CAPITOLO TRENTAQUATTRO - TELL ME ABOUT TOMORROW
"Everyone you meet is fighting a battle you know nothing about. Be kind. Always."
Ci tengo a ricordarvi che qualsiasi sia la vostra battaglia, non dovete per forza affrontarla da soli. Se avete bisogno di parlare con qualcuno potete tranquillamente scrivermi in privato, vi ascolto sempre. <3
vi lascio qui sotto dei numeri verdi da contattare nel caso sentiste di non farcela. sappiate che vi rialzerete, c'è sempre una luce che vi guida, sempre.
TELEFONO AMICO: 02 2327 2327
TELEFONO AZZURRO: 1969
NUMERO PREVENZIONE SUICIDIO: 800 334 343
NUMERO PREVENZIONE DISTURBI ALIMENTARI: 800 180 969
NUMERO VIOLENZA DOMESTICA: 1522
SUPPORTO PSICOLOGICO: 800 833 833
SUPPORTO PSICHIATRICO: 800 274 274
TELEFONO ROSA: 06 375 18282
SUPPORTO PER AUTISMO: 800 031 819
-> spazio autrice:
mi rattrista essere già arrivati qui, comunque sia sono contenta di come è uscito questo capitolo (strano)
GODETEVELO FINO IN FONDO, fate davvero con molta calma e quando arrivate alla fine capirete perché è così speciale questo capitolo.
⚠️ TRIGGER WARNING!!! ⚠️
nel capitolo sono presenti esplicite descrizioni mediche che a qualcuno potrebbero dare fastidio.
+ le emozioni sono molto forti, preparate i fazzoletti.
capitolo 34 - tell me about tomorrow
promise you won't say goodbye right now, hold on when you have your doubts. tell me the things that i don't know, i'll tell you about tomorrow.
Mi avevano detto di pensare positivo.
Più oscure sono le tenebre, più luminosa sarà la luce, dicevano. Per questo mi avevano detto che più intenso era il dolore che provavo, più sarebbe stata intensa la mia felicità una volta raggiunta e mi avevano anche detto che sapevo brillare più di chiunque altro.
Io non ci credevo, non ci credevo affatto. Non ci credevo perché in quel momento provavo un dolore così forte e intenso che il resto delle mie emozioni era offuscato.
Ryan aveva subito un'operazione di dodici ore, il chirurgo si trovava davanti a me con la sua cartella alla mano e sospirava mentre io stavo seduto con le braccia appoggiate alle ginocchia ad osservarlo dal basso all'alto. - Tu sei il fratello di Ryan Walker, giusto? - Domandò il dottore osservandomi. Annuii debolmente sfregandomi i palmi delle mani sui jeans scuri e trattenendo il respiro sperando, di tutto cuore, che mi portasse buone notizie. - Ci sono volute diverse ore di operazione, ma ce l'abbiamo fatta, tuo fratello è salvo. Il proiettile ha colpito una costola che, rompendosi, ha forato un polmone e causato di conseguenza un emopneumotorace. Il polmone stava collassando ed era in arresto cardiaco quando è arrivato, ma lo abbiamo intubato d'urgenza per cui anche quell'intoppo siamo riusciti a risolverlo. Abbiamo fatto un drenaggio che dovrà rimanere finché l'emorragia non sarà del tutto riassorbita, per quanto riguarda il resto lo terremo costantemente monitorato finché non potremmo dimetterlo. Purtroppo una costola rotta ha una convalescenza abbastanza lunga , si parla di diversi mesi, ed è molto dolorosa, però ti posso assicurare che Ryan starà bene. - Sorrise piegando la testa di lato e annuendo dolcemente.
Tirai un sospiro di sollievo e lasciai che le lacrime che stavo trattenendo uscissero, portandomi una mano sul petto e il viso al cielo. Per un istante pensai di abbracciarlo, ma alla fine lasciai perdere e rimasi ad osservarlo grato che avesse salvato mio fratello. - Grazie, grazie di cuore dottore, grazie per averlo salvato - Sussurrai con voce tremante. Mi abbandonai sulla sedia con un'immensa voglia di piangere, così grande che fui costretto a passarmi le mani sul viso per non lasciarmi andare proprio davanti al medico. - Posso vederlo? È sveglio? - Domandai tossicchiando e passandomi le mani fra i ricci.
- Sta dormendo ma sì, puoi vederlo. Stanza 311. Ricorda solo che ha bisogno di riposare. - Mi disse. - Per qualsiasi cosa non esitate a chiamare, d'accordo? -
- Certo, assolutamente. La ringrazio ancora dottore, grazie davvero. - Conclusi poi, alzandomi in piedi e osservandolo mentre se ne andava.
Avrei voluto correre fuori e urlare nuovamente, sperando che tutto il dolore racchiuso nel mio petto se ne andasse, ma sapevo che non avrebbe funzionato, non così. Volevo vedere mio fratello, accertarmi che respirasse da solo e fosse realmente ancora vivo, solo dopo mi sarei lasciato andare. Promisi a me stesso di dare libero sfogo al pianto una volta che Ryan di fosse svegliato, non prima.
