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35. Con la croce a gran passi ir vorrei

Era passato molto dall'ultima volta che era venuta lì, dall'ultima volta che si era affacciata a quella finestra. Ora come allora la strada era poco trafficata, quella dove si trovava Palazzo Colonna era una zona piuttosto esterna alla città, poco lontana dal foro di Traiano e immersa nel verde dei giardini di ville e conventi che, a primavera, erano un vero e proprio spettacolo della natura.

L'ultima volta che era stata qui sua madre era ancora viva, suo padre era ancora vivo e suo marito era ancora vivo. Adesso che tutto le era caduto addosso, che aveva appena avuto la forza di non cedere e continuare a vivere, si trovava in un palazzo diverso da quello che si ricordava: suo fratello Ascanio era andato ad abitarci subito dopo la morte di Agnese di Montefeltro e l'aveva reso una dimora splendete e un luogo in cui potersi godere i divertimenti della vita. Non era assolutamente quello di cui Vittoria aveva bisogno, si sentiva completamente fuori luogo lì. Nella sua mente non c'era altro che Ferdinando, aveva finito le lacrime piangendo giornate intere. Ancora le rimaneva difficile credere che non ci fosse più, che non l'avrebbe mai più potuto rivedere, che non avrebbe più sentito la sua voce. Era angosciata da un vuoto che sapeva non sarebbe mai riuscita a colmare, un vuoto che non aveva fatto altro che allargarsi, anno dopo anno, fino alla sua completa espansione. Ora meglio che mai si rendeva conto che Ferdinando era sempre stato il centro di ogni suo pensiero, il movente di ogni sua azione e senza di lui si sentiva persa.

Stava chiusa nella stanza che Ascanio aveva scelto per lei e, nonostante i suoi numerosi inviti, evitava ogni evento mondano, ogni festa e ogni ricevimento che il fratello teneva a palazzo. Sapeva che prima o poi avrebbe dovuto riprendersi, che prima o poi sarebbe dovuta tornare a vivere come faceva prima, seppur con una ferita che non si sarebbe mai rimarginata, ma era ancora troppo presto, il suo animo sanguinava ancora. Non era pronta a tornare in mezzo al mondo e, forse, non lo sarebbe stata mai più: qualcosa in lei era cambiato, non da quando aveva ricevuto la notizia della morte di suo marito, ma da quando aveva avuto la forza di continuare a vivere, di rifiutare quella morte che lei stessa stava per darsi.

Si allontanò dalla finestra, era rimasta a guardare fuori, a guardare in alto: era una giornata bellissima, il sole brillava alto nel cielo libero da ogni nuvola. I caldi raggi arrivavano ad illuminarle il viso, morbidi come una carezza. Sapeva che Ferdinando era lassù da qualche parte, che Dio l'aveva preso con sé e che adesso era con gli angeli nel paradiso, ora era anche lui una di quelle anime piene di luce e di gioia che aveva descritto Dante nella sua Commedia. In un modo che non le era mai successo, Vittoria aveva imparato a parlarci, a parlare con Dio. Si era messa a piangere la prima volta che aveva pregato, appena morto suo marito, lo aveva fatto presa dalla disperazione ma si era sentita bene come non mai, si era sentita come se anche lei avesse seguito in paradiso l'anima di Ferdinando. Da quel momento, oltre alla croce che aveva sempre portato dal giorno del suo matrimonio, teneva al collo anche un rosario, mentre la prima era di diamanti il secondo era di legno grezzo e povero, ma non si poteva stabilire quale dei due fosse quello più prezioso.

Come d'abitudine chiuse gli occhi, intrecciò le sue dita al rosario e strinse la collana nel pugno, si inginocchio nel piccolo inginocchiatoio in legno che era stato sistemato in un angolo della stanza, davanti ad un altrettanto piccolo crocifisso anch'esso di legno. Poteva già cominciare a sentire la beatitudine che la preghiera le stava portando, ripeteva quasi a memoria quelle parole che fin da bambina le avevano insegnato ma la sua mente era rivolta al cielo, il suo cuore era rivolto a Dio. Erano questi gli unici momenti di pace, gli unici di gioia, non di una gioia frivola data dalle feste a cui Ascanio cercava di farla partecipare ma di quella vera che aveva origine in Cristo.

Pregare stava diventando un vero e proprio bisogno, non riusciva a farne a meno, anzi, aumentava sempre il numero di preghiere e di ore che dedicava a Dio. Sentiva che non desiderava altro dalla vita.

