Chào các bạn! Vì nhiều lý do từ nay Truyen2U chính thức đổi tên là Truyen247.Pro. Mong các bạn tiếp tục ủng hộ truy cập tên miền mới này nhé! Mãi yêu... ♥

Capitolo 13

Paris' pov

Due giorni dopo le cose vanno a gonfie vele. Clyde non ha più fatto sfuriate di gelosia ed io non ho fatto niente per innervosirlo. Bethany ha anche detto a Liam del bambino, il quale ha reagito bene. La mia migliore amica mi ha detto solo che le ha baciato la pancia e poi l'ha rassicurata. Devono solo trovare un modo per dirlo ai genitori.

Connor, invece, continua a parlarmi come se fossimo amici. Non mi sorprendo neanche quando, una volta finito il corso e uscita dal bagno del corridoio, lo trovo appoggiato al muro, a braccia incrociate. Mi mordo l'interno della guancia per non alzare gli occhi al cielo e, impercettibilmente, mi stringo un po' di più nella felpa che ho rubato qualche anno fa a Liam. Ne avrei messa volentieri una di Clyde -mi piacciono di più, hanno il suo odore ed è come se mi stesse abbracciando-, ma non volevo rischiare che qualcuno se ne accorgesse. «Paris, ho notato che torni sempre a casa a piedi. Oggi vorrei darti un passaggio.» Mi saluta così, con un sopracciglio inarcato. Sarebbe anche un pensiero carino, se solo non avesse una strana espressione stampata in viso.

«Mi piace camminare.» Ribatto, sentendo le dita formicolare per quanto sto stringendo i pugni nelle tasche della felpa. L'ultima cosa che voglio è stare in una macchina da sola con lui.

Connor annuisce e accenno un sorriso come saluto, poi inizio a camminare. Quando sono arrivata alla fine del corridoio, sento la sua risposta e mi paralizzo. «Non era una domanda amichevole, Collins.» Mi giro verso di lui e mi manca il respiro non appena noto la pistola che ha nella mano sinistra. Se sparasse, ora, mi colpirebbe mortalmente.

Sento il panico assalirmi, non so cosa rispondere. Connor sta sorridendo, come se non avesse la mia vita in mano. Mi maledico da sola per essermi allontanata dal gruppo, per essere andata in bagno e non aver dato ragione al mio istinto, che mi diceva di star lontana da lui. «Seguimi e non ti succederà niente.» Alza gli occhi al cielo, avvicinandosi così tanto che la pistola mi sfiora il braccio. Mi fa girare, puntandomi l'arma contro la schiena, e mi sussurra dove camminare. Andiamo verso gli ascensori e sento la gola farsi secca. Clyde mi ha detto che ci sono le telecamere lì dentro, perciò non potrà più minacciarmi con una pistola. Vorrei saper dare un bel pugno invece che saper sparare, perché in questo momento non me ne faccio niente. Se riuscissi a girarmi e a colpirlo, senza che faccia partire un colpo con la pistola, potrei approfittare del fattore sorpresa per provare a prendergliela. Ma Connor è più grosso di me, probabilmente anche più veloce. Non ho possibilità e ha già fatto scattare la sicura della pistola. Se capisse le mie intenzioni sarei morta.

«In ascensore ci sono le telecamere.» Osservo, cercando di mantenere la voce ferma. Ho le braccia distese lungo i fianchi, le dita delle mani mi tremano. Afferro lembi della felpa per farle smettere o, comunque, non farglielo notare. Fargli vedere la mia paura non è altro che un vantaggio, per lui.

Connor ridacchia. Con la mano libera mi sfiora una guancia e devo trattenere una smorfia al pensiero delle sue mani sul mio corpo. Non voglio che mi tocchi. Le sue dita mi prendono il mento e mi costringono ad alzare la testa verso sinistra. «C'è una telecamera anche lì, ma in questo momento stanno vedendo un corridoio vuoto, senza nessuno in pericolo.» So anche senza girarmi che ha di nuovo quel suo sorriso cattivo, quello che mi ha fatto mettere i brividi poco fa. «Avere amici ai piani alti aiuta, Paris.» Vorrei dirgli che ne sono consapevole, ma sarebbe come dirgli che sto cospirando contro i suoi "amici". Chloe e Chase dovrebbero essere qui, a quest'ora, ma dubito che stiano controllando me. Hanno un lavoro qui, che di certo non è facile. Ed in teoria Connor era innocuo. Mi è sempre stato antipatico, certo, ma da qui a prevedere che mi avrebbe minacciato c'è un abisso.

