41. Deh! potess'io veder per viva fede
Ischia era tornata il luogo tranquillo che era sempre stata, anzi, adesso che molti degli ospiti di Costanza avevano lasciato l'isola, lo era ancora di più. A Vittoria piaceva, faceva di tutto per vivere nella semplicità: passava molte ore a pregare e il resto della giornata a parlare, cucire o semplicemente fare compagnia a Maria d'Aragona che le stava diventando sempre più affezionata.
Non c'era niente che le mancasse, eppure, sentiva come se la sua fede non fosse abbastanza, come se non bastasse più: desiderava di più ma non sapeva come fare ad ottenerlo. Quando pregava, inginocchiata nella sua stanza o sulla balaustra della cappella, sentiva di aver bisogno di vedere Gesù, di vedere che cosa aveva fatto, perché potesse accrescere la sua fede. Le ci volle un po' di tempo prima che capisse veramente che cosa desiderava: un quadro, questo era certo, un quadro davanti a cui pregare e dire il rosario, ma che cosa doveva rappresentare? Il personaggio che più le stava a cuore era Maria Maddalena, aveva sempre avuto grande ammirazione per quella donna che, da grande peccatrice, era diventata una delle più importanti discepole di Gesù tanto da essere la prima a vedere il sepolcro vuoto. Le venne in mente quasi come un lampo: un Noli Me Tangere sarebbe stato perfetto! Aveva letto e riletto non sapeva più quante volte quella parte del Vangelo di Giovanni e, ogni volta che ripercorreva la figura della Maddalena, si immedesimava sempre di più in lei: trovava le loro situazioni molto simili, anche lei, dopo la morte di Ferdinando, aveva cambiato radicalmente vita e si era dedicata interamente e quasi completamente a Cristo. Credeva che la Maddalena, in qualche modo, la rappresentasse.
Voleva un dipinto di un Noli Me Tangere, sarebbe stata l'unica cosa materiale che desiderava, l'unica che aveva desiderato in tutti questi anni. Ora doveva solo decidere a chi commissionarla: lì a Napoli non c'erano grandi artisti e lei non ne conosceva nessuno: nel circolo di Costanza facevano parte soprattutto letterati, scrittori e umanisti, mai pittori. Avrebbe pagato tanto per quel dipinto, tutto quello che sarebbe servito perché fosse il più bello che avesse mai visto e, per questo, voleva che ad eseguirlo non fosse un pittore di poca fama, ma qualcuno capace di realizzare veri e propri capolavori.
Un nome le balenò nella mente: Michelangelo Buonarroti. Non si era mai curata di nascondere quanto ammirasse le opere del Buonarroti, lo aveva sempre detto apertamente: la volta della Sistina, quando era andata a vederla l'aveva lasciata completamente senza fiato, la Pietà nella, ormai in ricostruzione, Basilica di San Pietro, la prima volta che l'aveva vista, l'aveva commossa tanto da condurla alle lacrime. Sinceramente non sapeva dove fosse in quel momento Michelangelo, ma non era certamente quello il problema. Ciò che, in realtà, la preoccupava era il suo carico di lavoro, non osava immaginare quante commissioni avesse, quanto fosse impegnato: avrebbe mai accettato di dipingere un quadro per una persona che aveva appena intravisto qualche volta? No, di certo, il nome di una donna, poi, lo avrebbe portato sicuramente a rifiutare l'opera.
***
«Per quale motivo siete venuta, madre cara?» Alfonso alzò lo sguardo dalle sue carte, Vittoria prese posto davanti a lui e rimase a guardarlo con un sorriso, «ci saremmo visti tra poco a cena, dovete dirmi qualcosa di importante?»
«Volevo chiedervi un favore, più che altro» disse lei, «se accetterete mi fareste la donna più felice di questo mondo, Alfonso.»
Il ragazzo ridacchiò.
«Sentitevi libera di dirmi quello che desiderate» rispose, «sapete che per voi farei qualsiasi cosa, madre cara.»
