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23. A qual pietra somiglia la mia bella colonna?

«Signora marchesa, so che siete un'appassionata di lettere latine, quale autore è il vostro favorito?»

Vittoria alzò la testa, guardò fissa per qualche secondo Galeazzo che la osservava sorridendo. Non lo stava ascoltando, non aveva ascoltato niente della conversazione di quella sera, Costanza le aveva lanciato un'occhiata preoccupata ma lei aveva fatto cenno di stare bene. E stava a tutti gli effetti bene, era solo che la sua testa era troppo piena di pensieri per poterla lasciare libera per parlare di letteratura, ora come ora non desiderava altro che poter tornare nella sua camera e stare un po' sola con i suoi adorati classici.

Galeazzo era diventato un pensiero fisso, un pensiero che la tormentava incessantemente: non sapeva neanche lei come, ma dalla sera del ballo aveva cominciato a provare dei sentimenti contrastanti nei confronti di lui e in quelli di lei stessa. Era stata presa da un senso di pietà, di compassione per lui perché aveva avuto la dimostrazione che teneva a lei più di quanto effettivamente si immaginasse, ma allo stesso tempo la sua compagnia le faceva provare una specie di disgusto, non nei confronti di lui ma nel modo in cui lei aveva cominciato a comportarsi. Sentiva che non era corretto essere troppo fredda, che con i suoi modi avrebbe arrecato al Principe di Belmonte più sofferenza di quanto si meritasse.

«Come dite?» cercò di abbozzare un sorriso ma non ci riuscì, dall'espressione dei suoi occhi era chiara la sua preoccupazione, «perdonatemi, ma mi ero un attimo persa nei miei pensieri...»

Dal modo in cui Galeazzo la guardava, Vittoria capì che aveva compreso che il centro di quei pensieri era proprio lui. Sembrò essere piuttosto dispiaciuto ma non si scompose.

«Non preoccupatevi» le rispose rivolgendole un sorriso piuttosto intriso di tristezza e delusione, «non voglio tediarvi con le mie domande.»

«Non mi tediate affatto» protestò debolmente lei, «di cosa stavate parlando?»

«Di poesia, mia cara» rispose Costanza d'Avalos al suo posto, con un sorriso che cercava di tranquillizzarla, Vittoria sapeva che la duchessa comprendeva lo stato di incertezza in cui si trovava, «poi siamo passati a discorrere degli autori latini.»

«Poesia?» Vittoria cercò di sembrare attenta, la verità è che non le riusciva più di tanto esserlo per davvero, «adoro la poesia latina, ma, ancora di più, quella del magnifico Petrarca: non sapete quale esempio sia per me il suo Canzoniere

«Componete versi?» le domandò Galeazzo di Tarsia, i suoi occhi si erano improvvisamente accesi di interesse e ammirazione.

«Per puro diletto» rispose lei, leggermente imbarazzata, «e le mie sono sole prove, bozze, niente di completo.»

«Se amate Petrarca amate le liriche amorose, allora» rispose Galeazzo con un'espressione pienamente soddisfatta, come se quella fosse una conferma che stava aspettando da tanto tempo.

«Esatto» sorrise lei, «trovo che non ci sia niente di più indicato della poesia per esprimere i propri sentimenti.»

«Voi scrivete, giusto, messere?» intervenne Costanza vedendo che la conversazione si stava focalizzando su argomenti che avrebbero potuto dare via libera al suo ospite.

«Esatto» rispose lui entusiasta, «compongo ciò che l'illustre signora marchesa ha detto di amare.»

«Componete sonetti d'amore?» la voce di Vittoria tremò impercettibilmente.

«Se è l'amore a scuotere il mio cuore e a spingermi a scrivere» sorrise Galeazzo, «se mi permettete, madonne» aggiunse rivolgendosi a entrambe, «dato che siamo entrati nell'argomento, desidererei recitare, qui, uno dei miei scritti.»

Vittoria ebbe un brutto presentimento, rivolse il suo sguardo a Costanza, ma era ovvio che non potesse dire di no.

«Oh, sarebbe meraviglioso» rispose la duchessa mascherando la sua angoscia, sapevano entrambe che cosa stava per accadere.

