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Capitolo 11 - Veri colori

Ovunque guardasse c'era lavanda. Cresceva così alta da oscurare le pareti scure del Nezdvi, abbracciando il letto tra i suoi cespugli. Lo specchio abbandonato sui cuscini rifletteva la maschera della lince che aveva sul volto e i capelli verdi che cadevano scomposti ai lati, ma nient'altro. Il suo corpo era immerso nella penombra, il suono dei suoi respiri ansimanti si perdeva in un silenzio ovattato. Sentiva i gemiti di Alexiej alle sue spalle, le sue mani calde che gli stringevano i fianchi mentre affondava dentro di lui.

«Edvik...» Ogni spinta apriva una nuova crepa sulla maschera, ma non riusciva a scorgere il suo volto nello specchio. «Edvik, Edvik, Edvik...»

«Edvokin!»

Spalancò gli occhi. Mari stava bussando con violenza sulla porta e quello non doveva essere il primo richiamo che urlava. Tirò su il busto troppo in fretta, le linee in penombra della stanza oscillarono e la mente si svuotò per un istante, come se non fosse rimasto che il cranio a pesare sul collo. Strinse gli occhi quando Mari chiamò di nuovo il suo nome e una fitta gli trapassò la testa. Si alzò con cautela, afferrando una vestaglia da indossare prima di aprire la porta.

«Finalmente!» Mari prese fiato, ma qualunque cosa volesse aggiungere morì in un verso strozzato mentre strabuzzava gli occhi. «Beyled candida, sei un disastro.»

«Gentile da parte tua svegliarmi appositamente per farmelo presente.»

«No, intendo dire— Lascia stare, ne parliamo dentro.»

Mari sgusciò all'interno della stanza senza lasciargli tempo di replicare. O forse il tempo c'era, solo che le sue reazioni erano... Era lei a muoversi troppo veloce o la sua mente che non era in grado di seguirla?

Inspirò a fondo, massaggiando la fronte. «Cosa ti avevo detto riguardo al restare soli nella mia camera da letto?»

«Che qualcuno potrebbe pensar male se ci trovasse chiusi qui dentro di notte.» Mari spalancò le pesanti tende doppie che coprivano la finestra. «Non è notte.»

La luce che lo travolse era così intensa che dovette riparare gli occhi dietro una mano. «Colori, Mari! Chiudine almeno una, per l'amor di Beyled!»

Lei sbuffò, ma subito dopo Edvokin udì il suono degli anelli trascinati sul binario e la luminosità si attenuò abbastanza da riaprire gli occhi.

«Hai di nuovo saltato il pranzo.» Mari scostò con un piede una delle bottiglie vuote che giacevano sul pavimento. «Nostra nonna è a un passo dall'esaurire la pazienza. Vuole chiamare una dottoressa perché controlli il tuo stato di salute, a meno che tu non stia male non sorvolerà su un'altra assenza ingiustificata dai pasti.»

«E come potrà punirmi più di quanto non abbia già fatto? Mi impedirà di uscire? Di duellare? O magari anticiperà la mia decisione alla prossima settimana?» Edvokin sbuffò una risata amara. Si sedette sul letto e si lasciò cadere di lato, coprendo con un braccio il viso abbandonato sul cuscino. «Che faccia pure una di queste cose o tutte quante, non ha importanza.»

Un nuovo sbuffo. Edvokin sentì le unghie di sua cugina tintinnare contro il vetro, poi il suono acuto delle bottiglie che stava spostando o accatastando insieme. «Dea, Edvokin... Quanto hai bevuto?»

«La solita quantità di sempre, ossia non ne ho la più pallida idea. Ti dispiacerebbe lasciarmi dormire, adesso? Ho la testa trafitta da decine di spade.»

«Mi dispiace eccome! Te ne stai rinchiuso qui a bere da una settimana, tocchi a malapena cipo e adesso proferisci idiozie. Vuoi dirmi qual è il problema o devo infilzarti con una vera spada?»

«Non c'è alcun problema, ho esagerato con l'alcol perché così mi andava. Ora vai, per favore. Giorno o notte che sia non puoi comunque stare qui, non ho niente sotto la vestaglia.»

Un cuscino lanciato con forza lo colpì sulla testa. «Hai i sassi in testa, non le spade! Che ti prende? Sei un disastro.»

«L'hai già detto.»

