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Cap 8• Calze strappate e incontri fortuiti

She's not afraid - One Direction


Elèna

Al termine della pausa finalmente mi riapproprio del mio posto. Riapro quella notifica e guardo ancora incredula lo schermo.
JJ, ovviamente, è lì che mi fissa e si aspetta io dica qualcosa.

«Andiamo a pranzo?» esordisco.

Ovviamente si aspettava che dicessi altro.

«Arrrrgh! Sei... Sei veramente una...» mi urla mentre riesco a tapparle la bocca prima che il professore ci butti fuori a calci nonostante la pausa.
Scoppio a ridere. È davvero buffa con quella faccia e la bocca piena d'aria che io ho saggiamente bloccato in tempo.

«Lo so, ma... Che vuoi che ti dica? Non so come abbia fatto a scrivermi. Giuro. Non ci siamo mai parlati e io non ho mai... Oh! Ma tu guarda...» e mentre parlo realizzo un particolare che fino ad ora mi era sfuggito.

«Cosa?» mi chiede JJ curiosa.

«Deve aver sbirciato il mio telefono quando mi sono connessa su Facebook. Che cazzo!» dico esterrefatta.

«Che genio. Ma questo è un fottutissimo genio!» esclama JJ con gli occhi spalancati per la sorpresa.

«Ma che genio e genio! Questo è illegale! Va contro la privacy! Adesso devo anche stare attenta a farmi i fatti miei sul cellulare!» dico io scocciata.
Ma chi voglio prendere in giro?

«Ti ha solo scritto, povero uomo. Non farla tragica adesso. Ora che hai intenzione di rispondergli?» chiede lei gasata dalla situazione.

«Non ho nessuna intenzione di rispondergli» ribatto secca.

«Whaaaat? Ma la lobotomia te l'hanno fatta da piccola o sei caduta dalla sedia durante qualche lezione e non me ne sono accorta?» mi fulmina JJ.

«JJ, smettila di offendermi. Sai che sono fidanzata e che non sarebbe da me fare certe cose» mi giustifico.
JJ rotea gli occhi e mi trafigge con lo sguardo.

«Cito testuali parole: stamattina ho incontrato il ragazzo della mia vita. Alto, bello, sexy, con le fossette e due occhi verdi come smeraldi» dice cercando di imitare la mia voce, ma sembrando più che altro Adelina Bla Bla degli Aristogatti.

«Sì, è vero! L'ho detto, ma senza quella voce da oca! E poi era una cosa del momento. Non pensavo di certo che potesse scrivermi!» la rimprovero.

«Beh! E ora davvero non vuoi rispondergli?» chiede JJ.

«No!» dico io inamovibile.

«Aaaa io ci rinuncio, basta. Me ne vado a pranzo, ciao!» e se ne va lasciandomi ancora davanti al computer.

In realtà la tentazione di rispondergli c'è. Ma cosa cambierebbe? Sicuramente mi avrà scritto per noia o divertimento e non posso rischiare che Leo lo scopra. Chissà che ne verrebbe fuori!

Decido di non cancellare il messaggio, ma di non rispondere.
Nel pomeriggio alla fine delle lezioni, Marika, la segretaria che si occupa di tutto quello che riguarda gli stage, mi chiama nel suo ufficio.

«Elèna, vieni pure. Come procede?» chiede continuando a battere violentemente le dita sulla tastiera.

«Bene bene. Ho iniziato a mandare alcuni curriculim in giro» rispondo.

«Proprio a proposito di questo, volevo dirti che ci hanno chiamati da una casa discografica, la Wilson, chiedendoci di fissare un appuntamento per farti fare un colloquio» mi informa.

«Ah sì, ho mandato il curriculum settimana scorsa. La proposta di stage sembrava interessante» rispondo io elettrizzata all'idea di essere stata chiamata.

«Sì e lo è molto. Abbiamo fissato la data per martedì prossimo alle 10:30 presso la loro sede» mi informa Marika.

«Perfetto, lo segno sul calendario. Grazie mille, Marika!» esclamo entusiasta.

