Capitolo 14
Riassunto dei capitoli precedenti:
Bethany ha finalmente trovato il coraggio per dire a Liam di essere incinta, soprattutto grazie all'aiuto di Clyde. Proprio quest'ultimo non è nei migliori rapporti con Adam, che lo accusa di essere la causa per cui Paris rischia la vita all'FBI. In effetti non ha torto: Connor la minaccia con una pistola, portandola proprio da Steven. Quest'ultimo confessa che Connor è suo nipote e fa a Paris una serie di domande per capire da che parte sta.
Clyde's pov
Continuo a bussare come un pazzo alla porta dei miei zii. È da circa due minuti che ho iniziato a battere i pugni invece che premere il campanello, ma solo perché Paris mi ha fatto una ramanzina. "Così lo bruci" e altri due o tre motivi che non ho ascoltato.
Lei è calmissima, di fianco a me a braccia incrociate e le guance rosse, ma ancora riesco a vedere gli occhi lucidi del pianto. Appena è tornata a casa ha avuto una crisi, probabilmente un attacco di panico, tremava come una foglia e ci ha messo un'ora per smettere di singhiozzare e dirmi cosa è successo.
Non me ne frega più niente del piano, della missione o del fatto che dovrei stare nascosto, come una talpa nella tana. Lei ha finito. Ha fatto la sua parte, ma io non la mando più lì dentro. E setaccerò ogni angolo di Los Angeles per trovare il bastardo che le ha puntato una pistola contro. «Magari sono andati a fare una passeggiata.» Prova a fermarmi Paris, ma neanche ha il tempo di poggiare la mano sul mio braccio che la porta si apre.
Mia madre ha un sopracciglio inarcato. «Hai deciso di sfondare la porta per farla cambiare?» In un'altra situazione avrei riso, credo di aver preso da lei il senso dell'umorismo, ma non sento altro che rabbia ora.
Alzo gli occhi al cielo e la sorpasso, mentre Paris saluta imbarazzata mia madre. Non penso si abituerà tanto presto alla sua presenza. Ty e gli zii stanno ridendo in salotto, guardando un vecchio film in bianco e nero. Mi fissano in silenzio non appena si accorgono di me. «Noi ce ne tiriamo fuori.» Dico, forse troppo brusco. Non sono abbastanza lucido, però, per trovare un modo calmo e comprensibile per dirlo.
Sembrano tutti molto confusi, Elodie si va a sedere vicino a zia Abbie. Paris rimane in piedi, di fianco a me. «Ovviamente potete, mica avete firmato con il sangue, ma possiamo sapere il perché?» Mio padre è stranamente calmo, stringe la mano di mia mamma. Per un attimo mi sento in colpa per non essere più in grado di aiutarli, ma passa quando guardo Paris. Non la metterei mai in pericolo. Mai. La sua sicurezza vale più di ogni altra cosa per me.
«Il nipote di quel figlio di puttana ha puntato una pistola contro Paris. E Steven le ha detto che può contare su di lei per qualunque cosa. Vi rendete conto di quello che significa, vero?» Sbotto, portandomi una mano tra i capelli. Mi formicolano le dita.
Non ho mai visto Paris Collins così distrutta come oggi, quando è tornata a casa. Neanche quando ha scoperto il mio vero nome o che suo padre era stato arrestato ha reagito così. Non ho idea di come abbia fatto ad affrontare tutto, quella mezz'ora le dovrà essere sembrata un giorno intero. So solo che non voglio mai più vedere il terrore nei suoi occhi quando l'ho guardata, accasciata vicino al muro e con le gambe strette al petto.
I miei genitori sembrano sorpresi. «Non sapevo che Steven avesse un nipote.» Mormora mia madre, mentre scuote lentamente la testa. «Paris, stai bene?»