«Desidererei un dipinto» disse lei schiarendosi la voce.
«Mi avete preso per un pittore, per caso?» Alfonso sgranò gli occhi e scoppiò in una gioiosa risata.
«Dipingere sarebbe un passatempo più sano di quello di andare a cercare per Napoli giovani ragazze da sedurre» ribatté lei con un sorrisetto di scherno, quando poteva cercava di ricordargli che doveva portare rispetto a sua moglie e che doveva smetterla di sprecare il suo tempo dietro a tante belle ragazze. Alfonso diventò prima paonazzo, poi completamente rosso e abbassò lo sguardo immediatamente.
«Quindi?» tornò a chiedere, voleva cambiare assolutamente discorso, odiava questo tipo di rimproveri e Vittoria lo sapeva bene, «volete un dipinto davvero?»
Vittoria annuì veementemente con il capo, gli sorrise mostrandogli quanto fosse emozionata solo al pensiero e quanto desiderasse quella pittura.
«Avevo pensato ad una Maddalena penitente o ancora meglio a un Noli Me Tangere» gli spiegò, «vorrei qualcosa che sia in grado di accrescere ancora di più la mia fede, vorrei qualcosa che mi avvicini maggiormente a Cristo e al Vangelo: cosa c'è di meglio che vederlo con i propri occhi?»
Alfonso le rivolse una scrollata di spalle.
«Vedo che lo desiderate molto e non mi tirerò indietro dal procurarvelo» rispose, «e neanche intercederò per quello che vorrete rappresentato, ma a chi devo commissionarlo?»
«Se potessi averlo di mano di messer Michelangelo Buonarroti il mio desiderio più grande sarebbe esaudito» gli sorrise timidamente, sapeva di che portata era la sua richiesta e quanto, per lui, sarebbe stato difficile accontentarla.
Inizialmente Alfonso sgranò gli occhi, poi rise..
«Non vi piace proprio accontentarvi di qualcuno meno bravo?» le domandò con tono sarcastico, «farò come volete, ma sappiate che il Buonarroti ha a malapena obbedito al Papa quando gli è stata commissionata la Sistina, non so quanto sarà disponibile a dipingere qualcosa a mio nome.»
«Vi prego di tentare» esclamò lei portandosi le mani al petto, voleva veramente tanto quel dipinto, «se messer Michelangelo non accetterà troveremo qualcun altro, ma è sempre bene provare: non credete che magari sarà benevolo con voi?»
Alfonso scosse leggermente il capo, sorridendo mestamente.
«Ne dubito, non lo conosco bene e quell'uomo non lo è mai stato con nessuno» rispose risoluto, «contatterò sia il Buonarroti che Tiziano Vecellio, l'artista più grande dopo di lui: vedrete che riuscirete ad ottenere qualcosa da almeno uno dei due.»
Le labbra di Vittoria si aprirono in un istantaneo e emozionato sorriso, avrebbe voluto abbracciare Alfonso ma si trattenne, gli prese le mani e, per la felicità, se le portò alla bocca.
«Grazie, Alfonso caro!»
***
Era la sera l'unico momento della giornata che sembrava dargli tregua, era quando, dopo ore e ore di lavoro, alla fioca luce delle candele, poteva finalmente riposarsi per un po', sedersi davanti al camino e staccare con la mente da tutti i problemi che lo affliggevano. Era anche quello il momento in cui aveva qualche attimo per leggere le lettere che gli venivano recapitate: venivano lasciate sopra il mobiletto nel piccolo e angusto ingresso dell'appartamento che si affacciava su piazza San Lorenzo. Era tornato a Firenze da poco, dopo il ritorno dei Medici e tutto ciò che la situazione politica dell'Italia intera aveva causato, era scappato a Venezia perché la città toscana non era stata più sicura per lui. Adesso era stato perdonato da Papa Clemente VII Medici e poteva tornare a vivere normalmente, tornare ad occuparsi dei lavori che il pontefice stesso gli aveva commissionato: il progetto della maestosa biblioteca affianco alla chiesa di San Lorenzo e alla sua sagrestia.