«Di nulla, cara!» mi sorride.
Esco dall'ufficio contenta e spaventata allo stesso tempo non sapendo se saltare dalla gioia o sfruttare il tempo da qui a martedì per studiare tutto lo scibile sul mercato discografico. Non mi sono mai approcciata alla musica da un punto di vista tecnico ma qui in fondo si tratta di uno stage e non era richiesta particolare esperienza nell'annuncio.
Andrò e cercherò di dare il meglio di me.
In realtà non pensavo neanche che mi avrebbero chiamata. Incontro JJ di ritorno dal bagno nel corridoio e la informo delle novità e lei, nonostante ribadisca di essere arrabbiata con me per la storia del ragazzo della metro, mi abbraccia e mi fa un in bocca al lupo.

Tornata a casa comunico a Eleonora la bella notizia e lei stabilisce senza obiezioni ammesse che per festeggiare saremmo andate a ballare nel weekend.
Dopo cena chiamo mia madre e dopo un'ora e mezza di telefonata, chiamo Leo per dirlo anche a lui.

«Elèna, allora sei viva?» risponde lui dall'altro capo del telefono.

«Sì, sì, perdonami! Oggi è stata una giornata pesante. Mi hanno fissato un colloquio settimana prossima!» urlo eccitata.

«Ah, beh, sono contento!» dice lui senza un briciolo di entusiasmo. Lo stesso che provo io quando a una cena non è previsto all you can eat, in poche parole: inesistente.

«Non sei contento?» chiedo io iniziando ad agitarmi.
È sempre la stessa storia. Non era contento quando gli avevo detto che mi sarei trasferita per l'università, non era contento quando gli ho detto che proseguivo col master e ovviamente adesso non è contento della possibilità che io possa iniziare a lavorare qui. Non è mai contento per me.

«No, cioè... Sì, certo che lo sono. Se sei contenta tu, lo sono anche io!» dice incartandosi nelle sue stesse parole che puzzano di bugia da migliaia di chilometri.

«Ok. Oggi che hai fatto?» gli chiedo per cambiare discorso, tanto discutere con lui è come discutere con un muro di cemento armato.

«Solito. Sveglia alle 07:00 per aprire il bar. Poi sono uscito un po' con Nicola e Gabriele» risponde lui.

Non mi piacciono quei suoi due amici per le brutte abitudini e le voci che girano sul loro conto, ma d'altronde non posso certo costringerlo a stare a casa.

«Ho capito. Stai attento a quei due» lo metto in guardia.

«Sì, Elèna. Ogni volta la stessa storia. So badare a me stesso» obietta lui quasi scocciato.

«Ok, ok» taglio la discussione non avendo la minima voglia di litigare.
Poi rimaniamo in silenzio senza sapere cosa dire.

«Dai, io vado a letto. Ci sentiamo domani!» interviene lui.

«Ok, notte. A domani» sospiro io.

La nostra storia va alla deriva e non c'è niente che io possa fare per tornare indietro.

A Eleonora non racconto del messaggio del ragazzo della metro per evitare le stesse domande che mi ha già fatto JJ. Domande alle quali neanche io saprei dare una risposta. È la prima volta che non le dico qualcosa, ma non so, è come se inconsciamente volessi che tutta questa storia restasse solo mia.

La settimana passa molto in fretta tra lezioni, studi vari per affrontare il colloquio e maratone di serie TV con Nor. Nel weekend festeggiamo a dovere con una serata in discoteca durante la quale cerco di limitare lo scambio di fluidi tra Eleonora e l'intera parte maschile della discoteca e la riporto a casa mentre sbanda a destra e sinistra.
Per fortuna non ho il vizio dell'alcol. Non mi piace l'odore e men che meno il suo sapore. Disgustoso! Questo però mi trasforma nella crocerossina di turno dopo serate ad alto tasso alcolico e ormonale.
Oggi finalmente è arrivato il giorno del mio primo colloquio. Mi sono alzata presto per fare una doccia e sistemare i capelli. Infilo un tubino nero e abbino una giacca con delle décolleté non troppe alte. Mi trucco un po' più del solito ed esco di casa puntuale per le nove, con ben un'ora e mezza di anticipo.
Arrivata sul posto mentre attendo si facciano almeno le dieci per fare il mio ingresso, noto che la calza si è strappata in un punto e che piano piano si sta sfilando.

«Oh grandioso! Merda» impreco mentre osservo impotente il danno.

