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Capitolo 7 - Un passo indietro

Ocean

Mi sento un verme, un vero figlio di puttana.

Non me ne è mai fregato un cazzo di quello che provavano gli altri, ma lei...

Dio, quegli occhi terrorizzati! Il fiato corto, il sudore sulla fronte, i tremori.

Cos'ha passato quella ragazza? Chi è stato a farle del male? E, soprattutto, perché?

So che ha detto tutte quelle cattiverie solo per vendicarsi del modo in cui la stavo trattando e di certo me le merito, una per una.

Quando guardo i suoi occhi chiari, dolcissimi e spaventati, ci leggo solo bontà e grandi sofferenze.

Le stesse che ho sofferto io. Forse diverse ma intense allo stesso modo.

Eppure sembra che a lei quel male non l'abbia contaminata. Apparentemente ha l'aria serena, sembra felice di essere qui alla UM.

E chi sono io per rovinarle la vita? Voglio scoparla, cazzo, è bella da fare paura e solo a pensarla mi si rizza l'uccello nei pantaloni, ma... non a questo prezzo.

Non se la mia vicinanza la fa sentire così poco al sicuro.

Non se il mio modo di fare le ricorda una violenza che vuole dimenticare.

Ecco perché ho scelto di fare un passo indietro.

È la cosa più giusta per lei e, forse, anche per me.

Quella rossa dall'aria da bambola mi sta fottendo fin troppo il cervello, senza di fatto fare niente.

La penso costantemente, affolla la mia testa più di quanto vorrei.

I sogni peccaminosi che la riguardano sembrano fin troppo veri, quasi come se potessi toccarla con mano; non riesco proprio a immaginare come potrebbe essere se fosse reale.

«Ehi, Emerson!»

Mi volto e trovo Tanner, con l'aria incazzata e le mani chiuse a pugno, come a cercare di trattenere la rabbia.

«Sanders» saluto, svogliato, continuando a camminare.

Una mano mi costringe a voltarmi e mi trovo col suo viso a pochi centimetri dal mio.

«Non ti azzardare mai più a fare una cazzata come quella di prima! Io mi gioco tutto per il tuo comportamento del cazzo» strilla.

«Sta' calmo, coglione! Ho chiesto scusa e ho fatto dietro front. Che altro avrei dovuto fare?»

Provo a stare buono, anche se il suo atteggiamento del cazzo non aiuta. Non mi piace che qualcuno si metta faccia a faccia con me in questo modo.

Se mi provoca ancora, io...

«Certo, dietro front! Dopo che quella poveretta stava per svenire per un attacco di panico. Ma che razza di problema mentale hai, eh?»

Mi spintona e non ci vedo più.

Lo attacco al muro e mi avvicino al suo orecchio, scandendo bene ogni parola.

«Toccami un'altra volta e tu e il tuo gemellino del cazzo vi troverete a pulire i cessi dell'università. Non mi gioco la UM per un'inutile scazzottata, ma come sai i miei tutori sono ricchi e non mi ci vuole niente a farvi finire in mezzo a una strada.»

«Fai poco il gradasso, Ocean. Anche i miei sono ricchi» mi ricorda e io ridacchio.

«Mai quanto i miei. E in una gara a chi tira fuori più soldi, chi credi che farebbe vincere il rettore?»

Tace e lo lascio andare. Non mi va più nemmeno di stare qui a perdere tempo.

Ne ho abbastanza di questa merda.

Il più delle volte, minacciare e attaccare al muro qualcuno mi fa stare bene, ma oggi... oggi, dopo ciò che ho fatto a Kayla, voglio solo sfogarmi in altro modo, non di certo facendo a botte.

«E adesso sparisci» ordino e lui lo fa, con la coda tra le gambe. Se ne va, girandosi, di tanto in tanto, a guardarmi, con l'aria mesta, il capo chino e le mani in tasca.

Continuo ad andare nella mia direzione e raggiungo l'aula di informatica, entrando senza permesso e trascinando senza garbo, fuori di lì, Bella Newton.

So cosa le avevo detto l'ultima volta, ma forse è proprio per quello che mi ha confessato che ho bisogno di fottere lei e non un'altra.

Ho bisogno di comportarmi da stronzo, da vero bastardo del cazzo.

Solo così, forse, sentirò meno male. Perché mi illudo che quando infliggo dolore agli altri, il mio, per un po'... sparisce.

«Ocean. Ocean, dove stiamo andando? Ocean, cazzo, ti vuoi fermare?»

«Sta' zitta, Bella.»

Raggiungo uno sgabuzzino degli inservienti e ce la sbatto dentro, richiudendo con forza la porta e saltandole addosso in un nano secondo.

