18. L'amor mi prende e la beltà mi lega (parte 1)
«Signora marchesa, c'è una lettera per voi.»
Vittoria guardò un attimo la domestica e poi le rispose con un sorriso.
«Aspetta un attimo» disse in modo piuttosto brusco, al suo posto, il Molza.
Aiutò la marchesa a spogliarsi del giaccone di pelliccia e si offrì di accompagnarla nelle sue stanze. Lui e Vittoria, accompagnati dai servitori, erano appena tornati da una piacevolissima gita tra le rovine romane della città: mentre camminavano uno affianco all'altra, il Molza le spiegava che cosa quelle rovine dovevano essere state nell'antichità, le illustrava i fori imperiali, il mercato Traiano e l'omonima colonna e da queste cose, con gli occhi pieni di arte e bellezza, cominciavano a discorrere di mitologia e di storia. Vittoria era tornata pienamente appagata dallo splendore di Roma ed era contentissima di aver potuto passare del tempo con quello che era stato il suo maestro da bambina. Il Molza, per lei, era stata un'importantissima figura di riferimento: era stato lui ad iniziarla alla scrittura e a trasmetterle l'amore per la letteratura e lei gliene era infinitamente grata.
«Che cos'è? È molto importante?» domandò Vittoria alla donna enfatizzando il tono gentile, come ad ammonire il Molza della sua eccessiva durezza.
«È da parte di Sua Santità, signora» rispose la donna porgendogliela.
Vittoria osservò per qualche secondo il sigillo papale, poi rivolse uno sguardo confuso al maestro che, al suo fianco, non sapeva che cosa dire.
«Che cosa vorrà Sua Santità da me?» domandò sottovoce, ma il Molza la prese dolcemente sottobraccio e le fece cenno di andare.
«Immagino siate stanca» le disse, «prima rilassatevi e poi leggete la lettera.»
Vittoria scosse la testa e aprì la busta chiusa dal sigillo papale, cercò di non mostrare la mano leggermente tremante: non sapeva nemmeno lei perché una lettera del Papa la emozionasse tanto, aveva forse paura? Certamente non poteva essere niente di negativo, che cosa aveva mai fatto? Dopotutto era a Roma da neanche una settimana.
«Almeno mettetevi a sedere» insisté il Molza ma poi si rassegnò a non essere ascoltato.
Appena lette le prime righe il viso di Vittoria si illuminò, alzò gli occhi e guardò la domestica che, nel mentre, era rimasta lì in attesa di un qualche ordine da parte della sua padrona.
«Dov'è mio marito?» le chiese, il suo tono emozionato metteva in agitazione tutti. Il Molza cominciò a desiderare di sapere che cosa ci fosse scritto.
«Il marchese, mio signore, dovrebbe trovarsi nel suo studio, madonna» rispose quella.
Vittoria non attese neanche che la risposta si fosse conclusa, corse su per le scale con un'euforia che lei stessa si era dimenticata di poter provare e bussò forse troppo forte alla porta dello studio di Ferdinando.
«Chi è?»
Vittoria aprì senza rispondere, si trovò Ferdinando che, alzati gli occhi dalle carte, la stava guardando con un'espressione confusa e anche un po' infastidita. Vedendo, però, l'euforia della moglie, il suo atteggiamento cambiò e diventò più interessato: si tirò su e la squadrò con un mezzo sorriso.
«Che cosa è successo, Vittoria?»
La marchesa gli mostrò entusiasta la lettera che stringeva tra le mani e che ancora non aveva completamente finito di leggere.
«Sua Santità» esclamò, «Papa Leone X ci invita al suo ricevimento domani!»
Sul volto di Ferdinando spuntò un sorriso, gli occhi di Vittoria brillavano così tanto che non potevano non trasmettergli un po' di quell'entusiasmo.
«Il suo ricevimento?» ripeté Ferdinando, «è un onore grandissimo, ma non pensavo che il Papa invitasse tutti gli esponenti delle più importanti famiglie romane ai suoi ricevimenti.»
«Infatti non è per quello» rispose Vittoria con gli occhi ancora impegnati a leggere tra le righe della lettera, «si dice che non sarà un incontro formale tra esponenti della nobiltà romana, ma un vero e proprio salotto letterario!»
Vittoria era troppo presa, un salotto letterario dal Papa? I Colonna non avevano mai avuto familiarità con la corte pontificia in questi tempi, chissà quali gioielli di letteratura e filosofia doveva contenere!
