Cap 39• Sono un coglione non c'è dubbio
♫ Strong - One Direction ♫
Henry
Ovviamente non sono neanche le dieci di mattina e già abbiamo litigato. Tutto perché non riesco a tenere chiusa la mia boccaccia.
Ho paura che l'affare con Jackson possa saltare in qualunque momento e non voglio finire di nuovo in mezzo a pettegolezzi. Da quando sono in Italia, la stampa mi ha lasciato un po' tranquillo e mi ci sto quasi abituando. Non voglio di nuovo i riflettori addosso e soprattutto non voglio che Elèna finisca in quel caos. Non è pronta ad affrontare una cosa del genere. Pensano tutti che sia facile, ma non lo è. C'è sempre qualcuno pronto a seguirti. Fuori dai ristoranti, fuori dalle discoteche, fuori dal cinema, fuori dal cesso a volte. È così frustrante. Inoltre a Londra, essendo famoso, non si perdevano una mia uscita neanche per tutto l'oro del mondo. Esco con la modella russa? Foto. Esco con l'attrice di una serie tv? Foto. Esco? Foto. Era un continuo susseguirsi di foto e articoli.
Per non parlare delle cazzate che scrivevano su di me. Ormai ci ho fatto il callo e ho imparato a conviverci e non me ne frega neanche più di tanto. Ora però sento di dover proteggere Elèna e qualsiasi cosa ci sia tra noi. I giornali non fanno altro che inventarsi stronzate su stronzate e non lo sopporterei se si inventassero cattiverie su di lei, perché è questo quello che farebbero, come hanno già fatto in passato.
Tutto questo però lei non lo sa ed è logica la reazione che ha avuto a quella mia frase.
Sono un coglione non c'è dubbio. Neanche un giorno e ho già infranto la promessa che le ho fatto. Raggiungo Jackson nel suo ufficio per parlargli di Londra e del fatto che dovrò allontanarmi per qualche giorno. «Henry! Buongiorno» mi saluta lui.
«Buongiorno, Jack» rispondo io sedendomi sulla poltrona.
«Hai portato quei documenti?» mi chiede lui e io li prendo dalla cartelletta e glieli passo. Lui li legge in silenzio e sembra misurare ogni parola, ogni virgola e punto. Dopo un quarto d'ora di silenzio prende la penna e firma.
«Direi che ci siamo» dice mentre firma il documento.
«Jack, a proposito di questo. Dean vuole che vada a Londra al più presto per discutere dei dettagli del contratto di presenza. Volevo chiederti, ecco... Non è che potresti venire anche tu. Dean vorrebbe rivederti, ma vorrebbe anche qualcuno della Wilson a presenziare perché sarebbe un'ottima idea fare in modo che le due aziende si incontrino formalmente» dico.
Jackson è a conoscenza del rapporto che ho con Dean per cui non fa domande sul perché io lo chiami per nome, anche se so che non è d'accordo. Sono molto amici con Dean, si conoscono da decenni e conosce me da quando ero piccolo e secondo lui sbaglio ad essere così scontroso con lui, ma sa anche che su questo sono irremovibile.
«Mmm, Henry. Mi risulta davvero impossibile una cosa del genere. Non posso assolutamente assentarmi, però... Potrei mandarti l'unica persona che sa tutto dell'affare quasi al mio stesso pari. La preparerò per l'incontro con tuo padre. Mi fido di lei» risponde lui.
Dio, fa che non sia Caroline perché altrimenti giuro che la strozzo in volo.
«E a chi avresti pensato?» chiedo io temendo la risposta.
«Elèna!» risponde secco lui.
Io sbarro gli occhi e sbianco. Elèna? La mia Elèna?
«Elèna?» ripeto io.
«Sì, lei. Ha seguito tutto dall'inizio e ne sa più di chiunque altro. Lavora a stretto contatto con me e conosce ogni virgola dell'affare. Quella ragazza è in gamba e si merita un'occasione del genere. Di certo non posso mandare quella sanguisuga di Caroline. Primo perché mi serve qua e secondo perché ti distrarrebbe troppo» sorride malizioso.
