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CAPITOLO TRENTACINQUE - YA'ABURNEE

"Everyone you meet is fighting a battle you know nothing about. Be kind. Always."

Ci tengo a ricordarvi che qualsiasi sia la vostra battaglia, non dovete per forza affrontarla da soli. Se avete bisogno di parlare con qualcuno potete tranquillamente scrivermi in privato, vi ascolto sempre. <3

vi lascio qui sotto dei numeri verdi da contattare nel caso sentiste di non farcela. sappiate che vi rialzerete, c'è sempre una luce che vi guida, sempre.

TELEFONO AMICO: 02 2327 2327
TELEFONO AZZURRO: 1969
NUMERO PREVENZIONE SUICIDIO: 800 334 343
NUMERO PREVENZIONE DISTURBI ALIMENTARI: 800 180 969
NUMERO VIOLENZA DOMESTICA: 1522
SUPPORTO PSICOLOGICO: 800 833 833
SUPPORTO PSICHIATRICO: 800 274 274
TELEFONO ROSA: 06 375 18282
SUPPORTO PER AUTISMO: 800 031 819

-> spazio autrice: scusate il ritardo, è un momento difficile. spero di non doverci far aspettare troppo per il prossimo.
buona lettura<3
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⚠️ TRIGGER WARNING: TOO MUCH FEELINGS, STAY STRONG ⚠️

CAPITOLO TRENTACINQUE - ya'aburnee.

Darling don't you leave, there's a place for me. Somewhere we can sleep, see you in your dreams.  Only you have shown me how to love being alive

Più lo guardavo, meno riuscivo a capire se lo amassi più al mattino, nel pomeriggio o a notte fonda. Svegliarsi con lui accanto, che mi osservava con occhi pieni di amore e mi accarezzava i capelli, era il regalo più bello che la vita potesse farmi. Mentre a notte fonda, preda dei miei incubi peggiori, averlo a fianco che mi stringeva e mi coccolava finché non sparivano mi faceva sentire al sicuro, protetta sempre. Quando avevo le allucinazioni mi abbracciava, mi copriva gli occhi con la mano o mi baciava la fronte facendomeli chiudere, e io dimenticavo tutto, pensando soltanto a lui, concentrandomi soltanto su di lui. Mi chiesi se fosse possibile dipendere così tanto da una persona, se fosse lecito sentirsi bene e al sicuro soltanto in sua presenza. Qualcuno avrebbe detto che non andava bene e non mi faceva bene, che se lui se ne andasse sarebbe la mia fine, ma più lo guardavo più me ne innamoravo. Mi ero ripromessa che non mi sarei mai e poi lasciata trascinarsi in un sentimento così forte e viscerale, che non sarei mai morta per amore, ma da quando lo avevo incontrato la prima volta avevo capito che lui si sarebbe preso il mio cuore e che io sarei stata disposta a farmelo spezzare da lui.
C'erano innumerevoli parti di me che odiavo, ma lui se l'era prese tutte e da quei difetti, da quelle parti di me ferite dalla vita, aveva dato vita a dei pregi. Ciò che io odiavo di me lui lo amava e ciò che io apprezzavo in me stessa, lo amava ancora di più.

C'era però una cosa di me che amavo più di tutto il resto e quella era proprio davanti a me. Era seduto al piano del vecchio salone di casa sua, ad Hamilton, sfiorava gli spartiti e sorrideva. Accarezzava i tasti, sentiva le note, ricordava e si lasciava trasportare dai ricordi, a volte con un sorriso e a volte con una lacrima. - Ya'aburnee. - Dissi osservandolo e piegando la testa di lato. Era una parola di origine araba, non traducibile in un singolo vocabolo, che esprimeva il concetto di amore unico e assoluto.