Ripose il rosario intorno al suo collo e si alzò, come ogni volta aveva le lacrime agli occhi ma aveva il cuore pieno di consolazione, di pace e di fede.

«Signora Vittoria» una voce che le era carissima le arrivò come un lieve sussurro.

Andò ad aprire la porta e si trovò davanti la bellissima figura di Giovanna, con un timido sorriso sulle labbra e gli occhi appena abbassati.

«Volevo sapere come stavate, mia signora» si giustificò lei alzando gli occhi, appena vide che il volto di Vittoria era stranamente sereno sgranò gli occhi, «vi vedo bene, signora marchesa! Non sapete che piacere mi faccia.»

Vittoria abbozzò un sorriso, anche la sua presenza era un fattore che la aiutava molto nello scacciare via il pianto e il dolore. Giovanna d'Aragona era la giovane e bellissima moglie di Ascanio, una ragazza deliziosa ma soprattutto buonissima che si era subito affezionata a Vittoria da quando era venuta ad abitare a Palazzo Colonna. Giovanna si sentiva sola e nella marchesa aveva trovato una compagna con cui poter passare il suo tempo e da cui essere apprezzata come, purtroppo, non lo era da suo marito: Ascanio la considerava ben poco, era raro, infatti, vederli insieme alle feste oppure anche solo ai pranzi o alle cene a palazzo. Vittoria ci aveva notato una poco rassicurante similitudine al rapporto che lei stessa aveva avuto con suo marito.

«Meglio, mia cara» la rassicurò, le era infinitamente grata per l'amore e l'attenzione che le riservava.

«Lo vedo e mi si riempie il cuore di gioia» Giovanna sorrise, i suoi occhi brillavano di felicità, «in questi giorni mi pare di vedervi rinata, signora marchesa.»

Vittoria abbassò lo sguardo, questa cieca fede che si era fatta spazio nel suo cuore l'aveva veramente cambiata così tanto?

«Non vorrei disturbarvi, non sentitevi assolutamente obbligata» proseguì, «ma desidererei passare un po' di tempo con voi.»

«La vostra compagnia è per me una delle più preziose medicine, non potrei mai dirvi di no» per quanto ancora sommesso e stanco, il tono di voce non era tremante come quello degli altri giorni.

La fece entrare e, subito, Giovanna si fermò davanti allo scrittoio, lo osservò per qualche attimo e poi rivolse i suoi occhi curiosi verso Vittoria.

«Mi sono sempre domandata che cosa scrivevate sempre, anche quando eravate in mezzo alle lacrime» disse con un'espressione carica di ammirazione, Vittoria aveva l'impressione che Giovanna guardasse a lei come un esempio di donna quasi irraggiungibile, «ma non ve l'ho mai chiesto perché pensavo di darvi un ulteriore dispiacere».

Contrariamente a quanto Giovanna poteva aspettarsi, le labbra di Vittoria non si aprirono in un sorriso come prima, anzi, i suoi occhi sembrarono velarsi improvvisamente di una qualche amarezza che prima pareva dimenticata.

«Se non volete parlarne non siete obbligata» Giovanna si allontanò dalla scrivania come ad indicare che non voleva toccare ancora quell'argomento, «sono stata io indiscreta a domandare.»

Vittoria cercò tra le tante carte che aveva accumulate sullo scrittoio, alcune mezze scritte, altre quasi completamente bagnate di lacrime. Prese un foglio e lo porse a Giovanna che le rivolse uno sguardo stupito.

«Leggete» le disse.

Era un sonetto, uno dei tanti che aveva provato a scrivere quando si era trovata nella più nera disperazione e che, ora che si era un po' ripresa, tentava di aggiustare nella forma e nel contenuto. Erano cose private che non desiderava diffondere, quelli che aveva buttato giù, messo su carta, erano i sentimenti del suo cuore e come tali appartenevano esclusivamente a lei. Di Giovanna, però, si fidava, non aveva alcun problema a fargliele leggero uno, due o quanti ne avrebbe desiderati.

Quando Morte fra noi diciolse il nodo
che primo avinse il Ciel, Natura e Amore,
tolse agli occhi l'obietto e 'l cibo al core;
l'alme ristrinse in più congiunto modo.
Quest'è 'l legame bel ch'io prezo e lodo,
dal qual sol nasce eterna gloria e onore;
non può il frutto marcir, né langue il fiore
del bel giardino ov'io piangendo godo.
Sterili i corpi fur, l'alme feconde;
il suo valor qui col mio nome unito
mi fan pur madre di sua chiara prole,
la qual vive immortal, ed io ne l'onde
del pianto son, perch'ei nel Ciel salito,
vinse il duol la vittoria ed egli il sole.