«Non sto scherzando, Edvokin. Sei pallido come una statua e sembra che ti abbiano colpito entrambi gli occhi. Da quanto non fai arieggiare la stanza? Sembra che sia morto qualcuno, qui dentro.»

Edvokin afferrò il cuscino che sua cugina gli aveva lanciato e lo schiacciò sul viso. Le tempie avevano cominciato a pulsare, ogni sillaba che Mari pronunciava era un colpo di martello contro la fronte. «Una ragione in più per uscire.»

«Edvokin, per favore. È successo qualcosa? È perché siamo entrati nel mese rosso?»

«Ho solo bisogno di dormire.»

«Dormire non risolverà alcunché e neppure lo farà l'alcol. Non me ne vado da qui finché non—»

«Per l'amor di Beyled, lasciami solo!»

Scattò seduto sul letto, schiantando contro il materasso il cuscino che aveva sul viso. Sua cugina lo fissava con gli occhi spalancati, immobile al punto che sembrava aver smesso di respirare. Il boato delle parole che le aveva urlato contro riecheggiò nella sua mente. Dea, aveva davvero usato un tono così alto?

«Scusami.» Abbandonò il viso tra le mani, affondando le dita tra i capelli. «Non volevo parlarti a quel modo, mi dispiace. È solo... La testa fa davvero molto male. Niente che un po' di riposo non possa risolvere, vedrai che entro stasera sarò tornato come nuovo. E verrò a cena, d'accordo? Tutto sistemato.»

Si sforzò di sorridere, ma poteva sentire le labbra tremare. Tutto sistemato? Se avesse perso la memoria di lì a quella sera forse sarebbe stato vero, o se si fosse addormentato per non svegliarsi più. Se c'erano altri modi per sistemare il disastro che era, non riusciva a vederli; stava cadendo in così tanti pezzi che cominciava a dubitare che fosse possibile rimetterli insieme.

Non aveva idea di come fosse riuscito a sopportare la discussione con Alexiej. Non aveva idea di come avesse fatto a resistere fino a casa per vomitare, liberando il senso di nausea che gli aveva stritolato lo stomaco per tutto il tempo. Tutto il resto l'aveva soffocato nell'alcol, ma quando l'effetto svaniva il vuoto che aveva nel petto era ancora lì.

L'espressione di Alexiej lo tormentava. Il suo sguardo sconvolto, la voce tremante, le sue parole... Avrebbe dovuto allontanarsi da lui quando la loro conoscenza era solo un gioco, quando non era ancora Lesha, quando non avrebbe sofferto della sua assenza neanche un'ora. Aveva aspettato troppo, ma aspettare oltre sarebbe stato peggio, ed era la sua unica consolazione.

Mari si sedette al suo fianco. Teneva gli occhi bassi e le mani raccolte sulle cosce, poi alzò lo sguardo per cercare il suo. «Se ti comporti in questo modo per non farmi preoccupare, sappi che stai fallendo miseramente.» Si spostò di sbieco per farsi più vicina, e catturò una mano nella sua. «Parlami, Edvokin. Ti prego, a costo di fare uno sforzo. Tenerti tutto dentro ti sta distruggendo.»

«Francamente, se dovesse accadere non mi importerebbe.»

Mari strinse più forte la sua mano. Non era davvero più in grado di tenerla fuori dai suoi drammi, non ne aveva le forze. Stava solo peggiorando le cose, ma cos'avrebbe dovuto dirle? C'erano così tante cose che le aveva taciuto...Da dove cominciare? Come poteva spiegarle cose che faticava a comprendere lui stesso?

Sì alzò, vagando avanti e indietro per la stanza. Era una follia. No, era quello che avrebbe dovuto fare anni prima. Aveva detto la verità a Brycen, quanto poteva essere complesso rivelarlo a lei? Abbastanza da accrescere il senso di nausea e far rimbombare il battito cardiaco in tutta la gabbia toracica – o forse quelli erano solo i postumi dell'ubriacatura. Non lo sapeva più. Non sapeva più nulla. Tenersi tutto dentro lo stava davvero distruggendo, logorando ogni sfumatura della sua anima.

Basta.

«Ho mentito» sputò fuori. «Quando ti sei dichiarata a me, ho mentito. Non è vero che non voglio sposarmi, è che non potevo sposare la persona di cui ero innamorato.»