Galeazzo si alzò in piedi sorridendo, rivolse gli occhi verso Vittoria che, intanto, aspettava nervosamente. Sperava tantissimo che non parlasse di lei, lo sperava con tutto il cuore, ma appena la voce di Galeazzo cominciò a recitare i primi versi comprese subito.

A qual pietra somiglia

La mia bella colonna? Amor ch'è duce

Del pensier mi consiglia

Una che avaro peregrino adduce

Dalla vermiglia riva;

la quale, se avvien che a fervid'onda pura

tosto ogni fervor risolve.

Così questa mia viva

Pietra leggiadra e dura

Raffredda e spegne, se ver me si volve,

Ogni virtù visiva

Ogni rigor che l'intelletto avviva.

Vittoria si sentì sbiancare, tentò di non far notare il suo panico, cercò di mantenere invariato il sorriso sulle sue labbra ma ci riuscì a malapena. Lanciò a Costanza un'occhiata carica di panico, la duchessa sospirò continuando ad ascoltare come a farle intendere che non c'era niente da fare.

Canzon della mia donna il bel diaspro,

Bramo cangiarmi in scoglio:

Ché discorde da lei viver non voglio.

Uno scroscio di applausi accolse la fine della lunga composizione poetica di Galeazzo di Tarsia, Vittoria si costrinse ad applaudire insieme agli altri, ma era impossibile non notare il suo turbamento.

«Vi è piaciuta?» le sussurrò Galeazzo, come se gli interessasse solo il suo parere.

«Molto» rispose lei costringendosi a sorridere, «le vostre parole sono meravigliose.»

Vittoria afferrò il ventaglio piumato che portava sempre con sé, che si abbinava ad ogni suo vestito, e cominciò ad agitarlo in modo frenetico davanti al viso. Le mancava l'aria sul serio.

«Mia cara, ti vedo pallida» intervenne Costanza d'Avalos con aria piuttosto preoccupata, «stai bene?»

«Sì, non preoccupatevi per me» rispose Vittoria alzandosi improvvisamente sotto gli occhi di tutti, «vi prego di scusarmi, ho bisogno di prendere un po' d'aria. Torno tra poco.»

Fece cenno con gli occhi alla duchessa dicendole che andava tutto bene e lasciò la stanza senza che nessuno dicesse una parola, Galeazzo la osservò andare via con il viso dipinto di tristezza.

***

Appena fuori Vittoria si sentì riavere, l'aria fresca della sera la inondò improvvisamente lasciandola senza fiato. Stette qualche attimo in piedi ad assaporare quell'aria così diversa da quella che si respirava all'interno del caldo e affollato salone. Fece qualche passo avanti, verso il parapetto della scogliera: riusciva ancora a distinguere la scura sagoma del mare da quella tempestata di stelle del cielo, il rumore delle onde le arrivava regolare e attutito alle orecchie rendendole quel senso di libertà che le era mancato. Non c'era posto più romantico di quello, si ritrovò a pensare, e cominciò a desiderare che suo marito fosse lì con lei. Cominciò a sentire la mancanza di Ferdinando, avrebbe voluto poterlo avere affianco, potergli parlare di tutti i suoi problemi mentre giaceva tra le sue braccia, amata da lui quanto lui da lei. Lui che le accarezzava dolcemente i lunghi capelli, che, ogni tanto le lasciava dei teneri baci sulla fronte o sulle labbra facendola sorridere e smettere di parlare. Quasi le sembrava di sentire il suo tocco, la sua voce bisbigliarle nelle orecchie, il suo profumo...

Sentì dei passi dietro di sé, si voltò d'un tratto: ancora immersa nelle sue fantasie aveva pensato che potesse essere Ferdinando. Come era ingenua! Forse era Costanza, era venuta ad assicurarsi che andasse tutto bene?

Poi lo riconobbe.

«Signor Galeazzo, non state in pensiero per me» Vittoria cercò di sembrare convincente ma la sua voce non era niente di più di un sussurro, «avevo solo bisogno di un po' di aria fresca, niente di più.»

Il Principe di Belmonte fermò i suoi passi distante da lei, come se non volesse incuterle paura: sapeva che cosa poteva significare per una donna stare sola con un uomo che non era suo marito, di sera poi. La sua espressione sembrava devastata non da una qualche delusione ma da una passione che non riusciva ad esprimere, i suoi occhi, fissi su di lei, sembravano avere la necessità di guardarla come se lei fosse la loro unica luce: erano lucidi e delle piccole lacrime cominciavano ad affiorare ma era buio e Vittoria non avrebbe potuto accorgersene.

