1. ANTEFATTO
Filadelfia, Sette mesi prima...
Il sole filtrato tra le nuvole di una passata tempesta e il fumo che risaliva dalle macerie del Lithium, occupava la Via del Corso, in quel di Filadefia, a sud della Penisola.
Un uomo dall'andatura lenta e postura dritta si fermò a osservare l'ex pub, luogo di ritrovo di giovani e meno giovani; l'occulto quartier generale dei Lucifer.
L'aria frizzante portava i capelli dell'uomo a solleticargli il naso. Fece un paio di passi verso la zona delimitata dal nastro a righe rosse e bianche, sperando di poter avvicinarsi il più possibile.
«No, Signore, di qui non si può passare» una mano aperta lo bloccò in mezzo alla via. La voce dell'agente della Polizia di Filadelfia gli venne rivolta con tono austero e non fu tanto la cadenza della voce a infastidire il diacono di Tiatiri, ma lo sguardo schernitore alla vista della croce portata al collo. Lo osservò per qualche istante: mani ai fianchi e gambe divaricate, di chi ha autorità e se l'è saputa conquistare.
Quindi, con un cenno del capo, assecondò la volontà del poliziotto, ma gli occhi gli rimasero incollati all'immagine del pub Lithium ridotto ad un ammasso di ferro e legno accartocciato. L'odore di bruciato stuzzicava ancora il suo olfatto e il fumo andava diradandosi nel cielo grigio nascondendo i profili delle case signorili di Via del Corso.
Dio ha fatto giustizia, pensò mettendo le mani dentro le tasche della giacca nera. Si alzò il bavero e proseguì sul marciapiede del locale crollato, fino a quando, passando oltre il vicolo cieco corrispondente al retrobottega del Lithium, le orecchie avvertirono il movimento di massi e vetri rotti. Si fermò, con gli occhi fissi verso un ammasso di macerie. Si voltò indietro, verso gli agenti impegnati a parlare l'un l'altro. Serrò la mascella e i pugni dentro le tasche. Tentennò prima di insinuarsi da sotto il nastro a righe rosse e bianche che delimitava la zona delle indagini. Dovette coprire il naso con il lembo della manica, perché l'odore di spazzatura misto a quello ferrigno del sangue proveniente dai bustoni neri posti all'angolo di quella via, gli provocava spasmi di nausea.
Sapeva fin troppo bene quello che i Lucifer facevano in quei sotterranei, perché ci era passato. Aveva abbandonato la moglie e la figlia, per inseguire i sogni dorati che Judas gli aveva promesso, se solo avesse lasciato a lui le redini della chiesa di Smirne. Quello splendore bramato era la luce di Lucifero: una luce fredda, finta, che ti acceca prima di farti cadere in un baratro.
Donne, ragazze, bambine. Non c'erano limiti alla loro concupiscenza; e quando Stefano aveva detto 'basta' , si era reso conto di quanto inferno aveva prodotto. Lui, sì. Proprio lui. Artefice inconsapevole delle loro voglie. Lui, uomo d'affari della Damian's International Bank, che doveva mantenere sempre un certo profilo: presentarsi con una - o diverse - donne ogni sera in hotel; chiedere di far arrivare alla sua camera adolescenti prive di ogni inibizione.
E poi droghe e alcol.
Era tutto estremamente e terribilmente normale. Fino a quando l'età di quelle giovani - e di quei giovani - non calò drasticamente.
Quando, una sera, comparve dietro la porta della sua camera una bambina di dieci anni, prese la decisione che segnò il suo destino. L'aveva presa per mano e l'aveva condotta nella centrale di polizia, come se l'avesse vista in mezzo alla strada, da sola.
Il Comandante della Centrale di Polizia di Filadelfia gli aveva scavato un solco in pieno petto col solo sguardo di quegli occhi scuri. Un uomo d'onore e giustizia ferrea, ben conosciuto dagli alti ranghi dei Lucifer. Uno che indagava così tanto da arrivare ad avere le prove che Judas Damian compiva crimini contro l'umanità, avallato da Stati e Multinazionali.
Ecco perché avevano dovuto farlo fuori. Avevano lasciato in vita il figlio Nathan, affinché comprendesse quale sarebbe stata la sua sorte, se solo avesse tentato di intralciarli.
Il calvario di Stefano era iniziato una volta uscito da quella centrale di polizia.