Mi massaggio con l'indice la tempia. Sono preoccupato, oltre che estremamente incazzato, ma in qualche modo la premura di mia madre mi calma. Se Paris non le sta simpatica almeno si sta sforzando di essere gentile nei suoi confronti. È un inizio.
La ragazza bionda al mio fianco si schiarisce la voce. «Ora sto meglio, grazie.» Mi lancia un'occhiata. «Posso ancora continuare, in realtà. Sono solo stata presa un po' alla sprovvista.» Le avevo promesso che non le sarebbe successo niente. L'avevo promesso a me stesso, più che altro. Ma solo ora mi rendo conto di quanto sono stato stupido: come faccio a tenerla fuori dal pericolo se lei ne è dentro fino al collo e io sono nell'ombra?
La guardo sorpreso. E anche un po' incazzato. Non ci penso proprio a rimandarla lì. «Alla sprovvista?» Ripeto, i pugni stretti lungo i fianchi. Se avessi saputo che lei avrebbe fatto una cosa del genere, che si sarebbe fatta quasi ammazzare per me, non le avrei mai dato la possibilità di ritornare nella mia vita. «Quel lunatico poteva ammazzarti, Paris. E per quanto io possa dirti che sei brava a difenderti o insegnarti a combattere, di certo non puoi farcela con quei due.» Sono furioso, spaventato e stanco. Tutte e tre insieme. Mi sento una bomba ad orologeria pronta a scoppiare, pronto a fare qualunque cosa -anche una cazzata- pur di proteggerla.
Zia Abbie lancia un'occhiata a mia madre, poi si alza e viene verso di me. Anche se è più bassa, mette entrambe le mani sulle mie spalle come quando ero piccolo e doveva dirmi qualcosa di estremamente serio. Lo faceva spesso quando doveva sgridarmi per qualche commento stupido che avevo fatto contro i miei genitori, quando mi hanno scaricato dai miei zii come un cucciolo che non si vuole più. Forse avrei reagito in modo diverso se avessi saputo che lo facevano per proteggermi, perché non sono mai stato abbastanza calmo per pensarci senza rancore e arrivare a quella motivazione. Era più facile pensare che non mi volevano, immagino. «Capisco che tu sia spaventato, ma niente ti dà il diritto di usare questi modi e lascia parlare Paris. Dopo dirai la tua, capito?» Ha una voce stranamente dura, ma guardandola negli occhi mi rendo conto che è solo una facciata. Lei sa perfettamente come ci si sente ad essere imponenti mentre una persona che ami è fra le grinfie dei corrotti degli FBI. Gliel'ho letto in faccia quando l'ho vista la prima volta dopo l'annuncio dei miei genitori. Lei ha sofferto quanto me, se non di più.
Chiudo gli occhi e sospiro, poi annuisco lentamente. Ho sempre paura che Paris si senta troppo costretta e che dica che lo vuole fare non perché voglia davvero, ma perché ci lascerebbe in una situazione scomoda se ne uscisse ora. In realtà della situazione scomoda non potrebbe fregarmene di meno. «È stato terrificante, lo ammetto.» Paris si stringe nelle spalle e sta guardando un punto indefinito dietro il divano dei miei zii. Non guarda nessuno in faccia, neanche me. «E ammetto anche che sento ancora la pressione della canna della pistola sulla pelle, ma questo non toglie che voglio andare avanti con la missione. Steven per il momento non farà niente, da quel che ho capito, e ha anche detto a Connor di portarmi da qualche parte la settimana prossima. Non ho idea di dove o di cosa si tratta, ma tirarmi indietro ora sarebbe davvero stupido.»
Stupido sono io per averti fatto entrare nella mia vita, penso, ma non lo dico perché so che inizieremmo a litigare. Già ora c'è qualche problemino tra di noi, tra la mia gelosia e questa cazzo di missione. «Se senti di voler continuare ci faresti un immenso favore, Paris, e questo già lo sai. Ma non devi farti problemi se vuoi farla finita, ci hai aiutato già così tanto.» Elodie le fa un sorriso dolce e mi viene spontaneo inarcare un sopracciglio. Non sono abituato a vederla così comprensiva. O forse non sono abituato a vederla così e basta.
