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8. Out of this world


Konan's POV

La pioggia batteva forte contro i vetri delle finestre. Erano giorni che non smetteva e il frastuono dei tuoni non accennava a diminuire. Guardavo fuori, il naso appiccicato ai vetri, perdendomi ad osservare quelle goccioline cadere.

Adoravo il suono della pioggia, avrei potuto ascoltarlo per ore.
C'è qualcosa di incredibilmente magico nell'odore di cui si veste il vento quando piove. Sa di nostalgia, di dolcezza, di eternità. È come se racchiudesse silenziosamente tutti i segreti del mondo e li restituisse nella sua lingua sconosciuta.

Mi piaceva la pioggia, mi era sempre piaciuta da morire.

"Con questo tempo dubito che arriverà qualcuno" pensai, voltandomi distrattamente verso gli scaffali impolverati, "se la gente passa di rado con il bel tempo, figurarsi in piena tempesta!".

Ripresi a guardare fuori, giocherellando distrattamente con il braccialetto che avevo al polso.

Sospirai.

Era passato un mese da quello che ormai era conosciuto da chiunque come "lo scontro di Kamino".

Conservavo davvero pochi ricordi di quella notte. Anzi, a dirla tutta, potrei dire di non aver visto assolutamente nulla di quella battaglia. Dalla finestra della mia cella riuscivo a scorgere soltanto il fumo delle esplosioni, ogni tanto scintille, l'ombra di qualcosa che saltava in aria e un fracasso tremendo.

Come lui aveva previsto, poco dopo gli Heroes giunsero a liberarmi. Ebbi la netta sensazione che non si aspettassero realmente di trovarmi lì. Mentre mettevano a soqquadro il covo, buttando giù tutte le porte e distruggendo i modesti mobili, mi avevano semplicemente trovata senza nascondere un'evidente sorpresa.

Quando mi liberarono e caricarono in macchina, lo scontro era ormai finito. All for One era stato sconfitto e portato al carcere di massima sicurezza. D'altro canto, All Might sicuramente non se la passava molto meglio. Aveva dato il 100% in quella battaglia e, ahimè, questo gli era costato quel che restava dei suoi poteri.

Ma di tutto ciò, quella notte io non vidi né conobbi assolutamente nulla. Solo quando ebbi la possibilità di guardare un telegiornale, mi resi conto della reale entità dello scontro. Era stato davvero terribile e nessuno dei due si era risparmiato.

Quel ragazzino, Katsuki, si era già liberato da solo, prima ancora che arrivassero i soccorsi, dando non poco filo da torcere a Shigaraki e ai suoi colleghi. A quanto sembrava, un piccolo gruppetto della U.A. tra cui il ragazzino timido che veniva spesso in biblioteca, Izuku, erano stati coinvolti nello scontro, spinti dal desiderio di salvare il loro compagno. Si parlò per più di un mese di quel salvataggio, sicuramente non senza merito.

Gli elicotteri dei giornalisti erano riusciti ad inquadrare pressocché tutto. O meglio, quasi tutto.

Come avevo già preventivato, una volta condotta alla U.A., dopo essere stata sottoposta ad un check-up generico per capire se stessi bene, venni bombardata da un'infinità di domande. Non capivo perché, nonostante stessi bene, Recovery Girl insisteva per farmi rimanere qualche altro giorno in clinica. I miei valori erano totalmente nella norma, forse ero dimagrita un po', ma per quello non erano certamente i Villain da dover incolpare, bensì il mio stomaco chiuso.

Persi ben presto il conto del numero di Heroes che vennero "a trovarmi" in camera mia con la scusa di sapere come stessi, senza perdere poi occasione per rubarmi qualche risposta.

Ad un certo punto, ebbi quasi la sensazione che la loro lecita curiosità si stesse trasformando pian piano in un interrogatorio e mi chiesi se stessero realmente cercando informazioni sulla Lega oppure capire se fossi passata dalla loro parte.

"Che cosa vorrebbe insinuare?" avevo risposto seccata all'ennesima domanda impertinente che mi aveva rivolto un pro-Hero con la faccia coperta da una maschera inquietante "crede che sia passata dalla parte dei Villain, non è così?".

"Ma che dice signorina, non mi permetterei mai!" esclamò il tipo agitando le mani in segno di scusa "ero semplicemente incuriosito dalle sue parole. Continua a ripetere che quegli anima... voglio dire, che quei criminali l'abbiano trattata bene".

"E infatti è così" risposi asciutta.

"Ecco, per l'appunto" proseguì il pro-Hero, cercando di ponderare le sue parole "mi chiedevo se magari non sia... ecco, un po' confusa per il trauma subito... sa, è una cosa molto comune ed è importante elaborarlo al meglio, prima di... sì insomma... prima di rischiare di combinare una stupidaggine".

