1. L'Olimpo
Canzone consigliata per il capitolo:
Closer – Halsey ft. The Chainsmokers
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Il letto.
Un caldo letto con fini lenzuola di raso: grande, ampio, morbido e accogliente... e qualcuno con cui condividerlo e riscaldarlo ogni notte.
Se avessi dovuto scegliere una sola cosa che aveva il diritto di regnare incontrastata sull'Olimpo degli dèi che amavo e adoravo e alla quale non avrei mai rinunciato per nulla al mondo, questa non poteva essere altri che il mio letto.
«Tesoro?»
La voce familiare interruppe il mio flusso di pensieri assonnati. Con il volto affondato nel soffice cuscino di piume, nascosi il mio sorriso alla voce in avvicinamento. Continuai a fingere di dormire. Mugugnai qualcosa solamente una volta che le labbra proprietarie di quella voce mi sfiorarono la tempia in un bacio leggero e delicato.
«Lo sapevo che eri sveglia.»
Mi prese la mano per baciarne il dorso, accarezzandomi la pelle con il sentore della corta e ispida barba che, da parecchi mesi, mio marito aveva deciso di lasciar crescere. A occhi appena socchiusi mi rivoltai pigramente tra le lenzuola e gli tastai il petto solido fino a individuare la sua cravatta.
«Non sono sveglia», mormorai afferrandogliela delicatamente nel pugno e aprendo solamente un occhio per guardarlo.
Lo avvicinai un poco con l'intento di trascinarlo di nuovo tra le lenzuola con me e lui sogghignò divertito da tanto ardimento. Entrambi sapevamo bene che su quell'Olimpo, oltre al letto, alle lenzuola di raso e al mio caro cuscino dalle impalpabili piume d'oca, c'era un'altra cosa che la mattina amavo fare. Più ancora che dormire.
Ma lui non si lasciò piegare eccessivamente e spostò lo sguardo alla sveglia posizionata sul mio comodino: segnava a malapena le sei.
«Layla... è tardi: la riunione con mio padre è stamattina alle nove, ricordi?»
«Appunto, abbiamo ancora tre lunghissime ore da riempire», brontolai.
Provai a tirarlo ancora un po' giù con la cravatta, ma fui costretta a cedere di fronte alla sua irremovibilità, lasciandolo infine fuggire via dalla mia pesca mattutina non andata di certo a buon fine.
«Lo sai che entro sempre prima in ufficio per imbastire il lavoro», si scusò allontanandosi.
Mi avvolsi di nuovo nelle lenzuola e affondai del tutto il viso nella stoffa morbida e liscia del mio amato sacchetto piumoso. «Non ci voglio venire alla riunione.»
«Immagina che entusiasmo possa avere io: quel coglione di mio padre riunisce il consiglio di amministrazione e coglierà l'occasione per venire a controllare in sede che cosa combino tutti i giorni, visto che, evidentemente, non si fida del mio operato in sua assenza. Pensa se andassi alla riunione senza la signora Morgan al mio fianco. Che figura ci farei?»
«Io non faccio parte del CdA e ogni volta in cui mi fai presenziare, io mi sento sempre come un pesce fuor d'acqua», bofonchiai, sempre con la faccia immersa nel cuscino.
«Non mi importa. Non voti e non prendi decisioni, ovvio, ma voglio mia moglie al mio fianco», spiegò tranquillamente, il rumore leggero dei suoi passi che ancora girovagavano per la camera da letto, probabilmente accompagnandolo nel suo solito tragitto alla ricerca dei gemelli ordinati nei cassetti, delle scarpe nella cabina armadio e del fermacravatta che gli avevo regalato per il suo compleanno e che teneva con accurata e maniacale precisione nel mio portagioie insieme a decine di altri.
Con un grugnito infastidito e non solo poco femminile, ma decisamente poco umano, decisi che fosse arrivato il triste momento di alzarmi in piedi, così scostai le lenzuola e mi sedetti sul letto.
E la risata di quel perfido stronzetto di mio marito arrivò puntuale a infastidirmi.
«Michael, piantala immediatamente», lo ammonii guardandolo storto.
Era posizionato davanti allo specchio ad aggiustarsi il nodo della cravatta che, evidentemente, il mio precedente tentativo di pesca gli aveva allentato, e intanto guardava nella direzione del mio riflesso, divertito da come mi ritrovava conciata ogni singola mattina dopo la mia notte passata temporaneamente sull'Olimpo.