«Ce la faccio per ora.» Annuisce Paris, poi mi lancia una piccola occhiata. Addolcisce lo sguardo e sembra chiedermi quasi scusa, più o meno come si guarda una persona a cui hai fatto il torto più grande: sa che vorrei che smettesse subito di fare questa pazzia. «Non so assicurare per il futuro, però.» Fa una piccola risata, ma riconosco subito che la sta sforzando. È ancora scossa per quello che è successo stamattina.
Stringo istintivamente i pugni. Non voglio pensare che possa succedere di nuovo, che la prossima volta però Steven non sarà così gentile. Non posso pensarci. Pensare di perdere Paris perché mi odia o perché se ne vuole andare dalla mia vita è una cosa, pensare di perderla per quel bastardo invece mi manda fuori di testa. Così tanto che il solo pensiero mi uccide.
Zia Abbie circonda la mia vita con un braccio, in modo da abbracciarmi. Mi è mancato vederla così spesso, stare lontano da casa per quattro anni è stato difficile. «Rimanete a cena? Sto provando una nuova ricetta. Ty dice che non verrà buona, ma io sono positiva. Mi è venuta quest'idea ieri sera, mentre riscaldavo il pollo e ho pensato "okay, domani la faccio", ho anche mandato Ross a fare la spesa stamattina apposta. Clyde, sei sempre stato il mio assaggiatore migliore, perciò confido nel tuo giudizio.» Come al solito zia Abbie non la smette di parlare, così faccio giusto in tempo a fermarla prima che cambi discorso e debba rispondere a due cose.
«Sí, rimaniamo zia.» Mi assicuro che a Paris vada bene, ma la trovo a suo agio quando si accomoda vicino ai miei genitori e inizia a seguire anche lei il film in bianco e nero con loro, dopo aver chiesto qualche informazione sulla trama.
Sorrido e, per un po', la Paris piangente e tremante di qualche ora fa è solo un lontano ricordo.
* * * *
Paris' pov
Clyde guida in silenzio, le mani stette saldamente intorno al volante. Ho voglia di allungarmi e di baciarlo, così, senza un apparente motivo. Mi trattengo solo perché sono schiacciata tra Adrian e Liam, e Beth è seduta di fianco a lui mentre si tortura le pellicine sulle unghie.
«Avete già pensato a qualche nome? Io stavo riflettendo su qualcosa di figo, tipo Anakin.» Rompe il silenzio l'idiota di mio fratello minore. William sospira e chiude gli occhi, ignorandolo.
Bethany, invece, si gira furiosa verso di lui. «Io non chiamerò mio figlio come il cattivo di Star Wars, Adrian. Non è neanche un vero nome.»
«Però...» Apro la bocca per commentare che non è proprio cattivo -forse sono di parte, perché da piccola ho sempre avuto una cotta per lui-, ma la mia migliore amica mi interrompe prima ancora che possa pensare alle parole giuste da usare. «No, ragazzi. Chiamerete un vostro ipotetico figlio così, ma non io. Forse portarvi tutti all'appuntamento con la ginecologa non è una buona idea.»
«Tu dici?» Risponde ironico Clyde, con una risatina. «Sembriamo una squadra di calcio. Probabilmente ci cacceranno dopo dieci minuti perché ridiamo troppo rumorosamente.» Sono io quella a ridere adesso perché immaginarmi la scena non è tanto difficile. Allungo una mano e la passo tra i suoi capelli. Sono morbidi e ancora non mi sono abituata al fatto che li ha tagliati qualche ora fa.
