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12. Emotional Anorexic


Dabi’s Pov

Spalmato sul parquet della sua camera da letto come una lucertola sotto il sole, sentivo le mie gambe piacevolmente pesanti. Osservavo annoiato il fumo salire dalla mia sigaretta ed espandersi sul soffitto sopra le nostre teste.

Konan, poggiata sul mio petto, continuava ad accarezzare con la punta delle dita il percorso disegnato dai miei anellini. Le sue mani erano incredibilmente delicate e l’attenzione che dedicava a quel gesto totalmente inutile era ammirevole.

Aveva le guance tutte rosse, come rosse erano le natiche del suo sedere. Il contrasto con il pallore della sua pelle era eccitante, specie se i segni di quelle manate poco delicate erano i miei.

 Lo avevamo fatto praticamente ovunque, tranne che sul letto. Il sesso con quella ragazza era incredibile: bastava un mio tocco, un sussurro leggermente più profondo e si sfaceva letteralmente tra le mie mani. Quel suo lato così ubbidiente, così sottomesso mi eccitava più di quanto non volessi ammettere.

Corrompere una ragazzina pura e innocente, osservare il suo corpo contorcersi tra le mie mani sentendo di avere il potere assoluto di farla godere… cazzo, esiste al mondo nulla di più appagante?

Certo, non potevo negare a me stesso che quando aveva preso l’iniziativa iniziando a regalare attenzioni al mio amico mi era piaciuto e non poco.

Ripensai all’espressione da porca che aveva assunto gattonando nuda verso di me e a quel suo culetto delizioso sollevato provocatoriamente prima di prendermelo in bocca.

Mmm... probabilmente questa immagine mi farà compagnia per un bel po’ di notti solitarie!

“A che pensi?” mi chiese Konan spostando lo sguardo sul mio viso.

“Alle tue espressioni di qualche minuto fa” le risposi con un mezzo sorriso, osservando le sue guance colorarsi di fucsia e abbassare la testa contro il mio petto per nascondersi.

Adorabile, pensai prima di scacciare quell’inutile sentimentalismo dai miei pensieri.

Dopo alcuni minuti, vidi Konan rivolgere nuovamente la sua attenzione a me “come stai?” chiese con la sua voce calma.

“Sfido chiunque a non stare bene dopo tutto quello che abbiamo fatto, dolcezza” le risposi con tono basso e profondo, tono che avevo scoperto la facesse bagnare con estrema facilità.

L’espressione sul suo viso confermò le mie ipotesi. La vidi cercare di ricomporsi “intendevo… intendevo, in questo periodo… come stai?”.

La osservai incuriosito. Nessuno mi aveva chiesto come stessi da ormai molto tempo. A dire la verità, non sapevo nemmeno cosa rispondere. “Me la cavo, come sempre” decisi di optare per la neutralità.

Lei mi guardava, cercando di leggere le mie reali sensazioni. Mi sentii felice al pensiero che, per qualche strana ragione, il suo Quirk con me non funzionasse.

Dopo parecchi secondi, si decise a parlare “non so nulla di te, Dabi, ma qualcosa mi dice che i segni che porti non sono soltanto frutto della tua stessa Unicità. Anche a te è stato fatto del male. Me ne accorgo dal modo in cui guardi le mie cicatrici, da come cambia il tuo umore di fronte alla sofferenza…”.

“Uho uho uho” esclamai, bloccando sul nascere una conversazione che aveva tutta l’aria di diventare estremamente pericolosa “rallenta un po’ ragazzina. L’unica cosa corretta di tutte le strane parole che hai detto è che tu non sai assolutamente niente di me e niente è esattamente ciò che saprai.
Francamente, non me ne frega assolutamente un cazzo del tuo dolore, delle tue cicatrici. Il mio è solo un interesse… predatorio. Non mi piace che gli altri tocchino ciò su cui ho messo gli occhi io, fine della storia”.

Stranamente, lei non si scompose minimamente di fronte alle mie parole. Si limitò ad osservarmi un altro po’ prima di rispondere “non sono stupida, Dabi. Posso essere ingenua, ma non stupida. So bene che non posso aspettarmi nulla da te, nulla rispetto a ciò che abbiamo condiviso stanotte. E non ho intenzione di chiederti nulla. Le nostre vite sono decisamente troppo incompatibili per poter correre sullo stesso binario”.