L'ascensore arriva prima del previsto e mentre cammino penso ad una strategia per come liberarmi. Ma, di nuovo, arrivo alla conclusione che qualunque cosa io faccia mi metterà ancora più in pericolo di adesso. Se Connor ha davvero degli amici che si occupano delle telecamere, molto probabilmente ci stanno vedendo e mi prenderebbero se riuscissi a scappare e a ferire il bastardo che mi punta una pistola contro la schiena. Dovremmo scendere, andare al piano terra, invece preme uno degli ultimi piani e iniziamo a salire. Trattengo il respiro.

Ho una paura matta di non tornare più a casa. Di non abbracciare più mio padre, di non vedere mio nipote nascere, di non poter immaginarmi il mio futuro con Clyde. «Non capisco cosa tu voglia.» Ammetto, ad un certo punto, giusto per cercare di capirci qualcosa. A meno che non sia un pazzo maniaco, non credo che farebbe una cosa del genere senza motivazione.

«Presto ti sarà tutto chiaro. Ho ordini precisi, Paris.» Fa salire la canna della pistola più sopra, sul retro del mio collo. Il freddo del metallo mi fa rabbrividire. «Cerchiamo di collaborare entrambi, no?»

Annuisco impercettibilmente, le parole sembrano non voler lasciare la mia bocca. Sono completamente paralizzata dalla paura. Credevo che ce l'avrei fatta, che avrei superato la paura una volta in azione, ma non è così. Questa non sono io, non è il mondo fatto per me. Dovrei essere a casa a studiare a quest'ora, immersa nei libri in un campus universitario dopo aver passato tutta la mattinata a seguire lezioni; non a farmi quasi sparare da un corrotto dell'FBI.

Mordo così forte l'interno della guancia per il nervosismo che dopo qualche secondo sento il sapore metallico del sangue. Sospiro e chiudo per un secondo gli occhi, ripetendomi che andrà tutto bene. Se faccio davvero quello che vuole Connor non avrà nessun motivo per spararmi. Andrà tutto bene, è il mio mantra.

Se avessi saputo che forse non sarei tornata a casa, avrei baciato più a lungo Clyde prima di uscire di casa. Gli avrei detto "ti amo" al posto di "ci vediamo dopo". Gli avrei detto che rimpiango di non averlo contattato prima, di aver perso quattro anni con lui. Di essere stata un'idiota, e che forse lo sono ancora, ma sono anche follemente innamorata di lui. Gli avrei detto grazie, per tutto quello che ha fatto per me. Avrei dovuto farlo, almeno in questi giorni. Sapevamo che il rischio che mi potesse succedere qualcosa c'era.

«Muoviti.» Mi dà una leggera spinta Connor, mentre le porte dell'ascensore si aprono. Il piano dove siamo è identico a quello precedente: stesso colore di pareti, stesso pavimento. Connor mi guida dicendo sempre dove devo svoltare, finché non arriviamo in una parte piena di porte ed uffici. Riconosco alcuni cognomi sulle targhette delle porte, cognomi di persone che Chase, Clyde e Chloe hanno messo come possibili sospettati per la corruzione. Mi viene la nausea.

Quando non sento più la pressione della canna della pistola sulla mia schiena, mi giro a guardare Connor. Ha un'espressione annoiata in viso. «Qui ci possono vedere, perciò la devo levare di mezzo, ma se provi anche solo a fiatare o a correre via da qualche parte, giuro che ti sparo.» Mi minaccia e non ne sono sorpresa. Scappare ora sarebbe stupido: abbiamo girato per così tanti corridoi che non saprei ritornare all'ascensore. Non è permesso gironzolare nei piani dell'FBI, comunque, e a stento so orientarmi dove si trovano le aule per i corsi di addestramento. A stento trattengo un'espressione sorpresa quando Connor bussa ad una delle porte, ma non è questo quello che mi sorprende. È il cognome che è segnato sulla targhetta. Gonzalez.

