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Cap 27• Mondo dall'alto e scegliere la prima

Sun goes down - Robin Schulz

Spazio autrice: beh, buon San Valentino con un nuovo capitolo ❤️

Elèna

Lui cammina con passo sicuro davanti a me e io lo seguo lasciandomi riempire le narici dalla sua buonissima acqua di colonia. Nonostante abbia dormito scomodo per tutta la notte in confronto a me sembra aver fatto il migliore dei sonni.
Ecco perché non bevi, Elèna. Ricordatelo la prossima volta!

Mentre prendo appunti mentalmente, dopo aver fatto un bel po' di metri, Henry inizia a rallentare fino a ritrovarsi di fianco a me.

«Scusa... Non sono abituato a passeggiare in compagnia» si giustifica guardando in alto con lo sguardo perso nel cielo.

Henry Evans mi ha davvero chiesto scusa?

«N-no tranquillo, figurati» rispondo io continuando a camminargli accanto.
«Non sono il tipo che fa domande, quindi non ne farò, ma se hai voglia di parlare o voglia di fare qualsiasi cosa ti venga in mente dimmelo» dice lanciandomi un'occhiata da sotto le lenti da sole.
Rispondo con un semplice cenno della testa.
Vorrei davvero dirgli perché mi sono ridotta così ieri sera e vorrei dirgli che sono felice di essere con lui adesso, ma non è il momento giusto. Non ora.

«Dove stiamo andando?» chiedo dopo aver camminato accanto a lui per un po' in silenzio.
Lui si ferma e mi guarda rivelando un ghigno sulle sue labbra che non promette nulla di buono.

«Hai mai visto il mondo dall'alto?» mi chiede.
Il mondo dall'alto? Ma che dice? Ancora confusa e frastornata dalla sbornia non riesco a collegare le parole per cercarne il senso nascosto.

«I-in che senso?» chiedo scrutandolo e alzando un sopracciglio che esprime chiaramente tutta la mia confusione.

«Taxi!» urla fermandone uno senza rispondermi.

«Mademoiselle!» dice aprendomi la portiera e facendomi salire per prima.
Non sono abituata alle sue maniere dolci da galantuomo, per cui arrossisco e lui in risposta sorride passandosi una mano tra i capelli.

«So essere gentile anche io» dice. «A volte» specifica salendo in macchina.
Una volta salito prende il mio viso tra le mani facendomi sobbalzare il cuore nel petto e si avvicina sussurrandomi all'orecchio.

«Non devi sentire dove andiamo o rovinerai la sorpresa» bisbiglia tappandomi le orecchie con le sue mani. Riesco a sentire la sua voce, ovattata dalla presenza delle sue mani sulle mie orecchie, dare indicazioni al tassista su dove portarci, e percepisco il freddo del metallo degli anelli che indossa sulle mie guance.

«Brava bambina» mi loda allontanando le mani dalle mie orecchie.

«Non sono una bambina» rispondo seccata.

«Oh sì che lo sei» ribatte lui.

«Guarda che anagraficamente io sono più grande di te» ribatto orgogliosa.

«Esatto: anagraficamente» dice lui facendomi l'occhiolino.

«Ma hai sempre la battuta pronta tu?» rispondo incrociando le braccia sul petto e sbuffando. Lui in tutta risposta sorride e si gira a guardare fuori dal finestrino.
Stiamo attraversando una zona della città che non avevo mai visto. Siamo in periferia e abbiamo abbandonato il centro caotico. Posso vedere distese di alberi, campi e qualche fabbrica qua e là.
Henry aveva ragione. È una giornata magnifica e non capita spesso che ci sia questo sole senza la solita coltre di umidità e smog.
Mentre sono lì che fisso fuori dal finestrino, una mano si poggia sui miei occhi e mi oscura la visuale.

«Hey» mi lamento cercando di liberarmi.
Mi sta privando per la seconda volta nel giro di pochi minuti di uno dei miei organi di senso.

«Shh, altrimenti capirai subito dove siamo» mi sussurra nell'incavo tra la testa e il collo provocando un brivido dove il suo respiro si scontra con la mia pelle.
Elèna, respira. Ricorda i fondamentali della respirazione: inspirare ed espirare. Cerco di calmarmi anche se con scarso risultato.
Il suo corpo è vicinissimo al mio e lo spazio che c'era prima tra noi nel sedile viene completamente annullato.
L'auto si ferma ed Henry continua a coprirmi gli occhi. Dopo aver pagato il tassista, mi aiuta a scendere e mi fa camminare per un po' stando dietro di me e guidandomi nei passi.
Parla con qualcuno, un uomo direi dalla voce, che gli risponde con una cifra.

«Mi servono entrambe le mani quindi fa la brava e continua a tenere gli occhi chiusi. Non barare»

Non sono mai stata brava a mantenere le promesse quando si parlava di sorprese. Volevo sempre tutto e subito, ma questa volta non voglio lasciarmi rovinare la sorpresa per cui lotto contro il mio istinto e stringo gli occhi più forte che posso.
Henry mi prende per una mano e mi guida di nuovo alla cieca.
Sento voci e urla di bambini, o così almeno sembra, canzoncine che si sovrappongono una sopra l'altra e c'è anche odore di cibo, come di zucchero filato e pop-corn.