«Amore mio, lo sai che ti amo più della mia stessa vita... ma ti prego: il pigiama infilato dentro ai calzini... no, quello proprio no.»
Abbassai gli occhi sul paio di fantastici calzettoni che avevo comprato giusto un paio di giorni prima: lilla, con una cascata di cuori bianchi di soffice lana lavorata, un poco pelosi e con tanto di stelline antiscivolo sotto; si intonavano alla perfezione con il mio pigiama in pile dello stesso colore. Io ero fatta così, ormai Michael mi conosceva bene da quando avevamo iniziato a vivere insieme tre anni prima: fuori casa curavo particolarmente l'abbigliamento e l'accostamento di colori e accessori. Non uscivo mai per andare a lavoro senza un paio di scarpe con il tacco, intimo rigorosamente in coordinato e tutta la mia collezione di gonne più o meno lunghe, abiti più o meno succinti e camicette più o meno trasparenti. Un tempo ero stata molto diversa, ma con il particolare lavoro che svolgevo nella società di mio marito, l'abito valeva quasi quanto la divisa di un ufficiale dell'esercito, quindi mi ero dovuta adeguare.
Una volta fuori dal luogo di lavoro che condividevo tutti i giorni con Michael, quando mi rinchiudevo nel nostro elegante e ampio appartamento in centro Manhattan, allora il mio alter ego comodo e infinitamente pigro prendeva nettamente il sopravvento: armata di pantofole, salopette e magliette decisamente fuori misura, passavo il tempo libero a disegnare, dipingere o creare con l'argilla tutto quello che la mia fervida creatività mi suggeriva. Sul lavoro, invece, mi trasformavo e diventavo una professionista inappuntabile, tutta tacco dodici e rossetto Chanel Rouge Allure.
In sostanza: un'aspirante Frida Kahlo racchiusa nel corpo di una gentile e molto più pacata Miranda Priestley de Il diavolo veste Prada.
«Fa freddo di notte, non rompere.»
Michael lasciò qualche istante lo sguardo puntato su di me, con quel mezzo sorriso nascosto e malizioso che adoravo. A volte mi chiedevo se mi sarei mai abituata del tutto al suo fascino. Uscivamo insieme da quattro anni ed eravamo sposati da poco più di un anno e mezzo. Vivevamo e lavoravamo tutti i giorni a stretto contatto e spesso e volentieri mi ritrovavo a considerarlo per il normale trentenne che era, con la familiarità che rende tutte le faccende della quotidianità come normali e monotone, e cosciente del fatto che lo stesso accadesse a parti inverse perché è la natura intrinseca di tutte le relazioni durature. Di tanto in tanto, però, trovavo dei rari momenti che mi permettevano di ritornare con la vista, i ricordi e le sensazioni, a ciò che avevo provato i primi giorni in cui lo avevo conosciuto.
Al mio cuore appena risvegliato successe lo stesso quella mattina di inizio novembre, così restai qualche secondo a sorridergli e ad ammirarlo mentre terminava di aggiustarsi la cravatta davanti allo specchio un'ultima volta prima di uscire di casa: si era pettinato i corti capelli neri con le dita, per lasciarli alla mercé di quel solito disordine solo simulato che gli donava tanto, e si era vestito di tutto punto, completo e cravatta color Borgogna e la camicia bianca che sapeva risaltare al meglio la sua carnagione olivastra. In quei rari momenti, mi sembrava di poter ritornare ad apprezzare ogni singolo dettaglio che mi aveva fatto innamorare di lui: i suoi occhi neri dalle ciglia folte, così intensi che mi avevano catturata il primo giorno senza più lasciarmi andare; il modo sicuro e fluido di muoversi nei suoi completi eleganti e sempre impeccabili; le sue mani, dalle dita non eccessivamente lunghe ma grandi abbastanza da trasmettere senso di solidità e sicurezza, eleganza...
«Sei sicuro che non puoi stare ancora un po' qui con me?» miagolai sorridendogli dolcemente.
Purtroppo, però, se avevo capito una cosa negli ultimi anni, era che Michael Morgan non si trasformava mai: se sul lavoro era un irreprensibile dirigente d'azienda, a casa restava lo stesso identico uomo.
«Non mi tentare...» Il suo tono si fece più serio. «Non posso fare tardi e prima della riunione ho del lavoro da sbrigare.