Connor conosce Steven. Mi sta portando da lui e per un attimo ho paura che sappiano tutto. Altrimenti che senso avrebbe tutto questo? Mi ha trascinato per i corridoi con una pistola puntata sul retro del collo. Ad aprire la porta è proprio Steven, che sta sorridendo come se fossimo amici di vecchia data andati a salutarlo. La nausea è sempre più forte e mi mordo la lingua per non dire nulla. Già quattro anni fa mi aveva fatto una brutta impressione, ma ora lo guardo e mi rendo conto di tutte le persone che sta ingannando, di quanto gli Evans abbiano ragione. «Paris Collins, è una sorpresa vederti qui.» Fa cenno a Connor di chiudere la porta alle nostre spalle e lui così fa. «Non credo servano le presentazioni per nessuno di noi. Hai conosciuto mio nipote, no?»

Mi giro verso il biondino. Si è appoggiato con la schiena alla porta ed ha ancora quel sorrisetto fiero in faccia. Glielo vorrei lever a suon di pugni. «Siete imparentati?»

«Steven è mio zio.» Connor annuisce appena, poi inarca un sopracciglio. «Devo dire che mi hai sorpreso quando mi hanno raccontato la tua storia. È paradossale che tu ti sia innamorata di un agente dell'FBI che poi ha fatto arrestare tuo padre. Com'è che si chiamava?»

Non riesco a rispondere. Mi sta provocando. Per fortuna -o per sfortuna, dipende dai punti di vista- risponde Steven per me. «Clyde.» Sentire il suo nome pronunciato da lui mi terrorizza. Non ho ancora capito se sa oppure no. Da un lato sembra calmo, ma dall'altro non capisco per quale motivo dovrei trovarmi qui. «Ma non siamo qui per parlare di questo. Signorina Collins, sono felice che abbia accettato di vedermi. Spero non ci siano vecchi rancori per gli avvenimenti passati.»

Mi prende in giro?, pensa una vocina nella mia mente, ma cerco di scacciarla via. Sono nella tana del lupo e, di conseguenza, devo essere concentrata. «Assolutamente no.» Fingo un sorriso. «Ma in realtà non capisco perché lei mi voglia vedere. O perché per farlo Connor mi abbia dovuto puntare una pistola contro.» Forse sono stata troppo diretta, ma voglio saperlo. Se mi devono minacciare o fare male, che lo facessero subito.

Steven guarda suo nipote. «Ti avevo detto di prendere la pistola solo se faceva storie. Perché l'hai fatto lo stesso?»

Connor ridacchia. «Era più divertente. Dovevi vedere la sua faccia.» Sento le guance diventare rosse per l'imbarazzo. La mia paura lo ha divertito, come se fossi un programma televisivo divertente da vedere quando non si sa cosa fare.

Gli lancio un'occhiataccia, ma Connor mi fa un occhiolino in risposta. Steven sbuffa. «Parlando di cose serie, Paris, vorrei capire quali sono le tue intenzioni qui.» A parte l'ansia della domanda, lo guardo confusa. Prima mi ha dato del lei, come se volesse mantenere una situazione formale, mentre adesso mi parla come se ci conoscessimo da tutta la vita.

Mi schiarisco la voce prima di parlare. Non capisco, poi, a lui cosa gliene possa importare di quali siano le mie intenzioni. Di certo non posso andargli a dire la verità, ma solo ciò che si aspetta. «Voglio aiutare le persone, agente. Evitare ciò che è successo alla mia famiglia a causa di mio padre. Inizialmente pensavo che non avrei dato troppo peso alla faccenda, ma più andavo avanti più dovevo fare qualcosa. Per cui eccomi qui.»

Non sono sicura che la mia storia l'abbia convinto, ma si appoggia lo stesso alla sua scrivania, senza spostare per neanche un secondo gli occhi da me. Mi sta analizzando, come se cercasse qualcosa in me che non va. Vorrei urlargli che non sono io la criminale, qui, e neanche la mia famiglia. Che è un cavolo di ipocrita. «Pensavo fosse una cosa del genere.» Annuisce appena. «Tuo padre come sta? È uscito dal carcere qualche settimana fa, mi hanno detto.»

Mi tremano di nuovo le dita delle mani, quindi le congiungo davanti a me. Voglio solo tornare a casa, chiudere gli occhi e fingere che questo sia solo un brutto sogno. «Io...» Mi blocco, non sapendo cosa dire.

Steven sorride di nuovo, ma proprio come suo nipote questo sorriso ha tutto fuorché divertimento o cortesia. È cattivo, falso. Mi mette i brividi. «Puoi dirlo che sei ancora in contatto con lui, Paris, è il tuo unico genitore. È anche normale così.»

