Cap 21• Lividi scoperti e nano irlandese
♫ Sweater weather - The Neighbourhood ♫
Elèna
La mattina dopo la serata con JJ ed Eleonora, ho mandato un messaggio ad Adam dicendo che avrei fatto tardi e che quindi avrei preso la metro per andare a lavoro.
Non avevo la minima intenzione di incontrare Henry e affrontare il viaggio fino in ufficio chiusa nell'abitacolo insieme a lui a pochi centimetri di distanza e soprattutto in totale silenzio.
Ovviamente ho mentito riguardo l'arrivare tardi, anzi sono arrivata anche in largo anticipo sperando di non incontrare nessuno e non dover dare spiegazioni sui lividi.
Eleonora mi ha aiutata a coprirli, ma se mi si osserva bene da vicino si possono ancora notare l'occhio gonfio e i segni delle dita sul collo insieme ai graffi sulle braccia e il petto.
Non ho ancora pensato a cosa dire a Jackson. In realtà, una parte di me spera solo non si accorga di nulla. Nel tempo in cui mi ritrovo da sola in ufficio, do una sistemata alle carte dividendole per importanza. Ovviamente il nome di Henry è stampato su qualsiasi maledetto foglio. Prenderei tutto e lo infilerei nel trita documenti facendo scomparire ogni traccia di quel nome dalla faccia della terra. Il problema è che dovrebbe sparire anche dalla mia testa e non solo dalla terra.
Evans Productions è ufficialmente diventata l'accoppiata di parole che più odio al mondo.
Sbuffo e rilego l'insieme di scartoffie nel cassetto della scrivania per evitare che volino dalla finestra che ho aperto per fare cambiare l'aria. Leo stranamente non si è fatto sentire e non ha risposto al mio messaggio. Mi ritrovo a pensare a dove potrebbe essere e come mai non abbia risposto. Non aveva il turno di notte quindi sicuramente non sta dormendo.
In questo ultimo periodo sono stata così presa dai colloqui, dall'inizio del lavoro e dal rapporto burrascoso con Henry che mi sono sempre più allontanata da Leo e la cosa che più mi fa riflettere è che anche se non ci sentiamo per ore non ne avverto la necessità.
Siamo cresciuti insieme, ma ora stiamo percorrendo strade diverse. Stiamo diventando due rette parallele destinate a non incrociarsi. Due perfetti sconosciuti.
Scuoto la testa cercando di scacciare questi pensieri. Non ho voglia di affrontare questo discorso o forse non ne ho il coraggio, non ancora. Dopotutto siamo stati insieme cinque anni. Cinque anni in cui abbiamo condiviso gioie e dolori e di cui non mi pento assolutamente. Non è facile accettare il cambiamento. Lasciare andare qualcuno che per tanto tempo è stato la mia certezza. Non so più chi sono da sola, non lo sono da troppo tempo e questo mi fa paura.
Qualcuno si schiarisce la voce e mi riporta al presente facendomi sussultare.
I fogli che avevo in mano cadono sparpagliati per terra così mi abbasso per rimediare al danno. Intravedo i mocassini di pelle marroni di Jackson entrare nel mio campo visivo.
«Scusa, non volevo spaventarti. Che ci fai qui così presto? Sono solo le 8:30» osserva aiutandomi a raccogliere gli ultimi fogli rimasti per terra.
«Oh, sì stavo...Volevo solo sistemare un po' di lavoro arretrato» rispondo tenendo la testa bassa.
«Elèna, stai bene? Henry ieri ha chiamato per dire che non stavi bene. Oggi come ti senti?» mi chiede e posso sentire il suo sguardo cercare il mio.
«Sì tutto bene. Ho solo avuto dei giramenti di testa. Forse il virus che c'è in giro» rispondo.
I miei occhi incontrano i suoi. Il sorriso che aveva scompare, gli occhi si stringono e un cipiglio appare sulla sua fronte. Dalla sua espressione capisco subito che ha notato i lividi che ho inutilmente cercato di nascondere.
«Che figlio di puttana» urla alzandosi e mettendosi a camminare avanti e indietro come una furia.
«Giuro che appena lo prendo lo ammazzo! Per me è come un figlio. Mi fidavo e lui che fa? Approfitta di te?» sbatte il pugno sulla scrivania che si piega sotto il colpo.
Non ci sto capendo niente. Sono confusa. Di chi parla?
Jackson esce dall'ufficio come un toro impazzito al quale hanno appena sbandierato davanti qualcosa di rosso.
Inizialmente resto ferma inebetita, poi però collego le parole.
Figlio. Mi fidavo di lui. Ne approfitta.
Merda. Mi fiondo fuori dalla stanza cercando di raggiungerlo.