M'incamminai verso la porta della sua stanza ma prima di entrare mi soffermai fuori, a guardarlo dal vetro. Era disteso nel letto, come un angelo, il pallore in viso non era scomparso ma sembrava che stesse, molto lentamente, riacquistando colore. Pensai nuovamente al fatto che Ryan era tutto ciò che avevo e per un istante, mentre lo osservavo, ricordai i nostri momenti da bambini, seduti sul pavimento del salone di casa a cantare e suonare con mamma e papà. Ricordai i momenti in cui ci rotolavamo nell'erba dopo aver litigato, quelle volte in cui papà ci mandava a letto senza cena proprio perché ci eravamo azzuffati in giardino. Ricordai le gare a chi mangiava più hot dog con lui e nostro padre, in cui vinceva sempre e poi veniva sgridato dalla mamma perché saltava in piedi sul tavolo festeggiando per la sua vittoria. Eravamo stati felici, da bambini, e mi chiesi quale fosse il prezzo da pagare per riavere anche solo un momento di tutti quelli che avevamo vissuto quando ancora eravamo una bella famiglia, unita soprattutto. Mi chiesi anche se effettivamente ci fosse un prezzo e se si potesse riassaporare quella felicità, perché in fondo non ne ero del tutto certo. Quel dubbio si insinuò così a fondo nella mia mente che mi sentii in colpa per non essermi goduto a fondo quei momenti, dando per scontato che ce ne sarebbero stati degli altri: quanto mi sbagliavo. In quell'istante guardavo mio fratello e pregavo solamente che aprisse gli occhi e tornasse a guardarmi, che tornasse a insultarmi il più presto possibile, che tornasse a sorridere, e promisi a me stesso che avrei fatto di tutto per renderlo felice, perché non si sentisse solo.
- Come sta? - Mi voltai alla mia destra, osservando i capelli biondi di Gabriel. Aveva gli occhi verdi fissi su mio fratello, e lo stava guardando proprio come lo stavo guardando io fino a qualche secondo prima. Sembrava distrutto: sembrava che i sensi di colpa solcassero il suo viso con una tale forza e profondità che potevo quasi vedere quanto gli avesse spezzato il cuore rischiare di perdere mio fratello.
- I dottori dicono che si rimetterà del tutto. - Gli dissi infilando le mani in tasca e osservandolo facendo qualche passo indietro. - Ci vorrà tempo, ma starà bene. - Spiegai battendo le palpebre e tornando a posare lo sguardo su Ryan.
- Mi dispiace - Si voltò a guardarmi negli occhi e fu solo in quell'istante che capii quanto fosse realmente distrutto. Inspirò di scatto, fissandomi con gli occhi spalancati e arrossati, solcati dalle occhiaie. Anche lui, proprio come me, sembrava che non dormisse da tantissimo tempo. - Quando Ryan ha accettato di collaborare con noi mi ha fatto promettere di fare qualsiasi cosa pur di proteggerti, anche se fosse stato necessario lasciare che morisse. Io però gli avevo anche promesso che non sarebbe accaduto nulla di male ne a te, ne a lui, ne alle persone che amava, e ho fallito in ogni cosa. Katherine è morta, tu e Victoria siete stati rapiti, Ryan è quasi morto. Non sono nemmeno riuscito a capire che Vincent era ancora vivo. Sapevo che fosse tutto strettamente collegato, ma non ho minimamente immaginato che potesse aver finto la sua morte. Se solo ci fossi arrivato prima, se solo avessi usato di più il mio istinto, forse a quest'ora non saremmo qui e lui sarebbe stato in carcere da più tempo. Scusami Benjamin, non avevo intenzione di causarti un'altra perdita, mi dispiace -
Mi morsi il labbro e mi lasciai sfuggire un sorriso pensando a quanto contorto fosse. Si era sempre mostrato come se fosse impossibile scalfirlo, come se non ci fosse nulla al mondo di cui gli importasse davvero, come se l'apatia regnasse sovrana nel suo cuore. Avevo sempre pensato che fosse a causa del lavoro che faceva: sostenevo che non potesse mostrare le sue emozioni e dovesse sempre mostrarsi impassibile, e guardandolo in quel momento, in piedi davanti a me, mi resi conto che eravamo molto più simili di quanto immaginassi. - Io e te siamo molto più simili di quanto si possa anche solo lontanamente immaginare. - Gli dissi prendendo posto su una sedia fuori dalla stanza di Ryan.
Gabriel mi osservava in silenzio, affiancandomi e sedendosi al mio fianco prendendosi la testa tra le mani. - Lo so Benjamin - Replicò guardandomi di sbieco. - Mi stupisce che tu ci abbia messo così tanto a capirlo. -
- Credo di averlo capito un po' di tempo fa, ma me ne sono reso davvero conto solo adesso dopo averti ascoltato. - Lo informai tossicchiando e sospirando rumorosamente. - Forse è per questo motivo che non siamo mai andati così tanto d'accordo, perché siamo molto simili. - Lo guardai di profilo, mentre lui era tornato ad osservare mio fratello, e mi venne da sorridere. Avevano instaurato un legame molto forte, lo sapevo benissimo, ma in quel momento mi sembrava quasi che dalla sua parte ci fossero parole non dette. - Non è colpa tua - Gli dissi incrociando le braccia al petto. - Tu hai fatto tutto quello che potevi fare e anche di più. Lavorare con dei ragazzini rompi scatole fra i piedi non deve essere molto semplice. Quindi grazie: grazie per averci protetto e per aver fatto tutto il possibile. -
Gabriel sorrise e scosse il capo, si appoggiò allo schienale della sedia e incrociò le braccia al petto sogghignando. - Meglio tardi che mai - Mi guardò e si lasciò sfuggire una risatina, sembrava più isterica e disperata che spontanea come voleva sembrarlo, ma decisi di lasciar perdere e sorridergli, facendogli un semplice cenno con le dita.