Ben si voltò ad osservarmi, piegò la testa di lato e sorrise in un modo che mi fece una tenerezza tale da sentire il mio cuore battere più velocemente solo per quel sorriso. I suoi ricci erano fissati da una bandana, ma uno ricadeva sulla fronte in modo sbarazzino, rendendolo ancora più bello ai miei occhi. indossava dei jeans neri strappati sulle ginocchia, una semplice t shirt bianca ed era senza scarpe. Le lunghe ciglia sfarfallavano mentre mi osservava e mi sentii come se fosse la prima volta in cui lo guardavo davvero, anche se non era così. Ogni volta che lo osservavo era come se fosse la prima. Non mi perdevo mai nessun dettaglio, nessuna espressione, nessun istante. - Che hai detto? - Chiese battendo le palpebre confuso e sorridendo con la testa piegata di lato.

Quella notte eravamo rimasti svegli entrambi, non avevamo ancora chiuso occhio da quando eravamo arrivati ad Hamilton. Un po' perché lui non riusciva a farlo: era agitato, non stava mai fermo e mi ero resa conto che doveva sentirsi come se tutti i suoi fantasmi fossero attorno a lui in un singolo momento. Non doveva essere facile per lui, trovarsi nella sua vecchia casa, senza suo fratello e senza i suoi genitori, con i ricordi che tormentavano la sua mente in continuazione. Mi domandai quali stessero prevalendo: se quelli brutti con Vincent o quelli belli della sua infanzia. E poi io avevo avuto un crollo emotivo: avevo avuto un'allucinazione e lui mi era rimasto accanto tutto il tempo. Succedeva ancora, non spesso come prima, come all'inizio, ma abbastanza da rendermi emotivamente instabile per il resto della giornata e per farmi sentire esausta ogni singola volta. Le pastiglie svolgevano il loro compito, ma non era così semplice, non sarebbero mai andate via, non avrei mai smesso di averle. Con il tempo mi stavo abituando all'idea di vedere cose che non esistevano e Ben mi aveva detto di prenderla come se quella caratteristica fosse una parte speciale di me, come se fosse un super potere: potevo vedere cose che nessun altro poteva vedere, potevo sentire cose che comprendevo soltanto io e molte volte mi sentivo estremamente sola ad affrontare tutto quanto, ma poi guardavo Ben e abbracciavo Sam, bevevo una birra con Vanessa e ascoltavo Carter leggere libri per me, osservavo Richie prepararmi un tè caldo e mi sedevo accanto ad Arthur che si preoccupava di raccontarmi della cultura Thailandese, e guardavo Ryan in convalescenza, che aveva bisogno di continuo supporto sia emotivo che fisico, e mi sentivo meno sola. Avevamo creato un puzzle, un puzzle di persone che combaciava alla perfezione: era come se solo fra di noi ci sentissimo bene, solo stando l'uno accanto all'altro potessimo rialzarci, ed era grazie a questo, grazie a loro e alla famiglia che avevamo creato, se il buio mi faceva meno paura, se non mi sentivo più una malattia, un peso, e se avevo imparato a chiedere aiuto.

- È una parola araba - Risposi dopo qualche istante di silenzio. - Non esiste una traduzione letterale nella nostra lingua, da quello che so è ho sentito dire. Significa che guardandoti negli occhi spero di vivere a lungo insieme a te, per il resto della mia vita, ma morire prima di te perché la mia vita senza di te non sarebbe vita. Concettualmente si tratta di morire prima della persona che ami perché la vita senza di lei sarebbe insopportabile. È questo che penso quando ti guardo: che non posso vivere senza di te. Amore assoluto. La vita riserva abbastanza sofferenza e quando io... - Distolsi lo sguardo dal suo pensando a quando, quel giorno, scelsi di abbandonare la mia vita e se non fosse stato per lui e Sam ci sarei riuscita sicuramente. - Quando ho ingerito tutte quelle pillole e ho bevuto quella vodka, ho pensato che quella sofferenza era troppa per me e non ce la facevo più a vivere così, in quel modo. Ho pensato che solo in quel modo potesse finire tutto il dolore. E se tu dovessi morire, non vivrei più. Ti amo in questo modo Benjamin Woods, e so che è un pensiero egoista perché la vivresti tu quella sofferenza, ma io ho sentito il tuo cuore smettere di battere sotto il palmo della mia mano e ho pensato che la mia vita fosse finita in quell'esatto momento. Tu colmi tutti i vuoti, mi fai stare bene e mi fai sentire viva, per questo morirei per te, per il tuo amore, mi farei spezzare il cuore da te in tutti i modi possibili. Rinuncerei alla mia vita e all'amore della mia vita perché se tu non ci fossi più non sarebbe più vita e non ci sarebbe più amore. -

-Non esiste una dichiarazione d'amore più profonda di questa. Non so nemmeno cosa dire se non che ogni cellula del mio cuore e del mio corpo è follemente innamorata di te. - Rispose osservandomi con le lacrime agli occhi.

