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Prologue



Sei anni prima
Madrid, Spagna

La vita da solitario era meravigliosa. Niente distrazioni, nessuna donna insicura a cui ricordare di essere bellissima e una sola priorità: sé stessi.

Sean Crane aveva iniziato a vederla così, e questo a seguito della morte dell'unica donna che era mai stata capace di rubargli il cuore.

Cercava di convincersene perché, in verità, Sean amava la compagnia e odiava stare da solo. Amava l'idea di avere qualcuno da riempire di complimenti e odiava essersi ritrovato alla bellezza di quarant'anni, con nessuno ad accoglierlo dal ritorno da lavoro. 

Pensava fosse finalmente giunta l'ora di cambiare le cose, quando sollevò la mano bussando alla porta dell'orfanotrofio di Madrid.

La porta si aprì poco dopo, rivelando un'anziana signora dal sorriso gentile. Due occhi azzurri lo scrutarono attraverso gli occhiali da vista.

«Buongiorno, mi chiamo Marie. Lei deve essere il sig. Crane, giusto?»

L'uomo annuì e questa lo invitò ad entrare, riservandogli un'attenta occhiata. Sean era solito essere una persona elegante e per quell'occasione aveva indossato il suo completo nero migliore.

Lui si guardò intorno, affascinato dagli innumerevoli quadri che decoravano le pareti bianche dell'ingresso. Quadri semplici che rappresentavano la vita di tutti i giorni, mentre innumerevoli piante riempivano il piccolo spazio.

«Ha già parlato con la sig.na Caron, non è così? Al momento è occupata, ma la riceverà a breve. Intanto mi segua, l'accompagno nella sala centrale. I bambini stanno svolgendo le loro attività ricreative.»

L'anziana gli fece strada, raggiungendo l'arco che immetteva al soggiorno. Uno spazio ampio, occupato in gran parte da tavoli per il disegno, giochi e vari strumenti musicali.

Uno in particolare occupava gran parte della stanza: un pianoforte.

«Non è una visione bellissima?» domandò Marie con la parlata lenta e priva di brio, caratteristica delle persone di una certa età.

Sean passò lo sguardo su ognuno di loro che, troppo immersi nelle loro attività, non si erano accorti di lui. Si soffermò su più visi, notando quanto variegata fosse la fascia d'età, finché una in particolare non attirò la sua attenzione. Sembrava starlo già guardando da un po' quando le posò gli occhi addosso.

Gli parve possedere un viso familiare. Sollevò una mano, indicando la bambina dalla morbida chioma castana.

«È proprio lei. La bambina per cui ha fatto richiesta,» annunciò l'anziana signora. «È la più tranquilla, ma anche la più creativa. Dovrebbe sentirla suonare il pianoforte. Quella bambina è un vero portento.»

«Ne sono sicuro. Le dispiace?»

Marie gli diede il consenso, così Sean strinse la valigetta in una mano e si infilò nel soggiorno con passo calmo. I bambini si accorsero dell'uomo e fermarono qualsiasi attività per seguirne i movimenti.

La bambina, intenta a disegnare qualcosa in uno dei tavolini che forniva il centro ricreativo invece, aveva smesso di guardarlo, certa che quell'uomo non si trovasse lì per lei.

«Ciao.» la salutò.

Lei si irrigidì, domandandosi se stesse parlando a lei.

Sean lo notò. «Posso sedermi?»

La bambina non lo guardò mai, annuì soltanto. Il tavolino rosso in cui si trovava era grande, c'era spazio per tutti.

Sean si accomodò per terra, lasciandole i suoi spazi. Lui conosceva lei, ma lei non conosceva lui. Doveva essere cauto, non avrebbe mai voluto spaventarla.

«Qual è il tuo nome?» domandò, nonostante lo conoscesse bene, nell'intento di avviare una conversazione.

Lei però non accennò a risposta. Teneva il capo chino sul foglio con due grandi occhi verdi concentrati nel suo lavoro.

«È un bel disegno,» tentò ancora. La bambina aveva appena finito di colorare il sole. «Ti piace l'estate?»

Lei scosse il capo. «No. Ci sono le zanzare.»

Sean annuì, contento di essere riuscito a farla parlare. «E come mai stai disegnando una spiaggia allora?»

«Perché la neve è difficile da disegnare.»

La osservò passare alle onde del mare col azzurro. Le piaceva la neve, rifletté. Posò gli occhi sulla pila di fogli bianchi proprio alla sua destra e ne afferrò uno.

«Se ti insegno a disegnare un fiocco di neve, mi dirai il tuo nome?»

Lei sembrò pensarci e quando sollevò lo sguardo, quella fu la prima volta che i loro occhi s'incontrarono.
«Va bene.» acconsentì, prestandogli la sua matita.

Sean le sorrise, felice di quella piccola vittoria, e proseguì. Le mostrò passo per passo come disegnare un fiocco di neve e la bambina, che aveva seguito con attenzione ogni movimento, sembrò affascinata dal risultato finale.

«È bellissimo,» commentò. «Posso provare?»

