Capitolo 12
Se la storia vi sta piacendo, vi chiedo per favore di commentare un pochino di più. Vi voglio bene, pubblicherò presto il capitolo 13 💕
Paris' pov
Pensavo che la parte fisica dell'addestramento dell'FBI sarebbe stato semplice, come andare in palestra, ma mi sbagliavo alla grande. A fine allenamento ho le gambe indolenzite e non sento più le dita dei piedi. Ho corso troppo ed i capelli dietro la nuca, malgrado la coda alta improvvisata prima di entrare nella sala apposita, sono tutti appiccicati sul mio collo.
Mi affretto ad uscire dall'edificio, sentendo la claustrofobia di queste stanze. Voglio solo chiudere gli occhi e riposarmi a casa, sentire la risata di Clyde dopo qualche mio commento stupido su questa giornata e farmi tanti di quei film mentali sul bambino nella pancia di Bethany da avere il mal di testa. Ieri notte non sono neanche riuscita a dormire per lo shock, e forse anche per questo sono più stanca del previsto, ma amo il mio nipotino o la mia nipotina già alla follia.
Non appena esco e inizio a fare la strada di casa, sento una voce chiamarmi. Lancio velocemente un'occhiata all'orologio: non pensavo che gli orari dei corsi sarebbero cambiati, ma ci abbiamo messo mezz'ora in più. «Paris!» Quasi non vorrei girarmi quando riconosco la voce di Connor. Lo detesto ultimamente, più del solito. Oggi non ha fatto altro che pavoneggiarsi perché la maggior parte degli esercizi li sapeva già fare e chiedeva sempre "abbiamo già finito?" non appena passavamo a quello successivo. «Sei stata brava, oggi. Non lo avrei mai detto.»
Sento le guance diventare rosse per la rabbia. E questo che diavolo vorrebbe dire? Vorrei saper già prendere a pugni le persone, solo per sapere che potrei farlo, se volessi. «Grazie, immagino.» Cerco di essere il più fredda possibile, poi alzo gli occhi al cielo. «Ci vediamo, Connor.»
«Aspetta, Paris.» Mi prende per il braccio e mi immobilizzo. Non mi fido di lui e, di conseguenza, non voglio che mi sfiori neanche un capello. Ha qualcosa di losco nello sguardo, anche se a primo impatto i capelli biondi e lunghi, portanti all'indietro, e gli occhi nocciola potrebbero ingannare chiunque. «Mi chiedevo se tu fossi libera uno di questi giorni. Potremmo prenderci un caffè o qualcosa del genere.»
Ci metto un po' ad elaborare che cosa mi ha appena detto. Credevo che mi odiasse, da come mi parlava. «Ho tantissimi impegni, Connor, non credo di riuscire a liberare così facilmente la mia agenda.» Lo guardo negli occhi per dirgli chiaramente che non ho assolutamente intenzione di uscire con lui, ma Connor si mette a ridere.
«Tantissimi impegni? Andiamo, Paris, a meno che tu non abbia un bel ragazzo da cui tornare a casa non credo che avrai così tanti problemi ad uscire con me. Solo per un'oretta.» Per un attimo mi sale il panico. Se sapesse di Clyde? Se questa fosse solo un modo per lanciarmi una frecciatina? Ma poi scrollo le spalle. L'indifferenza è l'arma migliori in questo caso e, comunque, lui non è un agente vero e proprio.
«Non ho un ragazzo.» Faccio in modo che mi lasci il braccio e distolgo lo sguardo, fingendo di vergognarmene. La verità è che se davvero fossi single non uscirei con lui neanche se mi minacciasse con una pistola. «E comunque ci devo pensare. A presto.» È il modo più veloce per farmi lasciare andare e non aspetto una sua risposta per andarmene. Di solito ci metto venti minuti a piedi dall'FBI alla mia nuova casa, ma ora sono così stanca che ci metto quasi il doppio.
Appena apro la porta di casa, trovo Clyde sul divano con una bottiglia di Coca-Cola davanti. Ha lo sguardo perso nel vuoto e corrugo la fronte. Stamattina sembrava felice, forse é successo qualcosa con suo padre. Mi schiarisco la voce, chiudendo con il piede la porta e poggiando la borsa sulla poltrona. «Come sta Connor?» Chiede ironicamente il mio ragazzo ed io per un attimo rimango stranita. Mi ricordo di avergli detto che c'era un tizio con cui non andavo d'accordo, ma non gli ho mai detto come si chiamava.
«E questo che diavolo dovrebbe significare?» Sono stanca ed il suo tono accusatorio non mi piace per nulla. Inizio a credere che non è Ty la causa della sua rabbia.
Clyde si alza in piedi, quando mi guarda negli occhi ne ho la conferma: è furioso con me. «Non lo so, Paris, secondo te cosa vuole dire? Hai la coscienza sporca per caso?»