«Jackson fermati!» lo inseguo correndo nel corridoio.
«No, Elèna. Non la passerà liscia» urla furibondo.
«Jackson non hai capito. Non è stato Henry. Lui mi ha aiutata!» urlo cercando di farlo fermare. Lui si ferma di colpo e io gli sbatto contro rimbalzando all'indietro. Si gira lentamente e mi fissa.
«Nel mio ufficio. Ora!» dice avviandosi e lasciando aperta la porta. Lo seguo, entro e chiudo la porta.
Si è seduto sulla sua poltrona e fa picchiettare nervosamente una matita sul vetro della scrivania mentre io mi guardo intorno aspettando faccia o dica qualcosa.
«Dimmi che non è stato Henry. Ti prego» sussurra con un filo di voce piena di delusione e amarezza.
«No, Jackson. Te lo giuro» lo rassicuro salvando Henry dalla furia di Jackson.
«Non riuscivo a credere ai miei occhi. So che non farebbe mai una cosa del genere, ma per un attimo non ci ho visto dalla rabbia. Anche perché sarebbe stata solo colpa mia» dice un po' più rilassato, ma sempre teso e pronto a scattare.
«Com'è successo?» mi chiede alzando la testa per incontrare i miei occhi.
Per l'ennesima volta mi ritrovo a raccontare quello che è successo quella maledetta notte, ovviamente omettendo la mia gelosia, la notte con Henry e il bacio.
Jackson ascolta tutto senza emettere un fiato.
«Se non fosse stato per Henry non so come sarebbe andata a finire» concludo dicendo la verità perché nonostante tutto, se non ci fosse stato lui, non sarebbe stato di certo questo il finale della storia.
Jackson mi guarda ancora, ma non riesco a decifrare il suo sguardo. I minuti seguenti passano in silenzio. Dio, fa che dica qualcosa!
«D'ora in poi andrai sempre in giro con qualcuno, soprattutto la sera. Nessuno dovrebbe ridurre così una donna, tanto meno una ragazza dolce come te» afferma Jackson.
«È stata sfortuna. Sono capitata nel posto sbagliato al momento sbagliato tutto qui» sospiro alzando le spalle.
«No, Elèna. Non esiste il momento sbagliato. Non deve succedere e basta e d'ora in avanti faremo in modo che non capiti di nuovo. Per nessun motivo» afferma autoritario marcando l'ultima frase.
Lavoro per lui solo da tre settimane, ma so di potermi fidare e soprattutto sento che la sua preoccupazione è sincera.
Il suo modo di fare mi ricorda molto quello di mio padre. Stravede per me e sarebbe uscito di testa se solo gli avessi detto cosa mi era successo quella notte. Non avevo detto niente neanche a mia madre perché sapevo che si sarebbero preoccupati e non volevo avessero costantemente paura per la mia incolumità.
Sono abbastanza grande per potermela cavare da sola.
«Non serve tu rimanga qui oggi. Prenditi pure una giornata libera per ritrovare un po' di equilibrio» mi suggerisce Jackson.
«Jackson davvero non serve, sto bene!» mi affretto a rispondere perché lavorare è di gran lunga meglio di stare a casa sola a rimuginare sugli avvenimenti delle ultime ventiquattro ore.
«Come preferisci! Quando vuoi però puoi andare senza permesso» ribadisce.
«Grazie, lo apprezzo molto» sorrido alzandomi e incamminandomi verso l'uscita dell'ufficio.
«Fra poco ti mando la mail con le scadenze per oggi» e mi fa cenno di andare.
Chiudo la porta dell'ufficio e per poco non vado a sbattere contro una Caroline brilla.
«Eleeeeèna! Ma tu guarda» dice biascicando le parole.
È ancora ubriaca da quella che sembra essere stata una festa all'ultima goccia.
Henry's POV
La mattina quando provo ad alzarmi l'intera fottuta stanza si muove come se fossi su una di quelle dannate giostre che girano su se stesse facendoti salire lo stomaco al posto dei polmoni. A fatica scendo dal letto e raggiungo il water abbracciandolo come se fosse il mio migliore amico. Tutto da questa posizione assume una prospettiva diversa. Il marmo è freddo e mi stimola ancora di più la nausea. Riverso tutta la merda che ho bevuto nella notte. Avevo completamente perso il conto dei cocktail e mi ritrovo a pensare che per essere arrivato a questo punto devo aver mischiato davvero troppo. Raramente finisco in bagno a vomitare. So reggere bene l'alcol. Di solito.
Passata la nausea, faccio una doccia e mi vesto.
Avviso Adam di passare a prendermi per l'una. Devo andare a pranzo con Jackson per parlare dei documenti che mi aveva fatto portare da Elèna.