Aveva iniziato a testimoniare alla Confraternita delle Sette Chiese, quanto visto e udito, ignorando il potere plagiatore di Judas su almeno cinque delle sette chiese.
La sera della sua cattura, stava camminando per la via deserta che portava alla chiesa di Filadelfia. I suoi passi riecheggiavano nella notte, quando gli adepti incappucciati dei Lucifer perlustravano le strade. I "Controllori" erano ragazzi di una ventina di anni, che se ne stavano seduti agli angoli delle strade, come in agguato. Il loro abbigliamento era diverso da quello degli altri giovani servi delle tenebre, li aveva osservati con curiosità anche quella sera: maglia nera a maniche lunghe, giacca in pelle da cui fuoriusciva un cappuccio nero- sempre alzato sul capo a coprire il viso - e pantaloni neri inseriti in anfibi. Anche il loro compito era diverso da quello degli altri adepti che Stefano aveva avuto modo di conoscere: stanare potenziali vittime da sacrificare al loro Signore della morte.
Lo avevano seguito fino a quando non si era ritrovato accerchiato.
Una volta ai piedi di Judas, aveva ricevuto l'unica grazia di dover assistere da lontano alle operazioni condotte a cura di Acab per sedurre la figlia; la notte l'avrebbero rinchiuso in una delle celle dei sotterranei del Lithium, tormentato dai loro demoni. Dopo tutto, l'avevano avvertito: per la sua sfrontatezza, avrebbe avrebbe visto la figlia diventare carne da macello.
Avevano attentato alla vita della ragazza bruciandole la macchina; poi avevano mandato Acab per carpire l'anima e il corpo, mentre Stefano aveva dovuto assistere a tutto da lontano, pregando intensamente.
Una di quelle notti, nel buio impenetrabile della sua cella, con la gola secca di chi ha pregato e non spera in una via d'uscita, privo di ogni parola, avvertì una presenza scaldargli gli occhi; sentì una voce soave parlargli all'orecchio sanguinante come il resto del suo corpo martoriato.
Gli occhi socchiusi a quella luce calda, tanto intensa da occupare ogni angolo della sua visuale. Alzati, gli aveva detto e scuotendo il capo si era rifiutato di avere forza; non aveva senso continuare a vivere dopo aver visto che il mondo dei Lucifer non poteva essere sconfitto da mano d'uomo. Così, pensando che quella voce fosse solo frutto della sua mente pronta a morire, richiuse gli occhi fino a quando, con autorevolezza, la voce gli ordinò: Stefano, ti è stata affidata una missione. Io sono Colui che hai rinnegato, ma sono qui perché il mio servo Simon ha bisogno di te!
Gli occhi si sbarrarono e, in quella luce, il volto di un uomo simile al suo amico d'infanzia, Capo della Chiesa di Filadelfia. La mano che gli porgeva era consistente e calda; l'afferrò per rialzarsi con difficoltà, ma a quel tocco sembravano scomparse tutte le fratture. Il Suo Signore gli aveva riservato la stessa sorte di San Pietro, liberato dal carcere senza essere visto da alcuna guardia.
Una volta fuori dal locale vuoto, buio e silenzioso del Lithium si diresse, correndo, verso la chiesa di Tiatiri, una delle Sette ancora fuori dalle brame dei Lucifer.
Quei flashback lo accompagnarono fino a quando, da un cumulo di macerie poste oltre i resti delle mura del locale, vide uscire una mano tesa verso l'alto. Si precipitò in quella direzione a grandi falcate, bagnandosi le scarpe e i pantaloni nelle acque reflue di quel vicolo. Prese l'arto e lo tirò verso di sé. Da quell'ammasso di pietre ne uscì la figura di un ragazzo interamente coperto di polvere grigia. Lo sconosciuto non riusciva a reggersi in piedi e, quando cadde in ginocchio, si mise carponi. In quel momento, Stefano poté notare le ferite profonde che lo segnavano lungo la schiena nuda. I capelli leggermente allungati gli coprivano il viso. Le mani e le braccia tremavano sicuramente per il freddo e la debolezza. Al ministro gli si bloccò il respiro. Il ragazzo tossì così forte che Stefano ebbe il timore che le forze dell'ordine avrebbero potuto sentirlo.
Oh Signore, mi hai scelto forse come buon Samaritano?