Sentii una strana sensazione crescere dentro di me, un'emozione strana che stava accelerando i miei battiti cardiaci. Sentivo le mie mani tremare leggermente e una stranissima voglia di urlare si stava impadronendo dei miei polmoni. Difficilmente provavo rabbia per qualcuno: era una di quelle emozioni che mi appartenevano poco. Ma in quel momento, riuscivo a sentirla montare e, Dio, era una sensazione dannatamente piacevole.

"Immagino sia impossibile per voi accettare l'idea che dei Villain mi abbiano trattata bene, che non mi abbiano affamata, o torturata o stuprata... è così, giusto? Dovrei essere traumatizzata e chiedervi, piangendo, di catturarli per farmi tornare a dormire sogni tranquilli, è questo che vi aspettate da me, no?".

L'Hero provò a iniziare a parlare, ma glielo impedii: ero un fiume in piena: "beh mi dispiace davvero deluderla, ma non è successo nulla di tutto questo. Come ho già raccontato per circa 50 volte, volevano mi unissi a loro per colpa di quegli stupidi articoli usciti molti anni fa su di me. Le ripeto che non ho mai accettato la loro proposta. Piuttosto, non mi sembra che per tutto il tempo che io sia stata prigioniera qualcuno di voi sia venuto a cercarmi...".

"Cosa sta insinuando, signorina?" anche lui si stava innervosendo.

"Assolutamente nulla" risposi secca "semplicemente, è una strana coincidenza che per settimane nessuno si sia preso la briga di cercare dove fossi finita, mentre non passano nemmeno 24 ore dalla cattura di Katsuki Bakugou e per magia arrivano i soccorsi...".

"Certamente lei non può sapere cosa c'è dietro il lavoro da Hero né tantomeno da quanto tempo la stavamo cercando..." mi disse sulla difensiva "e poi, non c'era la benché minima prova che lei fosse stata rapita. Per quanto ne sapevano, poteva anche essere andata a trovare qualcuno per qualche giorno...".

Ci volle tutto il mio autocontrollo per non mandarlo al diavolo. "Non è mia abitudine abbandonare il mio posto di lavoro senza avvertire nessuno. E ad ogni modo, mi perdonerà se penso che in questa nazione non tutti i civili vengano trattati allo stesso modo".

Cercò di ribattere qualcosa, ma francamente non me ne importava di meno. Già da prima di quell'evento, non nutrivo una grande simpatia per gli Heroes, almeno non per la maggior parte di loro; ma in quel momento, la stima anche vaga che potevo provare nei confronti della loro categoria si era estinta quasi del tutto.

Proseguii, decisa a chiudere quella conversazione il più presto possibile "Vi ho detto tutto quello che sapevo, che poi non è nulla di diverso dalle informazioni che avevate già. Dei membri della Lega, ne ho conosciuti soltanto quattro. Il capo, Tomura Shigaraki, ha un Quirk che si attiva con il tocco delle cinque dita, ma non so esattamente di che Quirk si tratti, dato che non l'ho mai visto in azione.
La ragazzina più giovane, Himiko Toga, è in grado di trasformarsi nella persona di cui beve il sangue;
Kurogiri, il maggiordomo... ehm, cioè, non è proprio un maggiordomo. Credo sia un warp gate, ma personalmente io l'ho conosciuto solo come il tipo che mi portava da mangiare.
E infine, Dabi, il ragazzo con la pelle ustionata. Il suo Quirk ha a che fare con il fuoco, genera fiamme di colore blu...".

Il solo pronunciare il suo nome, smorzò quella profonda rabbia che si era impadronita del mio cuore. Sperai che il mio interlocutore non se ne fosse accorto.

Mi schiarii la voce e aggiunsi "questo è tutto quello che so. Adesso se, non le dispiace, vorrei andare via".

Mi guardò, sbalordito "andare dove?!?".

"Non ho più intenzione di vivere qui alla U.A." dissi senza scompormi "penso sia arrivato il momento per me di cambiare aria".

"Ma, ma.. signorina, si rende conto del pericolo che correrebbe?" esclamò il pro-Hero, "i Villain potrebbero tranquillamente mettersi nuovamente sulle sue tracce. E poi, qui sarebbe decisamente più al sicuro. Aumenteremo ulteriormente i controlli, specie dopo quello che è successo a Kamino...".