«So che per voi non sono niente di più di uno dei tanti ospiti a cui date alloggio qui ad Ischia» la sua voce era più forte di quanto Vittoria avesse potuto immaginare, più tormentata: la colse impreparata, «so che non sono niente di più di tutti quei letterati con cui parlate ogni sera e nemmeno speravo di esserlo. Chi è che non conosce l'immenso amore che nutrite nei confronti di vostro marito? Sarei stato un pazzo anche solo a poter sperare di ricevere qualcosa in cambio da voi e forse lo sono, ma se sono venuto qui ad Ischia era solo per vedervi, tutti i giorni: non sono stato portato qui dall'esercito, non dalla solitudine del mio castello a Belmonte, ma solamente dal bisogno di voi» fece un pausa, il suo respiro era affannato come se pronunciare quelle parole lo stesse svuotando completamente, se quelle parole lo privassero pian piano di ogni forza, «quella che vi ho recitato oggi non è solo che una delle numerose poesie che ho scritto per voi, infiammato dall'amore che da anni mi consuma, mi tortura ogni giorno senza darmi tregua.»

Vittoria era rimasta immobile, lo sentiva parlare e le veniva da piangere: non voleva spezzargli il cuore, non voleva fargli del male, in nessun modo. Si sentiva colpevole delle sue sofferenze, delle sue atroci pene d'amore.

«Vi ho amata dalla prima volta che vi ho vista» la voce di Galeazzo cominciava a incrinarsi, «eravate splendida nel vostro vestito bianco, con i vostri gioielli luccicanti e i vostri occhi pieni di vostro marito: da quel momento sono stato consumato da una fiamma che non mi ha più abbandonato.»

Vittoria non sapeva che cosa dire, Galeazzo l'aveva colpita, era impossibile dire il contrario, l'aveva commossa e, da quel momento, la stima per lui, che temeva di aver quasi perso, era aumentata. Come avrebbe potuto rispondere? Che cosa dire per affievolire la sua già grande sofferenza?

«Vi chiedo di perdonarmi se sono stata per voi causa di tormento, se con il mio comportamento non ho fatto altro che causarvi ancora più dolore di quanto non facesse la vostra passione» Vittoria mormorava appena quelle parole mentre osservava la reazione del Principe di Belmonte, ma più che guardava i suoi occhi spenti e ricolmi di lacrime più la voce le veniva meno, «non avevo compreso la natura del vostro sentimento e vedervi così, per colpa mia, mi fa più male di quanto faccia vedere.»

«Voi non avete alcuna colpa» Galeazzo scosse la testa per rassicurarla, l'ultima cosa che voleva era colpevolizzare la donna che amava, «solo io la ho: sono io che ho sbagliato tutto, l'amore mi ha annebbiato la ragione! Mi sono comportato in modo sbagliato con voi e comprendo che voi abbiate potuto facilmente fraintendere, nella mia stupidità ho pensato solo a dimostrarvi quanto ardessi per voi, quanto voi foste l'unica cosa a cui la mia mente pensava ogni giorno e ho dato un'impressione sbagliata, me ne rendo conto.»

«Vi prego, non prendetevela con voi stesso» Vittoria gli si era avvicinata, presa da una fervente pietà per la sua condizione, le dispiaceva, le dispiaceva immensamente!

«Forse non sarei dovuto venire» Galeazzo voltò la testa, per non farsi vedere da Vittoria mentre delle tenere lacrime abbandonavano i suoi occhi per scendere sulle sue guance, «pensavo che vedervi, stare a contatto con voi potesse, almeno in parte, affievolire e allietare quel desiderio che mi corrodeva il cuore ma la verità è che la vostra vicinanza non ha fatto altro che farlo aumentare a dismisura. Quello che ho fatto venendo ad Ischia è stato solamente arrecare più sofferenza a me e preoccupazione a voi, devo chiedervi di perdonarmi.»

«Ma non è vero!» protestò lei afferrando la sua mano per costringerlo a guardarla, lo vide sussultare a quel contatto, «non pensatelo neanche! La vostra compagnia mi è stata molto gradita, invece, e, anche se non ci crederete, anche la vostra poesia.»