Quando ebbe finito Giovanna alzò gli occhi, Vittoria si accorse che erano lucidi di lacrime e ne ebbe quasi compassione.

«È a dir poco meraviglioso» sospirò, sembrava ancora senza fiato per ciò che aveva letto, come se il dolore contenuto nelle parole di Vittoria l'avesse ferita in prima persona, «sapevo che eravate una donna colta e che amavate lo studio ma non che voi stessa di impegnaste nello scrivere!»

«Non lo sa quasi nessuno, a dire la verità» Vittoria le rispose con un sorriso triste: avrebbe veramente voluto essere conosciuta anche come poetessa? Una volta le sarebbe piaciuto farsi un nome anche come scrittrice e non solo come studiosa ma ora la sua mente era focalizzata su tutt'altro. Forse un giorno, pensò, forse un giorno.

***

Usciva poco dalla sua stanza, erano sempre gli altri ad andare da lei, ma in quel momento non poteva aspettare, non riusciva ad aspettare. Percorse le stanze con un po' di imbarazzo, non era usuale per le persone, persino per i servi che abitavano a Palazzo Colonna vederla girare così liberamente e inevitabilmente attirava la loro attenzione.

«Vorrei parlare con mio fratello» annunciò Vittoria ad uno dei servitori quando fu giunta negli appartamenti di Ascanio.

Voleva parlarci subito, aveva aspettato già troppo. 

Ci aveva riflettuto molto, quello era stato un pensiero che aveva cominciato ad occupare, prima pian piano e poi in modo sempre più invadente, la sua mente fino a portarla a quella risoluzione: voleva farsi suora. Se c'era una cosa buona che la morte di Ferdinando le avesse portato era la fede: aveva capito che riusciva a stare bene solo quando pregava, che la vicinanza a Dio era tutto ciò di cui sentiva di aver bisogno e non desiderava nient'altro. Avrebbe dedicato tutta se stessa, anima e corpo, a Dio fino a quando non avesse potuto riunirsi in cielo con l'unico uomo che aveva amato, l'unico amore della sua vita. A risposarsi non ci aveva neanche pensato, come poteva anche solo immaginarsi un'altra vita ancora peggiore di quella che aveva già vissuto? E soprattutto, come avrebbe fatto un altro uomo a prendere il posto che nel suo cuore era esclusivamente dedicato a Ferdinando? Non sarebbe stato possibile, il suo amore era solo per suo marito. Nonostante il modo in cui lui si era comportato, Vittoria lo considerava il vero amore della sua vita e non avrebbe mai potuto pensare di innamorarsi di nuovo, l'avrebbe considerato come un tradimento, una mancanza di quella fedeltà che aveva sempre considerato come il fondamento del matrimonio. E lei non avrebbe mai potuto tradire Ferdinando, avrebbe offerto tutto a Dio, il suo corpo, il suo cuore, il suo stesso amore in modo da poterlo preservare da ogni tipo di tentazione e peccato. Sapeva che non sarebbe più stata la marchesa di Pescara, sapeva che non sarebbe più stata la nobildonna del castello di Ischia, la letterata che passava il suo tempo in compagnia dei più famosi intellettuali, ma era ciò che era meglio per lei e per la sua anima.

Rinunciare a tutto non le era sembrato un problema, non le era sembrato neanche un sacrificio: sentiva di non avere più bisogno di altro se non di Dio che era l'unica cosa che le recava gioia, non dei vestiti di broccato veneziano, non delle collane d'oro puro e nemmeno degli orecchini di diamanti. Poteva benissimo fare a meno di ogni ricchezza.

«Vittoria» Ascanio le fece cenno di sedersi di fronte a lui, sembrava preoccupato che la sorella fosse così debole da non riuscire a stare in piedi oltre che stupito di vederla lì, «vi vedo un po' meglio, cara sorella. A cosa devo la vostra visita? Se non ve la sentivate di uscire dalla vostra stanza potevate sempre mandare qualche servo a chiamarmi, sarei venuto da voi senza alcun problema.»

«Mi ha fatto bene uscire un po'» lo rassicurò Vittoria.