Ieri pensavo che tra noi le cose si sarebbero messe male per come abbiamo reagito entrambi. Io sono andata nel panico per Connor, lui ha fatto il pazzo per la mia reazione. Ma non ho intenzione di tirarmi indietro, non ora e soprattutto non così. Connor e Steven pensano di avere il controllo della situazione? Non immaginano neanche che Clyde, Elodie e Ty sono dietro tutto questo.
«Siete adorabili.» Ci sorride Beth dopo che Clyde mi prende la mano. «Ma ora, se volete scusarmi, vado a vedere per la prima volta mio figlio.» Apre lo sportello non appena parcheggiamo. Anche Liam si affretta ad uscire e lo guardo preoccupata: non ha spicciato una parola da quando ci siamo visti. Capisco che per lui la situazione non deve essere facile e forse scherzare come se nulla fosse non lo sta aiutando. Non so cosa fare.
Adrian si stringe nelle spalle e lo segue. Clyde spegne il motore dopo aver parcheggiato per bene. Lo aspetto e ci avviamo insieme in ospedale, mano nella mano. Adrian cammina vicino a noi per dare un po' di privacy a Liam e Beth. Anche se entrambi ci hanno chiesto di accompagnarli per supporto morale questo è il loro momento, non il nostro.
Mio padre ed Amanda, né tantomeno i genitori di Beth, non sanno ancora niente. Liam ha pensato che sarebbe meglio dirglielo quando saranno sicuri che il bambino stia bene.
«Stiamo andando dalla dottoressa, voi aspettate qui?» Liam ci guarda con un sopracciglio inarcato. Non so bene come ha reagito, Bethany mi ha solo detto che è andata bene senza aggiungere troppi dettagli. So che l'ha abbracciata, che le ha detto che la ama e che le starà vicino non importa cosa, ma non so davvero cosa ne pensa. Liam è sempre stato il tipo che affronta i problemi per conto suo, senza commentare con gli altri cosa prova o pensa. Vorrei fare qualcosa di più per lui.
Annuisco lentamente. «Chiama per qualunque cosa.» Dico e accenno un mezzo sorriso. È strano eppure sono già pronta per vedere William come padre: farà un ottimo lavoro, ne sono sicura.
Mio fratello sorride e mi lascia un bacio sulla fronte, Bethany inizia ad incamminarsi. Ieri abbiamo passato gran parte della serata a telefono a fantasticare su come sarà suo figlio. Avrà il suo naso ed i suoi capelli, gli occhi di Liam e forse la mia forma del viso. Magari anche la forma della mia bocca.
Adrian mi prende per la manica della felpa e ci fa segno di sederci sulle sedie della sala d'attesa. Sono nervosa e preferirei fare avanti ed indietro per calmarmi, ma anche stare seduta non mi sembra poi così una cattiva idea. Chiudo gli occhi e aspetto, almeno finché mio fratello minore non decide di nuovo di parlare. Non riesce proprio a stare in silenzio in certe situazioni. «Quando venite a cena da noi? Mancate a mamma.»
Mi viene da sorridere. Anche a me manca Amanda e soprattutto la sua cucina. I primi mesi al college, a Boston, sognavo i suoi piatti la notte. «Lo sai che devo stare lontano da casa per la missione. Appena finirà verremo per una settimana di fila.»
Apro gli occhi e Adrian mi guarda preoccupato. «Oh, okay. Pensavo che avresti fatto un'eccezione dato che ogni giorno che passa Adam odia sempre di più Clyde.» Mormora e il diretto interessato borbotta "ma chi ha insegnato alle pulci a parlare" che probabilmente in un'altra situazione mi avrebbe fatto ridere.
«Cosa?» Guardo Clyde che fa di tutto per evitare il mio sguardo.
Adrian per la prima volta oggi dice qualcosa di utile. «L'altro giorno non l'ha neanche fatto entrare in casa. Gli dà la colpa perché crede che tu morirai per questo e non lo vuole proprio vedere.» Mio fratello lo dice come se niente fosse, ma io sento il panico assalirmi. Sapevo che papà avrebbe riservato rancore nei confronti di Clyde per un po', ma non mi aspettavo che la sua rabbia fosse così tanta.