«Lo so. L'ho capito molto tardi, ma l'ho capito. Non te ne faccio una colpa, è chiaro che non volessi rovinare l'amicizia tra me e Beth. Dea, ero talmente ossessionata...»

«Beth?» Edvokin sentì l'espressione distendersi in uno sbuffo ilare. «Pensi che fossi innamorato di Bethelie?»

«Non è così?» Mari sfarfallò le ciglia sotto la fronte aggrottata. «Ero certa che... Voglio dire, il tuo sguardo era sempre rivolto verso di lei. Non trascorrevi mai troppo tempo con noi in sua presenza, punzecchiavi lei e Brycen come se fossi geloso.»

«Ero geloso, ma di lei.» Chiuse gli occhi. Respirò a fondo, poi li riaprì. «È Brycen. La persona di cui ero innamorato è Brycen.»

Mari prese fiato in un respiro strozzato, un suono aspirato che la lasciò a bocca aperta. Il suo viso mutò espressione così tante volte in così poco tempo che Edvokin non era certo di essere riuscito ad afferrarle tutte.

«Oh, Dea. Oh, Dea. Questo spiega... molte cose. Oh, Dea. Lui lo sa?»

«Adesso sì. Gliene ho parlato poco prima che ripartisse – fuggisse, per meglio dire.»

«Oh... Dunque sono l'ultima dei tre, come sempre.» Si tappò la bocca con la mano in un sussulto. «No, scusami. Scusami, era cattiva, non dovevo dirlo. È solo che mi aspettavo qualunque cosa meno che questo. E che razza di domanda era? Colori, è tutto sbagliato, sono così sciocca... Posso rifarla?»

Edvokin aggrottò la fronte. «Cugina, temo di aver perso del tutto il filo dei tuoi pensieri.»

«La mia reazione. Ti prego, permettimi di rifarla. Dimmelo di nuovo.»

«Mari—»

«Per favore, accontentami.»

Edvokin sbattè le palpebre. Forse nausea e capogiro non erano colpa dei postumi, forse era ancora ubriaco. «La persona di cui ero innamorato è Bryc—»

Le braccia di sua cugina gli circondarono il busto. Schiacciò il viso contro di lui, si avvinghiò alla sua schiena e strinse più forte che poteva. «Grazie di avermelo detto. Mi dispiace che tu abbia dovuto sopportarne il peso da solo.»

Qualcosa nel petto di Edvokin si sciolse, scivolando via insieme all'aria. Sentì le labbra distendersi, i grovigli dei suoi pensieri districarsi in nodi meno fitti. Si era preoccupato così tanto, così tanto... E Mari non aveva detto neanche una delle frasi che aveva pensato. La strinse a sé, respirando il profumo di limone tra i suoi capelli. Persino il vuoto sembrava un po' più sopportabile finché c'era lei a riempirlo.

«È per questo che ti sei ubriacato tanto?» Mari allentò la presa quel tanto che bastava per guardarlo negli occhi. «Sei ancora innamorato di mio fratello?»

«No.»

«E allora qual è il problema?»

Alexiej, suggerì la mente, ma non era vero. Era lui stesso il problema, la sua incapacità di convivere con le decisioni che aveva preso, l'essersi spacciato per un diamante quand'era solo vetro.

«Siediti» sussurrò, distogliendo lo sguardo. «È un po' complicato da riassumere.»

Raccontarlo ad alta voce era strano. Ripercorrere i suoi ricordi da quella prima sera al Nezdvi, dal ricevimento per festeggiare Krija, era strano. Non credeva che sarebbe stato possibile tradurre tutto in parole fin quando non udì la sua stessa voce pronunciarle, eppure vennero fuori da sole, senza che dovesse pensarle. E più articolava una frase dietro l'altra, più rispondeva alle domande di sua cugina, meno riusciva a capire quando le cose tra lui e Alexiej erano cambiate, né come o perché. La sua mente non era più in grado di distinguere tra prima e dopo, l'attimo prima era uno sconosciuto e quello dopo non poteva fare a meno di lui. Suonava così ridicolo, assurdo, ovvio. La possibilità di innamorarsi di lui non aveva sfiorato la sua mente finché non era successo. Finché non era già troppo tardi. Finché non gli aveva detto addio.

«E lo hai lasciato lì per quell'uomo?» chiese Mari, tesa come la corda di un gusli. «Perché?»

«Le parole non sarebbero mai state sufficienti, dovevo fare qualcosa.»