Scostò dal tavolo di cucina tutti i fogli dei disegni e degli schizzi a cui non smetteva mai di lavorare, si fece spazio e prese la pila di lettere che aveva sempre rimandato di leggere, l'unica luce che c'era nella stanza era quella del piccolo fuoco nel camino e della candela al suo fianco. Odiava leggere le lettere, non per le lettere in sé ma perché la maggior parte delle persone che gli scrivevano lo faceva per lavoro, quasi nessuna conteneva dolci parole di affetto, quasi nessuno gli scriveva solo per amicizia.
Le prese tutte quante e le scorse con le dita leggendo chi fosse il mittente per scegliere quale aprire prima, erano sempre le solite: una di suo fratello Buonarroto che sicuramente chiedeva soldi, una del funzionario del Papa che certamente voleva sapere come procedevano i progetti...
Fu una che appena la vide lo lasciò stupito. La prese e la aprì, era del marchese del Vasto, Alfonso d'Avalos: quando mai aveva avuto rapporti con lui? Quando mai aveva avuto rapporti anche solo con qualche spagnolo? Non si domandò che cosa volesse, sicuramente doveva fargli qualcosa e lui sapeva già che non ne avrebbe avuto non solo voglia, ma neanche tempo né modo: come poteva? Sicuramente non avrebbe fatto aspettare il Papa per compiacere il marchese.
Lesse comunque la lettera, anche solo per curiosità, per vedere quale fosse la sua richiesta. Cominciò dando una veloce lettura alle prime righe di elogi e compiacenze varie, voleva arrivare al punto.
"La donna che più amo e che sento ormai di chiamare madre mi ha espresso il suo desiderio di un quadro fatto di vostra mano"
Non era lui, quindi, a volere un'opera ma una donna. Michelangelo continuò a leggere, era stranamente curioso e emozionato come non lo era mai stato per una commissione. Solo leggendo quella perifrasi aveva capito di chi poteva trattarsi, anzi non ne aveva quasi più dubbi, ma, appena una riga sotto, ne ebbe la conferma.
"La signora marchesa di Pescara, Vittoria Colonna, vorrebbe da voi un Noli Me Tangere. Non mi ha specificato altro se non che desidera così tanto un vostro dipinto da pagarlo quanto voi vogliate"
Michelangelo rimase qualche attimo a guardare il foglio che teneva in mano, lesse e rilesse quelle poche righe come se quella fosse una cosa così strana da non sembrare reale. Si ricordava di Vittoria Colonna, si ricordava meglio di quanto volesse ammettere: aveva cercato di dimenticarla, in tutti quegli anni, e si era illuso di esserci riuscito. Adesso, invece, quella donna lo coglieva nuovamente di sorpresa lasciandolo spaesato.
Non si era scordato l'effetto che gli aveva fatto la prima volta e il fascino che aveva continuato ad esercitare su di lui tutte le volte successive, ormai tanti anni erano passati e non aveva più sentito parlare di lei. Si ritrovò, quasi senza rendersene conto lui stesso, a desiderare di rivederla, si ritrovò impaziente di sapere come stava, di vedere quanto era cambiata, quanto gli anni avevano influito sulla sua raggiante bellezza. La ricordava come una ragazza splendente nella sua giovinezza, come avrebbe potuto ritrovarla adesso? Il tempo aveva cominciato ad intaccare il suo viso oppure conservava ancora lo splendore della gioventù? Era curioso di saperlo, forse se l'avesse trovata invecchiata sarebbe rimasto deluso, ma la sua mente continuava a vederla come l'ultima volta che l'aveva incontrata.
