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Cap 38• Amico non ti riconosco e bimbi cattivi

Wreecking ball - Miley Cyrus

Henry

«Buongiorno Adam» lo saluto salendo in auto.

«Buongiorno a te» ricambia lui mettendo in moto.

«Allora? Come è andata ieri sera?» mi scruta curioso dallo specchietto retrovisore.

«Te l'ho detto. Ero stanco, l'ho accompagnata a casa e sono tornato in albergo» taglio corto io.

«In albergo, eh? Peccato che, dato che non rispondevi al cellulare, ho chiamato la reception per farti chiamare in stanza per chiederti cosa avrei dovuto fare con l'amica di Elèna e la receptionist mi ha riferito che non eri ancora rientrato!» dice lui alzando un sopracciglio.
Merda!

«A-abbiamo fatto tardi perché prima abbiamo fatto un giro e sono tornato in albergo verso le due» mento io.

«Henry! Erano le cinque quando ho chiamato!» ribatte lui. Ma porca puttana, chi è? Sherlock Holmes?

«Sto ancora aspettando una risposta sensata» mi incita lui.

«Ho dormito da Elèna» rispondo secco.

Adam pianta il piede sui freni e per poco non causiamo un triplo incidente data la grandezza non del tutto trascurabile del mezzo sul quale viaggiamo.

«Adam, porca puttana! Sei impazzito? Vuoi farci ammazzare?» sbraito lanciandogli delle occhiatacce.

«Henry, guardami e ascoltami bene. Elèna non è una delle tante ragazze con le quali sei solito andare a letto. Non è come tutte le altre e non si merita di soffrire, benché meno per causa tua» inizia la predica lui.

«Lo so» rispondo io, ma lui non mi sente e continua con il suo monologo.

«Io non permetterò che tu le faccia del male... Aspetta cosa hai detto?» si gira a guardarmi con gli occhi sgranati.

«Ho detto che lo so!» rispondo.

«Cosa vuol dire che lo sai?» si acciglia lui.

«Vuol dire che se all'inizio pensavo fosse tutto un gioco come le altre volte e che fosse solo una delle tante, ora so che non è così. E per rispondere alla tua minaccia sappi che mi picchierei io stesso se mai dovessi farle del male e autorizzo anche te a farlo» dico tutto d'un fiato.
Adam mi sta ancora guardando sconvolto mentre una decina di clacson strombazzano all'unisono. Siamo ancora in mezzo alla strada e stiamo bloccando un incrocio, ma ad Adam sembra non importare.

«Wow» riesce solo a dire.

«Wow?» ripeto io.

«Sì, wow. Amico non ti riconosco. Cioè è una cosa buona, anzi, ma davvero? Cioè lo pensi davvero tutto quello che hai detto? E poi da quand'è che siete così intimi?» mi scruta lui.

«Non siamo intimi in quel senso. Non ancora, e poi diciamo che ti mancano dei pezzi, ma ora non mi va di parlarne. In ogni caso sì, penso davvero tutto quello che ho detto» confesso e penso a quanto in questo momento possa essere confuso dato che ci ha sempre visti litigare e non conosce tutti i retroscena, ma sa anche che non mi comporterei in questo modo senza motivo. Inutile scappare.
Mi sembra di scorgere un po' di tristezza nei suoi occhi. Mi dispiace tanto per lui, ma quando si parla di Elèna non riesco a ragionare e sì, forse sarò egoista, ma mi merito anche io la mia isola di felicità.

«Comunque non mi serviva la tua autorizzazione» continua lui tornando l'Adam di sempre.
Io lo guardo confuso.

«Ti picchio senza problemi se le fai del male» conclude lui e io faccio un sorriso perché so quanto lui tenga a lei e so anche che non esiterebbe a picchiarmi se mai dovessi farle del male e non sarei di certo io a fermarlo.

«Ehm io direi sia meglio ripartire prima che chiamino la polizia» dico indicando il macello che si è creato fuori a causa del nostro intralcio.

«Hai ragione» ride Adam ripartendo.