Bella si lascia baciare, ma poi mi ferma.

«Aspetta. Ocean, aspetta.»

«Che c'è?» chiedo, rallentando, leccandole il collo nel punto in cui più le piace.

«Ocean, giochi sporco» ansima ridacchiando.

«E allora? Non c'è niente di pulito in quello che stiamo per fare» dico, aprendole la camicetta sul petto e toccandole i seni, che stringo forte nelle mie mani, prendendo a baciarli.

Bella geme, si aggrappa a me.

«Mi hai trattato di merda, l'ultima volta» mi ricorda ma io non mi fermo, continuando a baciarla e a leccarle le tette, così piccole e insignificanti ma così perfette per la mia bocca che gioca a darle piacere.

«Ti tratto sempre di merda, ma questo non ti ha mai impedito di scopare con me.»

«È vero, ma... Cazzo!» strilla, per il modo assolutamente rude e violento in cui agguanto con la bocca uno dei suoi capezzoli.

Ridacchio e mi sbottono piano i pantaloni, armeggiando prima con la cintura e poi con i bottoni, fino a calarlo quel tanto che basta e tirare fuori dai boxer il mio uccello ingrossato.

«Toccami!» ordino e lei ubbidisce all'istante, incapace di dire di no, mentre io non smetto di baciarla e leccarla ovunque.

La sua mano fredda mi porta a gemere e rantolare versi di piacere che mi fanno rilassare.

«Dio, Ocean! È così bello vederti vulnerabile per me.»

«Non sono mai vulnerabile. Per te meno che mai!»

Ride ma non si scompone, continuando a toccarmi.

«Devi sempre giocare a fare l'uomo tutto d'un pezzo che non deve chiedere mai?» domanda, allontanandomi per un secondo e mordendosi il labbro inferiore.

«Nessun gioco, è la pura verità. Io non devo chiedere mai. E adesso scopami l'uccello» ordino, spingendola in basso verso il cavallo dei miei pantaloni.

Bella lo fa, ubbidendo come una piccola schiava.

Lo azzanna come farebbe un animale e mi fa sussultare per la foga che ci mette.

«Cazzo, sì. Brava, così. Sì, cazzo, lo sai come mi piace.»

Mugugna come a dire di sì e continua, sporcandosi le labbra della sua stessa saliva che cola sul mio pene e lei riprende nella sua bocca, leccando e succhiando, formando delle bollicine che me lo fanno venire ancora più duro.

«Cazzo, Bella, cazzo, sì. Continua così, non ti fermare.»

Ubbidisce e mi porta alle stelle. Chiudo gli occhi e mi sembra di impazzire.

Immagino Kayla farmi questo. Immagino la sua, di bocca, e vado fuori di testa.

Immagino le sue labbra sul mio cazzo. Quelle labbra carnose e rosee.

E, Cristo, mi sembra di volare.

Ma adesso voglio di più. Devo avere di più.

Scosto malamente Bella e la costringo ad alzarsi.

La prendo in braccio e cerco un appoggio, trovandolo su un minuscolo tavolino pieno di detersivi che butto per aria con un gesto secco.

La faccio sedere lì e le apro le gambe di forza, tirando dalla tasca dei pantaloni un preservativo.

Apro la bustina coi denti e sputo, gettando a terra l'involucro e infilandomi il condom in un nano secondo.

Entro in Bella con prepotenza e senza alcun tatto.

All'attrito, lei grida e io la scopo con violenza, senza mai essere calmo o dolce.

Immagino Kayla al suo posto. Immagino che i gemiti di Bella siano i suoi. Immagino lei godere dei nostri corpi attaccati e incastrati.

Vado avanti trivellandola di colpi e spinte, fin quando, esausto, scoppio dentro di lei.

Mi accascio sul suo petto ed esco piano, lentamente, con l'uccello ancora ingrossato.

«Ocean, questo... cosa cambia dopo quanto ci siamo detti l'ultima volta?» domanda, mentre io mi sfilo il profilattico, gettandolo in un cestino.

«Non cambia un cazzo, Bella! I miei pensieri sono sempre gli stessi, lo sai.»

Si avvicina lentamente.

«Ma se solo tu mi dessi l'opportunità di...»

«No!» dico, spingendola via.

«Ma, Ocean...»

«Me ne vado, Arabella» dico, chiamandola col suo nome per intero. Quel nome che odia.

«Sei uno stronzo, Emerson!» ringhia rabbiosa, con gli occhi lucidi e provati.

«Lo so, ma non mi importa.»

Me ne vado senza salutare, come il bastardo che sono.

Come l'uomo di merda che sarò sempre.

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