13 ( Isabel)
La sera uscii e restammo al locale di David: i ragazzi si unirono al proprietario per dargli una mano e noi ragazze rimanemmo sedute a un tavolo a parlare. Dopo aver cenato, a un certo punto si avvicinarono due giovani uomini di origini francesi che chiesero, con un inglese storpiato, di sedersi con noi. Anche se non avremmo dovuto darli corda per pudore, coinvolsi Rosalynn a interagire, nonostante si sentisse a disagio, mentre Jade se la diede a gambe.
Per uno scambio di battute non potevamo mica essere marchiate? Chiacchierai un po’ in francese e un po’ in inglese, facendo da tramite a tutti. Si chiamavano André e Antoin e venivano da Cherbourg, un paese marittimo oltremanica, e tra una risata e l’altra, quei due sciocchi credettero di aver fatto colpo su di noi.
Mi resi conto che attirammo molte attenzioni da parte dei clienti, soprattutto quella di Robert per Rosalynn. Glielo segnalai segretamente con il braccio, facendole notare come lui la stesse guardando. Ma a intrattenere l'attenzione su di noi non fu l'unico. A osservare la scena c'era anche il giovane uomo dal saluto originale. Sedeva al bancone del bar, fumando una sigaretta, vestito per la prima volta in maniera informale. Indossava una polo nera con un pantalone scuro. Trovai la sua attenzione lusinghiera e, sicura di aver inteso il suo messaggio “Non ti stacco gli occhi da addosso”, gli sorrisi. Sorpreso di essere stato scoperto ricambiò il gesto, ma distratta di nuovo dai francesi e dall’irritazione di Robert per le loro avance, lo persi di vista. In effetti Robert, spalleggiato da Thomas, dileguò malamente i due francesi che, con poca voglia di cacciarsi nei guai, ci lasciarono. Non avevo mai visto Roby così arrabbiato e prima di aprire bocca, Rosalynn si pronunciò per giustificarsi.
«Stavamo solo dialogando.»
«Dialogare non è prendere confidenza con gli sconosciuti. Ma cosa vi è saltato in mente? Non è decoroso!» Tuonò Robert verso di noi. Rosalynn impallidì, credendo di poter essere presa per una poco di buono. Io invece gli risposi a tono. Non gradivo affatto il suo parere. «Decoroso? Cosa avremmo fatto di indecoroso, Rob?»
«Siete delle giovani donne sole e vi siete esposte con degli sconosciuti senza problemi.»
«Appunto, Robert. Dov'è la difficoltà? Non credo di aver fatto qualcosa di illegale, tranne che parlare.»
«La gente, Isabel, potrebbe parlare male per delle sciocchezze» si guardò intorno per indicare i clienti «e tra l'altro poteva essere pericoloso» concluse, soffermandosi su Rosalynn. Sembrava deluso.
«Ma alla fine non è successo niente. Abbiamo solo riso» attirai nuovamente l’attenzione di Robert. Speravo di scagionare Rosalynn. Non era giusto che si prendesse il benservito.
Lui si rabbuiò. «La prudenza non è mai troppa. Non sapevate chi fossero quei tipi, Is. Non ci siamo sempre noi dietro a difendervi.»
«Che commento da cavaliere, sir Robert» arricciai il naso per la sua esagerata galanteria.
In quell'istante David, lasciando al banco Thomas e sentendoci discutere, venne in soccorso con Jade per intervenire. «Che succede? Chi ha offeso chi?»
«La signorina bilingue» Robert mi indicò «si è messa a scherzare con due tipi francesi con poco decoro» ripeté il termine con una smorfia.
Sbuffai. «Almeno qualcuno ci prova con Rosalynn» lo provocai, sorseggiando con una cannuccia il mio ginger analcolico. Il mio commento ferì Robert. Sgranò i suoi occhi verdi e sussultò. Desolato, lanciò uno sguardo d’intesa verso Rosalynn, dopodiché si allontanò da noi per dirigersi al bancone.
David mi fulminò con gli occhi e seguì Robert, continuando con i rimproveri soprattutto riferiti a me: la bilingue.
Avevo creato un bel pasticcio.
«Ops! Credo che si sia offeso» sdrammatizzai, ma nessuno accennò a una risposta. Solo in quel momento mi accorsi che Rosalynn era visibilmente angosciata. I suoi occhi erano traboccanti di lacrime. Mi sentii tremendamente in colpa. Non volevo farla piangere. Credevo che la gelosia li aiutasse a dirsi finalmente ciò che provavano l’una per l’altra e cercando di riparare al danno, afferrai la mano di Rosalynn per consolarla.
Rosalynn, non rifiutò il mio gesto, mi donò un debole sorriso.
«Vai a parlargli e continua pure a dare la colpa a me. Non preoccuparti.»