«Andiamo a prendere Elèna» mi avvisa dopo.
Già, vero. Mi ero dimenticato che Adam fosse anche l'autista di Elèna penso. Che effetto mi farà rivederla? Avrà ancora il mio anello?

Beh non mi resta che scoprirlo...


Elèna

E se la notte gli avesse fatto cambiare idea? E se si fosse dimenticato di tutto quello che era successo il giorno prima?
Mi preparo bombardata dai miei pensieri pessimisti di prima mattina.
Indosso un jeans e una camicetta a maniche lunghe e prima di uscire di casa, recupero l'anello di Henry dal comodino e lo indosso.

Non mi accorgo del tempo che passa e resto a fissarlo come una stupida per dieci minuti fino a quando il suono del cellulare mi riporta alla realtà. È Henry.

Sto diventando vecchio a forza di aspettarti e sai, ci sono ancora parecchie cose che vorrei fare prima di morire.

Scuoto la testa pensando a quanto sia scemo e dopo aver salutato Eleonora mi fiondo fuori dalla porta e scendo le scale.
Una volta aperto il portone il cuore inizia a galoppare alla vista della limousine. Quasi vorrei tornare indietro. Anzi mi licenzio! Non fare l'idiota e sali su quella maledetta macchina!

Apro la portiera e lo vedo. Non è come la prima volta che sono salita. Stavolta mi sta guardando e mi sorride. Un po' della paura passa e i battiti tornano ad essere più lenti.

«Buongiorno» saluta Adam da davanti.

«Buongiorno, Adam. Scusate il ritardo» dico salendo e sedendomi.

«È un vizio allora quello di non rispondere ai miei messaggi?» dice Henry fissandomi.

«Buongiorno anche a te!» ribatto io.
Lui invece di rispondermi mi scruta e dopo aver indugiato con lo sguardo sulle mie mani mi sorride e io arrossisco.

«A-Adam raccontami un po' di ieri sera» cerco di rompere il ghiaccio.

«Ci siamo divertiti molto. Siamo stati in quel club che c'è in centro, quello con i buttafuori a torso nudo. Lo ha suggerito Eleonora» ridacchia anche se mi sembra diverso dal solito.

Rido pensando alla scelta poco ortodossa di Eleonora, ma d'altronde si sa: Eleonora è Eleonora.

«Non ha fatto altro che discutere con Brian che invece voleva andare in un altro locale, ma poi alla fine tanto lo ha torturato che ha vinto lei» dice Adam ridendo al ricordo del loro battibecco.
Metto una mano sulla faccia vergognandomi per Eleonora.

«Chiedo scusa da parte sua» dico ad Adam «A volte è incontenibile».

«Nessuna scusa, è simpatica! E poi ci ha già pensato JJ a strigliarla per bene» soffoca una risata Adam.

«So che Eleonora è tornata in albergo con Brian e JJ?» chiedo ad Adam notando che Henry si è un po' agitato al mio fianco quando ho nominato della notte in albergo di Eleonora e Brian.
Abbiamo avuto la stessa reazione, a quanto pare!

Dio li fa e poi li accoppia.

«Oh ehm l'ho riaccompagnata io in taxi. Sana e salva fin sotto casa» mi dice guardandomi dallo specchietto.

«Bene! Grazie Adam, davvero!» gli sorrido e lui distoglie lo sguardo da me per guardare Henry.

«Di nulla, ci mancherebbe!» mi sorride lui di rimando.
Vedo Henry irrigidirsi un po' accanto a me e così lo guardo alzando un sopracciglio come a chiedergli cosa avesse e lui scuote la testa mimando un "nulla".

Bene, siamo passati al linguaggio dei segni.

Ripeto: Dio li fa e poi li accoppia, o forse nel vostro caso se ne dimentica proprio.

Arriviamo sotto l'edificio Wilson e io faccio per aprire lo sportello quando Adam mi precede.

«Adam, quante volte ti ho detto che non è necessario?» gli dico guardandolo torva.