«Sì, ma... Perché?»

«Adesso crede che per me non fosse nulla di serio, perciò qualunque cosa ci fosse tra noi è una questione chiusa.»

«Edvokin.» Mari posò la mano sulla sua. «Perché?»

«Perché sarebbe finita comunque!» Si alzò in piedi, le mani premute contro le tempie. Dea, facevano così male che era doloroso persino pensare. «Ho solo accelerato i tempi, così potrà andare avanti con la sua vita senza rimpiangerlo troppo.»

«Cortese da parte tua decidere per entrambi» sbottò Mari. Si tirò su in un frusciare di vesti, sbatacchiando l'ampia gonna rossa e blu del bunad. Anche chiudendo gli occhi, Edvokin riusciva a sentire il suo sguardo di rimprovero che gli bruciava la pelle. «Colori, non so neanche da dove cominciare. Come fai a credere che tutto questo possa avere un senso? Guardati, Edvokin. Ti reggi a malapena in piedi. Ti sei ridotto così per qualcosa che nessuno dei due voleva, e ne parli come se gli avessi fatto un favore! Gli hai fatto credere che non valesse niente, pensi che abbia stappato una bottiglia per festeggiare?»

«Starà bene. Lui...»

Il ricordo del viso stravolto di Alexiej gli annodò la gola. Le cose che gli aveva detto... Dea, sentiva la nausea spingere sull'addome, il sapore acido della bile sul fondo della lingua. Aveva sperato di suscitare una reazione più furiosa, di sentirgli pronunciare rimproveri e insulti, invece sembrava solo ferito.

«Starà bene» ripeté, ma non sapeva più se fosse una certezza o solo una speranza. «Sono certo che si sia già ripreso. Mi sono comportato in modo orribile, avrà capito che non vale la pena di soffrire per me e sarà passato oltre. È meglio che mi detesti, sarà più semplice dimenticarmi. Forse sarà persino felice di avermi perso.»

«Felice? Colori, Edvokin! Non è così che funziona! I sentimenti non sbiadiscono all'improvviso, non importa cosa faccia l'altra persona. Io lo so bene, perché vederti corteggiare tutte quelle ragazze in quel modo frivolo mi faceva impazzire, e nonostante tutto—» Spalancò gli occhi e un lampo di consapevolezza li attraversò. Meditò per un istante, e quando incrociò lo sguardo di Edvokin aveva le labbra serrate in un'espressione severa. «L'hai fatto apposta. Dea, è la stessa cosa, l'hai fatto apposta.»

Edvokin riempì il petto di un respiro denso, che si fermò a metà prima di costringerlo a espirare. «Credevo che ti avrebbe reso le cose più facili.»

«No, non lo ha fatto! Mi ha solo perseguitato perché credevo di non essere abbastanza da suscitare il tuo interesse, perché anche se odiavo il modo in cui trattavi le donne non potevo fare a meno di amarti!» Mari si avvicinò con tanta foga che Edvokin pensò l'avrebbe travolto, invece si fermò a un passo da lui. I suoi occhi ardevano dietro il velo umido che li aveva coperti. «Eccolo, il tuo starà meglio. Mi ci sono voluti cinque anni per riprendermi, spero si avvicinasse al tuo pronostico. Avrei preferito che mi dicessi che amavi qualcun altro, l'avrei accettato più facilmente. O forse no, ma almeno sarebbe stata la verità. Parte della verità. Quantomeno sarei stata male per il motivo giusto

Lo colpì al petto in una leggera spinta prima di dargli le spalle. Tenne la testa alta mentre espirava, ma Edvokin riuscì a scorgere la mano che sollevò per asciugare gli occhi.

«Mari, io...» Edvokin allungò un braccio, ma si fermò prima di sfiorare la sua spalla.

Aveva promesso che non l'avrebbe fatta piangere mai più. Aveva promesso che l'avrebbe salvata a qualunque costo dalla sofferenza di un amore non corrisposto. Credeva di esserci riuscito, credeva... Dea, cos'aveva fatto?