Devo fingere bene, ora. «Capisco che per voi lui rappresenti un male...» Inizio, ma vengo interrotta da Connor. Mi ero quasi dimenticata che è dietro di me, poggiato ancora alla porta. «Non siamo qui per giudicare, Collins. In realtà non potrebbe fregarcene di meno se ti senti ancora con lui.» Alza gli occhi al cielo, ed io non mi giro neanche a guardarlo. Finirei davvero per guardarlo male.

Steven si aggiusta la cravatta. «Connor -in un certo senso- ha ragione. La mia non era una domanda per poi criticarti, né per dirti che non puoi continuare il tuo addestramento per questo. Volevo solo dirti che hai il mio appoggio e che, se ti servisse qualcosa, puoi contare su di noi.»

Tutta questa gentilezza mi fa insospettire. Mi ha sempre odiato, ha odiato la mia famiglia e non mi sono dimenticata la sfuriata che ha fatto a Clyde, a casa sua, quando ha scoperto che stava proteggendo me e William. «Grazie.» Mi costringo a fare un sorriso. La verità è che ho ancora una paura matta, il mio stomaco chiuso ne è la conferma. Potrebbero farmi ogni male e nessuno ne sarebbe a conoscenza.

L'unico mio vantaggio potrebbe essere che, essendo qui l'ufficio di Steven, dovrebbero esserci anche quello di Chloe e quello di Chase. Mi mordo di nuovo l'interno della guancia e quasi sussulto quando mi rendo conto che pochi attimi fa mi sono fatta male fino a sanguinare. «Figurati. Ora puoi andare.» Mi indica con un cenno del capo la porta, mentre la apro sento che dice a Connor: «Porta anche lei la prossima settimana.»

Non riesco a capire la sua risposta, ma quando mi raggiunge non sembra molto felice. Il magone che avevo alla gola si sta piano piano sciogliendo, consapevole che forse l'ho scampata. «Ti dò davvero un passaggio, adesso.» Mormora lui, facendomi quasi ridere.

«Sei un pazzo se credi che dopo quello che hai fatto salgo in macchina con te.» Svolto a sinistra dopo la fine del corridoio, ma mi accorgo subito che è la strada sbagliata. A differenza di tutti gli altri corridoi vuoti, con solo lampade a muro come ornamenti, qui è pieno di foto.

Mi fermo, osservando i volti seri e con sotto i nomi di ogni persona. Riconosco Elodie in una foto e subito dopo, alla sua destra, c'è Ty. E allora capisco cos'è: sono tutti gli agenti scomparsi. Trovo che sia bellissimo che hanno dedicato un corridoio intero per queste persone. «Sono tutti morti.» Mi spiega Connor, con la sua solita delicatezza, non appena vede che sto guardando tutte le foto. «Nei giorni del loro anniversario di morte spesso si portano i fiori qui. È una specie di santuario per chi non c'è più ed ha lavorato qui.»

Annuisco appena. «È una bella cosa.» Un modo per non dimenticare. Mi chiedo quante volte Clyde sia venuto qui ad osservare la foto dei suoi genitori. Me lo immagino, con la sua divisa da agente, lo sguardo stanco per aver dormito male per l'ansia di un caso. Per un attimo lo immagino così bene che è come se fosse qui con me.

Connor si stringe nelle spalle. «Mi è indifferente, sinceramente. Adesso possiamo andare?»

Faccio un respiro profondo per non mandarlo a quel paese. Probabilmente non salirò più a questo piano, perciò volevo altri cinque minuti per guardare. A quando pare, però, non avrò un attimo di pace finché c'è Connor. «Te l'ho detto, mi piace camminare e tornerò a casa a piedi. Ho già fatto quello che volevi.» Mi avvio verso gli ascensori, questa volta andando nella direzione giusta.

«Come vuoi.» Borbotta e, finalmente, mi lascia stare. Vorrei dire che anche l'ansia si affievolisce, ma non è così. Non riesco a levarmi dalla testa il sorriso sadico di Steven, né la sensazione di avere una pistola puntata dietro la schiena. Mi sento in pericolo anche quando arrivo a casa, anche quando sono tra le braccia di Clyde. E non riesco a togliermi di dosso la sensazione di star mettendo in pericolo anche lui.

Questo capitolo è un po' più breve degli altri, lo so, ma non volevo tirare troppo la corda. Il prossimo avrà la solita lunghezza. Vi aspettavate che Connor e Steven si conoscessero? E dove vogliono portare Paris? Spero che il capitolo vi sia piaciuto, a presto 💕

Bạn đang đọc truyện trên: Truyen247.Pro