Ora che gli tornava nella memoria, aveva saputo, come era inevitabile, della morte del marchese di Pescara. Lì per lì non gliene era importato molto ma adesso non osò immaginare in quale nero dolore fosse caduta la marchesa. Provò pena per lei, si ricordava di aver visto l'amore che la legava a suo marito con i propri occhi e non voleva neanche pensare a quante lacrime le fosse costata la sua morte.
Le avrebbe fatto il dipinto, la sua mente aveva già deciso quando aveva cominciato a tornare indietro con la memoria: non gli piaceva dipingere, aveva tantissimo da fare ma non aveva pensato neanche un istante di rifiutare quella commissione.
"Se vogliate accettare la mi richiesta" continuava la lettera, "vi prego di scrivere direttamente alla signora marchesa così che possiate avere molti più dettagli di quanti ve ne possa dare io".
Fu questione di appena qualche secondo, il tempo di prendere un foglio di carta pregiata e una penna, che cominciò a scrivere con mano tremante e stranamente emozionata:"Alla illustrissima signora Vittoria Colonna, marchesa di Pescara..."
***
Vittoria aspettava ansiosa alla finestra, lanciava ritmicamente delle occhiate fuori per vedere se stesse arrivando qualcuno. Costanza, seduta accanto a lei, la guardava con un sorrisetto sulle labbra mentre Maria, poco più in là, era occupata a cucire e ricamare il corredo per il figlio che stava aspettando ormai già da qualche mese.
«Stai attendendo qualcosa, Vittoria?» Costanza le rivolse un'occhiata eloquente, di chi la sapeva lunga.
La marchesa esitò un attimo, poi scosse il capo.
«Una lettera a dire la verità» rispose con voce sommessa, non voleva mostrare quanto, in realtà, ne fosse attaccata anche se con il suo comportamento si era già tradita, «ma niente di importante, non preoccupatevi, signora.»
«Non mi sto preoccupando, cara» Costanza sorrise, «vi vedo solo molto ansiosa e volevo saperne il motivo.»
Vittoria si ritrovò costretta a gettare un'altra occhiata fuori e notò con un tuffo al cuore che il garzone che aveva mandato alla dogana a ritirare tutte le lettere per gli abitanti del castello stava ritornando. Sorrise e il suo volto si illuminò inconsciamente, Costanza se ne accorse.
«Deve essere qualcosa di veramente importante» scherzò, «i tuoi occhi, cara, brillano come non li vedevo brillare da molto.»
Vittoria arrossì appena, sapeva che con quelle parole la duchessa non aveva intenzione di offenderla in una alcun modo, che era solo curiosa e desiderosa di sapere il motivo di quei suoi strani comportamenti ma da una parte ne fu un po' infastidita: voleva conservare per sé certe cose e non sapeva ancora che cosa aspettarsi, se un successo o un fallimento. Sicuramente Costanza se ne sarebbe accorta entro poco.
«No, in realtà no, ve l'ho già detto» Vittoria scosse lievemente il capo, di nuovo, «è una cosa a cui tengo, sì, ma neanche troppo a dire la verità.»
Dopo qualche attimo il ragazzo bussò alla porta, Costanza gli diede il permesso di entrare e, appena ebbe varcato la soglia con un massiccio pacco di lettere in mano, più massiccio di quanto pensasse, le labbra di Vittoria si aprirono in un largo sorriso: possibile che, tra tutte quelle, non ci fosse quella che lei desiderava così tanto?
«Ci sono lettere per la signora marchesa?» esclamò Costanza facendo troncare a metà le parole che voleva dire Vittoria.
Il ragazzo cercò per qualche secondo tra quelle che aveva in mano, me prese tre e gliele porse cortesemente.
«E per il signor marchese del Vasto?» domandò Maria alzando finalmente lo sguardo dal suo cucito, «se ci sono vi prego di lasciarmele, gliele porterò io quando lo vedrò.»
Vittoria lesse il nome sulle prima lettera e il suo cuore cominciò ad aumentare improvvisamente i suoi battiti, sapeva di essere osservata con molta curiosità da Costanza ma non le interessava: aprì la lettera e cominciò a leggerla. Per poco non le venivano le lacrime agli occhi.