Elèna è la mia distrazione, altro che Caroline!
«Ah, ehm sì, spero solo che Dean non crei problemi. Cioè insomma lo conosci» sbuffo io.
«Il solito vecchio Dean. Presenterai Elèna come la mia segretaria personale e non come una stagista, in questo modo non dovrebbe fare troppe storie. Ad ogni modo possiamo sempre fare una conference call per far sì che io possa intervenire in aiuto ad Elèna se mai dovesse essercene di bisogno» conclude Jackson.
«D'accordo» rispondo ancora un po' confuso dagli eventi.
«Ah, Henry. Non dire nulla ad Elèna. Voglio che sia una sorpresa. Ne ha passate tante e penso proprio che cambiare aria le possa solo che giovare» dice Jackson.
Le vuole davvero bene. Non l'ho mai visto così legato ad una persona e soprattutto non ha mai provato ad alzare un dito su di lei. Penso la veda quasi come una figlia.
Io sorrido e penso che forse in questo momento non vorrebbe neanche partire con me, per cui sì, meglio la via della sorpresa.
Mi sento felice ed elettrizzato, ma allo stesso tempo ho paura. Paura che possa succedere qualcosa, non lo so, è più un presentimento. Speriamo di no.
«Va bene Jackson, allora se è tutto io vado» dico alzandomi e salutandolo.
«Ci sentiamo, Henry» mi saluta anche lui.
Ho bisogno di un caffè, penso avviandomi alle macchinette.
Sbuffo e per poco non vado a sbattere contro la persona che sta girando l'angolo. Caroline. Perfetto, proprio te cercavo!
«Henryyy!» grida lei con quella fastidiosa voce da gallina che si ritrova.
«Caroline, dobbiamo parlare» dico io indicandole di avvicinarsi alle macchinette. Lei mi segue facendo riecheggiare il fastidioso rumore dei suoi tacchi.
«Devi smetterla di andare a raccontare in giro i cazzi miei» ringhio.
Lei fa una faccia scioccata e inizia a mordicchiare il bastoncino di plastica che ha utilizzato per girare il caffè.
«Non so a cosa tu ti riferisca! Io non ho detto niente» sorride maliziosa passandomi una mano sul petto.
Le blocco la mano e la sposto stizzito.
«Caroline, non dire stronzate. A qualcuno lo hai detto e ripeto, è meglio per te non farmi incazzare. Non sono così divertente quando sono incazzato» la minaccio.
«Mi piacciono i bimbi cattivi» risponde con la sua vocetta fastidiosa.
«E a me riesce bene la parte del cattivo» sibilo.
Un frastuono di qualcosa di metallico attira la nostra attenzione e quando mi giro vedo Elèna che mi guarda con gli occhi sbarrati e scappa giù per le scale.
«Dannazione»
«Oh, la piccola Costa sempre in mezzo» ghigna Caroline.
«Stanne fuori Caroline!» ringhio e raggiungo le scale.
«Elèna!» la chiamo, ma lei non si ferma.
Inizio a scendere i gradini due a due fino a quando riesco a fermarla.
Ci metto un po' a spiegarle cosa stava succedendo, ma alla fine mi crede.
Ho bisogno di lei, questo ormai è chiaro. È l'unica cosa di cui mi importa.
«Fratellone!» sento tirarmi un lembo della camicia verso il basso.
«Jenny, che ci fai qui?» chiedo sporgendomi verso lo scricciolo che mi trovo di fronte.
«Papà» dice lei.
«Sei venuta a trovare papà? E la tua babysitter?» le chiedo guardandomi in cerca di qualcuno.
Lei alza le spalle e allunga le braccia verso di me per farsi prendere in braccio. La prendo in braccio e mi giro verso Elèna.
Lei punta un dito verso Elèna guardandola di sottecchi.
«Lei è Elèna» dico rivolto ad Elèna che in questo momento mi sta guardando con un misto tra la confusione e lo shock.