- Posso farti una domanda? - Chiesi alzandomi in piedi e guardando Ryan che, nel frattempo, aveva ancora gli occhi chiusi e dormiva rilassato. Sembrava quasi che mentre dormiva tutti i suoi incubi fossero stati cancellati, sembrava in pace per la prima volta dopo tanto tempo, mi rincuorava sperare che fosse così. Mi domandai cosa stesse sognando: se nei suoi sogni giocava ancora a calcio con papà oppure se, data la pace dipinta sul suo bel viso, se ne stava appollaiato su una nuvola a raccontare storie a Katherine: mi piaceva pensare che nei suoi sogni stavano ancora insieme. - Perché hai scelto questo caso? Perché hai scelto noi? -
- Pensavo volessi chiedermi perché ho scelto di diventare un agente dei servizi segreti - Rispose dopo essersi avvicinato.
- Non sono il tipo di persona che fa domande sulla vita privata. Tu a me non hai fatto domande quando ti ho chiesto di aiutarmi a diventare un agente di polizia - Replicai sospirando. - A proposito, grazie per l'aiuto e per mantenere il segreto con gli altri, lo apprezzo molto. -
- In realtà ho deciso di diventare un agente dei servizi segreti perché la mia serie tv preferita da bambino era criminal minds - Disse incrociando le braccia al petto e piegando la testa di lato. - E ho visto un caso simile al vostro in un episodio: è il mio preferito. -
Lo guardai di sbieco, contrariato, ma comunque mezzo divertito. Aveva quella facciata divertente che, nonostante non mi fosse mai piaciuto più di tanto, mi regalava risatine lo stesso. - Seriamente Gabriel. -
- Che vuoi che ti dica? - Domandò sospirando e scuotendo il capo. Sapevo che infondo ci doveva essere un motivo per cui - Quando da bambino mi chiedevano cosa volevo fare da grande, rispondevo che il mio sogno era quello di fare l'eroe. Però io volevo essere un eroe di quelli che esistono nella vita reale, quelli che vincono ma perdono anche. Crescendo ho capito che gli eroi, quelli che ogni giorno fanno di tutto per salvarci, sono persone come poliziotti e medici, ad esempio. Persone che combattono per noi, in silenzio, ci proteggono da lontano senza nemmeno che ce ne rendiamo conto. Victoria, ad esempio, per me è un'eroina: sta lottando contro qualcosa di più grandi di lei, più grande di tutti noi messi insieme, e la sua battaglia non avrà mai fine. A volte vince, a volte perde, ma resta comunque sempre in piedi. È questo che fa un eroe, si rialza sempre. Quando avevo l'età di tuo fratello, il mio migliore amico è rimasto ucciso durante una rapina a mano armata, mentre stavamo mangiando al ristorante. Era un giorno come tutti gli altri, uno di quelli che vivi senza pensare che sbattendo le palpebre per un secondo soltanto potresti non vedere più il mondo nello stesso modo, però a me è successo. Un secondo prima stavo bevendo una birra con lui e ci stavamo divertendo, poi ho chiuso gli occhi, ho sbattuto le palpebre, e il secondo dopo lui non c'era più. Io ero stato trapassato da un proiettile e la vita mi stava sfuggendo di mano. Lì mi sono reso conto che fino a quell'istante era come se non avessi vissuto, era stata un'esistenza da fantasma la mia, perché non avevo mai minimante pensato all'ipotesi di poter rimanere coinvolto in un imprevisto di quel tipo, in una rapina a mano armata. In quel momento ho capito, ho capito che tipo di eroe volevo essere e ho capito cosa volevo fare davvero nella mia vita. Volevo davvero fare l'eroe, volevo salvare tutte le persone che potevano avere un imprevisto come quello che avevo avuto io e volevo portarli a vivere. - Spiegò senza smettere di guardare Ryan. - Io non ho scelto il vostro caso, mi è semplicemente stato assegnato. Potevo rifiutarmi se lo avessi ritenuto troppo rischioso e non mi fossi sentito in grado di affrontare una situazione di quel tipo. Risposi al mio capo dicendo che prima di prendere una decisione avrei parlato con tuo fratello. Il capo diceva che potevo evitare di prendere in mano un caso come quello, perché rischiavo la vita, ma rischiare la mia vita per salvare quella degli altri è il mio lavoro, è quello che ho scelto di fare. Avrei voluto morire io al posto del mio migliore amico, avrei voluto fare qualcosa di più, avrei voluto averlo ancora con me, ma non ho potuto fare niente. Quando ho conosciuto Ryan ho deciso che lo avrei aiutato a riavere tutto ciò che aveva perso: il suo nome, i suoi genitori, suo fratello. Nei suoi occhi ho visto l'amore incondizionato che nutre per te, l'ho visto dal primo momento e l'ho vissuto per tutti questi mesi. Ho amato il modo in cui ha scelto di rischiare tutto per te, il modo in cui era un eroe senza sapere di esserlo, ed è proprio questa una delle cose che lo rende così speciale. Ho scelto di restare e seguire il vostro caso perché fate parte di quelle persone speciali che meritano di vedere l'arcobaleno dopo la pioggia, quelle persone che hanno ricevuto così tante batoste da parte della vita che già il solo fatto di vedervi in piedi, di vedervi prendere la mano delle persone che amate, di osservarvi mentre cercate di godervi la vita nonostante tutto il dolore che vi ha causato, vi rende degli eroi. Ecco perché sono qui, ecco perché ho lottato per voi, ed ecco perché mi sento così uno schifo sapendo che ho rischiato di uccidere una delle poche persone che mi ha dato qualcosa in questi ultimi anni, da quando ho perso il mio migliore amico. -