“Sei in gamba, ragazzina” esclamai.

“L’unica cosa che vorrei dirti” proseguì con tono calmo “è che c’è del buono in te, di questo ne sono certa. Non ho bisogno di guardare dentro i tuoi occhi per saperlo. Che per quanto tu ti sia sforzato di seppellirlo sotto una montagna di crimini, per quanto cerchi di ferirmi sputandomi in faccia parole velenose, una parte di me continua a vederlo. Ed è per quella parte che non mi arrenderò”.

Osservai il suo faccino serio pronunciare quelle parole con una tale determinazione che per un attimo quasi ci credetti.

Poi scoppiai a ridere rumorosamente “questa è bella. Ragazzina, ti conviene arrenderti presto, allora! Ma se proprio ti senti ostinata, non temere: capirai presto anche tu che quello che hai detto è un’accozzaglia di cazzate.
È tutto qui, è esattamente questo ciò che sono: un’anima mutilata in un corpo mutilato. L’unica cosa che mi ha tenuto in vita è la vendetta. Non esiste alcuna luce nella mia vita. E se sei convinta del contrario, mi dispiace davvero per te, dolcezza, ma sei proprio un’idiota”.

Lei mi guardò dritto negli occhi con un’espressione incredibilmente seria. Poi si limitò a rispondere “mi piacciono le sfide”.

Le lanciai un’occhiata truce ribattendo “bene, allora preparati a perdere”. Mi alzai, scostandola dal mio corpo senza troppa delicatezza e cominciando a rivestirmi.

Sentivo il suo sguardo su di me e quella sensazione iniziava a darmi sui nervi.

Dovevo andarmene: stare un altro minuto in quella casa non avrebbe fatto per niente bene al mio già instabile umore.

Mi avviai verso la porta senza voltarmi indietro, quando la sua vocina fastidiosamente dolce mi bloccò “il tuo anellino… se non ti serve… ti dispiace se lo tengo io?”.

D’istinto chiusi gli occhi serrando i pugni “fa quello che vuoi” le risposi cercando di pronunciare quelle parole con indifferenza prima di riprendere il mio cammino.

 

L’aria sbatteva contro la mia faccia mentre il paesaggio sfrecciava veloce ai lati della mia moto lanciata sulla strada a folle velocità. L’alba iniziava a spuntare annoiata alle mie spalle.

Che stupida, pensai, mentre le sue parole riecheggiavano nella mia mente come una fastidiosissima litania.

Ma che diavolo passava per la testa di quella ragazza? Io buono? Il solo pensiero mi faceva ridere.

No, non c’era più nulla di salvabile in me, eccetto qualche raro lembo di pelle che prima o poi si sarebbe distrutto come tutto il resto. A Konan dovevano mancare un bel po’ di rotelle nel cervello, di quello ne ero più che convinto.

Forse, la colpa era stata anche mia. Decidere di portare a letto una brava ragazza comporta dei rischi: finiscono sempre col crearsi troppi film mentali, troppe aspettative. Doveva essere colpa dei libri che aveva letto: un po’ troppe favole fanno male, ragazzina.

Non c’era niente e non avrebbe mai potuto nascere niente da un cuore arido come il mio. Il fuoco non permette alla vita di rigenerarsi, a meno che non si tratti di una fenice o di qualche altro strano animale mitologico. E a differenza sua, avevo smesso di credere nelle fiabe già da molto, troppo tempo.

Ripensai a quello che le avevo detto quella notte, prima di baciarla e avventarmi sul mio corpo.

Quante cazzate si dicono per scopare con una bella ragazza?

Già, e allora perché la vista delle sue cicatrici mi faceva quell’effetto? Perché di fronte al suo corpo martoriato non riuscivo a ragionare, mentre sentivo una rabbia cieca nascere dentro di me?

Interesse predatorio… doveva essere per forza questa la risposta, ne ero certo. O meglio, dovevo esserne certo, altrimenti avrei perso la ragione. E la ragione era tutto quello che mi era rimasto.

Ero scappato lontano da lei come un ladro, mentre una sgradevolissima sensazione al centro del petto mi stava facendo perdere la lucidità mentale. Troppi sentimentalismi, troppa dolcezza… al diavolo! Non avevo bisogno di lei e, di certo, non avevo bisogno di come lei mi facesse sentire.

