta?»
«Sì, ma Sua Santità non si è mostrato molto disponibile ad accettare la nostra causa» rispose fra Bernardino.
«Va bene» sorrise Vittoria, «me ne occuperò io.»
***
Prima provò a scrivere una lettera, ma Clemente VII non se ne curò più di tanto: le rispose ma senza darle, in realtà, una vera e propria risposta alle sue domande. Gli aveva descritto la meraviglia dei sermoni, non solo quello di quel giorno ma anche quelli seguenti a cui aveva partecipato, ma non ebbe la reazione sperata. Scrisse ancora e gli chiese di essere ricevuta insieme alla duchessa di Camerino, il pontefice approvò seppur a malincuore.
«Vi ringrazio moltissimo, signora marchesa, per l'impegno che avete messo nel perorare la nostra causa» le disse Caterina Cybo quando si trovarono davanti al palazzo papale. Erano entrambe in ansia, sapevano che, se Clemente VII avesse rinunciato quel giorno, le loro speranze si sarebbero frantumate, almeno fino a che non ci fosse stato un altro Papa: Sua Santità cominciava ad essere piuttosto anziano e soprattutto era malato anche se cercava di apparire sempre in forma come negli anni precedenti.
Le due donne furono fatte entrare dai palafrenieri e condotte nello studiolo in cui il Papa usava ricevere le persone di un certo rango. Clemente VII le salutò con un gesto di benedizione piuttosto annoiato e stanco, Vittoria e Caterina si inginocchiarono al suo cospetto ma lui intimò loro di alzarsi. Pareva non voler stare a perdere tanto tempo e la marchesa cominciò a temere che non ci fosse molto da fare per fargli cambiare idea.
«Credo di sapere il motivo della vostra richiesta» disse il Papa accennando un sorrisetto, l'avevano stancato così tanto con le loro lettere che ormai sapeva bene che cosa volevano da lui.
«Santità» iniziò Vittoria, «mi conoscete bene e sapete che io faccio tutto il possibile per venerare Dio: credete alle mie parole, anche i nostri fratelli cappuccini non sono mossi altro che dalla fede e dalla carità in ciò che fanno.»
Clemente VII non rispose, la guardò fisso per qualche attimo e poi posò la sua attenzione sulla duchessa di Camerino. Caterina cominciò a parlare, ma il Papa sembrava ascoltare solo distrattamente le sue parole.
«Non avete pena di un gruppo di persone che vogliono rinnovare la regola di San Francesco?» intervenne Vittoria, con un tono sicuramente troppo duro se rivolto ad un Papa, ma lei, sapendo quanto Clemente VII la stimasse, era certa di poterselo permettere, «credete per caso di ritrovare in loro le idee eretiche e false di Martin Lutero? L'ordine dei cappuccini non è in alcun modo un pericolo per la Chiesa, non va a minare la dottrina e non la va a cambiare: tutto ciò che i cappuccini vogliono fare è eliminare quel male che sta nascendo nell'ordine dei francescani e operare per il bene delle persone abbandonate, dei poveri e dei bisognosi. La Chiesa ha bisogno anche di questo, di persone che si prendono cura dei più miseri, di coloro che sono abbandonati.»
Clemente VII rimase turbato da quelle parole, i suoi occhi si oscurarono e cominciò a toccarsi nervosamente la lunga barba bianca.
«Adesso andate» ordinò, «tra qualche giorno avrete la risposta definitiva, pregate perché Dio possa fare il meglio per la sua Chiesa.»
Quei tre giorni che passarono dall'incontro alla risposta del Papa furono carichi d'ansia, Vittoria, ad ogni ora, andava a chiedere alla sorella addetta alla posta se ci fosse qualche nuova lettera per lei da parte o di Sua Santità o della duchessa di Camerino ma quella scuoteva il capo dispiaciuta. Quando, finalmente, arrivò Vittoria non poteva crederci, scoppiò a piangere e scrisse subito a Caterina Cybo che venisse da lei. Clemente VII aveva accettato! Aveva detto che avrebbe accettato i cappuccini all'interno degli ordini minori, che si sarebbero chiamati "Ordine dei frati minori cappuccini" e che avrebbero imitato nella regola i francescani, tranne per il saio dal cappuccio allungato. Era la notizia più bella che Vittoria avesse mai ricevuto nell'ultimo periodo, il suo nome salì ancora di più alle stelle e cominciò a spandersi e viaggiare insieme al nascere di grandi comunità dei nuovi frati.
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