Capitolo Quattro - Cassandra
È in ritardo. O quasi. Mancano ancora cinque minuti, ma chi è che arriva puntuale il primo giorno di lavoro? Quando è toccato a me, ero in anticipo di un'ora per via dell'adrenalina e della paura di fare tardi.
«Buongiorno.» Mi volto di colpo appena sento esclamare alle mie spalle: Mike entra con un sorriso smagliante e i suoi capelli biondi sembrano un'aureola per via della luce del sole che catturano. Mi si avvicina e io rimango immobile, non sapendo bene dove guardare.
È decisamente di una bellezza indescrivibile.
«Buongiorno a te. Hai fatto le ore piccole stanotte?» chiedo ironica, alludendo al suo mancato anticipo.
«Anche se ho dormito molto poco, sono in ritardo per colpa della fila che c'era davanti alla pasticceria qui vicino. Volevo prendere qualcosa per la colazione e pare che tutti abbiano avuto la mia stessa idea.» Alza le sue larghe spalle per poi passarmi un sacchetto bianco. La mia attenzione viene catturata dalle vene che si notano fin troppo: sono diventate già il mio punto debole.
«Non li vuoi? Sono due donuts e dei macarons. Non sapevo quale ti piacesse e li ho presi entrambi.» La sua voce calda mi fa alzare lo sguardo. Sprofondo nei suoi occhi azzurri e diventa difficile tornare alla realtà. Afferro la bustina, ringraziandolo.
Mi sembra di essere tornata al liceo, quando un piccolo gesto, una semplice attenzione da parte di un ragazzo mi scombussolava tutta.
«Vieni, ti mostro il primo scarico che ci è arrivato» dico in imbarazzo mentre addento un donuts al cioccolato e mi avvio verso la stanza sul retro adibita a magazzino. Lui mi segue senza proferire parola e sento il suo profumo dietro di me. Non riesco a riconoscerne l'essenza, però è buonissimo, mi entra dentro le narici in modo prepotente, così come sta facendo Mike con la mia testa.
E non dovrebbe.
L'unico che devo avere in testa è Samuele.
«Cosa diavolo avete combinato?» Le mie grida rimbombano per tutto il locale. Gli operai hanno aperto le casse con dentro le opere tirandole fuori rischiando di danneggiarle oltre che creare confusione.
«Chi vi ha autorizzati? Avevo detto di portarle qui, non di aprirle.» Sono furiosa. Mi avvicino a una delle opere più vicino all'entrata del magazzino, un'anfora dell'antica Grecia estremamente costosa. I suoi tratti sono simili a quella che ritrae il celebre suicidio di Aiace e ho voluto proprio questa per la mia mostra perché ammiro l'abilità e l'innovazione dell'artista nel riuscire a rappresentare anche la psicologia dei personaggi raffigurati. È davvero geniale. La sollevo con cautela e l'appoggio vicino alla parete più distante dalla porta, evitando piedi distratti.
«Fuori di qui, ora!» sbraito puntando il dito verso la porta e gli operai ammutoliti vanno via. Appena nella stanza rimaniamo soli, sospiro. Sono sconsolata e mi viene voglia di strapparmi i capelli. Vorrei mettermi a piangere, sfogare la mia rabbia, per poi fermarmi e riprendermi subito dopo, rimboccando le maniche come faccio sempre.
«Ti dovevo portare un tortino al cioccolato» mi sussurra Mike prima che io possa avere il mio crollo emotivo del giorno.
«Scusa?» Mi volto cercando di capire cosa c'entri ora uno stupido dolce quando davanti a noi abbiamo un vero disastro.
«Il cioccolato fa rilasciare endorfine. Ti avrebbe aiutato contro tutto questo stress facendoti ritornare il buonumore» aggiunge, abbozzando un sorriso. Sento le guance andare in fiamme e mi volto dall'altra parte, sperando che lui non abbia notato la mia reazione. Non mi era mai successo prima che qualcuno prestasse attenzione a queste piccolezze.
