Capitolo 9 - Sorrise
Alexiej si svegliò in un silenzio innaturale. Era strano non sentire il bussare di un domestico alla porta o i suoni della natura fuori dalla sua tenda, ma quiete significava che la bufera si era placata ed era un buon segno. Aprì gli occhi, scontrandosi con il grigiore del bivacco ancora preda del buio per l'assenza di finestre da cui attingere luce. Alexiej dubitava che avrebbero cambiato qualcosa, in ogni caso: non si aspettava un cielo terso dopo una bufera, e – se il sonno aveva seguito le sue abitudini – dovevano essere lei sei o le sette del mattino, perciò il sole non era ancora sorto.
Allungò una mano sul giaciglio e la gola si annodò quando lo trovò vuoto. Addormentarsi con Edvokin tra le braccia era stato più naturale di quanto avesse osato sperare, gli era bastato stringerlo a sé per capire che quello era il suo posto. Aveva sperato di sentire il suo calore anche al risveglio, ma il tempismo non era stato accomodante.
Si alzò controvoglia e camminò a piedi scalzi verso la Pietra di Sihir che brillava a bassa intensità. La ruotò per sprigionare abbastanza luce da rischiarare la stanza e si concesse qualche istante per abituare gli occhi, poi infilò il cappotto e si affacciò alla porta d'ingresso. Le esili sfumature rosate dell'aurora si affacciavano nel denso grigiore che invadeva il cielo, nuvole basse e scure che preannunciavano nuove raffiche di neve. In quel momento però il vento era calmo, ridotto a folate gentili che gli scompigliavano i capelli.
«Siamo fortunati, Edvik. Il tempo è stabile» disse a voce ben alta, poi abbassò lo sguardo sulla distesa bianca che si estendeva a perdita d'occhio tra i boschi. Il livello della neve non si era alzato molto, ma c'erano solchi oblunghi sul manto altrimenti perfetto, orme che si allontanavano in file ordinate verso la città.
Aggrottò la fronte. «Edvik?»
Chiuse la porta e sfilò il cappotto, abbandonandolo sul tavolo accanto a... Dov'era quello di Edvokin? E il suo cappello, i guanti, la giacca. Non c'erano neppure gli stivali che aveva lasciato accanto al giaciglio. Il fremito di un cattivo presentimento scosse il petto di Alexiej mentre si precipitava alla porta del bagno, avviluppandosi attorno alle costole.
«Edvik?» Bussò, ma nessuno rispose. Ignorò la vampata di calore che risalì fino al volto e bussò di nuovo. «Edvik, sei lì?»
Silenzio. Alexiej aprì la porta, il magone che gli rendeva difficile respirare. Si rifiutava di ascoltare la risposta che la mente gli suggeriva, ma davanti a sé c'era solo un piccolo stanzino vuoto.
Edvokin se n'era andato. Se n'era...
Lo stomaco di Alexiej si contorse, spingendo contro il diaframma. Era impazzito? Perché era uscito da solo, sotto un cielo così grigio mentre era ancora buio? Perché non l'aveva svegliato? Perché non aveva scritto almeno un messaggio?
Si accasciò su una sedia e affondò il viso tra le mani, tirando indietro i capelli sciolti mentre riprendeva fiato. Edvokin stava sorridendo quando avevano avvicinato i loro giacigli, sistemandosi insieme sotto le coperte. Aveva stretto la sua mano mentre si accoccolava contro il suo petto, tra le sue braccia, come se fosse l'unico posto in cui volesse riposare.
E allora perché... Perché non era rimasto?
«Un'altra pagina! Solo una, ti prego!» Krija drizzò il busto in un sussulto, battendo le mani sulle coperte. Era un bene che le fossero tornate le energie, anche se la sua voce era ancora così flebile che a volte s'incastrava nella gola, assottigliandosi fino a sparire.
Il cuore di Alexiej si strinse a guardarla. Anche se lo sguardo brillava di entusiasmo, gli occhi erano cerchiati da aloni scuri, infossati nel viso pallido. Anesla le aveva da poco pettinato i capelli, ma i boccoli avevano perso la loro lucentezza e cadevano flosci sulle spalle.
Alexiej glieli accarezzò con cautela, baciandole la fronte. «È tardi, mia perla. La dottoressa ha detto che hai bisogno di riposare per stare meglio.»
«Ma io voglio continuare la storia!» obiettò lei, gonfiando le guance. «Padre, per favore...»
