Capitolo 10
Descensus Averno Facilis Est.
La discesa all'Inferno è facile, così dissero gli antichi poeti quando descrissero la discesa agli Inferi di Lucifero. E, in effetti, non erano molto lontani dalla verità. Dissero che la discesa durò nove giorni, ma Lucifero non seppe esattamente per quanto tempo precipitò. Poteva essere un secondo come un giorno, non seppe mai dire per quanto cadde. Era consapevole degli angeli attorno a lui che precipitavano con le ali immobili e inerti, incapaci di fermare quella folle caduta dai Cieli.
La Stella del Mattino era chiusa in un doloroso silenzio: in parte era dovuto alla trasformazione che aveva subito, ma in parte era per come Michele lo aveva guardato prima di esprimere la sua scelta. Era sicuro che non avrebbe mai potuto dimenticare quegli occhi, freddi e accusatori, così diversi da quelli che amava, dolci e ridenti.
Lo sguardo gli cadde sulle sue mani: i lunghi artigli neri, affilati come rasoi, adornavano le sue dita, quelle erano le mani di un mostro. Chiuse si scatto le dita, conficcandosi gli artigli nella carne, sentendo il sangue scorrere dalle ferite. Il dolore lo aiutò, gli snebbiò la mente e gli fece riacquistare la sua precedente lucidità. Con uno scatto riaprì le dita e sentì le unghie scivolare fuori dalle sue carni martoriate e osservò con curiosità il sangue che scorreva su di esse, un sangue nero come lo era la sua anima.
All'improvviso la sua schiena urtò violentemente il terreno. Il colpo gli mozzò il respiro, ma quello non fermò la caduta. Continuò a precipitare con più forza, come se una mano invisibile lo spingesse con velocità sottoterra, scavando con il suo corpo una lunga galleria verso il centro della Terra. A mano a mano che scendeva sentiva il calore del nucleo terrestre aumentare, bruciandogli la schiena. Lucifero urlò per il dolore, urla che squassarono la superfice terrestre e urlò contro suo Padre parole irripetibili e maledizioni nei suoi confronti per aver fatto tutto ciò al suo figlio prediletto. Poi, con la stessa velocità con cui era iniziato, finì. La terra smise di cedere sotto la sua schiena, lasciandolo inerme e senza fiato con la pelle arrossata e ricoperta di terra. Lucifero rimase immobile per un tempo indefinito, incapace di muovere qualunque parte del suo corpo e avendo la sensazione di avere ogni osso fratturato. La testa gli pulsava dolorosamente e i suoni che sentiva attorno a sé erano deboli e attutiti, ma percepiva la presenza degli altri angeli caduti attorno a lui. Gemette quando sentì le ossa cominciare a guarire da sole, saldandosi tra loro e tornando nelle posizioni originarie. Fu un processo lungo e doloroso, ma alla fine riuscì a muoversi. Rotolò lentamente su un fianco e batté più volte le palpebre per snebbiare la vista e mettere a fuoco il posto in cui si trovava. La caduta degli angeli ribelli aveva creato un'enorme voragine sotto terra e, quando alzò la testa, vide la luce dei Cieli brillare come una piccola stella sopra le loro teste, come se si prendesse gioco di loro, ricordando il luogo in cui non potevano più tornare.
Con fatica si mise a sedere e osservò i sui seguaci riprendersi lentamente dalla dolorosa caduta, scrutando con occhio critico il luogo che si era appena creato: il suo nuovo regno. Se il Paradiso lo aveva esiliato allora avrebbe costruito un nuovo regno dove lui avrebbe governato secondo le sue regole. Avrebbe ostacolato i piani di suo Padre e sapeva bene da dove cominciare. Con un sorriso sulle labbra elaborò la sua vendetta.
Michele osservò gli angeli ribelli precipitare ad uno ad uno dai Cieli, le nuvole sotto i loro piedi spalancate per farli cadere. Incrociò un'ultima volta lo sguardo di Lucifero prima che sparisse dalla sua vista. Le nuvole si richiusero con uno scatto, senza lasciare traccia di ciò che era appena successo. Gli angeli rimasti cominciarono a mormorare concitati tra di loro, qualcuno singhiozzava e chiamava il nome di uno degli angeli che si era schierato con Lucifero.