«Lamentati pure, ma la mia è semplice e pura galanteria» dice lui gonfiandosi il petto. Nel frattempo anche Henry è sceso e si avvicina a noi.

«Bell'amico, a me che ti pago non l'hai mai aperta» si lamenta lui con Adam.

«Forse perché se lo facessi mi rifileresti un cazzotto lamentandoti che non sei una femminuccia» risponde a modo Adam.
Henry ride e anche io.

«Hai ragione, mi conosci bene» dice Henry.

«Fin troppo, mio caro. Elèna mi raccomando, se dovesse fare qualsiasi cosa che ti dia anche solo un pizzico di fastidio, sai dove trovarmi» dice Adam in modo ironico. O forse no?

«Stai tranquillo. Ormai ho la laurea ad honorem in psicologia infantile» rispondo io.

«Psicologia infant...? Oh ma tu guarda che ragazza spiritosa. Ci siamo alzate con la vena comica stamattina?» mi schernisce Henry e io gli faccio la linguaccia.

«Adam, ci vediamo stasera» lo liquida Henry.

«A stasera, Adam e grazie per il passaggio» lo ringrazio io.

«A stasera» dice Adam ad entrambi soffermandosi un po' di più su di me.
Henry mi sta aspettando davanti all'ascensore. È dal giorno del colloquio che evito di rimanere sola con lui in ascensore, ma oggi è diverso.
Henry mi fa entrare per prima e subito dopo entra premendo impaziente il pulsante.
Non appena le porte si chiudono, Henry mi spinge contro le pareti dell'ascensore e dopo avermi fissata per un po', si avvicina e mi bacia.

Non me lo aspettavo. Per tutto il tempo del viaggio non aveva proferito parola se non per qualche battutina o per parlare con Adam.
Mi bacia con trasporto e posso sentire il suo corpo premere sul mio.

«È da quando sei salita in auto che ho voglia di farlo» mi sussurra all'orecchio mandandomi le guance in escandescenza e lasciandomi senza fiato.

Siamo quasi arrivati, così mi sistemo i capelli che si sono elettrizzati per il contatto con la parete metallica dell'ascensore e non solo.

«Elèna, in ufficio mi comporterò come sempre. Non mi piacciono i pettegolezzi e le persone che lavorano in quest'ufficio vivono di questo, per cui...» comincia lui, ma io lo interrompo.

«Certo, nemici come prima».

«Non intendevo questo, non saltare a conclusioni affrettate» dice guardandomi, ma io non lo guardo nemmeno e appena arriviamo all'ultimo piano esco dall'ascensore a passo svelto prima che lui mi fermi. Cosa si crede? Che vada a spiattellare a tutti i fatti miei? Che mi piaccia stare al centro dell'attenzione? Dannato Henry! Mi ha fatta innervosire già di prima mattina. E pensare che sembrava essere iniziato tutto nel migliore dei modi.

Come fa a demolire tutto, qualsiasi gesto o sguardo, con una sola frase? Deve essere un suo dono. Alcune persone riescono a leggere nel pensiero, altre a vedere al buio, altre a bere la coca cola dal naso con una cannuccia. Henry Evans ha il dono di demolire tutto con una sola, semplice frase.

Quasi me lo immagino sulla palla demolitrice di Miley Cyrus mentre arriva cantando "I came in like a wrecking ball" e sbam distrugge tutto quello che c'è stato.

Ok. Questo pensiero è troppo rivoltante anche per me, nonostante non mi dispiacerebbe vederlo nudo, ma a volteggiare su una palla e a leccare martelli proprio non ce lo vedo. No, no. 

Scuoto la testa cercando di cacciare via quell'immagine e concentrarmi nuovamente sul perché mi fossi incazzata così tanto.
Ah, giusto: i pettegolezzi.
Come può pensare che io sia il tipo da gossip? Se esiste il club di quelle che vogliono passare inosservate, beh io sono sicuramente la tesoriera. Non mi piace stare al centro dell'attenzione, soprattutto se si tratta delle mie relazioni o di cose private.