Sean annuì, facendo scivolare il foglio sul tavolino di plastica e lei, seguendo i passaggi che le erano appena stati mostrati, ne disegnò uno affianco.

Si allontanò un po', ammirando il lavoro da distante. «Che schifo.»

Sean rise, sporgendosi un po'. «È solo troppo piccolo, ma i passaggi sono corretti. Riprova.»

Lei non se lo fece ripetere. Incollò il viso al foglio e riprovò, sistemando le proporzioni così che somigliasse a quello che aveva disegnato Sean.

Concluso il secondo tentativo, si allontanò ancora con occhio critico, prima di liberare una smorfia.
«Fa ancora più schifo di prima.»

Sean non riuscì a trattenersi e scoppiò a ridere. La bambina, che poche volte aveva avuto modo di godere di quell'atmosfera felice, lo guardò ammagliata.

Aveva una risata spontanea e melodiosa. Pensò che se gli angeli ridessero, avrebbero di certo creato quello stesso suono.

«Alia,» mormorò. «Mi chiamo Alia.»

La risata sfumò, lasciando spazio ad un clima che prometteva un leggero miglioramento.

Era proprio lei.

Le immagini che gli erano state inviate non rendevano affatto. Dal vivo la somiglianza era notevole. Avrebbe dovuto capirlo subito che era sua figlia. Erano identiche.

«Sean,» si presentò lui a sua volta. «Ti piacerebbe avere nuovamente una famiglia, Alia?»

Lei non si aspettava quella domanda, non così diretta almeno, e l'espressione che palesò ne fu la prova.

Alia aveva passato gli ultimi due anni e mezzo in quell'orfanotrofio con quell'esatto desiderio. Trovare una famiglia con la speranza di un inizio migliore.

Ci aveva sperato ogni giorno, anche quando le famiglie in visita la ignoravano perché interessate a qualche altro bambino. Anche quando era rimasta l'unica bambina nell'orfanotrofio, lei continuava a sperarci.

«Si.» rispose con un filo di voce.
«E la tua sposa?»

Sean abbassò il capo, accennando a un sorriso sconsolato. «Sono solo e sono qui perché, come te, anch'io voglio una famiglia.»

Le si scaldò il cuore. Sean sembrava gentile. Le dava l'idea di essere un uomo per bene. Non il tipo capace di fare violenza, ne tanto meno il tipo che le si sarebbe presentato negli incubi. Per qualche motivo a lei sconosciuto, le ispirava fiducia.

«Se per te va bene, mi piacerebbe portarti a casa con me. Io lavoro tanto, ma farò in modo che non sia un problema. Farò il possibile per essere presente.»

Sean era consapevole del fatto che mancavano giusto le ultime procedure per l'adozione, così, aveva preso un appartamento in centro città a Madrid. Era l'opportunità perfetta per cercare di approfondire il rapporto.

🫧

«La sig.na Caron può riceverla. Io la saluto, devo tornare al lavoro. Ci sono delle camere che attendono di essere spolverate. È stato un piacere sig. Crane.»

«Anche per me, Marie.»

L'anziana sorrise e una volta mostratogli le spalle, Sean bussò alla porta con una strana agitazione a scuotergli i sensi. Non era il tipo che si faceva travolgere dalle emozioni, ma in quel momento, sentiva di non riuscire a controllarle.

«Avanti!» proferì una voce acuta. La stessa che aveva udito un centinaio di volte dall'altra parte della linea.

Sean avanzò, comparendo nell'ufficio della proprietaria dell'orfanotrofio. Lacey Caron.
Sedeva nella scrivania in legno, con lo sguardo basso su una pila di documenti, ma non appena lui varcò la soglia, due iridi verdi lo trovarono.

Gli sguardi che si scambiarono sarebbero valse più di mille parole, ma non sembrava bastare perché Lacey abbandonò la poltrona di pelle, correndogli incontro.

Lo strinse in un abbraccio e i ricordi di un'amicizia passata le bagnarono gli occhi di felicità. Erano passati talmente tanti anni che dubitava lo avrebbe mai rivisto, eppure eccoli lì, stretti in un abbraccio come i vecchi tempi.

«Mi bagnerai la giacca, Lacey.»

Lei gli assestò una pacca sulla schiena, prima di liberarlo. «Sei uno stronzo. Non ci vediamo da sedici anni. È così che si saluta una vecchia amica?»

Sean era incline a nascondere emozioni come quelle, ma Lacey lo sapeva bene. «Non serve che lo dica, vero?»

Lei scosse il viso lentigginoso. «No infatti. Mi sei mancato anche tu. E per la cronaca, se sei ancora single è proprio per questo. Dovresti aver imparato la lezione ormai, no?» esclamò prima di tornare verso la scrivania.

«Non voglio ascoltare di nuovo questa storia, d'accordo? È andata come doveva andare.» si chiuse la porta alle spalle, riservando un'occhiata rapida all'ufficio.