Alexiej abbassò lo sguardo sul libro di fiabe ancora aperto sulle gambe. Le poche rune tracciate sulla pagina accompagnavano l'illustrazione di una lepre che annaspava nel fiume, con i contorni morbidi e i colori acquosi che avevano sempre affascinato Krija. Lui e Ingveld le avevano letto quella storia così tante volte che oramai la conosceva a memoria, ma restava la sua preferita.
«Una pagina sola» disse, e il viso di sua figlia si illuminò.
Krija si sistemò meglio contro il suo petto, tirando a sé il suo braccio come fosse una coperta. Un tempo seguiva le rune con le dita, leggendo le parole che riusciva a riconoscere, ma non lo faceva da settimane. A volte si addormentava persino tra le sue braccia, anche se l'attimo prima sembrava piena di vitalità. La precettrice sosteneva che perdere concentrazione era normale per una bambina della sua età, eppure ad Alexiej sembrava che Krija fosse più distratta del solito.
«L'orsetto Misha voleva chiamare aiuto, ma Lanka – furba come ogni volpe – sapeva che gli altri animali non avrebbero raggiunto in tempo il povero leprotto Vasilij» cominciò a leggere, inclinando il libro perché Krija potesse vedere meglio le immagini. «Il fiume avrebbe presto raggiunto un'altissima cascata, perciò Lanka e Misha avrebbero dovuto unire le forze per salvarlo.»
Voltò pagina. Le sagome colorate di un orso e di una volpe correvano lungo un sentiero tra gli alberi, e Krija si sporse per accarezzare le forme sinuose del percorso. «"Come possiamo aiutarlo?" chiese Misha. "Io sono solo un orso che non è bravo a pensare, ma tu sei intelligente. Deciderai tu cosa fare, e io eseguirò."» Alexiej abbassò la sua voce di un tono, strappando a Krija una risata. Per quella leggera della volpe si schiarì la gola, imitando il timbro melodioso che usava Ingveld quando la interpretava. «Così Lenka rispose: "Conosco una scorciatoia che ci farà arrivare da lui, ma io sono una piccola volpe e non ho abbastanza forze per nuotare. Dovrai raggiungere tu Vasilij e portarlo in salvo dal fiume."»
Krija rise di nuovo, coprendosi la bocca con le mani. «Padre, io sono una volpe intelligente o un orso forte?»
La fiaba rendeva ovvia la risposta: Misha rappresentava gli uomini, Lenka le donne. Era evidente persino nei disegni, che usavano forme triangolari e colori brillanti per la volpe, ampi cerchi e sfumature più scure per l'orso.
Alexiej liberò un mugolio pensoso. «Tu cosa vorresti essere?»
«Tutte e due le cose!»
«Allora sarai tutte e due le cose.» Sistemò il nastro di stoffa per tenere il segno e chiuse il libro. «Una pagina, si era detto. Adesso devi riposare.»
«Ma padre! Dobbiamo salvare il leprotto!»
«Lo salveremo domani sera, promesso.»
Krija protestò, agitando le gambe in un mormorio lamentoso che ebbe vita breve. L'attimo dopo si era accasciata sulla sua spalla, con la fronte aggrottata e gli arti abbandonati ai fianchi, come se quel gesto avesse prosciugato ogni energia.
«Mi fa male la pancia» borbottò, il faccino stropicciato in una smorfia.
«Perché ti sei agitata. Si placherà quando sarai sotto le coperte.» Alexiej abbandonò il libro sul comodino. Anche quei dolori erano frequenti nell'ultimo periodo; avrebbe chiesto ad Anesla di andare a controllare che riposasse bene, di tanto in tanto. «Adesso sistemiamoci per dormire.»
«Ma non ho sonno!»
«Krija.»
«Voglio la ninna nanna. Canta per me, padre! Se canti mi metto a dormire, promesso.»
Alexiej sospirò, cedendo ai suoi occhioni azzurri lo supplicavano. «Come si ascolta la ninna nanna?»
Krija liberò un acuto verso di gioia e sgusciò via dalla sua presa, infilandosi alla svelta sotto le coperte. La dottoressa aveva consigliato di farla bere molto, così Alexiej riempì un bicchiere d'acqua da farle sorseggiare prima che si sdraiasse. Le sistemò le coperte fino al mento e lei abbandonò la testa sul cuscino, lo sguardo carico d'impazienza.