«Me ne rallegro molto» nonostante tra lei e il fratello non ci fosse un vero e proprio legame affettivo, un po' a causa della differenza di età e un po' a causa della lunga lontananza che non aveva mai dato loro modo di vivere insieme, Ascanio sembrava veramente sollevato per l'evidente miglioramento di Vittoria, «mi fa un piacere immenso vedervi così bene. A cosa devo la vostra visita?»

La marchesa esitò un attimo, non che ritenesse l'opinione di Ascanio più importante della sua ma temeva la sua reazione: era lui, alla fine, che aveva ereditato tutti i possedimenti e il titolo di suo padre, era lui adesso il capo della famiglia dei Colonna ed era lui a dover prendere le decisioni anche per lei. E, conoscendo suo fratello, qualcosa le diceva che non sarebbe stato molto entusiasta della sua scelta di entrare in convento.

«Ho una cosa molto importante da dirvi, fratello caro» cominciò mostrandosi più sicura di quanto fosse in realtà, Ascanio mostrò con la sua espressione del viso il suo stupore nel sentire le sue parole con un tono così risoluto, «ci ho riflettuto molto in questo periodo, durante le notti che il ricordo di mio marito e i pianti mi hanno costretta a passare insonni, durante i pomeriggi di solitudine e di angoscia, durante i giorni di eccessivo dolore.»

Ascanio le fece cenno di proseguire anche se lei non mostrava di averne bisogno, i suoi occhi scrutavano con un accenno di preoccupazione il volto della sorella.

«Ho preso una decisione e vi prego di rispettarla» proseguì Vittoria, «voglio prendere i voti, unirmi alle sorelle del convento di clarisse di San Silvestro in Capite con cui la nostra famiglia è stata spesso in contatto e vivere la mia vita dedicandomi completamente a Dio fino a quando Egli non sceglierà di portarmi via con lui in paradiso.»

Osservò il volto di Ascanio e con molto dispiacere notò che gli occhi del fratello si erano incupiti, il suo viso si era indurito e aveva smesso di guardarla.

«Non posso permettervelo, sorella cara» disse scuotendo il capo, il suo tono non era duro, anzi, sembrava provato dal dispiacere che sapeva di recare a Vittoria, «non perché non voglia rispettare le vostre decisioni – non lo farei mai – ma perché non posso permettervi di lasciarvi fare cose di cui potreste pentirvi.»

«Che cosa intendete?» chiese Vittoria, la sua voce più fredda di quanto lei stessa avesse potuto immaginare, «perché dovrei pentirmi di vivere in Dio? Vi posso assicurare che ho sempre pensato che non potesse esistere vita migliore che quella di convento.»

«Perché volete prendere una risoluzione così drastica?» ribatté Ascanio, «Dio non si prega solo nei monasteri, potrete continuare a pregare quanto volete anche mantenendo la vostra condizione di laica.»

«Non sarebbe la stessa cosa, soprattutto se continuassi a vivere come ho vissuto fino ad adesso» rispose lei cercando di mantenere la calma, c'era qualcosa nei divieti di suo fratello che non le piaceva: non credeva che il movente del suo rifiuto fosse veramente la cura per lei, anche perché la conosceva così poco per poter dedurre che cosa fosse meglio e cosa peggio, «la vita monacale è una vita di completa rinuncia, se io rimanessi Vittoria Colonna, marchesa di Pescara, e continuassi a vivere in sfarzosi palazzi, circondata da ogni comodità non sarebbe la stessa cosa. Spero che comprendiate.»

«Isolarsi dal mondo non è una buona cosa, Vittoria» sospirò Ascanio, non sapendo bene con quali termini affrontare l'argomento, «soprattutto per una donna come voi, conosciuta in tutta Italia e con una grande influenza su...»

«È questo quindi?» lo interruppe, lo sapeva che c'era un altro motivo ma aveva avuto la bontà di credere che Ascanio si preoccupasse per la sua condizione, «vi preoccupa il fatto che ritirandomi perda influenza? Ma non vi capisco, potrei anche continuare a vivere come marchesa ma completamente ritirata nel mio palazzo a Napoli, a voi che cosa cambierebbe?»

«Vittoria, siete ancora giovane» Ascanio abbandonò ogni timore di parlare, doveva dire chiaramente ciò che voleva, «molti uomini hanno chiesto di voi, molti uomini illustri sarebbero disposti a sposarvi in modo da suggellare una nuova alleanza con la nostra famiglia.»