«Elèna, lei è Jenny, la figlia di Jackson» dico spiegandole chi è la bimba.
«Sei... Sei suo fratello?» sgrana gli occhi lei.
La guardo per un attimo confuso, ma poi ricordo che Jenny mi ha chiamato fratellone per cui è logico che lei lo pensi.
«Ah? No no, Jenny mi chiama così, ma non sono realmente suo fratello. Cioè non di sangue, ecco» spiego ad Elèna che sembra rilassarsi alla mia spiegazione.
«Non è vero, tu sei il mio fratellone» si lamenta Jenny.
«Certo che lo sono, piccola peste» dico scombinandole i capelli e facendola ridere.
«Non sapevo che Jackson avesse una figlia» mi sussurra Elèna mentre saliamo le scale perché Jenny ha paura dell'ascensore.
«Ha quattro anni. Jackson ha divorziato dalla moglie un anno dopo la nascita di Jen» spiego cercando di non farmi sentire da Jenny che sta giocando con i miei capelli e che guarda curiosa Elèna.
«Fidanzata?» esordisce la bimba.
Sbarriamo entrambi gli occhi e inizio a balbettare non sapendo cosa dire.
«N-no siamo buoni amici» risponde Elèna per me. Jenny indica prima me e poi Elèna unendo le braccia.
«Perché ci stavamo abbracciando?» cerco di capire e lei annuisce.
«Perché... Perché ci vogliamo bene, Jen» rispondo io.
Lei mi guarda alzando un sopracciglio e mi abbraccia stringendomi le braccia al collo.
«Anche tu?» le chiedo e lei stringe più forte.
Jenny non parla molto e di solito non si incuriosisce agli estranei, ma sembra abbia voglia di sapere di più su Elèna.
«Jenny!!! Non lo fare più» urla una donna avvicinandosi a noi quando sbuchiamo dalle scale.
«Ti avevo detto di aspettarmi, non devi scappare così» continua la donna urlando.
«Signora è tutto a posto, non è successo niente. Era con me» cerco di tranquillizzare la megera.
«Invece no che non è tutto a posto. È sotto la mia tutela» dice la vecchia tirando Jenny per un braccio e facendola piangere.
«La lasci. Immediatamente. O dovrà cercarsi una nuova bambina a cui badare, sempre se ne troverà un'altra» ringhio tenendo ancora più stretta a me Jen, allontanandola da lei.
La vecchia molla la presa terrorizzata dalle mie parole e si fa di lato.
«Vuoi andare dal tuo papà, Jen?» le chiedo asciugandole le lacrime. Lei annuisce e con i pugnetti si strofina gli occhi per asciugare le lacrime.
«Andiamo allora» e le sorrido avviandomi all'ufficio di Jackson.
Le do un bacio sulla fronte e ci avviamo all'ufficio mentre la vedo fare ciao con la manina rivolta ad Elèna e posso immaginare che lei stia ricambiando con uno dei suoi meravigliosi sorrisi.
Busso alla porta di Jackson ed entro.
«Ho un pacco per lei» dico poggiando Jenny per terra. La bimba inizia a correre e per poco non inciampa cercando di raggiungere Jackson che la prende al volo e la fa girare in aria facendola ridere.
«La mia principessa!» le dice mentre la fa volteggiare e le posa un bacio sul nasino.
Jackson adora sua figlia, la ama più di qualsiasi altra cosa al mondo. È così che dovrebbe essere l'amore padre-figlia, ma in fondo io cosa ne so dell'amore di un genitore per il proprio figlio? Sono stato abbandonato da mia madre e Dean non mi ha mai guardato come Jackson guarda sua figlia.
Nessuno mi ha mai voluto realmente bene e io non sono mai stato in grado di amare nessuno a mia volta. Mi avevano negato la felicità e per anni me l'ero negata io stesso ripetendomi che non meritavo di essere amato. Ora però vedo uno spiraglio di luce nell'oscurità che mi avvolge e quello spiraglio ha un solo nome: Elèna.
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