«Ninna nanna di diamanti e opali, colori splendenti tra sogni mai uguali. Brillano in cielo, occhi di stelle, silenti custodi delle notti più belle.» Alexiej sedette al suo fianco, lisciandole i capelli mentre cantava. «Ninna nanna di zaffiri e ametiste, canto che dona sorrisi a chi è triste. Smeraldi e rubini, chiamati a suonare, incantano il cuore per farlo volare. Dormi gioiosa nell'arcobaleno, tesoro di gemme nel cielo sereno. Dormi tranquilla fino al mattino, nel bianco candore del bacio divino.»
Le palpebre di Krija cominciarono a chiudersi. Alexiej cantò altre due strofe, accarezzandole il capo finché non sentì il suo respiro farsi quieto e regolare. Le baciò la fronte con cautela, attento a non svegliarla, e si alzò in silenzio. Solo allora notò Ingveld appoggiata contro lo stipite della porta, le braccia conserte e le labbra distese mentre li osservava. Alexiej ricambiò quel sorriso in un cenno d'intesa, ma si mosse senza emettere fiato finché non ebbe lasciato la stanza, chiudendo piano la porta dietro di sé.
«Sei qui da molto?»
«Abbastanza per sentirti cantare. Abbiamo una figlia molto fortunata, la tua voce sarebbe in grado di ammaliare persino una Chimera.» Gli fece cenno di seguirla e avanzò lungo il corridoio, alzando il volume della voce solo quando furono abbastanza lontani. «Oggi mi è sembrata più in forze, hai notato anche tu? È serena quando vede che entrambi siamo in casa.»
«Però è ancora molto debole. I suoi guizzi di energia si esauriscono in fretta.»
«La dottoressa sostiene che sia un sintomo comune, poiché una bambina tende a mutare l'umore più di una persona adulta. Ecco perché dobbiamo tenerla rilassata il più possibile.» Ingveld si fermò davanti alla porta della camera da letto. Alexiej la superò per abbassare la maniglia e lasciò che entrasse per prima, poi chiuse la porta alle sue spalle. «Vederci insieme le fa bene, Alex. Vedere che andiamo d'accordo, che la situazione in famiglia è distesa.»
«Potremmo portarla insieme al parco, se il tempo sarà clemente. Chiede di tornarci da settimane.»
«È una splendida idea!» Il sorriso sul volto di Ingveld si fece più ampio. Si avvicinò facendo ondeggiare la poneva e liberò le mani dalle lunghe maniche per sistemargli il colletto della giacca. «Pensavo anche che potremmo accompagnarti nel tuo prossimo viaggio a Skeld, posto che la salute di Krija migliori a sufficienza.»
«Che ne è del tuo odio verso i viaggi?» chiese Alexiej. Le mani di Ingveld scivolarono sul suo petto per lisciare le pieghe della giacca e lui le allontanò con garbo. «Non darti pena, devo indossarne un'altra per uscire.»
Sua moglie arricciò il naso. Si voltò, dandogli le spalle mentre sollevava le braccia. «E io dovrei cambiarmi per la notte. Mi daresti una mano? Non ho voglia di chiamare Anesla.»
Alexiej la guardò. La giornea rossa e oro che indossava era di stoffa pesante, ma aveva uno scollo ampio e i nastri laterali erano facili da raggiungere. Era certo che sarebbe riuscita a togliere da sola almeno quella, ma non aveva voglia di protestare e la accontentò. Slegò i nodi ai fianchi e sfilò la giornea, poi slacciò la cintura che teneva stretta la poneva. Sua moglie la spinse giù dai fianchi, lasciando che la lunga gonna si afflosciasse al suolo.
«I viaggi sono noiosi, ma la permanenza può rivelarsi gradevole.» Ingveld sfilò la rubakha bianca per rivelare il corsetto di cuoio che le avvolgeva la vita sopra la sottoveste intima. «Skeld è una città deliziosa, potremmo fermarci qualche giorno in più e farla visitare a Krija. L'esperienza la renderà allegra.»
Alexiej cominciò ad allentare poco per volta l'intreccio che stringeva il corsetto. «Prima dovremmo chiedere il parere della dottoressa. Vorrei accertarmi che Krija possa sostenere il viaggio senza ripercussioni.»