Rosalynn, premurosa di salvare il legame con Robert, prese alla lettera il mio consiglio e, appena rimasi da sola con Jade, tornammo a parlare civettuole della questione. Sorseggiai la mia bevanda e replicai le mie motivazioni con la moglie del barista, ma nel farlo mi accorsi che I miei ossequi si era interessato alla questione. Avrei tanto voluto chiedergli cosa avesse da guardare e origliare ma, preferendo tacere e non ricevere future prediche che sarebbero giunte a zia Daisy, infastidita dalla sua indiretta intrusione, salutai Jade e lasciai il locale per tornare a casa.
***
L’indomani mi svegliai presto. Finita la colazione mia zia mi raccomandò di scrivere una lettera di responso alla sorella di mio zio. Viveva a Dresda, in Germania, e nel dettare per filo e per segno ogni parola, mi fece concludere di salutare calorosamente anche la famiglia Helberg. Nutrivamo un grande affetto per loro, dopo aver trascorso diverso tempo insieme anni prima. Ormai era diventata una consuetudine aggiornarci sulle nostre vite.
Uscii da casa in bici per spedire la missiva e, dopo averlo fatto, scelsi di rilassarmi, deviando su una rotta differente da quella abitudinaria. Era una giornata così bella e assolata che mi venne voglia di andare al mare. Niente era paragonato al rumore rilassante delle onde, all'odore della salsedine e al vento che scompigliava i capelli. Pedalai a velocità sostenuta per circa due chilometri e mi fermai all'inizio della bianca costiera. Tolsi un velo di sudore dalla fronte e appoggiai malamente la bici sul terreno d'erba secca. Scesi con cautela il selciato sconnesso ed entrai in spiaggia. Appena misi piede sulla morbida distesa dorata, il calore sottostante generò nel mio corpo una sensazione di rasserenamento. Camminai per ripararmi dal fitto sole e proteggermi all'interno dell'incavatura minuta che si trovava dentro la ruvida scogliera. Era appartata, segreta e da sempre la consideravo mia. Un paradiso tranquillo, senza la possibilità che nessuno venisse a disturbarmi. Mi accomodai a terra e sotterrai i piedi tra i granelli, provando una sensazione terapeutica. Rimasi lì per diverso tempo, ma come al solito, verso le dieci, sarei dovuta tornare all'emporio per aiutare mia zia. Mi accertai di essermi pulita per bene dalla sabbia, per evitare di ricevere una ramanzina e, risalendo il selciato, ripresi la bici e cominciai a pedalare. Percorsi pochi metri, quando un falso giro di pedali fece saltare la catena dal movimento. Udendo il rumore piantai i piedi a terra e, scendendo dal sellino, mi accostai al selciato per ripararmi dalla circolazione delle auto. Adagiai la bici sul terreno ed esaminando la gravità, mi accovacciai per sistemare l'intoppo. Sapevo come riparare una catena. Non ero molto pratica, perché solitamente delegavo il compito a Robert o a Thommy per non essere chiamata maschiaccio, ma ero autonoma e in grado di farlo. Certa che mi sarei sporcata, sprovvista di elastici, alzai i capelli formando un malfatto chignon, fermandolo con due misere forcine. Consapevole anche della possibilità di ungermi di grasso, rimpiansi di aver indossato una gonna di colore rosa pastello. L'avevo abbinata a una camicetta celeste chiaro, e in quel momento considerai la scelta il peggior errore della mia vita. Scocciata dal pensiero, mi misi all'opera. Sollevai la catena da terra e con calma, muovendo con la mano un pedale, la rimisi dentro all'ingranaggio. Era facile, ma alcune volte si inceppava o scivolava per poi ricominciare, come in questo caso. Iniziai ad alterarmi, provando nervosismo, perché era più complicato di quanto ricordassi. Nel concentrarmi, sudai. Faceva caldo, il sole picchiava sulla testa e lo sforzo contribuiva a fiaccarmi.
Stanca, lasciai la catena per usare le mani a mo' di ventaglio. Nel farlo mi accorsi che erano tutte sporche di grasso e con esse anche i miei vestiti. Emisi un’esclamazione di esasperazione.
Poteva andar peggio di così?
Dall'irritazione mi venne voglia di rompere la bici ma, mantenendo temperamento, riprovai a maneggiare la catena. Nel frattempo, alle mie spalle, alcune auto percorrevano la strada a velocità sostenuta. Era una provinciale e speravo che non sbandassero per sbaglio nella mia direzione. Per timore che potesse accadere, a ogni auto che veniva nelle mie vicinanze, mi mettevo sull'attenti per prevenire il peggio.
Ero giunta a un buon punto del lavoro, quando udii un’auto accostarsi. Mi raddrizzai, credendo fosse un malintenzionato, ma quando vidi scendere un viso familiare scacciai via la tensione. Era i miei Ossequi.