Mi sforzai per non scoppiargli a ridere in faccia: ero stata rapita proprio lungo gli alberati e tranquilli viali della U.A., il posto più protetto del mondo! "Dubito che si metterebbero nuovamente sulle mie tracce" dissi accennando un sorriso "non adesso che All for One è in prigione. Sono certa che avranno problemi ben più gravi a cui pensare. E in ogni caso, dopo tutte le settimane di prigionia, penso abbiano ampiamente capito che non sarei loro di alcun aiuto. Perciò, non si preoccupi: sono ben consapevole della mia decisione e non ho intenzione di cambiare idea".

Non so per quanti giorni cercarono di convincermi a restare, ma fu tutto inutile. Quel posto non mi era mai appartenuto, non ero mai riuscita a chiamarlo casa e, del resto, non lo era mai stato. Gli ultimi avvenimenti mi avevano convinta sempre di più che Tokyo era una città troppo grande e dispersiva per una ragazza come me.

Pensai che ritornare nella mia città natale, Kamakura, potesse essere una buona idea. Era una città piccolissima rispetto alla caotica capitale, molto più a dimensione umana.

Fu con il cuore sufficientemente leggero che preparai i bagagli e partii.

Non ci misi molto ad ambientarmi: era una cittadina tranquilla e incredibilmente silenziosa, esattamente ciò di cui avevo bisogno.

Con le mie referenze trovai quasi subito lavoro nella piccola biblioteca locale e non potevo esserne più felice.

Non aveva certamente nulla a che vedere con l'enorme biblioteca della U.A. che raccoglieva al suo interno volumi rari e prestigiose collezioni di classici; ma in mezzo a quegli scaffali decisamente più modesti, mi sentii immediatamente a mio agio.

Con il denaro che avevo messo da parte durante i lunghi anni di lavoro all'accademia, riuscii a permettermi senza alcuna difficoltà l'affitto di un comodo monolocale poco distante dalla biblioteca. Avevo anche un piccolo giardino tutto mio con uno splendido albero di ciliegio e una panchina ai suoi piedi.

Era da ormai un mese che avevo lasciato Tokyo. Era da un mese che mi sentivo sufficientemente serena.

Ogni tanto, però, la mia mente vagava senza che riuscissi a controllarla.

Quella sera in particolare, un po' per il suono della pioggia che sbatteva contro i vetri, un po' per l'odore delle pagine dei libri, i pensieri non la smettevano di tormentarmi.

Era già passato un mese da... da quella notte, un mese dall'ultima volta che l'avevo visto. Le telecamere dei telegiornali non l'avevano ripreso durante l'intero scontro di Kamino e lo sapevo bene, dato che avevo guardato quei notiziari almeno una ventina di volte.

Mi chiesi se fosse riuscito a trovare un po' di pace in quella sua anima tormentata, ma ero abbastanza certa che non potesse essere così.

Il ricordo del calore del suo corpo contro il mio mi fece tremare, mentre d'istinto chiusi gli occhi e strinsi la presa attorno al mio braccialetto.

Di colpo aprii la mano e spalancai gli occhi sentendo un dolore pungente nel mio palmo. Piccole goccioline di sangue iniziarono a scendere. "Che stupida!" dissi ad alta voce, sorridendo.

I miei occhi si posarono sul braccialetto legato al mio polso. Era una semplicissima cordicella a cui avevo legato un cerchietto in metallo. Il cerchietto non era completo, mancava un piccolo pezzettino dove un tempo doveva esserci una specie di chiusura e adesso brillava leggermente di rosso sul punto dove aveva ferito la mia pelle.

Poco dopo che se ne era andato, poco prima che arrivassero gli Heroes, lo vidi brillare sul pavimento alla pallida luce della luna.

Se chiudo gli occhi, riesco ancora a sentire il flebile suono che ha prodotto staccandosi dalla tua pelle...

"Alla fine, una parte di te è riuscita a ferirmi" sorrisi, sussurrando al vetro opaco della finestra. "Dabi, ovunque tu sia, spero soltanto che tu stia bene".



Dabi's POV

"Dannata pioggia!" esclamai mentre cercavo di ripararmi dall'ennesimo temporale sotto il cornicione di un edificio. Erano giorni che andava avanti così e non aveva alcuna intenzione di smettere. Ero stanco, affamato e incazzato e quella pioggia di merda sicuramente non aiutava.

A un mese dallo scontro di Kamino, le cose per la Lega continuavano a non girare per il verso giusto. Da parte mia, ci avevo messo un po' a riprendermi dalle ferite.

Nella mia testa, continuavano a ronzare le parole di quel bastardo di mio padre che mi ripeteva "sei così pateticamente debole" e più ci pensavo, più diventavo una bestia.

Ma, ahimè, era veramente così. Avevo bisogno di allenarmi, di controllare al meglio gli attacchi, specie quelli ravvicinati, ma la verità era che sono sempre stato troppo pigro per applicarmi.