Quando i lacci permisero abbastanza gioco, Ingveld sollevò le braccia e Alexiej le sfilò il corsetto dall'alto, avendo cura che non restasse impigliato nelle forcine dell'acconciatura. Il sospiro di sollievo che scivolò fuori dalle labbra di sua moglie rinnovò le perplessità che nutriva su quell'indumento. La moda degli ultimi anni richiedeva una vita sottile per le donne, però molti abiti mantenevano il taglio ampio come da tradizione. Con una giornea calata sulla rubakha, indossare o meno un corsetto non faceva differenza.
Ingveld, poi, non ne aveva bisogno. La Dea Bianca le aveva donato un corpo sinuoso, con fianchi prominenti e busto stretto, ed era bella persino con la sola sottoveste addosso. La stoffa evidenziò le forme generose del seno quando si chinò a raccogliere la gonna, e Alexiej si ritrovò a fissare ciò che lo scollo gli permetteva di scorgere. Desiderò che si piegasse oltre per vedere di più, desiderò spogliarla anche dell'intimo e allora si ridestò, voltando lo sguardo.
Non aveva senso. Ingveld non poteva piacergli, anche se l'ondata di calore nel suo petto sosteneva il contrario. Sapeva che quell'eccitazione era un inganno della sua mente, la risposta a ciò che per troppo tempo aveva considerato l'unica normalità possibile, ma comprenderlo non era stato sufficiente. Le donne non sortivano alcun effetto su Edvokin, perché lui era ancora vittima di quella confusione?
«Alex.» Ingveld gli sfiorò una mano e la strinse nella sua. «Devi proprio andare?»
No, sarebbe stato ciò che avrebbe detto qualunque altro giorno, ma non quello. Non aveva più visto Edvokin dopo che l'aveva lasciato solo al bivacco, ed erano passati quattro giorni da allora. I loro incontri non erano frequenti in quel periodo, ma chiarire quanto successo era una necessità che gli straziava il petto. Doveva avere delle risposte, cercarle da sé lo stava facendo impazzire.
Sua moglie sospirò, facendosi più vicina. Gli aprì il palmo e lo portò al viso, posandovi contro la guancia. «Anch'io ho dei bisogni, sai? Sarebbe un'idea così terribile provare di nuovo a soddisfarli l'un l'altro?» Accompagnò la sua mano più in basso, sfiorando il collo e le clavicole fino a raggiungere i seni.
Alexiej la ritirò in un sussulto. «Inga, cosa—?»
«So di non esserti indifferente, Alex. Non hai forse provato piacere quando abbiamo condiviso il letto?»
«Non ha alcun significato. Sai che non è reale.»
«Conta solo la risposta, il resto non ha importanza.»
Alexiej si accigliò. «Aveva importanza quando mi hai respinto. Hai detto che le mie inclinazioni erano disgustose, che non riuscivi a tollerarlo.»
«Trovi così assurdo che abbia cambiato idea?» Il tono di Ingveld si addolcì. Lo guardava con occhi languidi, le labbra dischiuse mentre gli sfiorava il viso. «Non ho chiesto se sia vero, ma se ti è piaciuto. Se eri eccitato mentre ti baciavo, ti toccavo, mentre giacevi con me.»
La gola si annodò in un fastidio difficile da ignorare. Non era mai stato con nessuna donna, prima di lei. Forse era solo perché Ingveld sapeva già come soddisfare un uomo, ma era stato più semplice di quanto avesse creduto. Non l'aveva neppure premeditato, era solo successo: dormivano nello stesso letto da un anno e lei era affascinante, le sue labbra così invitanti, le sue mani...
Deglutì. «Sì.»
«Allora—»
«Non si tratta solo di soddisfare dei bisogni, Inga. Non più. È per lui che vado.»
L'espressione di Ingveld si congelò. Gonfiò il petto in un respiro profondo, le braccia rigide lungo i fianchi. «Capisco. Sarebbe sconveniente tradire il tuo amante con tua moglie. La vostra relazione è così profonda da avergli già consegnato la tua fedeltà? Per caso vuoi che vi assista per legare lo svad'ba attorno alle mani?»
«Anche tu hai avuto amanti in passato, eravamo d'accordo che—»
«Lo ami?» lo zittì lei, gli occhi rosa che bruciavano sotto le sopracciglia aggrottate. «Alex, lo ami?»
Il sorriso di Edvokin gli riempì la mente. Il suono argenteo della sua risata, il profumo dell'alcol che si trascinava dietro, il calore della sua schiena contro il petto. C'era un mondo intero racchiuso nei suoi occhi, e quando Alexiej ne aveva incrociato lo sguardo era diventato anche il suo.