«Perché nessuno di voi me l'ha detto?» Sono arrabbiata. Con loro e con papà: non mi piace essere tenuta all'oscuro di qualcosa, soprattutto se riguarda i rapporti tra le persone a cui voglio bene.
Clyde prova a toccarmi il ginocchio, ma io mi scosto bruscamente. Voglio rimanere lucida e il suo tocco fa tutto il contrario di solito. Inoltre in questo momento vorrei solo dargli uno schiaffo. «Non volevo farti preoccupare. Hai già abbastanza casini per colpa mia, ci manca solo che ti dica che tuo padre mi ha privato l'onore del saluto. Ho tutto sotto controllo, prima o poi gli passerà.»
«Piuttosto ti passa sopra con la macchina.» Sussurra Adrian e io gli lancio un'occhiataccia.
«Siete due idioti. Non me ne frega niente di quante preoccupazioni possa avere, è di mio padre che stiamo parlando. Se ha un problema con te lo devo sapere.» Cerco con tutto il mio auto-controllo di avere un tono di voce normale, ma cavolo se è difficile. L'ultima cosa che voglio, però, è mettermi ad urlare nel mezzo di un ospedale dove mio fratello e la mia migliore amica stanno controllando che il loro bambino stia bene.
Clyde alza gli occhi al cielo. «Come se non lo avessimo sempre saputo che mi avrebbe odiato. È stato già un miracolo che Liam abbia preso bene la cosa, non so come tu abbia potuto pensare che a tuo padre potesse andare bene.»
«Dovevi dirmelo lo stesso, cavolo!» Grido e mi porto subito dopo una mano davanti la bocca. Si sono girati tutti verso di me, sconosciuti e dottori compresi. «Se ha un problema con te, con quello che faccio per te, allora mio padre ha un problema con me, lo capisci questo?» Abbasso la voce, mentre Adrian chiede scusa da parte mia alle persone che mi guardano.
Speravo che le mie parole servissero a calmare Clyde, ma quello che vedo è tutto il contrario. Si alza, con le dita delle mani che tremano, e se ne va senza dire niente.
«Io aspetto Liam e Beth qui. Tu puoi inseguirlo come nei film d'amore.» Mi rassicura Adrian e gli faccio un debole sorriso per ringraziarlo. Non vorrei lasciare un ragazzino di quattordici anni da solo in una sala d'attesa di un ospedale, ma mio fratello è abbastanza maturo da non fare cavolate e starò lontana solo per cinque minuti.
«Mi spieghi che problemi hai?» Raggiungo Clyde dopo qualche minuto, sta facendo avanti ed indietro vicino la macchina con le mani nei capelli. «Parleremo con mio padre e se non capisce non fa niente. Ci perde lui.»
Clyde scuote lentamente la testa. Sembra distrutto. «Non capisci proprio, vero?» Ha la voce rotta, come se si stesse trattenendo dal piangere. Quando lo guardo negli occhi mi accorgo che sono lucidi. «Non posso farti questo. Stai rischiando la vita per me, hai sospeso gli studi, ti stai allontanando dalla tua famiglia e la stai perdendo per colpa mia. Non posso. Ti amo troppo per vederti buttare nel cesso tutta la tua vita per me.»
Mi viene da ridere. È questo quello che pensa? «Io non sto buttando via proprio niente. È una mia scelta.» Vorrei che, per una volta, lo capisse.
Clyde mi porge le chiavi della macchina. Io non le prendo -non voglio che se ne vada-, così me le mette nella mano con la forza. «Tornate voi a casa con l'auto. Io vado a piedi.»
«Clyde...» Lo provo a chiamare, ma lui non si gira neanche. Mi ritrovo così da sola, nel parcheggio di un ospedale e gli occhi lucidi. La sensazione di averlo perso mi sa tanto di dejavu.
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