3. Aidan Doyle
Brine fece un passo indietro, sorpresa e, suo malgrado, spaventata dalla comparsa di quello sconosciuto.
Improvvisamente una marea di ricordi invase la sua mente e la nebbia che ancora avvolgeva la figura parve modellarsi su di questa dando vita all'ultima persona che avrebbe mai voluto rivedere.
Suo padre.
Ma più l'estraneo avanzava, più quell'illusione veniva meno finchè finalmente l'uomo non emerse completamente dalla nebbia parandosi davanti alla ragazza.
Brine si rilassò un po'. Non aveva mai visto quell'uomo in vita sua e ne fu stranamente sollevata.
Lo osservò. Era alto, sicuramente una o due spalle più di lei e il suo fisico robusto era ben coperto dai vestiti e dal giubotto di pelle che indossava. Aveva i capelli castano scuro e una leggera barba, del medesimo colore, gli copriva la mascella squadrata. Doveva avere al massimo una trentina d'anni, pensò Brine guardando gli occhi azzurri dell'uomo puntarsi su di lei come due laser squadrandola dalla testa ai piedi.
Rimasero lì a studiarsi per un tempo indefinito, come due avversari che si osservano cercando di comprenderne i punti di forza e quelli di debolezza del proprio nemico.
Ma alla fine la pazienza non era mai stata una caratteristica di Brine, e così, stanca di quell'assurdo silenzio e pressata da quel gioco di sguardi la ragazza alla fine crollò.
<Si può sapere chi diavolo è lei?> chiese corrugando la fronte infastidita.
L'uomo la guardò in silenzio per un altro lungo momento, poi finalmente si decise a parlare.
<Tu sei Brine O'Connor, vero?>. Chiese con una voce profonda e così gelida da far venire a Brine i brividi sulla schiena.
<Si, sono io, e si può sapere invece lei chi cavolo sarebbe? E come fa a conoscere il mio nome?>
L'uomo si portò una mano alla tasca e ne estrasse il portafoglio. Poi lo aprì e lo porse alla ragazza.
Brine lo guardò, indecisa se fidarsi o meno di quell'uomo, ma allungò comunque la mano per prenderlo, cencando di fare più attenzione possibile a non toccare la sua mano.
Preso il piccolo portafoglio in pelle lo portò vicino a sé in modo da poter vedere cosa quell'estraneo volesse mostrarle.
"Porca miseria" pensò guardando il distintivo della polizia di Dublino luccicare minaccioso.
"Cosa diavolo vuole da me la polizia di Dublino. Ok, ho rotto il naso a quel tizio, ma non pensavo fosse qualcosa di tanto grave!"
Poi diede uno sguardò alla foto dell'uomo che aveva di fronte a se.
Aidan Doyle, questo era il nome riportato sul distintivo.
Brine richiuse il portafoglio e lo consegnò nuovanente al suo proprietario.
<Bene, e che cosa vuole da me signor Doyle della polizia di Dublino?> chiese, più curiosa che altro.
Doyle fece un piccolo sorriso <prima di tutto> disse <sono il detective Doyle>.
Brine emise un piccolo fischio <Addirittura un detective? Certo che al giorno d'oggi vi scomodano proprio per niente, in fin dei conti era solo uno stupido naso rotto...>
Doyle corrugò la fronte <Non so di cosa lei stia parlando signorina O'Connor, ma le posso assicurare che la faccenda è molto seria> disse. Dopodichè iniziò ad armeggiare con la tasca del proprio giubbotto finchè non trovò quel che cercava, ossia una piccola scatoletta azzurra. Ne cacciò una sigaretta che portò subito alla bocca, accendendola con un piccolo accendino nero. Il fumo iniziò a levarsi da questa in piccole spire, per poi confondersi con il mantello di nebbia che li circondava.
Brine lo guardò infastidita. Odiava l'odore del fumo e inoltre quell'uomo stava seriamente iniziando a darle sui nervi.
<Le dispiace spegnerla?> gli chiese.
Ma l'uomo la ignorò completamente.
<Posso chiederle dove era due giorni fa alle 2 e 20 di notte?> le domandò soffiando un'altro sbuffo di fumo fuori dalla bocca.
<A letto ovviamente> rispose lei infastidita.
<C'è qualcuno che può confermarlo?>
Brine scosse la testa <No, vivo da sola>.
Altra sbuffata di fumo. L'uomo continuò a osservarla con quei suoi penetranti occhi azzurri.
"Ok, ora basta!" Pensò Brine ormai a corto di pazienza.
<Si può sapere cosa cavolo vuole da me?> chiese aspra.
Per tutta risposta l'uomo si frugò nuovamente nella tasca.
"Mio Dio, cosa caccerà questa volta" si chiese Brine disperata iniziando a fare ogni sorta di congettura.