«Sì, lo amo. Più di quanto saprei dire a parole.»
«Allora sei più sciocco di quanto pensassi.» Ingveld gli diede le spalle e si affrettò alla toletta, smontando l'acconciatura in gesti nervosi. «Sei un illuso se speri che ricambi i tuoi sentimenti. Invertito o no, un libertino resta un libertino: quelli come lui sono identici tra loro, non hanno a cuore nessuna delle persone di cui si circondano. Sono solo bravi a fingere, a incantarti con belle parole e ad ammaliarti con il loro carisma, senza esitare a gettarti via quando si saranno stancati di te.»
«Eppure ti piaceva quando speravi che sposasse una delle tue cugine.»
«Pensavo avessi già compreso che il matrimonio ha ben poco a che fare con l'amore.» Liberò la lunga treccia che le avvolgeva la testa e la adagiò sulla spalla, restando ferma per qualche istante a fissare lo specchio. «Non troverai in lui nient'altro che delusione. Goditi il momento in cui ti lascerà credere di essere la ragione della sua esistenza, e prega Beyled che non faccia troppo male quando ti pugnalerà il cuore. Quantomeno tu non corri il rischio di restare incinta.»
«Tu non lo conosci. Edvokin non è l'uomo che pensi. Lui è—»
«Un affabulatore. Ha ingannato l'intera città così bene che non avrei mai creduto alla vostra tresca se non l'avessi sentito dalle tue labbra. Un uomo così può farti credere di essere ciò che vuole, cosa ti fa pensare di poterti fidare di lui?»
Alexiej incrociò il suo sguardo attraverso lo specchio, ma le labbra faticarono a schiudersi. La bocca era così secca che la lingua si era attaccata al palato, il petto faceva male come se il cuore non avesse spazio a sufficienza per battere. Lo sentiva spingere per liberarsi, ma ogni sforzo lo imprigionava sempre di più.
Si fidava di Edvokin. Si fidava dell'uomo che era riuscito a scorgere nei suoi occhi, nelle sue parole, nei suoi gesti. Conosceva la persona che era dietro la maschera e lo amava per questo, ma allora perché l'aria si bloccava nel suo stomaco? Perché il ricordo di quel giaciglio vuoto continuava a tormentarlo?
«Lo so e basta. Lo sento» disse, ma suonava così incerto quando lo pronunciava ad alta voce.
«Lo senti? Colori, Alex, sei così ingenuo...» Ingveld rise di nuovo. Raccolse la treccia tra le dita e cominciò a sfilarla. «Va' da lui, allora. Dal tuo grande amore. Comprenderai a tue spese chi di noi aveva ragione.»
L'asfissiante penombra del Nezdvi premeva sulla sua fronte in una fitta perenne. Le sfumature desaturate delle pareti erano così cupe che neanche la luce delle Pietre di Sihir riusciva a illuminare la sala, disegnando ombre intense sui colori distorti. Il ghiaccio nel suo bicchiere si era sciolto del tutto, annacquando il liquore di cui non aveva bevuto neppure un sorso. Avrebbe potuto voltarsi e rimuovere la parte bassa della maschera per dissetarsi, ma non riusciva a staccare gli occhi dal tavolo in fondo alla sala, dove Edvokin era seduto.
Erano d'accordo sul non rendere troppo ovvia la loro preferenza reciproca. Non era proibito appartarsi con la stessa persona a ogni visita, ma una relazione andava contro le regole e avrebbero potuto vietare loro l'ingresso se li avessero scoperti. Avrebbero trascorso almeno un quarto d'ora a bere qualcosa e conversare con gli altri ospiti, poi avrebbero cercato l'occasione per avvicinarsi. Uno dei due avrebbe offerto un bicchiere di slivovitz all'altro e, una volta bevuto, tutti avrebbero compreso.
Se l'orologio a pendolo accanto all'ingresso non mentiva, Alexiej era seduto a quel tavolo da oltre mezz'ora. Gli uomini con cui stava chiacchierando si erano già allontanati ed era rimasto solo, ma Edvokin non si era ancora avvicinato. Possibile che non l'avesse visto?
