12. Eccelso mio signor, questa ti scrivo
L'atmosfera del castello di Ischia era diventata cupa e scialba: già da quando l'esercito era partito la serena allegria che caratterizzava la corte di Costanza d'Avalos si era dissolta pian piano, adesso che era arrivata la notizia dello scontro con l'esercito francese nei pressi di Ravenna non si vedeva più una persona con il sorriso. Tutti gli abitanti del castello passavano il loro tempo in solitudine, chiusi nelle loro stanze private e stavano insieme solo per i pasti. La tensione nell'aria era palpabile e questo senso di nervosismo si stava riversando anche sulle persone.
Vittoria stava sempre peggio, l'ansia la stava divorando: aveva cominciato a mangiare meno, a non avere più fame, a saltare addirittura la cena. La sua mente non riusciva a liberarsi dal pensiero di Ferdinando, era tormentata dalla paura, dall'incertezza: non sopportava di non poter sapere che cosa stava accadendo a suo marito, a suo padre e a tutto l'esercito. Capì che non poteva continuare a vivere così nel terrore: gli unici momenti in cui aveva la possibilità di distrarsi era quando stava con Alfonso nella biblioteca, quando gli insegnava pazientemente a leggere in latino, a recitare poesie in metrica e a parlare con la corretta pronuncia. Alfonso era tutta la sua gioia, persino la scrittura stava perdendo il suo interesse originario e Vittoria non lo avrebbe mai creduto possibile. La sua mente non era più in grado di pensare a niente che non fosse Ferdinando: non c'era più spazio per le parole, le rime, i versi, le canzoni, tutto ciò che l'aveva sempre fatta stare bene. Non c'era più posto per niente.
Non c'erano più letterati alla corte di Costanza e, quei pochi che erano rimasti ad Ischia, non si mostravano quasi mai. Era cambiato tutto così improvvisamente che la vita alla corte della duchessa d'Avalos sembrava ormai solo un lontano ricordo, misto ad un'inusuale fantasia.
Non ci volle molto perché tutti comprendessero che non era possibile continuare a vivere così, immersi in questa triste atmosfera, in quest'afa di paura. Costanza volle cercare di rimediare, tentava di fare del suo meglio per riuscire a riportare la sua corte all'antico sfarzo, ma se c'era una cosa che non poteva fare era cambiare l'animo delle persone. In questo fallì, ma cercò sempre di stare vicina a Vittoria, perché sapeva quanto soffrisse. Anche la giovane Costanza aveva perso ogni allegria e il piccolo Alfonso stava cominciando a isolarsi troppo nei suoi giochi con le armi, a fuggire eccessivamente la sua famiglia, ma Vittoria rimaneva quella che aveva peggio sopportato la partenza di Ferdinando. Costanza cercava di starle vicina il più possibile e Vittoria le era grata di questi suoi sforzi ma trovava impossibile riuscire a rassicurarla completamente, anche solo distrarla per qualche momento era una cosa che accadeva assai raramente.
***
«Sapete qualcosa, Costanza?» Vittoria sedeva in giardino, a prendere un po' di aria fresca: le era stato detto che le avrebbe fatto bene stare un po' all'aperto, invece che chiudersi in biblioteca o nella sua camera.
Anche quel pomeriggio la duchessa era andata a farle compagnia, l'aveva trovata seduta sulla panca di pietra nel giardino, tenendo in mano un manoscritto chiuso che, probabilmente, aveva intenzione di leggere, se solo avesse trovato la forza per farlo. Il suo sguardo era rivolto verso la grande distesa del mare, con un'espressione malinconica e assente. Quanto le doleva vedere quella che lei amava come una figlia stare così male! Le si sedette accanto e Vittoria si voltò verso di lei. La ragazza si accorse che c'era qualcosa di diverso da tutti gli altri giorni: gli occhi di Costanza erano stranamente lucidi. Sebbene fosse anch'ella amareggiata in quest'ultimo periodo, Vittoria non l'aveva mai vista sull'orlo del pianto: era un indizio che non prometteva affatto bene, il suo cuore cominciò a correrle nel petto.
«Madonna Costanza» gemette, sentendo gli occhi riempirsi di lacrime, «madonna Costanza, c'è qualcosa che dovete dirmi? Se avete saputo qualcosa, vi prego, non nascondetelo!»
Costanza prese lentamente fiato: come poteva darle una notizia che sicuramente le avrebbe spezzato il cuore in un modo che potesse apparire più ovattato, meno crudo e diretto?
«Oh mia cara» rispose, «è arrivato circa un'ora fa un messo, ma non è stato necessario, la notizia si è già sparsa ovunque...»
«Costanza, ve ne prego» esclamò Vittoria sull'orlo delle lacrime, «se fosse stata una bella notizia non sareste venuta da me così mesta, triste e afflitta: so cosa aspettarmi quindi non esitate.»
La nobildonna si costrinse a parlare.
«L'esercito del Papa è stato sconfitto» disse in modo secco e diretto: aveva capito che niente avrebbe potuto attutire l'impatto che questa notizia, ma soprattutto quella seguente, avrebbe avuto su Vittoria.
«Lo sapevo» rispose la ragazza distogliendo lo sguardo, le lacrime avevano preso a bagnarle le guance, stava cercando di controllarsi il più possibile, «l'ho sempre saputo, sin da quando Ferdinando è partito, ma i vostri occhi mi hanno dato la conferma prima delle vostre parole.»
Vittoria strinse forte l'orlo del vestito, doveva cercare di mantenere la calma, di stare tranquilla, ma l'idea che Ferdinando fosse morto in battaglia, la vista del suo corpo, del suo viso, trafitto da una decina di lance, disfatto da colpi di spada o di artiglieria la lacerarono.