Con la coda dell’occhio vidi una cabina telefonica a uno dei lati della strada. Inchiodai di botto, resettando la lista delle priorità nel mio cervello: reclutare nuovi alleati, nient’altro.

Scesi dalla moto, rovistando nelle tasche in cerca del biglietto che mi era stato consegnato la sera precedente.

Nel farlo, scostai il cellulare dalla tasca accorgendomi di avere una notifica di messaggio.

 Da Kaoru

Non ti sei presentato, brutto stronzo. Ho perso un cliente per colpa tua!

Ricordai dell’appuntamento che avevo “prenotato” con lei.

Fanculo me e la mia curiosità, pensai, sarebbe stato decisamente meglio se avessi deciso di andare da lei.

Per un solo, minuscolo attimo ripensai a Konan con il mio cerchietto di metallo tra le mani, alla cura che aveva mostrato nel conservarlo e al desiderio di tenerlo come ricordo.

Sentii nuovamente la stessa fastidiosissima sensazione impadronirsi delle mie viscere “stupida pazza ragazzina sentimentale!” esclamai tirando un pugno contro la cabina telefonica.

Mi ricomposi, scossi la testa come a voler scacciare l’immagine delle sue guance rosse che continuavano a tormentarmi.

Composi il numero con le mani ancora tremanti per l’adrenalina in circolo.

“Pronto?” la voce dall’altro capo del telefono rispose dopo un singolo squillo a vuoto.

Allora nemmeno gli Heroes dormono, pensai.

“Ciao uccellino… volevi conoscermi?”.

 

 

Konan’s POV

Mi stiracchiai rumorosamente sentendo parecchie ossa scricchiolare. Mi faceva male dappertutto.

Quella era stata una delle notti più belle di tutta la mia vita e, sebbene non si fosse conclusa nel migliore dei modi, andava comunque bene così.

Sapevo, nel mio cuore, che non potevo aspettarmi niente da quel ragazzo. Le sue parole, per quanto dolorose, non erano riuscite a ferirmi. Ero parecchio brava con le emozioni, anzi, senza modestia era quella la mia specialità.

Ero certa che Dabi mi stesse nascondendo qualcosa, qualcosa di tremendamente importante. La sua corazza era spessa come le scaglie di un drago e qualsiasi sentimento all’infuori dell’odio gli faceva paura.

Di questo ne ero sicura e tale consapevolezza mi faceva soffrire.

Che cosa ti hanno fatto per farti diventare così?

Allo stesso tempo, ero totalmente sicura di ciò che provavo per lui. Non era spiegabile, non era razionale… ma da quando in qua i sentimenti lo sono?

C’era una parte di lui che temevo e che in quel momento aveva totalmente preso il sopravvento sulla sua persona: l’assassino, il criminale spietato. Sapevo bene che dovevo stare attenta, che una parola di troppo avrebbe potuto costarmi la vita.

Ma, ahimè, non riuscivo a non fidarmi di lui. In più di un’occasione avrebbe tranquillamente potuto farmi a pezzi, incenerirmi senza nemmeno darmi il tempo di urlare, ma non l’aveva fatto.

C’era qualcosa in quel ragazzo, qualcosa che cercava in tutti i modi di tenere nascosto e che, di tanto in tanto, traspariva come un minuscolo lampo, nei suoi splendidi occhi.

Ed era a quel piccolo, insignificante frammento che mi sarei aggrappata con tutte le mie forze.

Continuavo a giocare con il suo cerchietto e quello strano talismano mi faceva in qualche modo compagnia. Era come se, tenendolo con me, lo sentissi più vicino e potessi, in un certo senso, proteggerlo. Sorrisi a quel pensiero, scuotendo la testa.

Povera ragazzina innamorata, pensai tra me sentendo il mio viso diventare improvvisamente più caldo.

Svogliatamente, mi alzai a guardare fuori dalla finestra. Sebbene non avessi chiuso occhio per tutta la notte, non provavo il benché minimo sentore di sonno. La sensazione dei suoi baci, delle sue mani, del suo corpo avevano preso il sopravvento perfino sulla stanchezza.