Vittoria rimase qualche attimo in silenzio, non voleva sapere chi fossero, di chi suo fratello stesse parlando. Anche solo l'idea di risposarsi la stordiva, non sarebbe mai riuscita a farlo: come osava suo fratello farle una proposta del genere, soprattutto dopo che lei gli aveva espresso il desiderio di dedicare la sua vita completamente a Dio?

«Ho già fatto il mio dovere, Ascanio» rispose cercando di mantenere la calma, «ho adempiuto a tutto ciò che era stato deciso per me sin dalla mia infanzia, adesso la mia vita mi appartiene e sono libera di scegliere cosa farne. Sarò chiara con voi, non ho alcuna intenzione di sposarmi di nuovo.»
«Il vostro dovere, Vittoria, è fare il bene per la vostra famiglia, sempre» esclamò Ascanio che non si aspettava un così deciso rifiuto.

«E quindi trascurare me stessa?» protestò lei, «mai, Ascanio!»

Si alzò in modo anche troppo repentino per le condizioni in cui si trovava e fulminò suo fratello con lo sguardo.

«Non sta a voi decidere per me» sentenziò, «vi ringrazio per il vostro parere, ma sono costretta a dirvi che non seguirò il vostro consiglio.»

Si inchinò velocemente e uscì senza rivolgere neanche un saluto ad Ascanio che la guardò andare via senza dire una parola.

***

«Sua Santità può ricevervi, mia signora» il servitore le sorrise cortesemente facendole cenno di entrare.
Le sembrava passata un'eternità dall'ultima volta che era stata al palazzo del Papa, si ricordava benissimo il giorno dell'inaugurazione della cappella Sistina, erano passati ormai più di dieci anni ma il ricordo di quella meraviglia era ancora impresso nella sua mente come se fosse stato solo pochi giorni prima. Sapeva, però, che quella era solo una delle opere d'arte che il Papa aveva fatto realizzare per sé e per Roma, molte delle quali erano proprio nei suoi appartamenti privati.

Vittoria ringraziò ed entrò in quello che le era stato indicato come lo studiolo del Papa in cui il pontefice riceveva tutte le persone più importante. Era una stanza mozzafiato, le pareti erano state completamente affrescate da Raffaello e dalla sua bottega ed erano di una bellezza indescrivibile. Clemente VII sedeva elegantemente di fronte alla scrivania, il suo abito non era quello purpureo che portava quando si mostrava al popolo ma uno più semplice e meno vistoso che probabilmente usava per quando non aveva eventi importanti.

«Dilecta in Christo filia, Victoria de Columna, marchionissae Pescariae» la voce del Papa la accolse in modo più dolce e amichevole di quanto avrebbe potuto aspettarsi, «ho ricevuto la notizia di vostro marito, che Dio benedica la sua anima.».

Vittoria si inchinò con una delle più eleganti riverenze e osservò il Papa: Giulio de' Medici era invecchiato rispetto a quando lo aveva visto al fianco di suo cugino, l'emerito Papa Leone X, ma i suoi occhi erano ancora vispi e attenti.

«Vi ringrazio, Santità» Vittoria fece uno sforzo per non mostrarsi debole e ancora ferita, «il mio illustrissimo marito è con Dio adesso, starà sicuramente meglio di quanto stiamo noi qui sulla terra».

«A cosa devo la vostra visita, signora marchesa?» il Papa sembrava cominciare a diventare un po' sospettoso, Vittoria notò un cambiamento nella sua espressione, la luce dei suoi occhi si era indurita.

«Non sono venuta qui per ragioni politiche e non sono venuta qui a chiedervi niente che possa infastidirvi» cominciò lei, «desidererei poter prendere il velo, Santo Padre, poter vivere in Dio per tutto il resto della mia vita servendolo nel piccolo ma accogliente convento di San Silvestro in Capite qui a Roma.»

Clemente VII abbassò gli occhi e cominciò a mordersi nervosamente il labbro inferiore, Vittoria fu percorsa da un brivido: anche il Papa si sarebbe opposto? Perché esitava così tanto? Doveva, piuttosto, rallegrarsi che una nobildonna come lei, che viveva nel lusso e tra i piaceri, avesse deciso di abbassarsi così tanto per seguire le orme di Cristo.

«Come è nato questo vostro desiderio?» le domandò, il suo tono lasciava trasparire tutto il suo disappunto.

