5. LA POTENZA DI UNA RIVELAZIONE
Invece, per Simon, quella notte aveva il peso di un’assenza che di lì a poco sarebbe diventata presenza.
Gesù… Rise fra sè, Padre Simon, intento in una lettura distratta del capitolo cinque del Vangelo di Matteo.
E così, hai voluto fare Gesù Cristo in tutto e per tutto, eh? Pensò a Joshua, chiudendo la Bibbia dalla copertina nera in pelle.
Da quando aveva ricevuto quella chiamata, non riusciva a pensare ad altro, e, anche in quel momento, lasciò che nel suo viso scalfito dalle pesanti prove che aveva dovuto affrontare, si disegnasse un sorriso.
Si alzò con fare svogliato dalla sua seduta per dirigersi a passi trascinati verso il letto con la Bibbia sotto braccio e, mentre sembrava che il ticchettio della lancetta dell’orologio affisso al muro fosse l’unico suono in quella stanza silenziosa, Simon udì dei lamenti provenienti da una delle stanze. Non fece in tempo ad aggrottare le sopracciglia e acuire l’udito che sentì una porta aprirsi e chiudersi e, subito dopo, la voce di Ariel chiamare il nome di Caleb.
Rimase per un attimo in ascolto con gli occhi rivolti al soffitto per capire se intervenire o meno. Sicuramente stava accadendo qualcosa di strano, tuttavia si fermò al centro nella stanza, a pregare. Fu in quel momento che Simon considerò quanto quella chiamata ricevuta giorni prima avesse in qualche modo alterato gli equilibri che si erano creati come oro nelle crepe dei cuori di Filadelfia.
Un po’ come l’amore tra Ariel e Caleb: nato nei primordi della primavera, quando i mandorli mostrano i primi boccioli bianchi tra i rami scuri. Simon si ricordò quanto quel periodo li avesse visti vicini; si erano ritrovati come due cuori scalfiti, in cui il più spezzato ardeva di calore tanto da continuare ad amare nonostante i primi - apparenti - rifiuti.
Per mesi, Simon aveva assistito alla crescita del loro sentimento, così nascosto eppure così evidente: le carezze che lui le riservava, gli occhi di lei pieni di riconoscenza, i sorrisi di entrambi al solo guardarsi da lontano…
Si rese conto di ricordare anche il momento in cui il cuore di Ariel si era completamente abbandonato alla certezza di provare un sentimento verso quel giovane dagli occhi celesti: era stato circa un mese prima.
Li aveva sentiti parlare animatamente dalle scale che portavano alla mensa, tanto che si era avvicinato per capire meglio la situazione: lui l’aveva incalzata, dimostrando che ogni sua azione era dovuta alla natura del Figlio di Dio e non a chissà quale manipolazione. E quando lui le aveva ricordato tutti gli episodi in cui non era stato altro che Caleb, il volto di Ariel si era arrossato, lo sguardo le si era improvvisamente addolcito e le labbra avevano baciato quelle di lui.
Ricordò di aver provato un violento colpo allo stomaco, tanto che, in una risata silenziosa, se l’era data a gambe dal pianerottolo e arrivato nel cortile della struttura si era posizionato al centro, con le mani ai fianchi e un sorriso che da tempo non solcava il suo viso.
In quel presente, però, proprio mentre i piedi nudi che poco prima erano sul tappeto persiano avvertirono il freddo del parquet, decise di andare a vedere se fosse tutto a posto. Non appena aprì la porta, Simon sentì la voce di Caleb e affacciandosi oltre l’uscio vide il giovane prendere in braccio Ariel per portarla nella sua stanza…
Non di nuovo…Una mano sugli occhi, e un piede pronto ad avanzare verso il corridoio. “Che stai facendo, Simon?” Più che un suo pensiero, sembrò un vero e proprio ammonimento.
Sì, Joshua aveva fatto entrare Evelyn nella sua stanza, ma Ariel non era Evelyn e Caleb… E Caleb non è Joshua, rifletté.
Infatti, anche se quel ricordo provocava in Simon una nota di acido in fondo alla gola, questa volta sapeva di potersi fidare di Caleb.
In fondo, quel piccolo fanciullo era sempre stato docile e attento a ogni parola che usciva dalle sue labbra, forse più di quanto non avesse fatto Joshua…
Effettivamente, considerò Simon, mordendosi il labbro. Per di più, si convinse, Caleb me lo hanno portato via Loro con la forza; Joshua ha scelto liberamente di abbandonarmi.