Spesso in ufficio le altre impiegate parlano, o meglio sparlano, di questa o quest'altra e a volte le ho beccate a sparlare anche di me soprattutto quando c'è Caroline nel gruppetto. Non sono ben vista dalle colleghe. Nessuna capisce come abbia fatto a superare il colloquio e perché Jackson si fidi così tanto di me da affidarmi grosse responsabilità. Effettivamente non lo so ancora neanche io, ma una cosa è certa: non sono né una leccapiedi né una poco di buono come mi dipingono loro. D'altronde non mi è mai importato cosa pensassero gli altri di me e fino a quando non hanno il coraggio di dirmi in faccia quello che pensano, per me resta un problema solo loro.
A Henry invece sembra importare. Strano per uno che non si fa problemi a farsi fotografare ogni giorno con una modella o attrice diversa al seguito. E se fosse proprio questo il problema? Non sono un'attrice e men che meno una modella. Non mi avvicino nemmeno agli standard di donna che Henry è solito frequentare. Grazie a Eleonora e JJ mi sono fatta una cultura su chi avesse frequentato, per quanto tempo e chi avesse lasciato chi. Ovviamente tutte supposizioni dei giornalisti e dei paparazzi.

Tutto quel materiale su di lui mi ha incuriosita e spaventata allo stesso tempo. Non deve essere facile avere sempre qualcuno pronto a urlare al mondo un tuo passo falso o quante volte sei andato al bagno a fare pipì. Questa però non è una giustificazione a quello che mi ha detto in ascensore.
Non può prima attaccarmi al muro e poi chiedermi di sparire e fare finta di nulla. Non sono la sua escort! Che diamine.

Già, la escort se la sarebbe già scopata e l'avrebbe anche pagata profumatamente. A te ha soltanto scroccato latte e cereali.

Sei davvero sicura di essere me? Perché se è davvero così, inizio ad avere paura di me stessa. Qualcuno interrompe il litigio con la mia coscienza.

«Elèna posso entrare?» chiede Jackson da dietro la porta.

«Certo!» rispondo io sistemandomi subito meglio sulla sedia.

«Buongiorno» mi saluta lui e io ricambio.

«Come è andato il weekend? Ti sei riposata?» mi chiede avvicinandosi alla scrivania.

«Oh ehm sì, abbastanza» gli sorrido senza dare a vedere l'agitazione.

«Ottimo, ottimo. Mi servi carica. Hai mica impegni importanti questa settimana?» chiede lui.

«Ehm, no. Non mi pare» rispondo io confusa.
«Perfetto, allora non prenderne mi raccomando. Mi servi anima e corpo. Questa settimana sarà molto impegnativa» mi avvisa lui.
Mi sta spaventando. Anima e corpo? Cioè? Non vorrà mica dirmi tra le righe che dovrò trasferirmi a lavoro con una tenda e un fornetto elettrico?
Annuisco poco convinta e passo l'ora successiva ad ascoltare Jackson sugli avanzamenti dell'affare con la Evans Productions. Perché mi sta raccontando tutto nei minimi dettagli? Sembra quasi che lo debba firmare anche io questo dannato contratto!

L'affare sembra essere davvero grosso e Jackson ci tiene molto e ovviamente non fa che nominare Henry. Di certo non gli è sfuggito il mio disappunto perché ogni tanto mi chiede «Tutto bene?» oppure «Qualche problema in questo passaggio?».

Oh no, Jackson. Nessun problema nel passaggio, solo problemi con chi mi ha dato il passaggio! Finalmente Jackson esaurisce le batterie e decide di uscire dall'ufficio lasciandomi sola in overload informativo e così decido che è ora di una pausa e di una bella cioccolata calda alle macchinette. Sto per raggiungere le macchinette quando sento quella fastidiosa voce che devo sorbirmi tutte le mattine. Caroline.

«Mi piacciono i bimbi cattivi» dice con la sua vocetta fastidiosa a qualcuno.