Rimasi in silenzio, per qualche istante. Rimasi ad osservarlo mentre guardava Ryan e capii davvero quale fosse il reale motivo, oltre che tutto ciò che aveva appena detto. Avevo sempre creduto che ci fosse qualcosa di grande sotto quella facciata indistruttibile e sapere che aveva vissuto tutto ciò, sapere che avevamo un simile passato alle spalle, me lo fece apprezzare ancora di più. Gli ero davvero grato per tutto quello che aveva sempre fatto, per il modo in cui silenziosamente ci aveva sempre protetti; gli ero grato per non averci lasciati soli anche se lo avremmo meritato, soprattutto io; gli ero grato per avermi capito e non avermi giudicato, nonostante io mi fossi fatto detestare, e gli ero grato per l'aiuto che mi aveva dato in quegli ultimi due mesi, da quando gli avevo detto che avrei voluto diventare un agente proprio come lui, salvare vite proprio come faceva lui. Era anche uno dei motivi per cui avevo iniziato a studiare medicina: salvare vite. - Ti svelo un segreto allora - Esclamai rompendo il silenzio. - Hai raggiunto il tuo obiettivo, hai realizzato il sogno di quel bambino: sei un eroe - Gli dissi sorridendogli. - Tutti commettono degli errori, siamo umani in fondo. Ma lo hai detto anche tu: un eroe, un vero eroe, a volte vince e a volte perde, ma resta comunque sempre in piedi. Guardati: ci hai salvato la vita, hai arrestato l'uomo che ce l'ha rovinata e sei qui al suo fianco. E ci tengo a dirti, inoltre, che anche amare in silenzio e da lontano è qualcosa che farebbe un eroe. Quindi tu sei un eroe, a tutti gli effetti Gabriel, su questo non devi avere nessun dubbio. -
Gabriel impallidì nel giro di un secondo e distolse lo sguardo dai miei occhi per posarlo sulle sue mani intrecciate. Prese a giocare con uno degli anelli che portava al dito e sorrise, ma pensai che fosse più un sorriso isterico che altro. - Come lo hai capito? - Domandò roteando l'anello e sospirando, prendendosi la testa fra le mani un secondo dopo.
- Guardandoti mentre lo guardi - Gli risposi infilandomi le mani nelle tasche dei jeans. - Credo di avere lo stesso sguardo, quando Victoria è al mio fianco. È quello sguardo, sono gli occhi che fregano sempre. Negli occhi riesci sempre a leggere le emozioni che si provano: puoi fingere quanto vuoi, ma gli occhi ti tradiranno sempre, il tuo sguardo ti tradirà sempre. - Spiegai inspirando profondamente e lanciando un'occhiata a Ryan. - Lui lo sa? -
- No e non deve saperlo. - Rispose schiettamente.
- Dovresti dirglielo, merita di saperlo e tu meriti di non rimanere nel dubbio. - Dissi facendo spallucce e sorridendo.
- A quale scopo dovrei fare una cosa del genere? Non l'ho fatto prima perché lui era innamorato perso di Katherine e lo sarà per sempre. Non lo faccio adesso perché non è di certo il momento adatto per sentirselo dire e soprattutto perché non ha dimenticato Katherine. Per lei provava qualcosa di speciale e talmente profondo che anche solo tentare di colmare il vuoto che ha lasciato sarebbe inutile, perché è impossibile. Lui la amerà per sempre - Aveva gli occhi lucidi e lo guardava come se fosse qualcosa di irraggiungibile, un'utopia. Lo guardava nello stesso modo in cui Sam guardava Katherine quando stava con mio fratello.
- É vero, non smetterà mai di amare Katherine, ma la vita va avanti e lui lo sa benissimo. La scelta sta a te, ma sappi che dal mio punto di vista se non gli parlassi te ne pentiresti per il resto dei tuoi giorni. I rimpianti possono distruggere una persona e potresti renderti conto di aver perso un'occasione che nessuno potrà mai restituirti. Meglio soffrire adesso sapendo la verità, che vivere con il rimpianto per non averci provato. - Conclusi con un sospiro. Lo guardai qualche istante e sembrò proprio riflettere sulle mie parole. Si mordicchiava le unghie nervosamente, scuoteva il capo e faceva spallucce, come se si volesse auto convincere che la sua era la scelta più giusta da fare. Alzai le braccia in segno di resa e posai la mano sulla maniglia della porta, pronto ad attraversarla e attendere che Ryan si svegliasse. - Vuoi entrare? - Gli chiesi scrutandolo attentamente.
Gabriel scosse il capo e si alzò in piedi, guardò mio fratello per l'ultima volta e mi diede le spalle andandosene. Lo guardai allontanarsi fino a scomparire e in quel momento mi si strinse il cuore, perché nei suoi piccoli gesti, nei suoi sguardi, nel tremolio della sua voce, era presente tutto l'amore che provava per mio fratello, ma anche tutta la sofferenza che nasconderlo gli portava.
