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|7: Ritorno|

Non aveva nemmeno finito di parlare, quando qualcuno le picchiettò ripetutamente sulla spalla.

Jane si voltò infastidita. Ad averla scortesemente disturbata era stato un poliziotto che la guardava con aria annoiata.
Gli parlò alla Bugs Bunny.
«Che succede, amico?».
Le mancava solo la carota.
L'uomo non sembrava aver colto l'ironia, o se l'aveva colta non l'aveva gradita.
«Siete Jane e Kyle?».
«No. Siamo Tristano e Isotta».
Kyle ridacchió.
«Mi prendi per scemo,  ragazzina?».
Jane assunse un'aria innocente: sbattè un paio di volte le palpebre e sorrise genuina. «Beh, con uno che indossa simili occhiali non potrei pensare altrimenti».
«Mi manda la direttrice del collegio. Siete in grossi guai».
«Sappiamo tornare da soli, non c'è bisogno che ci porti lei».
Molti passeggeri li stavano guardando incuriositi, altri facevano finta di essere assorti nella lettura -libri, giornali, regolamenti di bordo-, ma in realtà erano tutt'orecchi.
Il treno si fermò alla Penn Station con uno strillo lamentoso.
«Allora, che aspettate? Alzatevi» Ordinò il poliziotto ai ragazzi.
Kyle fece un cenno con la mano, poi si sporse a leggere il nome sulla targhetta dell'uomo. «Non c'è fretta, agente Francisco».
«Francisco... Che cognome di merda. Che è, messicano?» Chiese Jane. Rispettava i messicani, ma quel cognome era terribile.
Come il poliziotto: basso, grasso, barbuto e sudato. E antipatico, tra l'altro. Il compagno di viaggio ideale.
Ormai il vagone era vuoto; mancavano solo loro.
«Su, muovetevi. Oltre ad essere dei ladri siete anche irrispettosi».
«Io non sono irrispettoso. Io sono simpatico» Replicò Kyle alzandosi.
Jane lo imitò. «Io invece sono irrispettosa sul serio».
Francisco sbuffò e li fece camminare davanti a sé mentre scendevano dal treno.
Li guidò fuori dalla stazione, fino alla macchina della polizia.
Ora, non che quella situazione fosse nuova ai due ragazzi -parecchie volte era successo che un poliziotto dovesse venire a prenderli-, ma mai avevano rubato dei solidi. Anche se non lo ammettevano, una certa ansia si era impadronita di loro: questa volta l'avevano combinata grossa, in effetti.
L'automobile puzzava di cipolle, sudore e caffè. Era anche in pessime condizioni: il paraurti arrugginito, i sedili strappati, i finestrini sporchi.
Erano in moto da poco, quando Jane trovò il coraggio di parlare. «Come faceva a sapere dove fossimo?» Chiese all'agente.
Lui non rispose, o forse non la sentì.
La ragazza ripeté la domanda, mentre una certa inquietudine si insinuava nella sua mente.
C'era qualcosa di strano.
Kyle sembrava un po' più tranquillo, finché non notò l'agitazione dell'amica.
Guardò fuori dal finestrino, come se qualcuno, magari la coscienza, l'avesse spinto a farlo.
«Questa non è la strada per il collegio» Disse.   
Francisco gli sorrise dallo specchietto. «No. Non lo è».
I ragazzi si scambiarono un'occhiata.
«Chi è lei?».
Kyle cercò di risuonare minaccioso. Riuscì solo a dimostrare di essere spaventato.
«Jane lo sa benissimo chi sono io».
«No, mi spiace. So solo che ha un cognome tremendo, che la sua macchina fa schifo e che avrebbe bisogno di una dieta».
L'uomo perse il sorriso. «New York Bosses. Ti dice niente?».
Fu come un pugno. Forse peggio.
Ancora quel nome, quel maledetto nome che a sentirlo sembrava inventato da un ragazzino egocentrico privo di fantasia, ma che nascondeva sangue, lacrime e morte.
Ancora loro.
Erano morti. Li ho uccisi. Io li ho uccisi.
Come può quest'uomo essere uno di loro? Come mai non ricordo la sua faccia...?
Era assurdo. Completamente assurdo.
Jane era convinta di aver chiuso quel capitolo della sua vita una volta per tutte, che adesso quei maledetti la lasciassero in pace.
«Dov'è finita la tua arroganza, Jane?» Chiese Francisco, sempre che quello fosse il suo vero nome, sorridendo sornione.
«Perché non la vai a cercare a fanculo?» Rispose tagliente.
L'uomo rise di gusto. «Però tu devi farmi strada».
Kyle cercò di aprire la portiera, ma era bloccata.
Provò anche a rompere il vetro del finestrino, che fu inutile. Erano bloccati lì dentro e una rete nera li separava dal conducente.
«Da quanto tempo ci osservi?» Chiese Jane cercando di rimanere calma, mentre l'amico le lanciava occhiate confuse.
«Te dal giorno in cui hai ucciso la gang. E il tuo amico da quando avete iniziato a frequentarvi.
Sapete...
In realtà non avrei voluto rapire tutti e due: m'interessavi solo tu, Jane
-senza rancore, Kyle-.
Prendervi separatamente e da soli però è impossibile, così ho colto l'occasione e vi ho presi tutti e due».
«E perché sul treno? Perché non a Washington, dove ero da sola in... In quella casa?» Chiese ancora la ragazza, confusa.
«L'avrei fatto, ma avevo lasciato la macchina a New York. E poi non m'importa che la gente sappia che vi ho rapito. Siete orfani, non importa a nessuno di voi, e sicuramente non importerà a nessuno se morirete.
Ma io voglio i miei soldi, Jane. Quelli che tuo fratello mi ha rubato e che ora la tua "simpatica" direttrice ha preso per sé».
«Non sono i tuoi soldi» Ribattè lei acida.
«Invece sí, visto che sono il capo della gang. Beh, ero il capo della gang. Ora siamo in tre, e quella dei soldi è una faccenda personale».
Erano usciti dalla città e avevano imbucato una strada deserta che si addentrava sempre più nella campagna.
«Jane, credo che tu debba spiegarmi qualcosa» Disse Kyle.
«Già Jane, spiegagli tutto».
«Prima devo capire cosa vuoi da noi esattamente» Rispose lei.
Stava morendo di paura; e l'ultima cosa che voleva era raccontare all'amico la verità, anche se da lì a breve sarebbe stato inevitabile.
Francisco sospirò. «Ora non posso dirti nulla, ragazzina. Scoprirai tutto quando arriveremo a casa».
«No. Tu mi dici tutto adesso» Sibilò lei.
Francisco inchiodò all'improvviso, i ragazzi vennero sbalzati in avanti.
L'uomo afferrò qualcosa dal sedile del passeggero. Jane riconobbe, nonostante iniziasse a farsi buio, i contorni di una pistola che le venne puntata contro, per poi spostarsi verso Kyle.
Il ragazzo si appiattì contro i sedili, gli occhi fissi sull'arma.
«Tieni la bocca chiusa, mocciosa. O faccio saltare la testa al tuo amico: dopotutto lui è qui per questo».
Persino una ragazza come Jane capiva quando era il momento di rimanere in silenzio. E quello era il momento.
Poteva però agire, esattamente come aveva fatto quella volta.
Lasciò che la collera le scorresse nelle vene, chiuse gli occhi e si concentrò. Il resto accadde in un secondo, ma Kyle riuscì solo a vedere un'accecante luce viola. Poi, il buio.

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