In un'altra situazione mi verrebbe da ridere. É completamente impazzito. «Non fare il bambino e parla come un adulto, Clyde, altrimenti vado a riposarmi in santa pace.» Sbotto, incrociando le braccia al petto.
Lui inarca un sopracciglio. «Sei stanca? Immagino che è stancante non avere un ragazzo.» Mi sfida ed in quel momento capisco il perché di questa sua sfuriata. Ha avuto Chloe per giorni che gli ha insegnato come ascoltare le mie conversazioni.
Inclino un po' la testa. È davvero così geloso? Non volevo ferirlo, né fargli pensare che volessi provarci con altri. «L'ho detto solo per farti stare al sicuro. Se avessi detto di sì avrebbe fatto domande, Clyde, e attirare l'attenzione in quel modo è l'ultima cosa che ci serve.»
Lui è ancora infastidito e ha le mani strette a pugno. Pagherei oro per i suoi pensieri, in questo momento. Certe volte non lo capisco, altre volte è come un libro aperto per me. Non so se dovrebbe essere così in una relazione come la nostra. «Allora vacci anche a letto, dato che ci sei, così lo convinci che sei libera.»
Mi formicolano le dita per la rabbia. Capisco la sua gelosia -lo sono anche io, a volte, e dopo gli rispondo male intenzionalmente- ma questo non significa che lo vado ad insultare. «Puoi smetterla di fare lo stronzo? Mi stai dando della ragazza facile quando non lo sono.»
Sembra accorgersi solo in quel momento di cosa abbia appena detto. Si rimette seduto sul divano e si passa una mano tra i capelli. «Io... mi dispiace, okay? Solo che detesto il pensiero che uno stronzo possa anche solo pensare di averti. O che l'abbiano potuto pensare fino ad adesso.»
Non mi sono mai resa conto di quando entrambi siamo insicuri sull'argomento. Anche se il primo periodo che siamo tornati insieme è sembrato un po' una luna di miele, è ovvio che tornare alla realtà è completamente diverso. Mi avvicino, prendendogli il mento con una mano in modo che mi guardi negli occhi. Dato che io sono in piedi e lui è seduto, mi circonda la vita con un braccio e fa in modo che mi sieda su di lui. «Non so che film mentali tu ti sia fatto.» Mormoro, accarezzandogli una guancia. «Ma io voglio te. Amo te e non desidero nessun altro. Volevo solo proteggerti con Connor, è ovvio che avrei trovato un'altra scusa per non uscire con lui.»
Clyde sembra ancora un po' contrariato e gli bacio piano le labbra per fargli smettere di pensare. «La prossima volta inventati un nome o qualcosa. So che è più rischioso, ma lo è anche così. Quel figlio di buona donna ora ti darà il tormento finché non uscirai con lui.» Mi scappa una risatina e per farmi smettere Clyde mi dà un pizzicotto sul fianco. «Non è divertente.»
«È esilarante che tu sia geloso, davvero.» Ribatto, sempre sorridendo. Non ho neanche ben capito come siamo finiti così: fino a cinque minuti fa ero convinta che avremmo litigato seriamente. Clyde alza gli occhi al cielo, ma poi è lui a baciare me. Non credo gli importi che sono ancora mezza sudata, che ho i capelli come maga Magò e che fino ad un minuto fa eravamo pronti ad insultarci. Ma dopo qualche momento passato a baciarci, poggio la mano sinistra sul suo petto per allontanarci un attimo. Ora che so che non litigheremo, abbiamo bisogno di parlare seriamente. «Sei sicuro che ti vada bene che io sia all'FBI e tu no?» Anche questo è un problema.
Clyde corruga la fronte e, inconsapevolmente, si allontana un po' da me con la testa. «Ne abbiamo già parlato, Macaron.»
Annuisco, incapace di dirgli di sì. «So che ami quel posto e quel lavoro. Non vorrei che magari ci fossero problemi tra di noi perché credi ti stia rubando il lavoro o qualcosa del genere.» Solo perché sono impegnata la maggior parte del tempo e passiamo poco tempo insieme non significa che non pensi a come stia.
Ridacchia leggermente, abbracciandomi. Lascio cadere la testa nell'incavo del suo collo e chiudo gli occhi. «Paris, tu stai mettendo la tua vita in pericolo per me, come potrei prendermela? Ammetto che ci sono giorni in cui ti invidio, che vorrei essere al tuo posto solo per ritornare in quell'edificio... ma questo non si riverserà su di noi, te lo prometto.» Mi lascia un bacio tra i capelli ed io sorrido, annuendo appena.