Ero seduto da quasi mezz'ora accanto a Ryan e ancora non aveva aperto gli occhi. Sapevo che dovesse riposare, ma il fatto che non si fosse ancora svegliato stava iniziando a farmi preoccupare. Credevo che, dopo un intervento, facessero in modo che ti svegliassi se fossi stato fuori pericolo, perciò dopo tutto quel tempo accanto a lui senza ricevere nemmeno un segnale o senza che muovesse un muscolo, sentivo il mio cuore iniziare a battere velocemente a causa dell'ansia.
Tenevo la testa fra le mani e i gomiti poggiati sulle ginocchia, gli occhi chiusi. Mi sentivo come se una corda mi stesse strozzando, a dire la verità. Volevo fare qualcosa, invece che rimanere lì in silenzio, sentivo il bisogno di fare qualsiasi cosa pur di far sì che aprisse gli occhi e non avevo la minima intenzione di andarmene, non finché non si fosse svegliato. - Io non sapevo più come si faceva a vivere, dopo la morte di papà - Sussurrai appoggiandomi al suo lettino e guardando il sole appena sorto fuori dalla finestra. - Devi sapere che in uno dei suoi ultimi giorni, gli chiesi se avesse paura, se fosse spaventato dalla morte. Lui sapeva cosa lo attendeva, lo sapeva perfettamente, eppure nel suo sguardo non ho mai visto la paura e non capivo come fosse possibile, così gli domandai se ne avesse. Ci volle un po' prima che mi rispondesse alla domanda, ma alla fine sorrise e scosse la testa. All'inizio, conoscendo papà, pensai che mi stesse mentendo per rendermi le cose un po' più facili, ma poi capii che in realtà era puramente sincero. Lui non ha mai avuto paura, lui non ha mai battuto ciglio, non ha mai pregato per non morire, nemmeno una volta. Tutt'ora mi domando come fosse possibile: se mi dicessero che ho un cancro del terzo stadio in metastasi probabilmente sarei terrorizzato. Avrei una paura fottuta, una cazzo di paura assurda. Inizierei a pensare a tutte le cose che ancora devo fare, sarei terrorizzato dal fatto che ogni secondo e ogni momento passato con le persone che amo potrebbe essere l'ultimo, per cui cercherei di godermi al massimo tutto ciò che mi resta, per non chiudere gli occhi rimpiangendo cose che avrei potuto fare ma non ho fatto. Papà mi disse che sarebbe morto sorridendo e mi disse che, secondo lui, il nostro destino ce lo creiamo noi proprio quei pochi secondi prima di morire. Disse che sostanzialmente siamo a noi scegliere se andremo in paradiso o all'inferno. Gli domandai di spiegarmi come mai fosse convinto di questa cosa e lui mi disse che prima di morire avrebbe pensato al momento più felice della sua vita, in modo di assicurarsi la gioia e la felicità anche dopo la morte. Secondo lui il nostro ultimo pensiero è ciò che porta dall'altra parte: pensando al ricordo più felice che hai crei il tuo paradiso, pensando a quello più triste crei il tuo inferno. Diceva che non c'erano giudici, che non c'era nessuno che ti indicava quale fosse il tuo posto, che era più semplice della vita. L'unico giudice che esiste, secondo lui, siamo noi stessi. Paradiso e inferno per papà erano astratti, solo ideali, perché sei tu a decidere se vuoi goderti per l'eternità i giardini dell'eden, oppure se vuoi bruciare per sempre tra le fiamme. E lui è morto sorridendo, Ryan. Aveva il sorriso in volto, quel sorriso dolcissimo che ti portava a posarti una mano sul cuore e ripeterti che lui era il padre migliore del mondo. Pensavo di aver già provato il dolore più forte che possa esistere, dopo che se ne andò, ma mi sbagliavo. Non avevo calcolato che avevo ancora tutta la vita davanti e che non sapevo quali carte avrebbe giocato. E ogni momento in cui mi sentivo male, in cui soffrivo, in cui provavo dolore, pensavo fosse l'apice e che peggio di così non poteva esserci nulla, ma mi sbagliavo ancora. C'era sempre qualcosa che mi faceva pensare di essere al limite, succedeva sempre qualcosa che mi faceva sentire peggio della volta prima. Un altro dei momenti in cui ho dimenticato come si fa a vivere è stato quando ci hanno arrestato, quando ci siamo persi di vista, quando per due anni ho evitato di venire a farti visita perché ero terrorizzato all'idea di guardarti negli occhi e vedere quanto stavi soffrendo. Vedere che io, probabilmente, ero una delle cause della tua sofferenza. E ti ho lasciato andare, ho scelto di non pensarti per accantonare il dolore della tua assenza, pensando che tanto qualcosa di peggio sarebbe accaduto e che tanto ci sarebbe stato qualcosa che mi avrebbe fatto stare male ancora di più. Mi dispiace, non avrei dovuto lasciarti solo, è stato terribilmente egoista da parte mia ricostruirmi una vita e fingere che Benjamin Walker non fosse mai esistito, che non avesse un fratello, che non avesse una madre e che non avesse perso suo