Per sette mesi, dopo la scomparsa di Joshua, Simon aveva assistito alla crescita di Ariel e Caleb, al loro sentimento così nascosto eppure così palese e, silenzioso, serbava quelle immagini come fonti di luce nella sua anima d’improvviso diventata inquieta.
Chiuse l’uscio facendo attenzione a non far cigolare la porta e mentre si dirigeva con passo trascinato verso il suo letto, ripensò al giorno di quella telefonata. Era presente Caleb. Purtroppo… Si massaggiò la fronte con tre dita, e poi si passò entrambe le mani sul volto, mentre, seduto sul materasso, cercava di indagare nei suoi ricordi per capire cosa avesse scatenato quella serie di eventi.
In effetti, Simon, nonostante vedesse la potenza di un amore sincero nella semplicità del loro affetto, nel suo cuore serpeggiava una sorta di timore. Era come se il Cielo lo avvertisse di un pericolo derivante dalle scelte sbagliate che entrambi avrebbero potuto fare; e ci fu un giorno in cui quel presentimento si tramutò in certezza.
Era stato qualche giorno prima, la prima settimana di maggio, sette mesi dopo la notizia dell'esplosione del pub Lithium.
Come ogni domenica, la struttura pullulava di persone, bisognose e non, che si ritrovavano insieme per la fede nel Nome di Gesù Cristo e per ascoltare le parole di Padre Simon. Dopo il culto domenicale, finito il pranzo, Simon si era diretto verso il suo studio e, non appena aveva infilato la chiave nella serratura, aveva sentito il trillo del telefono fisso. Aveva aperto con una certa urgenza, arrivando a rispondere dopo essere inciampato nel tappeto persiano.
«P…Pronto?» aveva risposto, con un presentimento che gli faceva arrivare il cuore in gola.
«S...Simon» una lama nel ventre.
Una voce troppo simile a quella di Joshua lo aveva fatto smettere di respirare. «C...Ci sei? Pronto?»
Gli occhi sbarrati, lacrime copiose, sulle guance, sulla barba, sulle labbra tremule. Quella voce era diventata tutto il suo mondo.
«Sei Tu?» Simon non riuscì a trattenere più i singhiozzi.
«Sì!» La voce alterata dal pianto di Joshua. «Sì, Padre!»
Simon si era dovuto sedere, in preda a dei capogiri che gli facevano tremare le mani.
Avevano parlato tanto, chiarendo, spiegando intenzioni e scelte; solo una cosa aveva interrotto quel fluire di parole: una domanda di Joshua che Simon attese, sperando non arrivasse mai.
Aveva tossito, Joshua, prima di chiedere. «E… Quindi…» tentò. «Come sta Ariel?»
In quel momento, quel nome divenne corposo e consistente, una sorta di velluto nelle corde vocali, come solo il nome di chi amiamo può diventare.
Ma Simon, da padre qual era, avrebbe detto la verità, anche venisse contro di lui.
«E’ stata male, Joshua. A volte ho anche pensato che fosse impossibile stare così male per una persona conosciuta solo nel giro di pochi giorni…» in un sospiro, Simon aveva lasciato intendere quanto Ariel avesse amato quel figlio di Dio che le aveva cambiato l’esistenza in così pochi giorni e così, ricordando al figlio l’importanza della verità, continuò: «Ma, dopo aver saputo da Ariel il modo in cui vi siete lasciati, ho ben capito il motivo di quella sofferenza.»
«Non ero in me, padre…»
«Credo che tu lo fossi, invece, più di quanto pensi…» si strofinò le palpebre, cercando di mantenere un tono tenue. «Ricordo ancora i suoi occhi mentre mi parlava, al ricordo di quel bacio» e con occhi al cielo, lasciò fluire un sospiro.
L'altro inspirò a fatica, quasi come se improvvisamente gli fosse mancata l’aria.
«Non si sarebbe salvata altrimenti» aveva tentato di spiegare Joshua.
«Io li attiravo a me con corde umane, con legami d'amore…» suggerì Simon, citando il profeta Osea.
«Osea…» ricordò Joshua.«È esattamente così…»
«Solo che, a causa di quel bacio, per poco non si è trovata nel braccio della morte…»
«Ho cercato di mettere in pratica quanto mi avevi insegnato…»
«E sei stato impeccabile, tanto che Gesù Cristo ti ha dato la sapienza di dirigere i suoi passi verso Acab. Non si sarebbe salvata dalla tua perdita se non ci fosse stato Caleb…» la pausa, in attesa della reazione del giovane.