Mia madre mi dice sempre di portarmi un paio di calze in più in borsa, ma stamattina non ci ho pensato.

«Dannazione! Mannaggia a me» chiudo gli occhi maledicendomi.

«Signorina, serve aiuto?» chiede una voce alle mie spalle.
Mi giro e vedo un ragazzo alto, muscoloso e castano. Indossa dei jeans e una camicia con sopra una giacca che lascia intravedere dei tatuaggi lungo il braccio destro. Direi che questo è proprio il mio periodo tatuati! Secondo Eleonora ognuna di noi attraversa delle fasi: fase boy scout, fase principe azzurro, fase palestrato, fase rapper, fase twicemyage. Beh, ecco, io sono ufficialmente inciampata nella fase tatuati.
Che mi salta in mente? Sono quasi rimasta in mutande e fra un'ora avrò il mio primo colloquio e tutto quello a cui penso, sono i miei ormoni impazziti?

«Oh, a meno che tu non abbia un paio di calze nere quaranta denari nascoste da qualche parte in quella giacca, e ne dubito, penso che solo un miracolo potrebbe aiutarmi!» gli rispondo sorridendo.


Lui ride e si avvicina spegnendo per terra la sigaretta.
Mi osserva dall'alto in basso e io divento subito rossa sotto lo sguardo del ragazzo. Soffia fuori l'ultima boccata di fumo e socchiude gli occhi come per riflettere.

«Beh, solitamente non porto calze con me, ma ho una macchina e qui vicino dovrebbe esserci qualche negozio» dice facendo dondolare il portachiavi davanti alla mia faccia.

«Non posso chiederti tanto» tentenno incrociando le gambe.

«Non me lo hai chiesto infatti, mi sono proposto io» mi fa l'occhiolino e mi porge la mano per presentarsi.

«Piacere, Adam».

Stringo la mano «Elèna, piacere mio».

«Allora, Elèna. Accetti la mia proposta?» domanda Adam.

«Devo dire che non mi resta altra scelta. Pensi che ce la faremo ad essere di nuovo qui per le 10:15? Ho un colloquio e non vorrei fare tardi» rispondo io ormai convinta dell'inevitabilità del mio destino.

«Alle 10:14 starai già salendo le scale. Promesso!» mi dice mentre mi accompagna verso l'auto.
Sgrano gli occhi una volta davanti alla famosa auto. È una limousine.
Non sono mai salita su una limousine.
Adam mi fa accomodare dietro e io cerco di muovermi il meno possibile per paura di rovinare qualcosa che sicuramente non mi potrei permettere di ripagare.

«Guarda che non si rovina. Il mio capo ci fa ben peggio lì sopra» dice ridendo.

«Oh, non ero mai salita su una limousine e di sicuro non immaginavo l'avrei mai presa per andare a comprare un paio di calze» ridiamo insieme.
Arrivati al negozio entro di corsa e chiedo se posso cambiare le calze nei camerini, ma le commesse, due acide antipatiche, mi fanno cenno di no.

In un'altra situazione avrei sicuramente lanciato loro le calze in faccia, ma vista l'urgenza pago e torno verso Adam che mi sta aspettando appoggiato alla macchina.

«Non le hai trovate?» domanda lui osservando la mia calza ancora strappata.

«Sì, solo che quelle stronze non mi hanno fatta cambiare!» dico girandomi a indicare le commesse.

«Puoi cambiarti in auto. Ha i vetri oscurati e io ti aspetto fuori. Quando hai finito avvisami» dice aprendomi lo sportello per farmi entrare.
Entro e dopo varie acrobazie riesco a cambiarmi senza fare danni. Busso al finestrino e lui sale mettendosi alla guida.
Alle 10:14 in punto siamo sotto il palazzo. Scendendo dall'auto noto subito una enorme W che gira all'ultimo piano.
Deve essere un tipo poco egocentrico questo signor Wilson! Adam mi accompagna gentilmente alla reception dove mi annuncio e attendo di essere chiamata.

«In bocca al lupo allora, Elèna!» mi dice Adam salutandomi e avviandosi verso l'uscita.

«Crepi e non finirò mai di ringraziarti, davvero, mi hai salvata oggi!» gli sorrido e lo saluto. L'ansia inizia a farsi sentire.

***

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