«Qua spiega perché ci ha invitati» proseguì, «dice che il signor Sannazaro ha parlato molto bene di me, della mia cultura e del mio grande interesse nello studio delle discipline umanistiche e Sua Santità ha deliberato di invitare me e voi perché possa prendere parte alle loro discussioni. Non lo trovate magnifico?»
Ferdinando esitò a rispondere, certamente avrebbe preferito un convegno tra strateghi o generali e Vittoria lo sapeva bene ma era troppo felice per poter anche solo pensare che lui non fosse emozionato quanto lei.
«Tantissimo, mia cara» le sorrise, «c'è scritto per caso chi altro è stato invitato?»
«C'è qualche nome» rispose lei mostrandogli la lettera, «messer Pietro Bembo e messer Baldassare Castiglione saranno sicuramente presenti, poi non sono stati invitati solo scrittori ma anche gli artisti della corte, come Raffaello Sanzio.»
«Se sei contenta tu lo sono anche io» le disse rendendole la lettera, «domani andremo e avrai modo di conoscere tutti gli intellettuali che desidererai, mia cara.»
Vittoria avrebbe voluto stringerlo tra le braccia per ringraziarlo, gli si avvicinò appena non sapendo come potergli mostrare la sua riconoscenza, ma lui fece prima: la afferrò per la vita e la costrinse a sedersi sulle sue ginocchia. Lei, colta così di sorpresa, arrossì e poi scoppiò a ridere, felice per tutto quello che le era successo quel giorno e in quel viaggio a Roma. Ferdinando le prese il mento e le accarezzò dolcemente la guancia.
«Solo ad una condizione» disse, con tono serio, «che tutti quei poeti, scrittori e artisti, affascinati dalla tua intelligenza e bellezza, non abbiano l'ardire di tenere troppo gli occhi su di te. Solo io ho avuto la grazia di chiamare mia la donna più intelligente di Saffo e più bella di Elena.»
Lei divenne completamente rossa. Non era abituata a queste dimostrazioni di affetto e a complimenti così completamente gratuiti da parte di suo marito, lo sentiva sempre così lontano da lei, fisicamente e sentimentalmente, e momenti come questi le riscaldavano il cuore: erano proprio ciò che silenziosamente desiderava.
***
Michelangelo era rientrato a casa sua, la piccola abitazione che aveva comprato al Macel de' Corvi lo aveva aspettato e ora lo accoglieva con tutta la sua povertà. Era così piccola che c'era a malapena spazio per lui, la stanza più grande era occupata dai marmi che aveva cominciato a sbozzare per la tomba di Giulio II. Quelli che ancora non aveva toccato, invece, stavano accumulati in giardino e non facevano altro che fargli rimpiangere quel lavoro tanto desiderato, con la morte del Papa le speranze di portarlo a fine erano praticamente scomparse.
Qualcuno bussò alla porta, Michelangelo sbuffò: era appena tornato e già qualcuno veniva a disturbarlo? Non aveva neanche un secondo per stare da solo a pensare o disegnare come desiderava.
«Michelangelo, ho una notizia per voi!» lo scultore riconobbe la voce e sorrise, almeno era una persona gradita.
Gli aprì la porta e Sebastiano del Piombo entrò, tutto giubilante, in casa. Michelangelo lo osservò e si trovò a sorridere: indossava un abito a colori forti, tipicamente veneziano, un cappello piumato altrettanto appariscente e teneva sottobraccio il suo inseparabile liuto.
«Per quale motivo siete venuto?» gli domandò, in modo più gentile di quanto lui stesso non si aspettasse.
«Per farvi compagnia, amico mio» gli rispose Sebastiano con un largo sorriso, «e per portarvi un messaggio da parte di Sua Santità.»
Michelangelo non lo invitò neanche a sedersi, per Sebastiano quella era diventata ormai casa sua: veniva così spesso a trovarlo e passavano così tante ore insieme che tra loro si era instaurato un rapporto di amicizia e intimità che oltrepassava ogni galanteria. La compagnia del pittore veneziano era l'unica che lo scultore potesse gradire.
Michelangelo si sedette al tavolo, prese qualche foglio e un pezzo di carboncino e cominciò a disegnare: era così che passavano il tempo, lui disegnava mentre lo osservava e accompagnava suonando il liuto. Sebastiano si mise di fronte a lui, sistemò il suo strumento sulle ginocchia e cominciò a provare qualche accordo.
«Non me lo avete ancora chiesto ma so che desiderate saperlo» disse il veneziano tra una nota e l'altra, «il Papa vi ha chiesto di venire al suo ricevimento di domani.»
Michelangelo non alzò lo sguardo, continuò a tenere gli occhi sul suo foglio.
«Devo lavorare» rispose semplicemente, «non ho tempo da perdere per i divertimenti.»