«Dopo la morte di mio marito sono stata sopraffatta dal dolore, come potete immaginare» rispose lei, «l'unica luce che mi ha dato la forza di continuare a vivere e superare questa indicibile sofferenza è stata la fede: adesso non desidero altro che adempiere, insieme alle sorelle, i santi comandamenti di Cristo.»

«È troppo presto» disse il Papa in tono secco, Vittoria sgranò gli occhi.

«Troppo presto?» ripeté sconcertata, «che cosa intendete, Santità?»

«È passato così poco tempo dalla morte del marchese Ferdinando d'Avalos e voi avete già preso una così drastica decisione?» le spiegò, la voce era calma ma qualcosa nell'espressione di Clemente VII mostrava un suo profondo turbamento, «non posso permettervelo, non siete consapevole di quello che state per fare.»

«Ma Santo Padre!» protestò lei abbandonando il tono mesto con cui aveva parlato prima, «ho riflettuto molto prima di prendere questa decisione, vi posso assicurare che so benissimo a che tipo di vita sto andando incontro e vi garantisco che è l'unica che desidero intraprendere.»

«Ho molta stima di voi, signora marchesa, al contrario degli altri membri della vostra famiglia, ma questa è una cosa che proprio non posso fare» Clemente VII scosse il capo, «per quanto potrete ribattere, è evidente che la vostra scelta è dettata dalla disperazione e dalla sofferenza che recentemente avete provato: non avete ancora avuto il tempo di rifletterci lucidamente.»

Vittoria non sapeva come replicare, avrebbe voluto continuare per convincere il Papa che non era vero quello che stava dicendo, ma comprese che più si sarebbe opposta più il rifiuto da parte sua sarebbe stato forte. Se il Papa temeva che la sua decisione fosse stata dettata dal dolore e che, quindi, fosse completamente sconsiderata, cosa c'era di meglio che provare, prima?

«Comprendo le vostre ragioni, Santo Padre» rispose lei con tono tranquillo e accondiscendente, «e adesso vedo che avete ragione: potrei pentirmi, in futuro di questa scelta» sul volto di Clemente VII apparve un sorriso rassicurato, ma Vittoria non aveva ancora finito, «quindi vorrei chiedervi un favore: per capire se veramente la vita monastica è quella che desidero, vorrei chiedervi di lasciarmi vivere per qualche tempo al convento di San Silvestro in Capite in modo che io possa vedere con i miei occhi e toccare con mano che cosa veramente è la vita di una suora.»

Il Papa rimase un attimo a guardarla, la sua espressione rifletteva la paura del suo animo. Fece un lungo sospiro.

«Non posso permettervi neanche questo.»

Vittoria abbassò lo sguardo, sentiva il mondo caderle addosso. Come neanche quello? Allora anche il Papa, come Ascanio, aveva un doppio fine. Che cosa c'era di così sbagliato e insensato, nella sua richiesta? Vittoria non riusciva a vederci nulla di male.

«Come?» domandò con un filo di voce.

«Non potete ritirarvi dalla vostra posizione» annunciò il pontefice, dal suo tono era chiaro che non intendeva ricevere altre proteste da parte sua, «siete una marchesa, siete una Colonna e dovete ricoprire interamente i vostri ruoli.»

Le sembrava di udire nuovamente le parole di Ascanio, come era possibile che anche il Papa fosse così preso dalla politica da ignorare l'ardente desiderio di una donna che aveva ritrovato la fede, cosa che avrebbe dovuto interessarlo più di ogni altra?

«Ma ritirandomi in convento...» cercò di rispondere lei.

«Forse non sapete, signora, quanto sia importante il vostro ruolo» la interruppe Clemente VII, «siete l'unico anello della catena che tiene ancora insieme i Colonna e il Papato, se perdiamo voi perdiamo la vostra famiglia e la Chiesa non può permetterselo.»

Vedendo che Vittoria stava per replicare, il Papa riprese: «Rinunciando al vostro stato di nobildonna e unendovi alle sorelle del convento perdereste ogni influenza su vostro fratello e su tutti i membri della vostra casata.»

Vittoria sapeva bene che i rapporti tra Ascanio e Clemente VII non erano dei migliori, anzi, andavano diventando sempre più tesi, ma come poteva pensare che ciò la privasse anche della libertà di decidere che cosa fare della propria vita?

«Non c'è, quindi, niente che potete fare per me, Santità?» gli domandò, con un ultimo soffio di speranza.

«Niente, signora» rispose, «ne sono oltremodo addolorato.»

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