«Cosa sapete, poi?» fu tutto quello che riuscì a dire prima di scoppiare in singhiozzi.
«Tuo padre si è arreso ai francesi» spiegò Costanza a bassa voce come se il tono con cui pronunciava quelle parole avrebbe potuto attutire il loro significato, «non ha riportato ferite, almeno non gravi, per quanto dicono sta bene.»
Vittoria tratteneva il respiro, annuì con un cenno della testa e la guardò: suo padre le interessava meno, lo amava, quello certamente, ma i suoi pensieri erano soprattutto rivolti a suo marito.
«Vi prego ditemi qualcosa di...» non riuscì a finire la frase che fu assalita da un singhiozzo.
«Il marchese di Pescara è stato portato via ferito dal campo» Costanza le prese la mano per darle forza, un gesto di comprensione da parte di una donna che aveva passato la stessa precisa cosa, «ma non preoccupatevi» si affrettò ad aggiungere, «è stato preso dai francesi, ma, per via della sua parentela con i Trivulzio – non so se li hai conosciuti – verrà trattato al meglio.»
Vittoria parve non vederci più, i suoi occhi si erano annebbiati di lacrime. Ferdinando ferito a morte? I francesi non si sarebbero mai spesi tanto per curarlo, lo sapeva. Lo avrebbero lasciato morire, lentamente, con la scusa che le loro cure non avevano funzionato, avrebbero privato l'esercito ispanico-papale di uno dei suoi più coraggiosi comandanti. Sarebbe andata così e i francesi si sarebbero scaricati ogni colpa, l'avrebbero addossata alle ferite di guerra.
Sapeva che sarebbe finita così, sapeva che era questo il destino di Ferdinando, sin dall'inizio e adesso lei, che lo amava come se fosse la sua stessa vita, era inutile e non poteva fare niente per lui.
«Morirà vero?» disse piangendo ininterrottamente, «morirà e io non potrò fare niente per salvarlo.»
«Ma cosa stai dicendo, cara?» cercò di tranquillizzarla Costanza, ma si vedeva che anche lei temeva la stessa cosa, «non ci pensare neanche, troveremo il modo di liberarlo, appena sarà guarito. Non potremmo mai lasciarlo nelle mani dei francesi, lo sai.»
«Se non verrà liberato adesso, morirà» gridò Vittoria alzandosi improvvisamente, Costanza si stupì e si domandò da dove avesse preso tutta quella forza, «morirà in una cella umida e fredda, senza l'aiuto e senza le cure di nessuno: completamente solo. E io morirò con lui.»
Fu percorsa da un tremito, il suo volto era completamente bagnato, gli occhi rossi e gonfi. Costanza si alzò per cercare di confortarla ancora ma Vittoria corse via. La duchessa tentò di richiamarla, ma lei non la ascoltò: rientrò dentro il palazzo e sparì alla sua vista. Costanza era in grado di comprenderla, sospirò e capì che aveva bisogno di sfogare da sola il suo dolore.
***
Vittoria si chiuse nella sua stanza, girò la serratura e buttò la chiave sul cassone che stava ai piedi del letto. Si lasciò cadere, stremata, su di esso, sentendo solamente il rumore dei suoi singhiozzi. Era tutto vero, le sue paure non erano infondate come tutti avevano sempre cercato di farle credere: era successo davvero e adesso che cosa avrebbe fatto? Non avrebbe potuto superare la morte di Ferdinando, ne era certa. Non avrebbe potuto reggere un evento così devastante: sarebbe inevitabilmente morta anche lei. Avrebbe voluto morire anche adesso, se fosse stato possibile. Ma Ferdinando era ancora in vita.
Si alzò senza pensare a cosa stesse facendo, liberò lo scrittoio da tutti i libri che aveva lasciato sopra e si fece spazio. Prese l'inchiostro, la penna e un foglio, il primo che le era capitato sotto mano, un foglio bianco un po' stropicciato che presto sarebbe stato sommerso di lacrime. Impugnò la penna con la poca forza che le rimaneva e cominciò a scrivere ciò che la sua mente le dettava, cominciò a scrivere a Ferdinando nella vana speranza che lui potesse ricevere la sua lettera.
"Eccelso mio signore, questa ti scrivo per te narrar tra quante dubbie voglie, fra quanti aspri martir dogliosa vivo" la prima stanza le venne senza bisogno di pensare: avrebbe espresso in quelle parole tutta la sua tristezza, la sua agonia, il suo dolore del saperlo lontano e sofferente, prigioniero. Continuò, non sapendo neanche lei per quanto tempo, non sapendo neanche che cosa avesse scritto nelle righe precedenti. Lasciava spazio a tutto il suo dolore, ma anche alla desolazione, alla consapevolezza che lui, in realtà, non si era mai curato di lei. Scrisse tutto, tutto ciò che le passava per la testa: "Seguir si deve il sposo e dentro e fora: e, s'egli pate affanno, ella patisca: se lieto, lieta; e se vi more, mora. A quel che arrisca l'un, l'altro s'arrisca; eguali in vita, eguali siano in morte; e ciò che avviene a lui, a lei sortisca.[...] Tu vivi lieto, e non hai doglia alcuna: ché pensando di fama il nuovo acquisto, non curi di farmi del tuo amor digiuna. Ma io con volto disdegnoso e tristo serbo il tuo letto abbandonata e solo, tenendo con la speme il dolor misto, e col vostro gioir tempro il mio duolo".
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