«Per favore, non mentite solamente perché mi commiserate» Galeazzo la guardò negli occhi e cercò di trattenere altre lacrime, non voleva piangere, non doveva piangere.

«Non mento» esclamò Vittoria alzando il tono di voce, era sicura su questo: la poesie le era piaciuta davvero, era un gesto che aveva apprezzato sul serio, «il vostro sonetto mi ha commossa, non l'ho lasciato vedere ma dovete credermi. Il vostro è stato un gesto bellissimo, nessuno mi aveva mai fatto un regalo simile, nessuno aveva mai parlato del suo amore per me in modo così dolce come avete fatto voi.»

Galeazzo rimase qualche attimo confuso, non sapeva se credere o no a quelle parole.

«Ma vostro marito...» balbettò, non sapendo bene fino a che punto spingersi in quell'argomento, «vostro marito ha scritto per voi, dal suo ritorno dalla battaglia di Ravenna non si è fatto altro che parlare del suo Dialogo d'Amore, del fatto che, per amor vostro, lui che aveva sempre disdegnato le lettere, era diventato poeta.»

Vittoria sorrise tristemente, magari fosse stato in quel modo! Il ricordo del Dialogo d'Amore l'accendeva ancora: quanto le era piaciuto quando Ferdinando glielo aveva recitato alla luce del tramonto, quanto le sue parole così piene di passione l'avevano riempita d'amore! Ma era un sentimento fittizio, totalmente passeggero, che andava e veniva a suo piacimento; le ci era voluto solo qualche giorno per capire che tutto l'amore che Ferdinando aveva affermato di nutrire per lei nel suo poemetto era già svanito.

«Mio marito non mi ama» mormorò, quelle parole le facevano male ma erano la verità e non poteva stare nascosta dietro a qualche sporadica dimostrazione di affetto: quella di Ferdinando era lussuria, desiderio di lei, del suo corpo, nient'altro. Era sempre stato così.

Galeazzo abbassò lo sguardo, completamente confuso, scosse la testa leggermente come a dire che non era possibile, non era immaginabile. L'amore del marchese per sua moglie aveva fatto il giro d'Italia, come poteva non amarla?

«Non quanto lo ami io» continuò Vittoria, «non credete a ciò che si dice in giro, il mio matrimonio è tutt'altro che felice, il mio cuore piange non solo quando il signor marchese è lontano ma anche quando è qui, perché non c'è cosa più brutta di averlo vicino ma non sentirsi amati.»

Il Principe di Belmonte fissò i suoi occhi lacrimanti in quelli altrettanto lucidi di lei, non riusciva ancora a crederci.

«Meritereste l'amore di mille amanti» mormorò con il suo sguardo ardente e appassionato, «ma vi basterebbe l'amore di una persona sola. Meritate di essere amata nel modo più dolce e puro che possa esistere, meritate qualcuno che vi capisca, che vi comprenda e che vi metta sopra alla sua stessa vita. Quel qualcuno non sono io, spero che possiate trovarlo in vostro marito e, se non dovesse essere, in una persona che si meriti altrettanto il vostro di amore.»

Quelle parole la fecero commuovere, Vittoria cominciò a piangere in modo silenzioso, non sapeva neanche per quale effettivo motivo stesse piangendo. Per Ferdinando, forse, perché sapeva che non l'avrebbe mai amata in quel modo, perché era consapevole che il suo cuore non era capace di amare senza desiderio, senza il possesso. Ma suo marito era l'unica persona che effettivamente potesse amare, non aveva scelta.

«Vi ringrazio per essere stata così gentile con me questa sera, signora marchesa» Galeazzo le si avvicinò di qualche passo, tenendo gli occhi fissi in quelli di lei, ancora, «sappiate che il mio amore non svanirà, che in me potrete sempre trovare un amico con cui passare del tempo, un confidente con cui parlare e una persone che vi stima infinitamente.»

Prese la sua mano e la portò alla bocca, la trattenne un attimo stringendola nella sua e poi, con un grande sforzo, la lasciò andare.

«Vi ringrazio per tutto, mia signora» disse lanciandole un'occhiata un'ultima volta prima di scomparire.

Vittoria lo guardò rientrare nel castello, era rimasta sola nel giardino. Aveva gli occhi ancora umidi, se li asciugò con il dorso della mano e poi si convinse anche lei a rientrare.

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