Sono felice di aver chiarito, almeno in parte. Poi mi ricordo di un piccolo particolare. «La prossima volta, però, aspetta un po' di più per stalkerizzarmi.» Lo prendo in giro e Clyde mi fa una linguaccia non appena lo guardo. Dovrò iniziare seriamente a ricordarmi di mandargli un messaggio per dirgli che sto bene.
* * * *
Clyde's pov
Bethany si mordicchia il labbro, mentre nell'auto c'è un silenzio assordante. Le ho anche chiesto appena partiti se voleva che mettessi un po' di musica, ma si è limitata a scuotere la testa. «Grazie per starmi accompagnando, Clyde.» Mormora, stringendosi appena nelle spalle.
È esile, forse troppo magra per avere un piccolo essere umano nella pancia. Dovrei dirle di mangiare di più, ma non siamo abbastanza in confidenza perché il mio commento non risulti inopportuno. «Figurati. Sono felice di dare una mano.» Ed è la verità: stare sempre a casa è noioso, soprattutto se non posso neanche stare con il telefono o con il computer.
Metto la freccia quando adocchio un posto abbastanza vicino a casa Collins. Liam teoricamente tra un paio di giorni dovrebbe tornare al college, ma non credo che lo farà dato la notizia che gli vuole dare Bethany. E sono stato anche abbastanza sorpreso quando mi ha chiesto di accompagnarla per avere del supporto morale. «Eccoci qui.» Sussurra una volta davanti la porta. La sta guardando come se sopra ci fossero tutte le sue paure più grandi.
«Hey.» Le tocco delicatamente il braccio con il mio. Si vede che è più grande, ma per un attimo ho rivisto la Bethany di quattro anni fa che singhiozzava tra le braccia di Paris perché Liam l'aveva tradita. O almeno lei così credeva. «Andrà tutto bene. Stai tranquilla.» Le sorrido anche, puntando a contagiarla. Sono soddisfatto quando noto che si è calmata sul serio con la mia rassicurazione e mi ringrazia sotto voce prima di bussare.
Ad aprire la porta è Adam e sono sorpreso -in modo negativo- quando inarca un sopracciglio nella mia direzione. La sua casa non dovrebbe essere controllata dall'FBI, perciò non capisco questa diffidenza nei miei confronti. «Buongiorno.» Bethany si dondola sui talloni. «C'è Liam?»
Adam annuisce e si scosta per farla entrare e io inizio a fare un passo avanti: voglio entrare almeno per salutare Adrian, sperando che lui sia un po' più simpatico del patrigno. Ma il padre della mia ragazza si mette davanti alla porta. «Non ci pensare neanche.»
Sono confuso. L'ultima volta che ci siamo visti andava tutto bene. E poi mi viene in mente: Paris ci ha litigato prima di iniziare la missione. Adam incrocia le braccia al petto e ora sono io il ragazzino intimorito, non più Beth. «Se credi che dopo tutto quello che hai causato ti faccia entrare in casa, ti sbagli di grosso.»
Mi viene quasi da ridere. «Tutto quello che ho causato? Ti rendi conto che Paris non è stata minacciata con una pistola per accettare di fare questa cosa e ci è andata di sua spontanea volontà, vero?» So che magari per qualche giorno ha potuto darmi la colpa, ma sono passate settimane.
«L'ha fatto per te, Clyde, non perché qualcuno la stesse minacciando, ma perché voi gliel'avete proposto e lei non aveva intenzione di tirarsi indietro.» Fa un respiro profondo, ma si vede lontano un miglio che è ancora incazzato con me. «Mi è andato bene che l'hai ferita in passato perché so che è forte abbastanza da superare qualunque dolore una persona le possa infliggere. Ma farla andare a rischiare la vita in questa maniera... se le cose stanno così, puoi anche dimenticare la mia approvazione o le cazzate che cerchi da me.» Vorrei dire che non sono deluso, ma non è vero.
In qualche strano modo è sempre stato dalla mia parte, ho sempre pensato che siamo più simili di quanto pensassi all'inizio. Ma qualunque 'amicizia' c'è stata l'ha appena buttata nel dimenticatoio. «Sono stato il primo a dirle di non farlo, Adam, e di certo non avrei permesso che i miei genitori glielo dicessero se avessi saputo che era questo il piano. Puoi pensare quello che vuoi, ma è così.»
La rabbia che provo adesso per Adam è una rabbia diversa da quella che ho provato ieri, per quel Connor dei miei stivali. Adam ha ferito Paris, lei voleva solo che qualcuno della sua famiglia la appoggiasse; ed ha avuto tutto il contrario. Mentre a Connor ho voglia di rompere il naso o spezzargli il braccio. «Non mi importa, Clyde. Quello che conta è che Paris ora è lì, a rischiare la vita per te.» Mi accusa, ed io non riesco a rispondere. È vero. Sente che deve farlo per me, quando non avrei mai voluto niente del genere.