Nonostante non lo conoscessi, ipotizzai che fosse un tipo tranquillo, ma soprattutto riconducibile. Chiuse la portiera, tolse gli occhiali da sole e li adagiò nell'abbottonatura della camicia. Si accinse presto a raggiungermi, ma il suo profumo lo precedette. Se ne metteva davvero tanto.
«Buongiorno, signorina. Le serve una mano?»
«Salve. No, grazie. Ho fatto» indicai la catena con gli occhi. In realtà ne avevo un altro po' da rimontare.
Lui si avvicinò più del dovuto e, senza badare al mio parere, si abbassò per guardarla. Mi preoccupai per l'incolumità linda e pinta del suo vestiario. Indossava un pantalone beige, e non volevo essere responsabile dei suoi abiti come lo ero stata dei miei.
«Posso?» Chiese, prima di prendere la catena. Nel farlo mi diede un'occhiata addosso, sicuramente perché ero sporca. Elevò un tenero sorriso che sparì troppo presto, ma nello stesso istante fui io a incantarmi a osservare i suoi occhi. Erano grandi, a mandorla e profondamente scuri da perdercisi dentro.
Cosa stavo facendo?
Immediatamente ridestai dal mio stato abbacinato scuotendo sensibilmente il capo.
«No. Ho quasi concluso.»
«Io credo che le serva una mano» insistette.
«So montare una catena» ribeccai, acida.
«Non discuto, anche se solitamente non è una cosa da donne.»
Odiavo gli stereotipi sul genere femminile. «Anche ficcanasare non è una cosa da uomini. Quindi non credo che sia una cosa impossibile. Lei ci riesce benissimo» feci un finto sorriso. Sapevo di esser stata poco educata e speravo che lo incentivasse ad andare via, ma al contrario delle mie aspettative lui assorbì il rimprovero e, dopo avermi lanciato un'occhiataccia, non se ne andò.
«Allora, ciò significa che dovremo abolire questi miti. Non è mia intenzione sminuirla, ma agevolarle il ritorno più in fretta.»
Sorpresa di non avermi mandata a quel paese, non demorsi. «Ognuno ha i suoi tempi. È solo questione di pratica.»
«Certo. Le voglio dare solo una mano. Allora, posso?» Chiese ancora, attendendo gentile, con una mano sospesa per sottrarre la catena dalle mie mani e poterla maneggiare. Le sue parole purtroppo erano più che vere. Sarei tornata a casa prima. Finsi di essere indignata e in disaccordo per il suo intervento e accettando malvolentieri, gli cedetti la catena senza toccargli la mano. Mi scansai, spostando il corpo con le ginocchia che, ormai, a contatto con il terriccio e l'erba, si erano indolenzite. Lui invece si accovacciò e sistemò tutto velocemente. Lo fece sporcandosi appena le mani, senza troppa fatica. Terminò e si alzò da terra. Stavo per alzarmi anch'io, quando lui mi offrì il suo aiuto. Feci finta di non aver visto la sua mano e mi alzai da sola, mentre lui l'abbassò rapidamente.
«Bene. Prima del previsto» riprese a parlare, tentando di pulirsi le mani e tenerle distanti dai suoi vestiti.
«Sì. Grazie» gli diedi un'occhiata riconoscente.
«Si figuri» rispose, mentre si avvicinava alla sua macchina. Aprì il portabagagli per prendere uno strofinaccio bianco. Si pulì alla meglio togliendo il grosso e, avvicinandosi a me, mi offrì di fare lo stesso. Accettai senza replicare. Mi pulii e glielo restituii ma, nell’attendere che completassi, notai in lui un'aria di dubbio. Incerto se pronunciarsi, alla fine si espose prendendo coraggio.
«Come mai si trova qui? È lontano dal centro.»
«Una pedalata» indicai il posto circondato dalla natura.
Fece cenno con la testa di aver compreso e si guardò attorno. Si creò un’aria imbarazzante, tanto da voler congedare con quel dialogo. Presi la bici da terra e mi misi sopra per provare a vuoto i pedali, ma prima di salutarlo, lui si pronunciò ancora.
«Posso sapere il suo nome, signorina?»
Lo guardai meravigliata per la sua intrepidezza.
Ma guarda che spavaldo!
Decisi di giocare con la sua curiosità e vedere fino a che punto si sarebbe spinto.
«Credevo che già l’avesse imparato. Non è la prima volta che ci incontriamo.»
Alzò un sorriso sghembo, ma non si arrese. «Preferisco che sia la fonte a rivelare i dettagli, non le dicerie.»
«Quindi conferma che lo conosce» lo condussi alla conclusione.