Michele, però, era sordo a quelle voci. Sentiva solo un sordo dolore al petto, all'altezza del cuore. Si portò una mano su di esso e, nello stesso momento, le ginocchia gli cedettero, incapaci di reggerlo. Chinò il capo e chiuse gli occhi, sentendoli bruciare: voleva piangere, urlare il suo dolore, ma sembrava che le sue lacrime si fossero consumate e la sua voce fosse sparita. Non un suono lasciò le sue labbra, non una lacrima bagnò le sue guance. Il suo era un dolore troppo profondo, che andava al di là della semplice manifestazione fisica. Era più simile ad una sostanza corrosiva: con una lentezza inesorabile lo distruggeva dall'interno, cominciando dal suo cuore.
Solo in un secondo momento l'Arcangelo si accorse che qualcuno lo stava stringendo tra le braccia. Aprì gli occhi e vide quelli azzurri di Gabriele, di solito calmi e gioiosi e di un limpido azzurro, ma ora erano seri e di un blu scuro, tendente al nero. Senza riflettere, Michele ricambiò la stretta di Gabriele, cercando di trarne quanto più conforto possibile. L'Arcangelo dagli occhi azzurri lo strinse dolcemente, posando il mento sulla sua testa e accarezzando con movimenti circolari la sua schiena. Michele fu il primo a sciogliere l'abbraccio, allontanandosi leggermente da Gabriele, notando Samael e Raffaele alle loro spalle.
"Michele..." cominciò Raffaele, ma l'Arcangelo alzò una mano per fermarlo.
"Vi prego, non ora. Vorrei rimanere da solo per un po', se non vi spiace" disse con voce sorprendentemente ferma, non riuscendo però a guardare negli occhi gli altri angeli. Non voleva vedere la compassione nei loro sguardi. Non lo avrebbe sopportato.
"Certo, prenditi pure tutto il tempo che ti serve" rispose dolcemente Raffaele "Se hai bisogno di noi sai dove trovarci"
Michele annuì brevemente, dopodiché spalancò le grandi ali e volò via, lasciando i tre Arcangeli da soli.
"Pensate che si riprenderà?" domandò Samael, senza distogliere lo sguardo dalla figura dell'amico.
"Non lo so" mormorò Raffaele, scuotendo tristamente il capo.
"Non c'è qualcosa che tu possa fare?" chiese Gabriele, ma Raffaele negò.
"Le mie doti curative non possono nulla in questo caso. Non è una ferita che si può risanare con uno schiocco di dita" rispose l'Arcangelo Guaritore, gli occhi verdi più scuri del normale "Dovrà cavarsela da solo, dovrà trovare la forza di superare tutto ciò. Tutti sapevano quanto Michele tenesse a Lucifero e la sua Caduta lo ha devastato molto più di quanto non dia a vedere"
"Se ciò che dici è vero, Michele farà meglio a riprendersi in fretta. Con la Caduta di Lucifero, di Gavri'el e l'esilio di Nicola lui sarà a capo delle schiere angeliche. Ora più che mai gli angeli hanno bisogno di una guida forte" disse Samael duramente.
"Michele prenderà il tempo che gli serve per superare tutto ciò" lo redarguì Gabriele, inflessibile "Non è qualcosa che si può superare in poco tempo. Quando sarà pronto prenderà il comando, lui più di tutti ha bisogno di guarire"
"Gabriele ha ragione. Tutti hanno bisogno di riprendersi. Lasciamo passare un po' di tempo, dopodiché sistemeremo tutto" disse Raffaele e gli altri due Arcangeli annuirono.
Lucifero sorrise trionfante quando riprese le sue sembianze. Finalmente aveva imparato a usare i suoi nuovi poteri, molto più avanzati rispetto a quando era un angelo. Sciolse un po' le spalle: nonostante stesse cominciando ad abituarsi al suo nuovo corpo demoniaco, le ali erano molto più pesanti rispetto a quelle angeliche.
"Gavri'el" chiamò il Principe degli Inferi salendo i pochi gradini che lo portavano al suo trono, sedendosi su di esso. L'ex Arcangelo emerse dalle ombre e si inchinò leggermente a Lucifero.