Ma quello che l'uomo le porse la spiazzò completamente. Era una foto. Una foto di un biglietto stropicciato che aveva tutta l'aria di essere una prova di qualche scena del crimine. E su quel biglietto, scritto con un inchiostro ormai sbiadito ma ancora leggibile c'era scritto un nome. Il suo nome. Brine O'Connor.
Brine alzò gli occhi sull'uomo, sempre più confusa. <Che cosa significa?> chiese <dove l'avete trovato>.
L'uomo cacciò altro fumo dai polmoni e poi le disse <Era nelle stanza di un prigioniero evaso due giorni fa>
Brine fu attraversata da un brivido fortissimo. Una domanda si fece largo nella sua mente, sempre più impellente. Brine conosceva già la risposa a quella domanda ma non poteva fare a meno di porla nella speranza che il suo istinto si stesse sbagliando.
<Qual'è il nome del prigioniero?> chiese.
<Dermot O'Connor.>
Brine sentì le ginocchia cederle sotto il peso di quella risposta. No, il suo istinto non si era sbagliato. Le labbra iniziarono a tremarle. Il suo cuore a battere freneticamente.
Lui, il mostro della sua infanzia, la persona che più aveva amato e poi odiato, era di nuovo a piede libero, pronto a commettere chissà quali nuove atrocità. E peggio ancora aveva lasciato un bigletto col suo nome. Che fosse un avvertimento per lei? Che fosse scappato per portare a termine ciò che aveva lasciato in sospeso tanti anni prima?
Brine alzò nuovamente lo sguardo sul detective Doyle, che continuava ad osservarla impassibile.
<Come è successo?> gli chiese Brine.
<Be', questo speravo potesse dirmelo lei> rispose l'uomo buttando a terra il mozzicone della sigaretta per poi calpestarlo con la propria scarpa.
Finalmente Brine comprese cosa quell'uomo volesse da lei.
<Lei pensa che sia stata io ad aiutarlo a scappare di prigione?> chiese indignata.
<È stata lei?> fece semplicemente lui senza troppi giri di parole.
<Sta scherzando? Pensa seriamente che il fatto che quel pazzo abbia scritto il mio nome su un bigliettino sia una prova che sia stata io a farlo scappare?>
<No, ma è l'unico indizio che abbiamo per il momento. E poi è pur sempre suo padre>
Brine scosse il capo incredula <Non aiuterei mai quel mostro a scappare. Lei non sa niente!>
<Forse ha ragione e sta dicendo la verità, ma un cosa è certa, lei ora verrà con me a Dublino così che si possano fare i dovuti accertamenti. In fin dei conti se O'Connor non ha scritto quel biglietto per dare un indizio su chi lo avesse aiutato a fuggire, vuol dire una cosa sola...>
Brine deglutì sonoramente <che stà cercando me> concluse al posto suo.
Doyle annuì serio.
Brine iniziò ad indietreggiare. < No, io non verrò con lei a Dublino. Non mi farò tracinare nella tana del lupo!> urlò isterica.
<Se ne torni da dove è venuto signor Doyle e porti i miei saluti a quel bastardo di mio padre quando lo trova.>
<Senza offesa, signorina O'Connor, ma penso che per lei sarebbe più sicuro essere sotto la protezione della polizia dublinese>.
Brine si lasciò sfuggire una risata di scherno <Senza offesa, signor Doyle, ma vi siete appena fatti scappare un serial killer da sotto al naso. Immagino non si sorprenderà se dubito delle vostre capacità di proteggermi> rispose.
Lo sguardo dell'uomo venne attraversato da un'ombra di rabbia. Anche lui non doveva essere un tipo molto paziente.
Doyle si passò una mano sul viso e sospirò profondamente infastidito.
<Speravo di non dover arrivare a tanto, ma a quanto pare non mi lascia altra scelta>.
Si avvicinò alla ragazza e, prima che questa potesse anche solo intuire cosa stesse accadendo, una manetta si materializzò intorno al suo polso destro.
Brine guardò Doyle esterrefatta mentre questo agganciava l'altra manetta al proprio polso, per poi alzarlo e guardare compiaciuto quel piccolo gionzaglio d'acciaio.
<Cosa cazzo fa?> urlò Brine dando uno stattone alle manette <me la tolga subito!>
Doyle le sorrise <Mi scusi, ma dal momento che non ha voluto accettare di venire con me con le buone mi sono visto costretto a passare alle cattive>
<T O G L I M E L A> apostrofò Brine ormai fuori di sé dalla rabbia.
Doyle alzò le spalle <Mi dispiace ma le chiavi delle manette sono nel cassetto del mio ufficio. A Dublino. Quindi penso che sarà costretta a seguirmi>
Brine stava letteralmente fumando dalla rabbia, ma ormai, in quelle condizioni, non poteva far altro che ammettere la sconfitta.
<Va bene> disse alla fine <verrò con voi>
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