«E a me riesce bene la parte del cattivo» sussurra una voce. Henry. È la voce di Henry.

No, di nuovo. Cazzo! Perché? Ditemelo, vi prego!
Non voglio restare ad origliare un secondo di più, così cercando di non farmi notare cerco di raggiungere l'ascensore, ma ovviamente urto uno stramaledetto cestino di ferro pieno di carte che fa voltare entrambi nella mia direzione.
Non mi fermo neanche a raccogliere il disastro ambientale appena causato e mi precipito verso le scale scendendole il più velocemente possibile.

«Elèna» sento urlare dalla tromba delle scale. La sua voce riecheggia e rimbalza dalle pareti alle mie orecchie.
«Elèna, ti vuoi fermare?» e lo sento scendere le scale con passi concitati. Sto per arrivare all'ultima rampa, ma Henry riesce a fermarmi.
Come fa ad essere così veloce, dannazione!

Forse sei tu che sei troppo lenta, a forza di stare seduta sul divano!

«Serve qualcosa, signor Evans?» sputo carica di odio.

«Elèna non è come credi» cerca di calmarmi lui.

«Non so di cosa stia parlando, signor Evans!» continuo io.

«Smettila! Perché stai facendo così?» mi chiede urlando.
Io lo strattono cercando di liberare il polso, ma quello che riesco a ottenere è semplicemente una stretta leggermente più forte da parte di Henry.

«Ricorda? Niente pettegolezzi» sibilo.

«Non intendevo questo con quella frase. Dio, non ne dico mai una giusta eh?» dice passandosi una mano tra i capelli.
«Davvero, non è come credi» prosegue quando vede che non accenno a rispondere.

«Oh, non è come credo? E com'è Henry? A me dici di sparire, mentre con lei non ti fai problemi a farti vedere in giro? Ti ho sentito, non sono sorda e non sono il tuo ennesimo giocattolo che puoi mettere da parte quando ti pare» urlo.

«Sai che non penso questo di te. Non l'ho mai pensato. Le stavo dicendo di farsi gli affari suoi e che non doveva andare in giro a raccontare di quello che faccio fuori dall'ufficio» dice lui con un tono di disperazione nella voce.
Lo guardo negli occhi e vedo che forse è sincero. Forse mi sta dicendo la verità, ma non può andare così ogni volta. Quando c'è di mezzo Caroline, non capisco più nulla. Quella donna riesce a rovinarmi la vita anche senza parlarmi. Che rabbia!

«Elèna, credimi» mi prega con gli occhi.

Lo guardo e mi vedo riflessa nei suoi occhi. Tutto questo è inevitabile se voglio far parte del suo mondo. Lui è inevitabile, queste situazioni sono inevitabili. Noi siamo così: inevitabilmente inevitabili!
Sospiro e rilasso i muscoli.

«Ti credo...» sospiro «Ma è l'ultima volta che ti voglio sentire parlare con lei di quanto tu sia cattivo e di quanto a lei piacciano i bambini cattivi» dico schifata.

«Ero andato da lei proprio per chiuderla e hai afferrato solo una parte della discussione. Non succederà più» dice attirandomi a sé.
Mi perdo nel suo abbraccio e nel giro di pochi secondi mi calmo e mi dimentico anche il perché del litigio. Ok, no. Non l'ho dimenticato! Io non dimentico!

Avrò la mia vendetta. In questa vita o nell'altra!

Ti sembra il momento di tirare fuori Il Gladiatore?

Mi sembrava calzasse a pennello con l'epicità del momento.

«Ti odio» dico ancora tra le sue braccia. Lui si sposta e mi guarda confuso.
«Non ho neanche preso la mia cioccolata calda» mi lamento.

«Sei un pozzo senza fondo, Costa» dice lui sorridendo.

«E tu potresti prendere le veci del mio nutrizionista considerando tutte le volte che salto uno spuntino calorico a causa tua, Evans!» ribatto.

«Fratellone!» esclama una voce alle spalle di Henry. Fratellone? Strabuzzo gli occhi.


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