Non avrebbe potuto lasciarlo lì, nelle loro mani. Si massaggiò il mento barbuto prima di piegarsi sulle ginocchia; lo fissò intensamente socchiudendo gli occhi come se, in quel volto tumefatto, avesse riconosciuto il volto di qualcuno.
«G...Grazie!»
«Come ti chiami, ragazzo?» tentò, sperando che il nome lo conducesse alla sua identità.
«Joshua...» tossì. «Joshua Smith»
«Della chiesa di Simon?» gli occhi sbarrati. Ecco chi è!
«Esattamente, signore» disse quello, guardando l'uomo dal basso. Negli occhi di Stefan, per un momento, Joshua ebbe l'impressione di vedere Ariel.
L'uomo fece un lungo sospiro e, spostando una ciocca di capelli dietro l'orecchio, si decise. Lo prese da sotto un braccio, lo coprì con la sua giacca nera e lo aiutò a camminare.
«E io chi devo ringraziare?» pronunciò Joshua, con tono grato.
Quello lo guardò per un attimo prima di rivolgere lo sguardo dietro di sé. «Stefano. Stefano D'Asti, diacono della Chiesa di Tiatiri»
Quel cognome fu un pugno di fuoco allo stomaco di Joshua. Una lunga pausa di silenzio occupò il tempo in cui si ritrovarono a percorrere il marciapiede di Via del Corso. Poi gli occhi disperati di Ariel, lasciati andare per sua volontà, lo punsero come uno spillo in gola. «Mi perdoni se mi permetto...» tossì.
«Dimmi pure e dammi del tu»
«Anche se mi risulta difficile dare subito del tu...» rise con una smorfia. «Volevo chiederle se conosce una ragazza di nome Ariel...»
Quel nome Stefano non lo nominava da tanto - forse troppo - tempo. Tuttavia, i ricordi erano pieni di quegli occhioni vispi, grandi, capaci di contenere un amore che lui non era stato in grado di mostrare.
«Se la conosco?» sussurrò, quasi fosse una domanda rivolta a se stesso.
«Ho pensato che, visto lo stesso cognome e la somiglianza, lei fosse un suo lontano parente» rifletté Joshua ad alta voce. Stefano non rispose fino a quando il suo sguardo puntò il cofano della berlina nera. Quella lunga pausa era stata riempita di ricordi e di emozioni. «Vedi davvero la somiglianza?»
Joshua, appoggiandosi allo sportello, alzò gli occhi verso l'altro e, in quelle rughe d'espressione, vide la vita di un uomo distrutto, che ha sprecato l'occasione di essere un buon padre. Con un macigno che gravava sul cuore, Joshua pensò ad alta voce: «Quegli occhi non si dimenticano facilmente...» A quella confessione, il giovane abbassò lo sguardo all'asfalto. Si sentì a disagio, quasi come accadeva con Simon. Il suo dono però era ancora lì e si era manifestato con quelle poche parole capaci di curare un cuore frantumato dal tempo.
«Anche tu hai un viso conosciuto, per me. Solo che io so benissimo dove e perché ti ho visto»
Nel tono dell'uomo si avvertì l'increspatura di un rimprovero, le braccia erano incrociate al petto e gli occhi socchiusi in uno sguardo indagatore.
«Davvero?» Il cuore di Joshua iniziò a palpitare d'ansia. Non sapeva se doveva fidarsi dell'uomo, anche se lo aveva appena salvato. Poteva essere un Lucifer; dopotutto il portamento e l'abbigliamento erano quelli. Solo la barba sfatta e i capelli poco ordinati cozzavano con l'immagine di perfetto seguace della setta.
«Tu hai salvato mia figlia, almeno un paio di volte»
Le palpitazioni di Joshua gli si bloccarono in gola per un tempo indefinito, per poi ricominciare frenetiche nel petto. Il padre di Ariel...
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Buonasera a tutti!
Voglio ringraziare innanzitutto quanti sono arrivati fino a qui. La storia non poteva che chiamarsi "Scatena il Paradiso" visto che risulta essere il motto di Simon. A cosa vi fa pensare questo titolo risguardo la prosecuzione della Storia di The Name of Jesus?
Sì, lo so, sto facendo troppe domande, ma solo perché sono molto emozionata!
Mi dispiace non essere stata abbastanza presente nel primo libro, ma voglio rimediare!
Io sono sempre qui, sempre la vostra Skys
Pace a tutti!
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