«Papà.» Alle spalle di Adam compare Adrian, anche lui con le braccia incrociate. Non ho mai pensato che sarei stato tanto felice di vederlo. «Che diavolo stai facendo?»
Adam gli lancia un'occhiata truce. Sembra arrabbiato con il mondo, in realtà, o forse ho questo effetto speciale su di lui. «Niente, Clyde se ne stava andando.» Mi sento umiliato così tanto che sento le guance diventarmi rosse.
Adrian alza gli occhi al cielo e sposta poco delicatamente il suo patrigno per passare. Quando mi é vicino, fa segno verso il vialetto. «Ti accompagno alla macchina allora.» Cerco di trattenere un sorriso al ragazzino e annuisco, facendo un segno di saluto ad Adam. Anche se siamo incazzati l'uno con l'altro è pur sempre una parte fondamentale della famiglia di Paris.
Adrian non parla subito, forse per non farsi sentire. Non vorrei lasciare Beth qui da sola sapendo che Liam potrebbe reagire in modo sbagliato e anche che mi ha chiesto di restare almeno dieci minuti in modo da potersene andare se le cose si mettessero male, ma non voglio rimanere lì fuori a litigare con Adam. Per nulla al mondo. «Mi dispiace per mio padre, è solo molto nervoso perché lei non si fa sentire.»
«Lo capisco.» Se mia figlia facesse una cosa del genere forse avrei problemi ad accettare il suo ragazzo anche io. Non ne ho idea, ma cercare di mettermi nei suoi panni mi fa sentire meglio. È una cosa che ho iniziato a fare negli ultimi tempi, dato che prima avevo il vizio sbagliato di giudicare senza sapere un bel niente. Prima di innamorarmi di Paris e prima di trovare rassicurante la compagnia di Liam.
Adrian si stringe nelle spalle: non dev'è essere d'accordo su questo. «Paris come sta? Ne approfitto per chiedertelo.»
La macchina è di fianco a noi, ma non voglio andarmene ancora. Merita di sapere come sta sua sorella e anche di chiedermi altre mille cose su di lei. «È stanca la maggior parte del tempo, ma sta bene. Sta facendo l'addestramento per diventare un'agente in modo da poter osservare da vicino i federali corrotti. Ieri ha iniziato ad allenarsi e credo che le stiano insegnando le tecniche di combattimento proprio ora.»
Il bambino -che poi tanto più bambino non è- annuisce. È strano vederlo alto quasi quanto me, con le spalle larghe e i primi accenni di barba. È ormai nel pieno dell'adolescenza e io ancora lo tratto come se avesse dieci anni. «Beh, allora se la sta cavando bene. Grazie per starti prendendo cura di lei, comunque.»
Inarco un sopracciglio. Davvero? Mi scappa una risata. «Pulce, non mi devi mica ringraziare. È la mia ragazza.»
Alza di nuovo gli occhi al cielo. Mi ricorda me quando ero più piccolo, solo che zia Abbie mi dava gli schiaffi dietro la nuca ogni volta che roteavo gli occhi o che dicevo una parolaccia. «Ed è mia sorella, perciò ti ringrazio lo stesso.» Mi lascia una pacca sulla spalla. «A papà passerà, non preoccuparti. Non lo vuole mai ammettere e probabilmente non lo dirà, ma ti adora. Ha sempre fatto il tifo per te.»
Non dovrei sentirmi sollevato da queste parole, come se avessero risolto tutto. «Lo spero.» Apro lo sportello, ricordandomi poi della ragazza che ora dovrebbe star parlando con Liam. «Dì a Beth di chiamarmi se ne ha bisogno, okay? E chiamami tu se vedi che va via piangendo o cose del genere.» Adrian corruga la fronte, confuso, ma annuisce lo stesso.
Io e Bethany non abbiamo mai avuto un rapporto molto stretto, parlavamo solo quando c'era altra gente in giro, ma ha pur sempre un bambino nella pancia e voglio aiutare. In più è il nipote di Paris, il che lo rende -se le cose andranno avanti così- anche mio nipote. Sarà strano all'inizio, ma è così. «Stammi bene, Pulce.»
«Anche tu, Blake.» Fa un occhiolino, prendendomi in giro, poi si incammina di nuovo a casa. Controllo il cellulare per vedere se Paris mi ha cercato, ma sembra tutto tranquillo. Il confronto per la situazione con Connor è andata meglio del previsto e mi sento anche un po' coglione per come mi sono comportato. La gelosia ha preso il sopravvento su qualunque altro pensiero razionale, nonostante mio padre si era raccomandato di mantenere la calma dieci minuti prima che Paris entrasse in casa.
Accendo il motore e parto per le strade di Los Angeles con la musica messa a volume alto, i finestrini alzati e la voglia di tornare a fare qualcosa di utile. Qualcosa di vero.
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