"Sì?"
"Come procedono i lavori?"
"I demoni lavorano sodo e il tuo palazzo sta prendendo forma" lo informò Gavri'el con un sorriso.
"Molto bene" rispose Lucifero sorridendo a sua volta e mettendo in mostra i denti affilati "Mi assenterò per un po'. Nel lasso di tempo in cui non sarò presente tu sarai a capo dell'Inferno"
"Ma certo" disse Gavri'el prima di essere congedato. Lucifero rimase seduto sul suo trono, crogiolandosi in quella meravigliosa sensazione. Aveva un regno, che passo dopo passo stava prendendo forma, e lui ne era a capo. Era il Principe dell'Inferno, unico e vero sovrano di quel regno nel sottosuolo, ricco di tesori. Fece scivolare una mano sul bracciolo dorato dello scranno, i suoi artigli stridettero al contatto con il metallo prezioso. Se suo Padre credeva veramente di averlo dannato, se credeva che quella fosse una punizione, si sbagliava: gli aveva dato potere, un luogo in cui imporre le proprie regole e dei seguaci pronti a fare qualunque cosa ordinasse.
Che cosa poteva mai chiedere di più?
Una voce, lieve e dolce, gli ricordò che non era veramente felice, che qualcosa mancava a colmare quel vuoto che si sforzava di ignorare. Poteva mentire agli altri, ma non a sé stesso: nel suo cuore sapeva che solo con Michele al suo fianco sarebbe stato veramente felice. Ma, si disse digrignando i denti, Michele aveva fatto la sua scelta e la cosa migliore che potesse fare era dimenticarlo. Relegare tutti i ricordi che aveva su di lui in una parte della sua mente, fingendo che non fossero mai esistiti. Michele, ormai, era un capitolo chiuso della sua vita, anzi un capitolo chiuso della sua vecchia vita. Da quel momento in poi lui non era più Lucifero il Portatore di Luce e primo degli angeli del Signore, ma Lucifero il Principe degli Inferi e il Signore delle Ombre. Avrebbe fatto sì che chiunque udisse il suo nome lo associasse al terrore e alla distruzione. E sapeva da dove cominciare.
Si alzò con eleganza dal trono e usò uno dei suoi nuovi poteri: schioccò le dita e una nube scura lo avvolse in pochi secondi, trasportandolo nel giardino dell'Eden. Lucifero arricciò il labbro superiore per il disgusto: davanti a lui si stendeva l'esatta replica del Paradiso, solo popolato da animali di qualunque specie e con molti più alberi da frutto. Camminò tra gli alberi e si nascose dietro un ciliegio quando udì una voce di donna. Si sporse e vide una donna dai lunghi capelli seduta sotto un albero di mele intenta ad accarezzare la criniera di un possente leone. Lei gli dava le spalle e sembrava spensierata, mentre accarezzava con noncuranza le possenti zampe dell'animale con gli artigli snudati. Lucifero intuì che quella doveva essere Eva, la prima donna creata.
Povera sciocca, pensò il Principe mentre chiudeva gli occhi e si trasformava. Il suo corpo rimpicciolì, gli arti e le ali si fusero fino a formare un corpo lungo e sinuoso. La testa rimpicciolì e si appiattì, prendendo una forma triangolare. Era diventato un cobra nero, con un cerchio rosso fuoco sulla parte posteriore del collare e gli occhi, uno rosso e l'altro viola, dalla pupilla verticale. Fece saettare la lingua biforcuta una volta sola, dopodiché si appiattì sul terreno e strisciò velocemente verso Eva, arrampicandosi agilmente sul tronco dell'albero e attorcigliandosi al ramo sopra la testa della donna.
"Eva" la chiamò il Diavolo, facendo saettare la lingua rossa. Lei alzò di scatto la testa e notò quello strano animale attorcigliato attorno al ramo dell'albero dai frutti proibiti. Non aveva mai visto quella bestia prima di allora "Perché non prendi una di queste mele dolci e succose?"