Quella sera, come ogni sera, lui era circondato da un discreto numero di avventori. Anche con la mezza maschera da lince calata sul viso, i capelli nascosti sotto il platok e senza il prestigio del suo cognome, Edvokin era sempre in grado di concentrare l'attenzione su di sé. Aveva catturato anche la sua, la prima volta che l'aveva visto; era stato Alexiej ad avvicinarsi, a offrirgli il loro primo slivovitz, ma non era sicuro di aver davvero preso iniziativa. Non gli sembrava di aver avuto alcuna scelta. La lince gli aveva rivolto lo sguardo, aveva sorriso e lui non era stato più in grado di pensare a nient'altro.
Sembrava che non vi fosse luogo più naturale per Edvokin che al centro di una folla adorante. Elargiva sorrisi, ammaliava con il suo gesticolare, sorseggiava liquore come fosse acqua. Alexiej riusciva a immaginare i brillanti commenti sarcastici che facevano ridere gli astanti, i seducenti elogi con cui conquistava il loro interesse.
Invertito o no, un libertino resta un libertino.
Non lo infastidiva. No, non lo infastidiva di solito, ma quella sera il cuore si dibatteva senza darsi pace e ogni sorriso era un'unghia spezzata che raschiava il suo ventre. Di solito non aveva importanza, perché era lui che Edvokin sarebbe andato a cercare, era l'unico di cui avrebbe accettato lo slivovitz, l'unico che avrebbe scaldato il suo letto. Era stato così per tanto tempo che di solito l'avrebbe considerato ovvio, ma quella sera...
Si alzò, lasciando il bicchiere sul tavolo. I muscoli guizzavano in spasmi che gli impedivano di restare fermo e l'aria intrisa di fumo e alcol stava diventando irrespirabile. Usò ciò che restava del suo autocontrollo per mantenere un passo regolare mentre si avvicinava al tavolo di Edvokin, unendosi agli uomini mascherati che lo attorniavano.
Doveva dirglielo. Dirgli che lo amava, che voleva essere più di un qualcosa di indefinito, più di un amico con cui bere qualcosa quando ne avevano occasione. Doveva dirgli che il suo nome riempiva i suoi pensieri e la sua presenza dava gioia alle sue giornate, che farsi scoprire da lui era stata la cosa migliore che gli fosse mai capitata, che non ricordava più come fosse possibile vivere senza di lui e non gli importava.
Doveva dirglielo, e doveva sapere se per lui era lo stesso. Non avrebbe avuto pace finché non avesse scoperto cosa l'aveva spinto a lasciare quel bivacco. Ricambiava il suo amore o lo vedeva solo come una delle tante maschere del Nezdvi? A renderlo speciale era solo il fatto che fosse l'unico di cui avesse visto il volto?
Edvokin alzò gli occhi e incrociò il suo sguardo. Lo seguì con lo sguardo mentre si alzava, ignorando il bicchiere ancora pieno per metà sul tavolo per ordinare dello slivovitz, e distese le labbra sotto la maschera.
Sorrise e l'aria sembrò più leggera. Alexiej riempì i polmoni fino in fondo, sentendo le angosce dissolversi. Il cuore rallentò i battiti impazziti e la tensione liberò i muscoli e la mente, allentando il cerchio alla testa. Avrebbe dovuto dirgli anche questo, che aveva il potere di distruggerlo e ricostruirlo senza neanche dire una parola.
Le dita affusolate di Edvokin avvolsero il bicchiere. Le luci delle Pietre di Sihir esaltarono le sfumature dorate del liquore mentre lo sollevava, ma ogni colore si spense quando lo offrì all'uomo con la maschera del lupo alla sua destra.
Lui afferrò il bicchiere, portandolo alle labbra. Bevve.
E Alexiej restò immobile a osservare il suo mondo cadere in pezzi mentre salivano al piano superiore.
... Bene, io me la squaglio, addio!
Da dove cominciare? :') Krija sta "bene ma non benissimo", Ingveld cerca di sedurre Alexiej in bi-panic e Edvokin... Si è messo di impegno per prendere tutte le decisioni sbagliate, a quanto pare.
Abbiamo visto il suo POV e sappiamo che Ingveld si sbaglia su di lui, ma sia lasciare Alexiej da solo che andarsene con un altro proprio davanti a lui sono stati davvero dei colpi bassi :c
Pareri? Ipotesi? Insulti per l'autrice?
Io nel dubbio vi do appuntamento al prossimo capitolo!
Bạn đang đọc truyện trên: Truyen247.Pro