«E volete perdere la stima del Papa?» lo incalzò Sebastiano sospendendo la sua melodia, «Leone X vi ama così tanto e ha un grandissimo riguardo per voi! Desidera fare per voi quanto ha fatto suo padre.»
Michelangelo sorrise amaramente, non avrebbe mai potuto fare quanto Lorenzo de' Medici aveva fatto per lui. Il Magnifico era stato la persona più importante nella sua vita da adolescente, da quando l'aveva notato nella sua scuola di scultura nei Giardini di San Marco l'aveva accolto a vivere nel suo palazzo e l'aveva considerato al pari di uno dei suoi figli. Non si sarebbe mai dimenticato degli sguardi di astio e di disaccordo che gli altri membri della famiglia Medici gli lanciavano quando, a tavola, per volere di Lorenzo, prendeva posto tra i suoi figli e non insieme ai servi.
«Mi conosce» rispose, «sa benissimo anche lui che mi onorerebbe di più lasciandomi stare solo in casa piuttosto che costringerndomi a fare il cortigiano.»
Sebastiano alzò un sopracciglio.
«Forse vi ho riportato male le parole di Sua Santità, ma quello per domani non è un invito» si limitò a dire.
«Mi dite che non posso rifiutare?»
Sebastiano scrollò le spalle con un sorriso sfacciato sul simpatico volto.
«Suvvia, venite!» esclamò ridendo, «è una sofferenza così grande per voi da non poter passare neanche qualche ora con altri artisti?»
Michelangelo avrebbe voluto rispondere di sì, ma si trattenne.
«Chi ci sarà?» chiese abbassando di nuovo gli occhi.
«Io ci sarò» rispose Sebastiano cominciando a suonare un'allegra e scapestrata canzonetta veneziana.
«Non avevo dubbi» rispose Michelangelo con un sorriso: il suo amico pareva vivere alla corte del Papa, quando non era a casa sua si trovava a fare compagnia a Sua Santità e a tutti i cardinali con il suo liuto e con la sua voce, «Suonerete qualcosa?»
«Se me lo chiedono sì» annuì lui.
«E poi?» continuò lo scultore.
«E poi credo messer Bembo» il veneziano alzò gli occhi come per contare mentalmente, «messer Castiglione, messer Sannazaro e sicuramente Raffaello.»
«Non avevo dubbi neanche su di lui» rispose ironicamente Michelangelo, non sopportava Raffaello e meno tempo avrebbe passato con lui più sarebbe stato felice. Era tutto il contrario suo e forse questa sua antipatia era data anche da un po' di gelosia: Raffaello era bello, solare, aperto mentre lui era brutto, burbero e solitario. Raffaello era ciò che lui non riusciva ad essere.
«E quasi dimenticavo» Sebastiano pizzicò le corde più lentamente, «il Sannazaro ha insistito perché il Papa invitasse anche Vittoria Colonna e il marchese, suo marito.»
Michelangelo alzò lo sguardo, poggiò il carboncino e allontanò il foglio da sé. La marchesa di Pescara sarebbe andata al ricevimento? Non l'aveva detto a nessuno e non aveva intenzione di farlo, non aveva intenzione di ammetterlo neanche a sé stesso, ma quella donna esercitava su di lui un fascino e un'ammirazione come non gli era mai successo con nessuno. I suoi occhi erano attratti verso di lei, se ne era accorto la prima volta che l'aveva vista e gli era stato confermato il giorno dell'elezione di Papa Leone X.
«Dice di conoscerla molto bene» continuò il veneziano, mostrando di non vedere e di non accorgersi della sua improvvisa attenzione, «e l'ha lodata così tanto per le sue doti poetiche e letterarie che Sua Santità si è trovato così affascinato dalle sue parole che non ha esitato a invitarla. Ha anche aggiunto di essere ormai un vecchio conoscente del marchese d'Avalos, suo marito, e che, qualche anno fa, sono stati compagni di spedizione.»
Michelangelo era preso alla sprovvista, da una parte desiderava andare al ricevimento solamente per vederla, perché, ora che sapeva di averne la possibilità, sentiva un bisogno quasi fisico di incontrarla, ma dall'altra sapeva che lei sarebbe venuta insieme a suo marito e questo lo invitava a evitare ogni tipo di contatto con una donna sposata. Si ricordò delle parole di Sebastiano: "quello per domani non è un invito". Non aveva scelta in ogni caso.
«Allora vi ho convinto?» sorrise Sebastiano mettendo da parte il liuto.
«Lo avete detto voi» rispose Michelangelo turbato, «non ho scelta.»
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