Avrei dovuto sperare di non vederlo più, di chiudere per sempre una parentesi destinata irrimediabilmente alla sofferenza di entrambi, ma non ne avevo la forza. Mi mancava già…

Nonostante fosse domenica, decisi comunque di dirigermi in biblioteca. Non ero materialmente in grado di rimanere a casa da sola, non dopo tutto quello che era successo. Quanto meno, avrei potuto rilassarmi in compagnia di qualche volume e distogliere, per quanto possibile, il pensiero dal criminale che aveva preso residenza nella mia mente.

La mattina era passata così, tra le pagine di Murakami e i sonetti di Byron.

Non mi aspettavo entrasse nessuno, al punto che quando sentii la porta aprirsi trasalii, presa com’ero dalla mia lettura.

Fuori dalla porta, un gruppo di bambini rumorosi ridevano e schiamazzavano correndo in giro per la piazza della città.

“Bambini, torno immediatamente!” disse la giovane donna che aveva aperto la porta “se fate i bravi, dopo la visita vi porto a mangiare un gelato”. Urla di approvazione si alzarono dalla piccola scolaresca.

La donna spostò il suo sguardo verso di me avanzando all’interno della biblioteca. Era una bella ragazza più o meno della mia età con i capelli bianchi e qualche sporadica ciocchetta rossa. Trovai che quelle meches donassero un’aria più sbarazzina al suo look decisamente troppo formale per la sua giovane età.

“Buongiorno”, mi salutò con tono cordiale e la voce allegra “mi dispiace moltissimo disturbarla di domenica mattina. Mi sembra un miracolo trovare la biblioteca aperta!”.

“Buongiorno”, ricambiai il sorriso “nessun disturbo, sono qui apposta. Mi dica tutto”.

La ragazza puntò i suoi occhi grigi su di me “siamo qui per una piccola gita della città, volevo portare i bambini a visitare i luoghi più importanti di Kamakura. Fin ora, però, tutti i negozi di souvenir incontrati erano chiusi. Mi occorrerebbe una mappa della zona: sa, non siamo di qua e vorrei evitare di perdermi con 30 bambini al seguito”. Sorrise, grattandosi la testa con espressione allegra.

“Già, purtroppo siete capitati in un momento abbastanza delicato: c’è lo sciopero dei negozianti che va avanti da qualche giorno”.

La ragazza rispose con un “ooh” sorpreso.

“Temo di non avere nulla qui in biblioteca che possa esservi utile” proseguii pensierosa “gli unici volumi sulla città riguardano la storia degli edifici e della loro costruzione. Mi dispiace molto”.

Vidi la delusione dipingersi sul suo volto. “Che peccato… la ringrazio comunque moltissimo per la sua gentilezza. Vorrà dire che opterò per rimanere nei paraggi della stazione così eviteremo di perderci” sorrise nervosa “le auguro una buona giornata e perdoni ancora il disturbo”.

Uscì dalla biblioteca iniziando a radunare intorno a sé la scolaresca.

Forse furono i suoi occhi buoni, forse fu soltanto lo strano desiderio di non restare sola, fatto sta che mi diressi anch’io verso l’uscita.

“Mi scusi!” attirai l’attenzione della giovane maestra. Lei si voltò incuriosita verso di me con la stessa espressione cordiale “mi dica”.

“Ecco… è domenica e, con molta probabilità, dubito che qualcuno abbia bisogno di consultare libri oggi. Per cui, se le fa piacere, mi offro di farvi da guida”.

La vidi osservarmi per qualche secondo prima di regalarmi un ampissimo sorriso “ma sarebbe assolutamente meraviglioso!”.

Sorrisi anch’io.

Mi affrettai a recuperare la mia borsa e a chiudere la biblioteca mentre l’insegnante continuava a lanciarmi ringraziamenti e benedizioni e i bambini mi osservavano incuriositi.

“Non ce n’è bisogno” ribattei imbarazzata “fa piacere conoscere gente nuova, ogni tanto. Comunque io sono Tanaka Konan, ma se ti va, puoi chiamarmi semplicemente Konan. Non mi sento particolarmente a mio agio con i formalismi”.

“Todoroki Fuyumi” mi rispose continuando a sorridermi “ma per te sono solo Fuyumi”.

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