«Perdonami. Farti stare male era l'ultima delle mie intenzioni, pensavo che... Oh. Beyled.» Si passò una mano sul viso, premendo le dita sugli occhi stanchi. «Mi dispiace. Volevo solo che smettessi di amarmi. L'ho fatto pensando al tuo bene, ti prego di—»

«Dici sempre che pensare è la cosa che ti riesce peggio, forse per una volta avresti dovuto ascoltare te stesso» disse Mari. Aveva gli occhi ancora arrossati quando si voltò, ma non lacrimava più. «Non ha importanza. Ormai appartiene al passato. Se vuoi scusarti davvero, non rifare lo stesso errore due volte.»

«Non è così semplice. Questa è una situazione molto differente dalla nostra.»

«Sì, perché non eri innamorato di me, ma lo sei di Alexiej. Il che rende tutto questo sette volte più stupido. Perché non gli hai detto questo? Chi ha deciso che sarebbe finita comunque? Colori, Edvokin. Ci hai sempre detto di non accontentarci, ci hai spronato a inseguire lo scenario migliore, a fare qualsiasi cosa per raggiungere ciò che vogliamo. Perché vuoi privarti persino dell'opportunità di provarci

«Perché non sono l'uomo che Alexiej crede io sia.» La voce tremò, superando a fatica la gola. «Lesha è migliore di me sotto ogni aspetto, lui è... iridescente. È onorevole, coraggioso, intelligente. Razionale, ma non noioso. Rigoroso eppure sensibile. È uno splendido padre, un amante strepitoso, un tracciatore eccellente... Vedessi i suoi taccuini, Mari. Straripano di una passione che io posso solo immaginare. Ci sono così tante sfumature in lui che sono impossibili da contare, mentre io non ne possiedo neppure una. Non sono né sarò mai meritevole di stare al suo fianco.»

Mari sfarfallò le ciglia, fissandolo con occhi stretti. «Edvokin... Che stai dicendo? Sei tra le persone migliori che conosca.»

«Non ne dubito. È quello che ti ho fatto credere, che ho fatto credere a tutti, ma questo è ciò che sono davvero. Un completo disastro.» Allargò le braccia, mostrando ciò che la sua stanza aveva da offrire. Un letto sfatto in mezzo a bottiglie vuote, schegge di legno, abiti gettati ovunque. Due dei quadri che pendevano alle pareti erano scheggiati, la pianta nell'angolo era morta, lo specchio a figura intera era storto. Il lusso dei suppellettili perdeva ogni pregio in quel disordine, e persino il verde delle pareti sembrava spento. «Sono una frode. Ferro placcato d'oro. L'unica cosa in cui sono bravo è orchestrare un bello spettacolo, e oggi ho fallito persino in questo. Quanto tempo credi che sarebbe passato prima che Alexiej se ne rendesse conto? Prima che realizzasse di aver sprecato il suo tempo dietro a un banale riflesso? Io non ho niente da dargli, Mari. Non può funzionare.»

«Di certo non puoi dargli alcun acume, perché è evidente che si sia dissolto tutto nell'alcol che hai bevuto» sbottò Mari, e il suo viso si infiammò al punto da arrossare le guance. «O forse pensi che noi tutti siamo degli idioti, poiché ci siamo fatti ingannare in modo così becero. Che stolti, per esserti rimasti al fianco in tutti questi anni senza renderci conto che il nostro affetto era rivolto a una maschera! Credi questo? Credi che io sia qui a parlare con te perché sei stato così bravo a fingerti ciò che non sei che non sono stata in grado di vedere il tuo raggiro?»

«Non intendevo questo» borbottò. «Non ho mai pensato—»

«Lo so, perché sarebbe stupido e tu non lo sei. Sei astuto, coraggioso, leale e affettuoso. Lo sei, per le sette sfumature, lo sei sempre stato.» La sua espressione si addolcì dopo l'ennesimo sbuffo, e le labbra piene si aprirono in un sorriso leggero. «Io ti amo ancora, Edvokin. Come un fratello, non più come un marito, ma ti amo. E se pensi sia solo perché sei attraente o carismatico, allora mi vedo costretta a rimangiarmi quanto detto sul fatto che tu non sia stupido. Non sei una frode, sei la persona che mi ha risollevato quand'ero distrutta. Sei stato tu a darmi la forza di tornare a camminare, tu mi hai permesso di credere che avere due dita in meno non fosse un problema. Brycen era a pezzi e tu l'hai rimesso insieme, senza neanche sapere cos'era successo. Ogni volta che avevamo bisogno di te sei sempre stato al nostro fianco.»

«Certo che l'ho fatto, siete i miei cugini.»