«Tutto bene cara?» la duchessa la risvegliò da quel suo sogno ad occhi aperta, «vedo che hai ricevuto ciò che volevi, non vorrai tenerci così all'oscuro, vero?»
Vittoria abbassò lentamente il foglio, era ancora incredula e la gioia che quelle parole le avevano fatto provare era difficile da reprimere.
«Qualche settimana fa» cominciò a raccontare schiarendosi la voce ancora emozionata, «ho espresso ad Alfonso il mio desiderio di poter avere un dipinto che raffigurasse la scena del Noli Me Tangere di mano di Michelangelo Buonarroti e ho appena avuto la risposta.»
La duchessa sgranò gli occhi.
«Ha accettato di lavorare per Alfonso?» esclamò Costanza stupita, anche Maria la guardava con una faccia sconcertata.
«Per me, a quanto scrive» Vittoria abbassò nuovamente gli occhi per rileggere, come per averne di nuovo la conferma, quelle parole, «per questo ha scritto a me e non al signor marchese.»
«Oh, Vittoria» esclamò Maria lasciando andare il lenzuolo che teneva sulle ginocchia, «sapete quante persone desiderano avere qualcosa dal Buonarroti, quanti nobili, duchi, marchesi vorrebbero un dipinto di sua mano! Persino la marchesa di Mantova, Isabella d'Este, non ci è riuscita.»
Vittoria sorrise, era strano e se ne rendeva conto: lo considerava come un segno di Dio, quel dipinto l'avrebbe aiutata molto nella preghiera, avrebbe migliorato il suo cristiano modo di vivere in futuro, ne era sicura.
«Ha accettato di farmi solo il cartone preparatorio, a dire la verità» rispose, «ha scritto che non avrebbe tempo di dipingerlo completamente e, non avendo una bottega, non ha nessuno a cui affidare questa mansione. Mi ha consigliato di farlo colorare da Jacopo da Pontormo, un pittore che, a detta sua, sarà in grado di farlo ancora più bello di quanto lo avrebbe fatto lui stesso. Su questo ho dei dubbi ma non mi lamento, sono immensamente felice così.»
«Sapete quanto devono penare le persone del tuo rango per avere anche un disegno su un pezzo di carta di mano di un artista importante come il Buonarroti?» continuò Maria, estasiata e ammirata dalla conquista di Vittoria e, soprattutto, di suo marito, «e voi avrete un intero cartone!»
«Ha scritto, inoltre» proseguì la marchesa, «che comincerà a lavorarci il prima possibile e cercherà di mandarmelo finito entro qualche mese.»
«E il prezzo?» domandò Maria.
Vittoria esitò un attimo, diede di nuovo una rapida occhiata alla lettera ma poi scosse il capo.
«Non ne ha parlato» mormorò.
«Strano» rispose l'Aragona ritornando ad abbassare gli occhi e maneggiare il filo e l'ago, «lo farà per umiltà, fossi in voi mi preparerei a sborsare parecchi ducati d'oro: il Buonarroti ha la nomea di essere molto avido, sicuramente la sua grazia ve la farà pagare cara.»
«Sono pronta a pagare quanto desidera» rispose Vittoria, «sicuramente il suo lavoro varrà tutti i denari che dovrò spendere.»
«Comprendo la tua felicità adesso, cara» Costanza, che era rimasta ad ascoltare in silenzio fino a quel momento, le sorrise, «dato che messer Michelangelo ti ha concesso la grazia di accettare la tua commissione, non lasciarlo andare, tieniti sempre in contatto con lui in caso ne volessi una seconda.»
Vittoria annuì, si ricordò che Costanza era riuscita, a differenza di molti, ad avere un intero quadro realizzato dal famoso Leonardo da Vinci, un suo meraviglioso ritratto, e che capiva che cosa volesse dire avere a che fare con artisti illustri.