Non come Mr. Perfezione vivente quale era mio fratello! Io ero un inetto, ero sempre stato un inetto e la mia vita non perdeva occasione di dimostrarmelo.

Ma alla fine vedremo chi riderà, sta tranquillo...

In quel periodo, Shigaraki si era messo a fare strani affari con gente che non aveva nulla a che fare con noi e la nostra causa. Per cui, stanco delle sue stronzate, avevo deciso di prendermi una pausa dalla Lega, continuando il mio lavoro da solo. Parola d'ordine: reclutare nuove leve, dopo le ingenti perdite che avevamo subito.

Il punto è che non era per niente un'impresa facile. A differenza del mio capo, non mi accontentavo certo di fare numero, l'obiettivo anzi era l'esatto opposto: la qualità. Ma nei sobborghi di quello schifo di città, di qualità ce ne stava davvero poca.

Il fatto che sia proprio io a fare un discorso del genere fa ridere anche me.

Era ormai da un mese che conducevo quella vita, un mese passato a dormire sotto i ponti e a rubare il cibo da qualche fast-food. Un mese di puzza di vestiti e carne bruciati. Un mese di totale oscurità.

E adesso, ci mancava soltanto la pioggia per completare il quadretto.

Avevo freddo, i vestiti fradici erano scomodi e, cazzo, erano settimane che non interagivo con anima viva. Ero fin troppo abituato alla solitudine, ma quella dannata pioggia mi stava mettendo di cattivo umore.

Lo scrosciare dell'acqua sull'asfalto attivava i miei pensieri e pensare era davvero l'ultima cosa di cui avevo bisogno in quel momento.

Senza pensarci troppo, afferrai il cellulare e iniziai a scorrere i numeri in rubrica. Alla voce Kaoru pigiai sul tasto di chiamata.

Dopo qualche squillo a vuoto, rispose una familiare voce femminile dal tono scocciato "Dabi, sono impegnata al momento...".

"Andiamo dolcezza" le risposi con voce divertita "dici sempre così e poi non mi resisti mai. Allora, mi faresti salire?". Ci fu qualche attimo di silenzio, prima di rispondere "dovrei finire tra 30 minuti... fatti trovare al portone" e chiuse la chiamata.

Di tutte le puttane che avevo frequentato, Kaoru era di sicuro la mia preferita. Ogni tanto, dopo una scopata più o meno soddisfacente, era perfino capitato che ci fossimo fatti compagnia per qualche minuto, sempre che io non dovessi scappare a "lavoro" o lei non aspettasse un altro cliente.

Probabilmente fu quel freddo improvviso provocato dalla pioggia che mi richiedeva di provvedere con un po' di calore umano e non c'è calore più piacevole di quello che si trova tra le cosce di una donna.

Non so per quale dannatissima ragione accadde, ma mentre mi dirigevo a casa di Kaoru sotto quella cazzo di pioggia, la mia mente ripensò alla bibliotecaria. Come un idiota, mi bloccai per qualche secondo in mezzo alla strada, mentre l'acqua gocciolava senza sosta dai miei capelli e vestiti logori. Era passato un mese da quella notte, un mese dall'ultima volta che l'avevo vista.

Quel dannatissimo odore di pioggia mi ricordava l'odore della sua pelle...

"Fanculo!" esclamai a denti stretti prima di affrettare il passo verso l'indirizzo della mia "amichetta".

Giunto al portone, mi attaccai al citofono iniziando a suonare insistentemente.

Dopo qualche secondo, Kaoru aprì la porta in vestaglia e visibilmente trafelata "Ma sei completamente coglione?!?" sbraitò "ho detto 30 minuti, ho ancora un cliente sul letto!".

"Mandalo via" le dissi con tono serio mentre sentivo un eccessivo calore diffondersi nelle mie braccia. Le mie mani iniziarono ad illuminarsi di blu "prima che lo incenerisca".

Kaoru mi guardò con espressione terrorizzata, prima di voltarmi le spalle e correre dal suo cliente per intimarlo ad andare via.

Ecco, è questa l'espressione che voglio vedere negli occhi di chi mi guarda, pensai, è esattamente questo ciò che sono.

Poco dopo vidi un uomo con la camicia ancora sbottonata uscire precipitosamente dal portone, mentre Kaoru, con lo sguardo ancora spaventato mi invitò ad entrare.

"Come desidera, principessa" le dissi con un ghigno.

Entrai chiudendomi il portone alle spalle, lasciandomi indietro quel cazzo di temporale e quel dannatissimo, adorabile profumo di pioggia.


*Immagine:Pinterest

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