padre. Poi è arrivata Victoria e nel preciso istante in cui ho incrociato il suo sguardo mi sono reso conto che da lì tutto sarebbe cambiato, e così è stato. Mi sono innamorato fino a stare male, fino a sentirmi mancare l'aria quando non è vicina a me, fino a impazzire al solo pensiero che potesse succedere qualsiasi cosa, bella o brutta che fosse, e lei non potesse avermi vicino. Non volevo perdermi niente di lei: nessuna parola, nessun gesto, nessun battito di ciglia. Sono arrivato ad amarla tanto da riuscire a riconoscere i suoi passi in corridoio e riuscire a capire che è proprio lei che sta salendo le scale. Riconosco il rumore dei suoi passi, Ryan. Ti è mai successo? Penso di sì, con Kat. Amo il modo in cui respira quando è rilassata, i suoi sospiri quando dorme, la tenerezza che fa e il modo in cui tutti i suoi capelli neri si spargono sul cuscino perché non sta mai ferma, quando dorme, e quando si sveglia sono tutti annodati e sparpagliati, adoro il fatto che mi solletichino il viso, che sia il suo profumo a svegliarmi. Amo il modo in cui la trovo ancora più bella senza trucco, quando lei si sfrega gli occhi e continua a ripetere di essere orribile perché le si vedono le occhiaie, e poi amo il suo modo di essere così minuscola. Il modo che ha di essere tanto fragile quanto forte, perché nonostante sia stata all'inferno e di ritorno per tutto questo tempo, lei è ancora in piedi. Amo il modo in cui i suoi incubi spezzano il mio cuore e i suoi sogni diventano anche i miei. Non ho mai pensato che fosse perfetta, ma è proprio perché non lo è che mi sono innamorato così tanto di lei. Così, quando guardando in quell'oceano che c'è racchiuso nei suoi occhi, mi sono reso conto di amarla in questo folle modo, ho pensato che per lei avrei fatto qualsiasi cosa, compreso impazzire dal dolore. La guardavo e pensavo soltanto di gridarle che poteva spezzarmi il cuore quanto desiderava, che le davo il permesso di farlo a pezzi, non mi importava delle conseguenze. Non mi importava e non mi importa perché preferisco impazzire a causa sua che passare anche solo un secondo della mia vita senza poterla più guardare negli occhi. Poi tu sei tornato, il resto già lo sai. Adesso hai rischiato di andartene e io mi sono sentito perso un'altra volta, come quando se n'è andato papà, mi sento perso anche adesso e non so che cosa fare. Ho bisogno che tu apra gli occhi e mi dica qualsiasi cosa, puoi anche cacciarmi via se lo desideri, basta che mi parli. - Conclusi alla fine lanciandogli un'occhiata. In quel momento mi ricordai che nel portafoglio avevo ancora la sua canzone, quella per Katherine. La tirai fuori e gliela misi nella mano, stringendola e inspirando profondamente mentre speravo che quel piccolo pezzo di carta potesse fare miracoli, potesse rappresentare un porta fortuna, una speranza. - Promise you won't say goodbye right now, hold on when you have your doubts, tell me the things that i don't know, i'll tell you about tomorrow... - Canticchiai immaginando che Katherine potesse sentire quelle parole e che fosse seduta proprio sul bordo del letto, stringendo l'altra sua mano. Si sarebbe senza dubbio messa a piangere se lui gliel'avesse cantata, perché Katherine era così: così emotiva che bastava un sincero sorriso per farla piangere.
- Che fai ora mi rubi anche le canzoni? - Mi voltai di scatto con gli occhi fuori dalle orbite e lì, proprio in quel momento, proprio quando vidi Ryan muovere leggermente la testa e aprire gli occhi lamentandosi, sentii i miei riempirsi di lacrime.
Mi abbandonai al pianto perché lui era vivo, perché aveva aperto gli occhi, perché avevamo una seconda occasione e volevo coglierla al cento per cento. - Ti sei svegliato finalmente, stronzo. - Esclamai asciugandomi le lacrime e sorridendo, per la prima volta, con un peso in meno sul petto.
- Mi ero stancato di ascoltarti parlare - Bisbigliò sorridendo dolcemente. Fece un'espressione dolorosa dopo essersi mosso leggermente e aver tossicchiato. Si guardò le mani, le braccia, si accarezzò il viso e batté le palpebre arricciando il naso. I macchinari collegati a lui scandivano il battito cardiaco regolare ma potevo vedere dalle espressioni del suo viso che anche respirare gli faceva male. Roteai gli occhi al cielo quando lo vidi mentre lui prese a giocare con i fili della flebo e i cerotti sul petto che monitoravano le sue pulsazioni cardiache, mentre lui prese a grattarseli sperando di toglierli.
- Come ti senti? - Domandai osservando il monitor con i parametri e rilassandomi ancora un po' di più perché erano tutti nella norma. Il cuore scandiva i battiti perfettamente, la pressione era a posto e respirava vada solo. Grazie a Dio la medicina esisteva e faceva miracoli.