"Non posso, il Signore ci ha ordinato di non toccarle" rispose lei con voce dolce e un piccolo sorriso, ma Lucifero non demorse.
"E perché, o mia bella Eva, vi ha detto di non toccarle?"
"Non saprei" rispose la donna inarcando le sopracciglia, cercando di trovare una risposta alla domanda del serpente. Lucifero era riuscito a istallare il dubbio nella sua mente.
"Perché avrebbe dovuto dirvi di non toccare questi frutti?" insistette il Diavolo, facendo strusciare la testa contro la mela "Vi ha promesso il giardino dell'Eden e tutti i frutti presenti. Questo comprende anche quelli di questo albero, o mi sbaglio?"
"No, ci ha promesso quello che hai detto" rispose Eva, alzandosi lentamente da terra, i capelli che le ricadevano fin quasi alle ginocchia.
"Allora cosa aspetti? Non sei curiosa di sapere che sapore hanno? Cogli una mela e portala ad Adamo, magatela insieme. Questi dolci frutti non hanno nulla di speciale, sono come quelle pere o quelle ciliegie. Lui non si arrabbierà se ne mangerete una"
"Hai ragione" mormorò Eva, allungando una mano e cogliendo la mela vicino al serpente, correndo poi verso Adamo. Lucifero scese dall'albero e riprese le sue sembianze originarie.
"Poveri stupidi" mormorò lui, osservando come spezzavano la mela, per poi mangiarne le due metà. Quello che aveva detto in Paradiso era vero: gli umani non erano degni di vivere nell'Eden e non erano certamente degni figli di Dio. Pochi secondi dopo un'accecante luce bianca rischiarò il cielo ed un angelo discese dal Paradiso e Lucifero lo riconobbe all'istante: Samael, l'angelo della Giustizia Divina.
L'Arcangelo brillava di una forte luce e quando parlò la sua voce rimbombò per tutto l'Eden. Disse che era deluso dal comportamento di Adamo ed Eva: avevano infranto l'unica regola che il Signore gli aveva dato e ora ne pagavano le conseguenze. Samael puntò la spada verso i due uomini e li bandì per sempre dall'Eden, condannandoli a procacciarsi il cibo da soli e a difendersi dagli animali contenuti in quel giardino, i quali sarebbero diventati feroci e selvaggi. Adamo ed Eva supplicarono l'angelo, ma Samael fu inflessibile e li bandì dal giardino senza ripensamenti.
"Lucifero!" chiamò Samael quando i due uomini furono scomparsi. Il Diavolo sorrise beffardo e si mostrò all'Arcangelo senza timore.
"Samael, non è passato troppo tempo dall'ultima volta che ci siamo visti" disse Lucifero con voce suadente "Cominciavi a sentire la mia mancanza?"
"So che sei stato tu a costringerla a prendere la mela" sbottò l'Arcangelo con gli occhi bicolore che emanavano una luce sinistra, mentre gli puntava la spada al petto.
"Costringerla? Mi sembra una parola poco adatta alle circostanze" lo contraddisse l'ex angelo, abbassando la lama angelica con un dito "Io le ho solo dato un consiglio, è stata lei, di sua spontanea volontà, che ha deciso di seguirlo. Di fatto, però non ho costretto nessuno"
"In pratica fai quello che ti è sempre venuto bene: manipoli le persone per raggiungere i tuoi scopi. Non hai per caso fatto così anche con Michele? Non lo hai preso in giro per tutto il tempo?"
"Come osi! Quello che provavo per Michele era autentico e tu non sei nessuno per giudicare, Samael!" ringhiò Lucifero, chiudendo le dita attorno alla lama della spada, indifferente al dolore "Porta un messaggio a nostro Padre: digli che la mia vendetta nei Suoi confronti non avrà fine. Distruggerò tutto ciò che ha creato pezzo dopo pezzo, partendo dai suoi fragili e insulsi umani fino al Paradiso"
"Sei un pazzo se credi che riuscirai a fare tutto ciò" sibilò l'Arcangelo, ritraendo la spada dalla stretta del Diavolo con un colpo secco.
"Lo vedremo, la mia vendetta è appena cominciata e so essere molto paziente" sussurrò Lucifero, scomparendo in una nube nera.
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