Mentre sono ancora lì che cerco di far restare ferme le pareti sento qualcosa vibrare.
Ho i riflessi talmente lenti che ci metto un'eternità a capire che è il mio telefono. Qualcuno mi sta chiamando con Facetime.
Con mio grande piacere vedo che è Mason. Mi ha letto nel pensiero perché lo avrei chiamato io stesso più tardi. È da tanto, troppo tempo che non lo vedo. Rispondo girando la telecamera verso la stanza.
Il biondo dei capelli di Mason per poco non mi acceca e sono costretto a socchiudere gli occhi.
«Henry!» mi saluta con il suo accento inconfondibile.
«Mas! Come stai?» gli chiedo.
«Io bene, ma tu dove diamine sei? Vedo solo un letto e il pavimento ricoperto dai tuoi vestiti sporchi. Che porcile! Non sei cambiato, eh?» ridacchia.
«Guarda, stamattina è meglio se ti risparmio la mia faccia» dico passandomi una mano sulla faccia.
«Ti ho visto nelle peggiori condizioni quindi sbrigati a girare quella telecamera» mi ricatta.
Lo accontento e giro la telecamera solo dopo averpreso gli occhiali da sole.
Vedo i suoi occhi azzurri stringersi in due fessure per scrutarmi meglio e pocodopo inizia a ridere come un pazzo.
«Che cazzo hai da ridere?» sbuffo calando gli occhiali sul naso per coprire le occhiaie e la faccia di cazzo che mi ritrovo in questo momento.
Lui continua imperterrito a ridere e alla fine non posso fare altro che unirmi alla sua risata contagiosa.
«Maledetto nano di un irlandese» gli urlo.
«Hey, nano a chi?» dice visibilmente ferito.
«Sai che mi piace prenderti in giro» dico ancora ridendo.
«Non è mica colpa mia se nel giro di due anni sei diventato uno spilungone con le gambe lunghe come le corsie dell'autostrada!» mi fa la linguaccia.
Ricambio la linguaccia e iniziamo a parlare del più e del meno.
«Forse riusciamo ad avere una data al Four Seasons» dice interrompendo lo scambio banale di informazioni che avevamo cominciato poco prima.
Resto in silenzio e tolgo gli occhiali per guardarlo meglio negli occhi.
«Mi stai prendendo per il culo!» sentenzio.
«No! Dico sul serio! L'altra sera sono andato lì con Mayla e il proprietario è il fratello dell'amico del cugino della sorella...Vabbè insomma, per vie traverse ho avuto il suo numero e forse riesce ad infilarci tra tre settimane. Avremo spazio solo per una canzone massimo due, ma penso che sia comunque un'ottima possibilità. Che ne dici?» dice eccitato.
Il Four Seasons è uno dei locali più frequentati di tutta Londra e migliaia di band sognano di suonare in quel posto. Ovviamente conosco di nome il proprietario poiché spesso capitava che andassi lì con Dean alla ricerca di nuovi talenti da inserire nel nostro portfolio di artisti. Tuttavia non posso usare le mie conoscenze. Se Dean ci appoggiasse e non ci mettesse i bastoni tra le ruote sarebbe tutto molto più facile. Potrei sfruttare il mio nome e non dovrei cantare nascosto da un cappuccio. Invece così siamo costretti a cantare in qualsiasi posto ci dia la possibilità e molto spesso a ricevere porte in faccia. Odio dover stare nascosto e quel che più odio è non potermi esprimere al massimo quando sono sul palco per paura che qualcuno mi riconosca.
So che prima o poi arriverà il nostro momento e quando arriverà saremo pronti. Sarò pronto.
«Cazzo Mas, sei un grande!» dico fiero di lui.
«Lo so, lo so, modestamente!» dice gonfiandosi il petto.
«Ora non ti montare la testa, resti sempre un nano» dico facendolo incazzare.
Ridiamo insieme e quando guardo l'orologio vedo che è quasi l'una. Adam sarà giù a momenti.
«Mason devo andare. Tienimi aggiornato e fammi sapere. Oh... E fai il bravo» lo saluto facendogli l'occhiolino.
«Mi sa che quello che tra i due deve fare il bravo non sono io. A presto, Henry» mi saluta e stacca la chiamata.
Quella notizia mi ha messo di buon umore. Resta solo un problema da risolvere: l'affare con Jackson. Dovrò andare a Londra per l'esibizione e questo è un momento troppo delicato per lasciare le cose ferme qualche giorno. Devo trovare una soluzione.
Quando scendo trovo Adam ad aspettarmi nell'auto con il motore acceso pronto ad accompagnarmi in ufficio da Jackson.
***
Pagina Instagram autrice: martina.ingallinera
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