«Va benissimo ciò che mi hai portato.» Mi si avvicina. Faccio finta di nulla e insieme osserviamo il casino che ci circonda. Subito Mike raggiunge una delle casse, legge l'etichetta e poi ci poggia accanto l'opera corrispondente. Non gli ho detto io cosa fare o come farlo, eppure è già operativo. Vederlo prendere iniziativa è la conferma che quella di Luca sia stata la scelta giusta e, rincuorata, lo aiuto. In poco tempo riusciamo a mettere tutto in ordine.
«Ti ringrazio. Ora puoi iniziare a svolgere il tuo vero incarico, cioè autenticare le opere. Portale nella sala qui accanto e poi, lo sai, una volta studiate ne devi firmare il certificato.» Spero capisca che il suo compito non è quello di collegare le opere alle relative casse. Non è qui per giocare a un imbarazzante Memory e nemmeno io.
«Se non è l'originale invece la porto a te, giusto?» chiede mentre sta già prendendo uno dei piccoli lékythos, quei vasi dal corpo allungato e un collo stretto con un ampio orlo svasato, che venivano utilizzati in passato come contenitori per profumi o cosmetici, da vicino all'entrata.
«Esatto. Se hai dubbi mi trovi in giro per il locale o nel mio ufficio.» Esco per andare dove avevo lasciato le mie scartoffie che non vorrei più vedere. Come si fa, con un dio del genere nella stanza accanto?
Dannazione, io sono il suo capo!
Niente coinvolgimenti emotivi a lavoro.
Niente.
Coinvolgimenti.
Emotivi.
Eppure non riesco a non pensare alle sue braccia possenti, a quegli occhi profondi quanto l'abisso (che sembrano persino soffermarsi curiosi sul mio corpo), alla quella voce calda... Mi sento confusa da tutte queste nuove sensazioni, ma non posso permettermi di confonderle con ciò che provo per il mio capo.
Quando arrivo alla saletta che sto utilizzando come ufficio momentaneo, ci trovo Alessia, la mia segretaria, ricurva sulla scrivania che sta spruzzando qualcosa sulla superficie e la strofina con foga con un paio di guanti in lattice alle mani. Collaboriamo con profitto da due anni ormai e per questo mi fido ciecamente di lei. Stamattina è arrivata a lavoro poco dopo di me.
«Cosa stai facendo?» La osservo e scuoto la testa divertita: a volte credo che sia più impegnata a pulire che a svolgere il suo lavoro.
«Gel antibatterico, chissà quanti germi ci sono qui. Chiamerò una ditta per far pulire tutto, non si può lavorare con tutta questa polvere.» Mi capita di dimenticare che sia un po' (ma giusto un po', eh) germofobica, anche se non lo ammetterebbe mai. Da una parte però apprezzo questa sua ossessione, perché i locali che affittiamo di solito sono chiusi da diverso tempo e una pulizia profonda è sempre opportuna.
«Ottima idea. Dove hai messo i fogli che avevo lasciato sul tavolo?» Mi indica, con un movimento della testa, la sedia nell'angolo su cui è poggiata una cartellina rossa. La sua precisione è impeccabile e non so cosa farei senza di lei. A volte mi fa innervosire con questa sua mania, ma in sua assenza non sarebbe lo stesso. Mi siedo alla scrivania per iniziare a sistemare i documenti da compilare nel frattempo che Alessia passa a disinfettare le sedie e anche tutta la porta. Per un bel po' di tempo lavoro spedita, senza alcuna distrazione.
«Posso?» Sento la voce di Mike e alzo la testa all'istante. Gli faccio cenno con la mano per avvicinarsi e parlare.
«Questo quadro è autentico, il problema è che non so cosa farci con la cornice. È tutta rovinata e, in queste condizioni, svaluta l'opera.» Mi porge l'oggetto incriminato e lo guardo con attenzione: il legno è stato lavorato in modo così fine che le venature tipiche risultino di diversa intensità e le loro tonalità richiamino quel quadro raffinato di Van Gogh con i fiori di mandorlo appena sbocciati che si diramano per l'intera tela (uno dei suoi dipinti più belli, secondo me).