Posso fidarmi di lasciarti qui? Non è che ti addormenti come l'ultima volta e mi lasci da solo?» domandò avviandosi verso la porta della camera. «Oggi con papà verrà pure quel coglione del suo tirapiedi... quel Steinel... Steel...»
«Stevens», lo corressi, pensando alla figura ammantata dal mistero della quale avevo spesso sentito parlare, ma che non avevo mai incontrato personalmente alle riunioni. Sembrava essere il più fidato collaboratore di mio suocero... e soprattutto un gran pezzo di stronzo, così come Michael molte volte lo aveva apostrofato.
«Esatto. Se si mette a fare domande sui movimenti bancari, lo sai che mi servi tu.»
Sbuffai sonoramente e mi alzai infine in piedi, anche se barcollai un poco per lo scarso equilibrio mattutino che caratterizzava i miei risvegli.
«Come prova ti basta?» lo sfidai, allargando le braccia con fare esagerato.
Annuì soddisfatto arrivando un'ultima volta da me per lasciarmi un bacio sulla fronte.
«Perfetto. Ci vediamo a lavoro», cantilenò percorrendo il corridoio e lasciando riecheggiare i passi sul rivestimento di lucido parquet; e il solito ti amo urlato dal portone suggellò l'inizio di una nuova giornata.
Tutte le mattine, Michael si recava a lavoro almeno un'ora prima di me. Non era ancora ufficialmente a capo di tutta la società per azioni del padre, ma solo della sede situata su Beaver Street, nel pieno distretto finanziario e non lontano da Wall Street. Si impegnava duramente tutti i giorni per dimostrare di valere tanto quanto Morgan Senior, così arrivava in ufficio tutti i santi giorni prima degli altri dipendenti e metteva tutto sé stesso nel lavoro.
Io, al contrario, arrivavo sempre dopo: ero una ritardataria cronica, nonché una dormigliona senza speranza, e Michael questo aspetto di me l'aveva sempre mal tollerato. Dopo la convivenza e il conseguente matrimonio, aveva iniziato a farsene una ragione e ora cercava di non commentare troppo perché avremmo solamente litigato per l'ennesima volta. Anche se mi impegnavo con tutta me stessa, la mia lentezza estenuante nel vestirmi e prepararmi si traduceva sempre con un ritardo più o meno evidente, e arrivare a lavoro separati era stato l'unico modo che avevamo trovato per evitare discussioni inutili già di prima mattina.
Ritta in piedi in mezzo alla spaziosa camera da letto, arredata nei pacati toni del crema che permettevano di rendere l'ambiente molto più luminoso e vivo, ciondolai sul mite parquet per dirigermi al bagno e dare il via alla lunga preparazione che ripetevo ogni mattina in quella nuova vita che avevo preso a vivere da qualche anno, da quando io e Michael avevamo iniziato a convivere nel nostro appartamento affacciato su Central Park Est.
Chi ero io?
All'anagrafe ero stata Layla Martinez per quasi ventisette anni, ma da un anno e mezzo ero ormai conosciuta più semplicemente come la signora Morgan: la ragazza arrivata dal nulla che aveva sposato il figlio del boss, il ragazzo più sexy e ricco, il più affascinante e seducente... insomma, il partito migliore che mai avrei potuto trovare nella mia umile vita passata come figlia di due semplici negozianti del Kansas. Ero la ragazza che nei film alla fine vinceva tutto: marito affascinante, soldi a palate e carriera di prestigio assicurata... ma io mi trovavo esattamente al passo successivo. Stavo vivendo il mio per sempre felici e contenti, o molto più realisticamente, ciò che seguiva al corteggiamento e all'innamoramento iniziali, ai piccoli litigi che sfociavano nel sesso riparatore e alle farfalle vibranti nello stomaco.
Ma a me non importava troppo del fatto che quei primi tempi intrisi di cuori palpitanti si stessero allontanando ogni giorno di più, perché io ero felice davvero con Michael. Entrambi eravamo felici, perché ci amavamo profondamente.
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Spazio Dory:
Benvenuti in una mia ennesima storia!
Lo so... Margot Robbie come prestavolto ammetto che sia un colpo basso per l'autostima di noi donne, ma la amo alla follia!
E poi, se dobbiamo sognare attraverso le storie, bisogna farlo come si deve, non vi pare?
Ovviamente siamo solo all'inizio ma aspetto i vostri primi pareri almeno su questo primo specchio della vita dei "signori Morgan"... sapete che per me i vostri commenti sono sempre importanti!
A prestissimo!
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