«Quindi… Era vero!» la voce di colpo squillante di Joshua. «Era proprio lui! E quindi… Lei…» La lieve inclinazione nella voce del ragazzo e il peso sul cuore del Padre.
Le mani di Simon strinsero il telefono così tanto da rendere evidenti le nocche e la voce docile gli si indurì improvvisamente. «Il cuore di Ariel ora è in pace, insieme a Caleb. Come ho detto: lo Spirito Santo ti ha guidato bene».
Dopo quella chiacchierata si erano sentiti una seconda volta, ma non avevano parlato molto per lasciare spazio a Stefano e Simon di parlarsi dopo tanti anni.
Era tranquillo Simon, in quel periodo, nel suo studio brillava la luce vivace di Aprile, quando si erano trovati a parlare degli anni passati e di cio che riguardava le lotte dei loro fratelli cristiani.
«Certo, non è da tutti ricevere un trattamento simile…» aveva riflettuto, Simon, dondolandosi nella sedia di pelle del suo studio. I due ministri avevano iniziato a parlare dell’esperienza di Joshua.
«Beh, non è da tutti avere un Padre come te, Simon…» Il tono del diacono si era lievemente incupito.
«Che intendi dire?»
«Oh, ma andiamo!» commentò quasi stizzito, Stefano. «Come se non sapessi quanto il tuo esempio di abnegazione abbia influito sulle sue scelte e quanto la tua conoscenza del Nome di Gesù Cristo abbia reso la tua Chiesa, l'Eletta.»
In quel momento, Simon avvertì che le parole che gli stava rivolgendo il diacono venissero direttamente dal Cielo, ma erano davvero troppo forti da poter comprendere; con gli occhi lucidi al pensiero del suo predecessore, continuò ad ascoltare.
«Gli hai sempre mostrato che i Figli di Dio sono come il Padre Celeste, e che se avrebbero voluto avrebbero potuto veramente essere come Gesù Cristo…»
«Stefano…» sospirò, Simon. «Credi davvero che io avrei mai voluto che mio figlio si perdesse fino a rischiare la vita così?»
«Ovviamente no, Simon, ma ti dirò una cosa: ricordo tanto della mia vecchia vita, ma più di tutto, ricordo quanto nel mondo dei Lucifer si parlava di una grande forza che avvolge la tua Chiesa, data proprio in ragione del fatto che tu, Simon, conosci appieno la potenza del Nome di Gesù Cristo…»
«Non che sia dipeso da m-»
«Solo la tua chiesa, Simon…» si affrettò a puntualizzare il diacono. «In tutto il mondo»
Poco mancò che dopo quella affermazione, le dita mollassero la presa del telefono.
«Spiegati meglio, Stefano»
Dall'altro capo della cornetta, il diacono fece un lungo sospiro.
«Non è forse vero che insegni ai tuoi ministri a cacciare i demoni nel nome di Gesù Cristo?»
A quel punto, Simon incurvò un sopracciglio: «Mi pare ovvio.»
«E qui ti volevo, caro mio!» strillò, Stefano.
«Tu pensi sia tutto normale, solo perché Peter aveva avuto questa rivelazione, che nessun'altra Chiesa ha mai avuto! Lo capisci?»
«Stefano non dire sciocchezze» Simon non voleva credere alle sue orecchie e dalla posizione comoda in cui si trovava, si mise dritto, con un gomito sulla scrivania e una mano sugli occhi.
«Sta scritto senza dubbi di cattiva interpretazione: "scacceranno i demoni nel mio nome”. Mi stai dicendo che nessuna delle chiese di Cristo mette in pratica questa Parola.»
«Dimmi una cosa: chi è che ha sempre rifornito le Sette Chiese dei beni necessari per compiere le più semplici opere caritatevoli?»
«I fedeli con le proprie offerte libere»
La risata che riecheggiò oltre la cornetta fece tremare i polsi di Simon.
«Pensi davvero che tutto quel denaro arrivasse solo dai fedeli? I Lucifer erano e sono i fedeli, Simon. Perché pensi che proprio Judas, il primo delle Dodici casate che controllano il mondo, sia entrato - proprio lui-, in qualità di fedele, nella Chiesa di Peter?»
Simon inspirò rumorosamente.
«Ora comincio a capire»
«Solo un anticristo in carne e ossa come Judas poteva abbattere - secondo loro - il potere nascente della Chiesa di Filadelfia»
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