Mike ha ragione, sarà stata graffiata dagli operai, accidenti a loro.
«Togliamola, ne saresti capace?» Vado in cerca del suo sguardo, come se fosse una supplica.
«Certo, ho studiato anche per questo, sai? Corso di restauro, per ogni evenienza.» Scoppia in una risata adorabile, fragorosa e allegra.
«Apprezzo il fatto che tu voglia compiacermi...»
«Non sono qui per questo?» domanda retorico mentre andiamo nella stanza accanto per controllare il suo operato.
«Sei qui per svolgere il tuo lavoro di critico» preciso, lanciandogli uno sguardo di sottecchi.
«E mi sembra di star facendo un ottimo lavoro» ammicca con un occhiolino, superandomi. Quando entro, rimango a bocca aperta per la sua efficienza: avvicinandomi ai moduli noto che, non soltanto ha confermato l'autenticità della maggior parte delle opere, le ha anche raggruppate in base all'epoca a cui si rifanno gli autori, stando ben attento a non farle rovinare.
Ora capisco perché la sua agenzia lo ritiene il migliore nel campo.
Mi giro verso di lui, in piedi davanti al tavolo su cui ha appoggiato il quadro, e lo guardo estrarre con calma e cura la tela dalla cornice. È bravo e preciso, vorrei aiutarlo ma non saprei dove mettere le mani senza rovinare tutto. Le sue, invece, si muovono fluide sull'opera. Piega il bicipite, per fare un po' più di forza, e quel piccolo gesto permette alle mie adorate vene di tornare in mostra, eppure ciò che cattura la mia attenzione ora sono i muscoli robusti, ben definiti e la mia immaginazione parte: inizio a bramare quelle sue braccia forti mentre circondano il mio punto vita, stringermi forte, fino a farmi scontrare con il suo petto, incastrata tra lui e il muro. L'eccitazione sale quando sogno la sua bocca sul mio collo...
Lo conosco da appena un giorno ed è già questo l'effetto che mi fa.
Quando i miei viaggi mentali finiscono, mi rendo conto di essere rimasta con lo sguardo sulle sue labbra e, forse, non sono stata l'unica ad accorgersene.
«Sto sbagliando qualcosa?» chiede con voce roca interrompendo il suo lavoro. Deglutisco a fatica e scuoto la testa, poi incastro i miei occhi nei suoi.
È una statua tanto dannata quanto perfetta e io sono così umana, debole.
«No, stavo osservando c-come lavori. S-stai andando alla grande» biascico ostentando una sicurezza che non ho. Non so cosa mi sia preso, di solito riesco a mantenere il controllo ma, diavolo, lui mi manda a fuoco tutto ogni volta. Abbozza un sorriso e vorrei soltanto sciogliermi, magari buttandomi tra le sue braccia. Ma mi trattengo e distendo le labbra a mia volta.
«Ti lascio procedere in tranquillità e, se hai ancora bisogno, ora sai dove trovarmi.»
Devo allontanarmi da lui.
Torno dietro la mia scrivania e ringrazio il cielo che Alessia non ci sia. Mi lascio cadere sulla sedia e chiudo gli occhi. Un calore incontrollato divampa nel mio basso ventre e devo cercare di raffreddare gli animi. Ha tutte le qualità che mi farebbero crollare ai suoi piedi e non posso. Devo pensare solo al mio Samuele e al lavoro.
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Spazio Autrice: Rieccoci! Ben tornati. Spero che questo capitolo vi sia piaciuto. Finalmente entriamo davvero nel vivo della storia, peccato che Cassandra già abbia dei leggeri problemini quando si trova davanti a Mike
E come biasimarla!
Vi attendo nel prossimo capitolo per scoprire come prosegue
xoxo, Althaia
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