«E pensi sia ovvio? Hai dato un'occhiata alla nostra famiglia?» Mari soffiò una risata nervosa. «I nostri cugini continuano a deridere Gavriil, tu hai rinunciato alla tua serie di vittorie e scheggiato il tuo onore per permettermi di sposarlo. Cos'avresti finto, il fatto di essere disposto a tutto per le persone che ami? Hai dimostrato che è vero. Avresti finto che sei divertente? Che sei perspicace, che hai sempre qualcosa di interessante da dire? Allora dovrò farti i miei complimenti su questo, perché in pochi saprebbero riuscirci così bene. Cos'altro, il tuo amore per il combattimento e le altre abilità in cui eccelli? Il fatto che sai sempre come migliorare le giornate che sembrano più terribili? Beyled candida, com'è possibile che tu sia l'unico a non vedere i tuoi veri colori?»

«Io...» boccheggiò, ma la mente non gli suggerirgli alcuna risposta.

Voleva negare. La necessità di farlo strisciava tra le ossa, bussava ad ogni pulsazione tra le tempie, ma sua cugina lo guardava con occhi tanto intensi che non osava pensare di contraddirla. Era troppo concedersi di pensare che potesse avere ragione, almeno in parte? Che forse qualcosa di buono gli apparteneva davvero, che potesse vantare più di qualche vittoria nell'arena?

«Io li vedo, Edvokin.» Mari gli prese il viso tra le mani, sistemandogli i capelli sciolti dietro le orecchie. «Vedo le sfumature che ti rendono una persona meravigliosa e quelle che ti rendono un disastro, e le accetto tutte così come sono. Penso— no, sono certa che per Alexiej sia lo stesso. Sono certa che se fosse qui ad ascoltare le sciocchezze che dici ti darebbe uno schiaffo. O forse no, non ho idea di che uomo sia, ma lo hai definito intelligente, sicché come minimo ti farebbe notare che stai proferendo un'infinità di scempiaggini.»

«O potrebbe darmi ragione. Non sono così forte. Sono in grado di sopportare quello sguardo solo per qualcosa che non ho fatto.»

«E cosa pensi che otterrai lasciandogli credere di essere una persona tanto superficiale? Si sentirà uno sciocco per aver ceduto alle tue lusinghe, si angoscerà all'idea di non valere niente ai tuoi occhi. I momenti che avete passato insieme diventeranno un tormento e chissà quanto gli sarà difficile fidarsi di nuovo di qualcuno, aprirgli il cuore in quel modo. Pensavi di salvarlo e invece l'hai distrutto.»

Edvokin si irrigidì. Un invadente formicolio gli attraversò il corpo, e i sensi si annebbiarono per un istante. «Non puoi saperlo.»

«Neanche tu.» Mari gli afferrò la mano e Edvokin si accorse in quel momento di stare tremando. «Se vuoi sapere che tipo di persona sei, allora domandati questo: preferisci mentirgli e distruggere la possibilità che avete di stare insieme per qualcosa che potrebbe non essere vero? Preferisci farlo soffrire pur di salvare te stesso?»

«No. No, io...» Strinse la sua mano. «Io non so se ne valgo la pena.»

«E lui? Lui cosa vale?»

«Tutto.»

Mari sorrise. Gli accarezzò una guancia, asciugandogli una lacrima che non si era reso conto di aver perso. «Allora dovresti farglielo sapere.» 



CHE DIRE, EDVOKIN SE LA PASSA BENISSIMO :D

Per fortuna c'è Mari a salvare la situazione! Finalmente (complice anche il fatto che stia uno schifo) Edvokin riesce ad aprirsi con sua cugina, che non esita a dirgliene quattro e fa di tutto per fargli capire che i suoi timori sono infondati e che, a prescindere da questo, Alexiej non merita il trattamento che gli ha riservato.

Edvokin credeva  di fargli un favore, pensando che se Alexiej l'avesse creduto una persona orribile non sarebbe stato poi così male per lui, ma le cose non sono mai così semplici e lineari. E soprattutto non è una scelta che spetta a lui u_u

Spero comunque che si sia compreso quanto sia profondo il senso di inadeguatezza di Edvokin ç_ç

Parrebbe aver capito di essersi comportato come un FESSO di dimensioni epocali... Dopotutto anche i migliori sbagliano! E ora non resta altro da fare che parlare con Alexiej 👀


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