La stanza era piuttosto piccola, ma conteneva tutto il necessario. Una scrivania, un computer e un'enorme libreria. Riuscì subito a cogliere tratti distintivi della personalità di Lacey. Il colore lilla delle pareti, per esempio, una scelta inusuale. Album appesi e dvd su ogni ripiano possibile. Comò e scaffali ripieni di libri, e uno stereo piuttosto ingombrante in cima a questi. Era tutto un pò caotico per un tipo ordinato come Sean, ma non si sarebbe di certo azzardato a dirglielo.

«È andata come tu hai voluto farla andare, che è diverso. E smettila di guardarti in giro, mi metti in soggezione. Siediti, abbiamo parecchio di cui parlare.»

Sean l'ascoltò, osservandola sistemare la scrivania. Era cresciuta, ma sembrava sempre la stessa. Quegli occhi verdi erano caratteristici della famiglia Caron, la sorella li aveva esattamente identici. Lentiggini cosparse un po' ovunque sul viso, mentre le labbra carnose erano illuminate da un gloss. Aveva lunghi capelli castani legati in una coda e indossava camicia e pantaloni.

Al tempo, Sean mai avrebbe creduto di vedere Lacey dietro ad una scrivania. La immaginava a teatro, a suonare il violino accanto alla sorella.

«Mi dispiace tanto per Nancy.» mormorò lui serio. Non aveva ancora avuto modo di dirglielo.

Lacey smise di riordinare, perdendosi sul legno della scrivania. «Già, anche a me. Non preoccuparti per il funerale. Sapevo non saresti venuto.»

Il corpo dell'uomo si irrigidì sulla poltrona. Sean si odiava per non esserci andato. Gli anni passarono, ma i sentimenti per Nancy non erano mai calati. Lui sapeva che non sarebbe riuscito a sopportare il dolore del funerale, così preferì non andarci.

«Ti ringrazio per aver accettato di prenderla sotto la tua cura. Alia non può stare qui.» annunciò Lacey, cambiando discorso.

Parlare della sorella defunta non le piaceva, non lo faceva mai. Inoltre, c'erano cose più importanti di cui discutere in quel momento. La protezione della nipote.

«C'è qualcosa che dovrei sapere?» domandò lui, preoccupato, ma Lacey lo rassicurò subito.

«Mi occuperei io di mia nipote se avessi il tempo e i soldi per farlo, ma purtroppo le cose stanno così e tu sei l'unico di cui mi fida. Alia sta crescendo e ha bisogno di una figura genitoriale che sia a conoscenza del mondo magico. Non posso affidarla alla prima coppia di umani.»

«La denuncerebbero.» rifletté Sean.

Lacey annuì. «E verrebbe giustiziata. Si sta creando una nuova minaccia Sean e l'ambasciatrice farà il possibile per riunire gli ultimi dominatori. Tu devi tenere Alia al sicuro. Il mondo magico non è più come una volta, le persone muoiono per le ragioni più futili.»

Sean corrugò la fronte. «Di quale minaccia stai parlando? Non si sente parlare di dominatori da anni ormai.»

La giovane donna serrò le labbra, costretta al silenzio.
«Non posso entrare nei dettagli. Quello che sto facendo è già abbastanza grave. Lei non dovrebbe lasciare l'orfanotrofio.»

Lui sospirò. Nonostante si fosse innamorato di una di loro, Sean non aveva mai accettato i dominatori e  prima di allora, non aveva neanche idea che Alia avesse ereditato il gene.

Nascondere o aiutare i dominatori era un reato punibile dalla legge. Adottare Alia era rischioso, significava entrarci dentro fino al collo.

«È una bambina, Sean.»

«È una dominatrice. Hai idea delle morti che potrebbe causare un essere fantastico privo di autocontrollo?»

«È una dominatrice dell'acqua! Non è in grado di fare del male a nessuno. E anche se fosse, non ti sto chiedendo di allenarla o aiutarla a controllare il suo potere. Ho fatto creare una gemma apposta. Dovrai solo farlo inserire in un ornamento e assicurarti che lo indossi. Quello bloccherà il potere sul nascere.»

Sean intersecò le iridi nocciola in quelle verdi di Lacey e l'espressione turbata sul viso di lei non poté che costringerlo a ripensarci.

«Mi sembri impaurita, Lacey. Che diavolo succede?»

«Lui vuole lei, Sean. Tu devi portarla via da qui.»

«E se la trovasse? Cosa succederebbe?»

La donna deglutì. Le palpebre le tremarono.
«Trasformerà Alia nel cattivo che nessuno riuscirà a fermare.»





Fofinhas🦭

Eccoci quiiii, finalmente.💗
Non ho molto da dire. Sono al settimo cielo e se doveste avere dei dubbi o domande, non preoccupatevi, state andando bene.
Fatemi sapere cosa ne pensate di questo inizio!

Stellina se vi è piaciuto e io vi aspetto su IG per commentare il capitolo insieme.🖤

Ci vediamo al prossimo aggiornamento.🫂
Grazie mille di seguire UNL.🫧

IG: @karinastrs
Tiktok: @karinastrs

Take care of urself, please.🦋✨
Karina🖤

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