- Come se mi avessero trapanato il cervello e mi fanno male tutte le ossa. - Replicò cercando di fare un profondo respiro, ma storcendo il naso quando sentì dolore. - E tu? Non hai una bella cera -
- Sto bene - Risposi prontamente. - Adesso sto bene. -
- Benjamin... - Sussurrò con esasperazione. Scuoteva la testa contrariato dalla mia risposta e mi guardò negli occhi come se desiderasse strozzarmi. - Hai ripetuto questa frase così tante volte che ormai non ha più senso. Ma perché fai così fatica ad ammettere che non stai bene? Non c'è niente di male, è normale non sentirsi bene a volte. - Mi disse senza smettere di osservarmi. Non risposi, restai a guardarlo sperando che vivesse in eterno, sperando che il primo ad andarsene sarei stato io, perché non avrei mai avuto la forza di poter superare la morte di mio fratello, della persona che amavo più di tutto. Mi sentivo fragile, così fragile che temevo che un soffio di vento sarebbe stato in grado di spezzarmi, ma lui era di fronte a me, ancora vivo, e volevo pensare solo a quanto fossi grato per la possibilità che mi era stata data. - Non sono venuto con te, da papà, non perché non me ne importasse. - Disse rompendo il silenzio che si era creato. - Non era come credevi tu, io amavo papà, lo amavo così tanto che era più facile odiarlo che dirgli addio mentre moriva sotto il mio sguardo giorno dopo giorno. - Spiegò distogliendo lo sguardo e portandolo fuori dalla finestra, osservando il sole che scalda a debolmente i fiocchi di neve che ancora erano al suolo, mentre la primavera si faceva spazio in quella distesa d'inverno. - Era venuto da me, prima di venire da te. Era venuto a chiedermi di occuparmi di te perché sarei diventato io la tua guida, diceva che lui non lo poteva più fare. Ricordo che non riuscivo a capire di cosa stesse parlando, credevo si riferisse al divorzio, al fatto che se ne sarebbe andato via di casa, e mi ricordo che continuavo a ripetergli che non doveva preoccuparsi perché noi lo avremmo amato comunque, ovunque sarebbe andato. Poi mi disse che stava morendo, che era per quello che non poteva occuparsi più di noi, perché non ci sarebbe più stato. E io non ero pronto Ben, non ero assolutamente pronto. Non ero preparato a lasciarlo andare, non ero preparato a essere la figura più importante per te, perché avevo così tanto ancora da imparare, che mi spaventava a morte il pensiero di dover essere una specie di padre per te, oltre che un fratello. Decisi di non venire al mare proprio per questo motivo, perché mi sentivo morire al solo pensiero che lui ci stava lasciato e che lo avrebbe fatto guardandoci negli occhi. Io odio il fatto che se ne sia andato, odio il fatto che ci abbia lasciati solo e detesto sapere che se lui non se ne fosse andato probabilmente tutto questo non sarebbe successo. L'ho deluso: mi sono fatto ricattare da Vincent, ho lasciato che si approfittasse della mamma, ho lasciato che uccidesse l'amore della mia vita e che minacciasse la tua vita, oltre che quella di Victoria. Dovevi esserci tu con papà perché quello forte fra di noi sei tu, solo tu. Nonostante siamo stati separati per praticamente tre anni, il mio punto di riferimento sei sempre stato tu. Dovevo essere io a salvarti, invece sei tu che hai salvato me senza nemmeno saperlo. Tu sei forte Ben, sei la persona più forte che io conosca. Sei ancora in piedi e mi domando realmente come cavolo tu faccia dopo tutto questo. Ma dove la trovi la forza? Dove lo trovi il coraggio? Ricordati però che nella vita, non bisogna soltanto guardare sempre avanti. Ogni tanto abbiamo bisogno di fermarci, respirare e guardarci indietro. Abbiamo bisogno di posare a terra un po' di quei pesi che portiamo sulle spalle, perché non possiamo reggerli tutti senza mai affaticarci e senza mai crollare, non possiamo perché questa è la vita. Vivere significa anche lasciare andare, nonostante faccia male; significa cadere consapevoli di avere la forza per rialzarci e tu ce l'hai Benjamin, ne hai da vendere. Se hai avuto il coraggio per arrivare fino a qui e vivere, nonostante tu voglia solo chiudere gli occhi e non rialzarti più, ce lo hai anche per lasciare andare. - Mi prese per mano e la strinse debolmente tornando a guardarmi negli occhi, con le lacrime che scendevano e rigavano il suo viso pallido e stanco, e dolorante. - Più ti guardo, più penso a quanto sono fiero di te e delle persona che sei. Sei una roccia Ben. -
Non sapevo nemmeno cosa dire, per cui respirai profondamente, strinsi la sua mano, e mi abbandonai al pianto. Portai il viso al cielo, sentii il mio corpo tremare dai singhiozzi, però sperai che mi aiutasse a liberarmi da tutto ciò che mi portavo dentro. - Così, bravissimo. - Disse. - Lasciati andare. - Sentivo piangere anche lui, ma in quel momento non mi fece paura, anzi, fu meno doloroso con lui al mio fianco. - Mi è venuta un'idea. - Esclamò deglutendo e tirando su con il naso. - Perché non torni a casa? Perché non vai ad Hamilton? Portaci Vic, restateci una notte. È la cosa giusta. -
- Se torno ad Hamilton voglio e devo farlo con te. - Risposi tra i singhiozzi mentre asciugavo le lacrime.