«Sì, ho avuto modo di udirlo e l’ho notata in diverse occasioni, ma non può darmi torto se affermo che in questo posto sia davvero facile rivedersi» spiegò con aria saccente. La sua logica era molto prevenuta, mi resi conto di non star parlando con uno stupido. Era molto intelligente. Orgogliosa di aver attirato la sua attenzione, lo provocai.
«Solo che non è bastato solo il caso a farmi notare da lei, suppongo?»
Colto con le mani nel sacco si morse il labbro inferiore, ma recuperando terreno accettò la sfida. «Le hanno mai detto che alcune menti si evidenziano attirando l'attenzione?»
«Si ricordi, però, che l’osservatore ha sempre avuto interesse di notarle, signore» alzai le sopracciglia per indicare la mia ovvietà.
Mi trovavo in attesa di una risposta, ma il suono del campanile mi ricordò di rientrare. Guardai verso il villaggio rendendomi conto di essere già in ritardo. «Adesso devo andare. La ringrazio per il suo intervento» misi i piedi sui pedali per avviarmi, quando lui mi fermò ancora con la sua voce.
«E lei non vuole sapere il mio nome?»
«Sono sicura che me lo dirà la prossima volta che ci incontreremo. Come ha detto: in questo posto è facile rivedersi. Le auguro una buona giornata» gli sorrisi in modo sornione e lui ricambiò.
«Buona giornata, signorina.»
Presi a pedalare per immettermi sulla strada e lui salì in auto. Mise in moto con una velocità minima e mi sorpassò. Dopo aver esposto una mano fuori dal finestrino, mi salutò e aumentò la velocità per proseguire. Alzai a mia volta la mano e subito dopo la rimisi velocemente sul manubrio per non cadere. Incalzai la pedalata, arrivando in pochi minuti davanti a casa. Entrai nell'emporio con mia zia già pronta a volere spiegazioni. C'era la signora Diana, ma non si curò della sua presenza. Avevamo confidenza.
«Finalmente, signorina. Ti stavo aspettando» prese argine quando, sbarrando gli occhi, si arrabbiò di più. «Cosa ti è successo? Ma quello è grasso di bici?»
«Sì. Si è sfilata la catena e l'ho riparata» evitai di dire che mi era stato offerto un aiuto. Mi avrebbe chiesto il resto.
«Adesso è aggiustata?»
«Sì. Perché, non lo vedi?» Mi indicai ovvia i vestiti.
«Certo che lo vedo e penso che dovrai buttare la tua gonna. Non so se andrà via il grasso.»
«Forse dovresti provare con dell'olio caldo o dello smacchiatore» propose a suo favore Diana.
«Non lo so, è difficile» zia Daisy concluse incerta rivolgendo la sua attenzione ancora su di me. «Non potevi portarla a piedi e farla riparare in seguito da Robert o Thomas?»
«No. Lo so fare.»
«Certo, al costo di sporcarti. Sei peggio di un maschiaccio. Adesso vai in casa a ripulirti» mi rimproverò.
Risposi a tono. «Tranquilla, era già nelle mie intenzioni.»
«Isabel, non rispondermi.»
«Okay.»
«Isabel?»
«Okay!» Cantilenai, esasperata.
«Devi tacere e fare silenzio!» Si infuriò.
Non le risposi. Aprii la porta e obbedii controvoglia. La chiusi alle spalle ed entrai in casa. Intanto sentii mia zia e la signora Allen commentare.
«Fai bene, Daisy, a tenerla a bada. A volte sembra irresponsabile. Se non la mantieni ben stretta, ti porterà intoppi come hanno fatto i suoi genitori.»
Rimasi in bilico di udire la sua risposta. Temevo sempre che anche lei mi allontanasse. Mia zia, però, infastidita dal mio comportamento ma anche dal parere dalla signora Allen, rispose. Assunse un tono neutro, ma per chi la conosceva a fondo era consapevole che lei non aveva gradito.
«Rispetta le regole. Capita a chiunque di fare sciocchezze.»
Nonostante tutto, ero fiera del suo commento. Rassicurata dalle sue parole, mi allontanai dalla porta per andare in bagno. Mi lavai perbene mani, braccia e ginocchia. Le strofinai con dolore per togliere ogni macchia di nero. In seguito, sfilai la gonna per cercare di riparare al danno e salvarla. Non volevo buttarla, mi piaceva. Bollii dell'acqua e, prendendo uno smacchiatore, strofinai con forza per farla diventare pulita e la stesi al sole nel piccolo giardino che si trovava nel retro di casa nostra.
Tornai all'emporio da mia zia ripulita, evidenziando la mia soddisfazione. «Sono riuscita a pulirla senza problemi. Adesso è ad asciugarsi.»
«Meglio per te. L'avrei buttata.»
«Quanto sei esagerata!»
Bạn đang đọc truyện trên: Truyen247.Pro