«Non vorrai mica uccidermi e sbarazzarti del mio corpo, vero?» esclamo senza riflettere.
Elèna, che cazzo stai dicendo? Ma ti senti? Mai sentito parlare di contare fino a dieci prima di sparare stronzate? Lui invece mi sorprende e scoppia in una fragorosa risata. Non l'ho mai sentito ridere così, di solito faceva solo dei ghigni per deridermi e posso assicurare che quello che sto sentendo adesso è di certo il più bel suono che abbia mai sentito in vita mia.

«Sei così buffa! Dovresti vederti» dice tra una risata e un'altra.
Non riesco a fare a meno di ridere anche io nonostante abbia ancora gli occhi chiusi.

«Manca tanto? Inizio a sentire la mancanza del mio quinto senso» chiedo fingendomi scocciata.

«Quanto sei impaziente!» risponde lui prendendomi per mano e guidandomi su quella che sembra una sedia o una panchina. Non lo so, i miei sensi non funzionano bene quando sono cinque figuriamoci in quattro.

«Aprili solo quando te lo dico io» mi ordina e lo sento sedersi accanto a me.
La cosa su cui siamo seduti inizia a muoversi e cigolare.

«Ora» esclama eccitato e io apro gli occhi spalancandola bocca per la sorpresa. Siamo su una ruota panoramica.

Non riesco a crederci. Henry Evans ha portato me, Elèna Costa, sulla ruota panoramica. Si riesce a vedere tutta la città e le persone dall'alto sono così piccole da sembrare formiche.

«Mio Dio, ma è bellissimo!» esclamo euforica «Henry, grazie davvero» e gli getto le braccia al collo.
Lui resta interdetto per un millesimo di secondo, millesimo in cui mi rendo conto di quello che ho fatto e mi allontano subito imbarazzata dalle mie stesse azioni. Devo essere ancora sbronza.

«Scusa non volevo, ehm, scusa» mi scuso guardandomi i piedi. Che stupida.

«Non ti devi scusare di niente» dice lui così piano che a stento lo sento.
Cerco di riprendere in mano la situazione e cambiare argomento prima che la voragine dell'imbarazzo mi risucchi senza via di scampo.

«Chissà se si vede la gigantesca W del palazzo di Jackson» rido.

«Mio Dio, quella W è proprio la massima espressione dell'egocentrismo di quell'uomo» ride lui scuotendo la testa.

«Però è davvero una bravissima persona» affermo appoggiandomi con il mento alla sbarra che ci blocca sulla seggiola.

«Lo è» concorda lui.
«Come mai hai deciso di lavorare per lui?» mi chiede curioso.

«Oh, beh! Cercavo uno stage e sono incappata nella sua offerta di lavoro. Mi piace la musica e in più la proposta di stage sembrava essere quella perfetta per me. E in effetti sto facendo quello che mi piace e non potrei esserne più felice» rispondo soddisfatta.

«Non potevi chiedere di meglio!»

«Esatto! Parli bene l'italiano nonostante le tue origini» penso ad alta voce. Mi piace il suo accento.

«Ho frequentato le scuole internazionali. Ho imparato un po' di lingue nella mia carriera scolastica e il lavoro mi costringe a mantenerle in allenamento» spiega alzando le spalle.

«Allora? Cosa c'è da sapere su Henry Evans che non sia già stato scritto da qualche parte?» azzardo.

«Parli di me?» ripete lui.

«Vedi qualcun altro?» alzo un sopracciglio.

«Pensavo avessi già spulciato ogni singolo articolo sul mio conto» alza le sopracciglia lui.
Beccata, ma non gli darò mai questa soddisfazione, così in tutta risposta lo guardo con aria di sufficienza.

«Il mondo non gira intorno a te, Evans» rispondo con un ghigno che spero risulti credibile.
Lui scuote la testa ridendo e tornando serio mi risponde.

«Non c'è molto da sapere. Sono nato vicino Manchester e poi ci siamo trasferiti a Londra dove adesso si trova la casa discografica» risponde lui.

«Stai attento a non dire troppo perché potrei subire un overload informativo» lo prendo in giro.

«Non sono uno che parla molto. Potrà suonarti strano, ma non mi piace parlare di me» ribatte lui.

«Però ti interessa la mia vita» dico sfidandolo.

«A proposito di questo, non è che tu sia più loquace» ribatte anche lui in tono di sfida.

«Ti concedo una domanda e prometto di risponderti» e subito mi pento di averglielo detto.

«Il tuo ragazzo. Perché non era con te ieri sera? Che ci facevi in quel bar?» si gira completamente verso di me.

«Queste sono due. Risponderò solo a una. Scegli» lo sfido sperando che scelga la seconda.

«La prima» dice sicuro. Ovviamente!

«Ecco...» indugio.

***

Pagina Instagram autricemartina.ingallinera

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