- Io ci sono già stato. Ho già detto addio, ora tocca a te. - Mi disse sorridendo e catturando una lacrima. - Vai a casa, mostra a Victoria chi sei davvero, fatti conoscere per quello che sei realmente perché ti ama talmente tanto che se lo merita. In questo modo il puzzle sarà completo, ti potrai lasciare andare e sarai felice e libero. Prendi le tue cose, guarda le vecchie fotografie, torna nelle vecchie stanze, cucina dove lo faceva la mamma e siediti dove si sedeva papà. Stendi i piedi sul tavolino come faceva lui, mentre beveva una birra e guardava la televisione, ricorda ciò che c'è stato, ciò che abbiamo vissuto. Sentiti a casa per l'ultima volta. Balla con Vic in cucina come facevamo con la mamma, mostrale la stia stanza e raccontale cosa abbiamo passato in quella casa. Poi torna qui e raccontami com'è andata. Io ti racconterò la mia giornata, ti racconterò tutto quello che non sai: di Katherine, della canzone, del mio quaderno delle canzoni per l'esattezza, e ti racconterò anche di come Arthur mi abbia aiutato a rubare la chiave della stanza dove tieni tutti i tuoi dipinti. Da quanto la dipingi? -
Sorrisi e scossi il capo arrendendomi. Feci spallucce e piegai la testa di lato scrutandolo in viso. - Da quando la conosco. - Bisbigliai. - Tu da quando scrivi canzoni per Katherine? -
- Da quando la conosco. - Disse posandosi una mano sul petto, dolorante, mentre le sue palpebre diventavano sempre più pesanti. - Dopo tutto siamo fratelli, giusto? -
Mi lasciai sfuggire una risatina e in quel momento, guardandolo, pensai che non mi mancava più nulla dalla vita. Avevo perso mio padre e mia madre, ma avevo ancora mio fratello e avevo ancora una famiglia. Capii di essere fortunato, mentre lo osservavo e riflettevo: avevo perso le persone che mi avevano donato la vita, ma ne avevo trovate altre che me l'avevano restituita e che mi stavano accanto giorno dopo giorno. Avevo avuto la fortuna di averne due madri, due padri e due fratelli; avevo avuto la fortuna di aver trovato delle persone che scegliessero di lottare per me nonostante sapessi essere la persona più chiusa e testarda del mondo. Avevo un'altra famiglia ancora, che lottava per me e non si arrendeva mai. Le persone come noi, distrutte dalla vita, erano comunque riuscite a dar vita a un fiore e a prendersene cura, anche se le macerie erano ovunque. Mi piaceva pensare che fossimo infinito, tutti noi. Mi piaceva immaginare Katherine come una fenice: non sarebbe mai morta davvero, io la sentivo al nostro fianco ogni giorno, ogni secondo di ogni minuto, di ogni ora.
Avevo trovato l'amore della mia vita in due occhi blu come l'oceano, come il mio primo amore quando ero bambino: "papà sono innamorato dell'oceano", gli avevo detto. Non sentivo più nulla, ma poi l'avevo guardata e l'avevo amata fin dal primo istante. Molte persone non credevano nell'amore a prima vista, ma si sbagliavano. Tornai alla notte in cui incontrai Victoria, con la mente, e ricordai il suo sorriso, il modo in cui ballava senza pensieri, ad occhi chiusi, con le braccia sollevate al cielo come se niente al mondo potesse scalfirla mentre volteggiava a ritmo della musica. Il primo bacio, il sorriso che mi aveva rivolto, le nostre dita intrecciate e le cicatrici messe a nudo, senza paura. Capodanno, i fuochi d'artificio, quel ti amo trattenuto così a lungo che avevo temuto potesse strozzarmi. Paul che le puntava la pistola contro e io che non avevo più capito niente, avevo pensato solo a salvarla e al fatto che non volessi vivere in un mondo in cui lei non esisteva e avevo scelto di morire per lei, lo avrei fatto, lo rifarei, e avrei continuato a ripeterle che avrei sacrificato la mia vita per lei. Perché l'amavo incondizionatamente, sopra ogni cosa, al di fuori di ogni limite, fino alle ossa, da sempre e per sempre.
Perciò, mentre sorridevi tra le lacrime, pensai che non mi restava altro che ricominciare da me, perché non mi mancava niente. Non mi restava altro che fronteggiare il mio dolore una volta per tutte, abbracciarlo, lasciarlo andare, e continuare a vivere, ricordando che era parte di me, parte della mia vita e che, anche se faceva male da morire, mi avrebbe aiutato a crescere. Non mi restava che lottare, per rialzarmi, perché io non ero solo e non lo sarei mai stato.
C'era un mondo che mi aspettava, una vita da vivere e io volevo viverla fino in fondo. Volevo vivere molte vite con le persone che amavo, sdraiarmi al chiaro di luna e ridere insieme a loro, ascoltarli parlare di tutto ciò che non sapevo, inventare storie, ubriacarmi di felicità e amare, amare alla follia. E poi volevo piangere con loro perché faceva meno male e volevo promettere loro che non li avrei mai lasciati, che saremmo andati avanti e che qualsiasi cosa sarebbe accaduta l'avremmo affrontata insieme, come una squadra. Volevo ascoltare le storie e raccontargliene delle mie, mentre insieme pensavamo al domani.
Volevo vivere la mia vita come meritava di essere vissuta, volevo vivere molte vite, volevo sentirmi infinito insieme a loro, per sempre.
___
Vorrei dedicare questo capitolo a te, Ben.
È stato difficile, davvero difficile. Sei parte di me così tanto che un sacco di volte, quando sono nella tua testa, sembra costantemente di avere a che fare con me stessa e con la parte di me che solo tu sei riuscito a farmi scoprire.
Dal profondo del mio cuore, sono orgogliosa di te, di quello che sei, dell'eroe che sei sempre stato.
Ti dedico questa canzone perché, oltre ad essere la mia preferita al momento, ogni volta che l'ascolto ti penso.
Sei sulla mia pelle, nel mio cuore, per sempre.
Grazie di tutto.
<3
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