«Farò come dite» le sorrise.
«E le altre che cosa sono?» domandò Maria che, curiosa, aveva lanciato un'occhiata alle altre due lettere che Vittoria aveva appoggiato al suo fianco e di cui sembrava essersi dimenticata.
La marchesa le prese, quasi sorpresa di ritrovarle lì, ogni emozione era sparita, aveva avuto ciò che desiderava. Scoppiò a ridere quando riconobbe che la seconda era di Tiziano, anche lui aveva accettato la sua richiesta e le avrebbe interamente dipinto una Maddalena come gli aveva chiesto. La terza, invece, aspettò ad aprirla.
«C'è qualcosa che non va?» le domandò Costanza aggrottando la fronte, non capiva un così repentino cambiamento d'umore, «chi è che vi scrive?»
«Il signor Paolo Giovio» mormorò. Non avrebbe risposto, non voleva avere più niente a che fare con lui.
***
Con grande sorpresa di tutti, il carteggio tra Michelangelo Buonarroti e Vittoria Colonna prese una piega più intima di quanto chiunque potesse immaginarsi. Vittoria si trovava spesso ad aspettare una sua lettera e, quando la riceveva, si ritrovava sempre a leggerla con un grande sorriso sulle labbra. Michelangelo le scriveva come stava andando il procedimento del quadro, le chiedeva come desiderava alcuni personaggi, in quali pose e particolari atteggiamenti ma lei gli rispondeva sempre di fare come gli sembrava meglio. Vittoria si affidava completamente al suo genio, la cosa che più preferiva era vedere qualche capolavoro sarebbe venuto fuori, se lei fosse intervenuta con il suo gusto personale sicuramente sarebbe andata in contrasto con la genialità di Michelangelo.
Poi quelle lettere, da più tecniche, cominciarono ad essere piene di elogi, gentilezze, frasi che non rispecchiavano per niente la figura del Buonarroti come veniva descritto dalle voci, come un artista duro, diretto e arrogante. Nel cuore di Vittoria cominciò a crescere, seppur segreto e nascosto con cura da ogni evidenza, il desiderio, in quel momento irrealizzabile, di poterlo conoscere dal vivo: sapeva che adesso era impegnato a Firenze ma sperò che, con il tempo, ci fosse modo di poterlo vedere e conoscere ancora meglio di quanto fosse possibile fare con le lettere.
Il cartone arrivò entro il tempo che le aveva promesso, quando lo vide Vittoria non riuscì a trattenere le lacrime. Non era solo la bellezza della scena, la meraviglia del gesto della Maddalena e quella del Cristo, a costringerla al pianto, ma la consapevolezza che quello non era un disegno che stava vedendo casualmente, ma che Michelangelo aveva realizzato appositamente per lei. Gli rispose con una lettera accoratissima, infondendo nelle sue parole da poetessa tutto ciò che provava in quel momento, lo stupore, l'ammirazione e la meraviglia non solo per l'opera ma proprio per l'artista che l'aveva creata. Gli mandò un generoso compenso in oro, molto di più di quello che lui le aveva chiesto e Michelangelo le scrisse che sarebbe sempre stato in debito con lei per la sua gentilezza.
Dall'altra parte, mentre Vittoria era impegnata nel suo fitto carteggio con Michelangelo, aveva trascurato completamente Paolo Giovio. Aveva già deciso che non avrebbe voluto avere più niente a che fare con lui ma, alle sue prime lettere, si sentì in colpa a non rispondere, lo fece a malincuore e i discorsi smielati da parte sua salirono alle stelle. Pian piano la sua coscienza si acquietò, non solo smise di rispondere alle sue lettere ma smise proprio anche di aprirle: stavano appoggiate sulla sua scrivania, senza essere degnate neanche di uno sguardo. Il nuovo, nascente, seppur ancora debole, rapporto con Michelangelo stava assorbendo tutte le sue parole.
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