Mi alzai in piedi, andandogli incontro e sedendomi al suo fianco, su quello sgabello che aveva rappresentato i suoi primi quindici anni di vita. Lo guardai dritto negli occhi per infiniti istanti e lo feci perché era bello, era bello da morire e amavo il modo in cui, guardandolo, riuscivo a ritrovare me stessa riflessa nel suo sguardo. Posai la fronte sulla sua e sorrisi con le lacrime agli occhi, quando sentii le sue labbra sfiorare le mie con la stessa delicatezza in cui una farfalla si posava su un fiore. Non ne avrei mai avuto abbastanza: di lui, della sua luce e del modo in cui non sapeva che il sole fosse proprio lui. Non avrei mai avuto abbastanza del modo in cui intrecciava le nostre mani, come in quel momento, del modo in cui lasciava che sfiorassi il suo viso come se acconsentisse a lasciare che mi prendessi cura di lui, del suo modo di baciarmi come se la sua vita dipendesse esclusivamente da quello. Si alzò in piedi con me in braccio, facendomi ridere spensierata e facendomi sedere sul pianoforte infilandosi fra le mie gambe. Lo attirai a me perché non lo volevo lontano, volevo sentire bruciare la pelle d'amore per lui, volevo morire così, fra le sue braccia. Se quello fosse stato il mio inferno avrei acconsentito a farmi torturare e avrei scongiurato di farlo per l'eternità, senza sosta, perché era la tortura più bella e dolce che esistesse. Sfilai la sua maglietta mentre lui fece lo stesso con la mia anche se, in tutta onestà, la t shirt che indossavo era sua. Poso le mani sulla mia vita, attirandomi più vicina fino a che non ci ritrovammo pelle contro pelle, persi l'uno nell'altro, ubriachi d'amore e di sensazioni che non volevo finissero mai.

Rabbrividivo a ogni carezza, sospiravo a ogni bacio sul collo, lo stringevo più forte a me ogni volta che intrecciava la sua mano alla mia e lasciai sfuggire una lacrima quando sulle mie labbra rimasero impresse le sue parole, quel ti amo che solo io potevo sentire, percepire e portare nel cuore per sempre.

Concedergli di amarmi, di amare ogni mia cicatrice, di poterla sfiorare e baciare come se fosse anche sua, era stata la scelta più bella della mia vita. Alla fine avrei rivissuto ogni istante con lui, perché mi avevano spinta oltre ogni limite ed era quello ciò che volevo dalla vita. Volevo vivere così, vivere per lui e con lui, vivere un miliardo di vite fra le sue braccia, immersa nelle sue carezze e persa nei suoi baci pelle contro pelle come in quel momento.

Avevo sempre vissuto nell'oscurità, non avevo mai cercato davvero la luce, ma in quel momento mi resi conto di averla trovata. Era lui che faceva scorrere le sue mani sulle mie cosce, lui che si prendeva tutto di me e io che gli concedevo di farlo, lui che per me sarebbe morto esattamente come io sarei morta per lui.

Il mondo poteva essere crudele, ma lo era un po' meno se lui mi teneva per mano.

Eravamo sdraiati a terra, al centro della stanza, sul tappeto che ornava il grande salone della casa. Eravamo ancora svestiti, avevamo addosso soltanto una coperta e Ben aveva la testa posata sul mio petto. Aveva gli occhi chiusi, le lunghe ciglia mi solleticavano la pelle e giocavo con i suoi riccioli sorridendo e godendomi la sensazione del suo respiro sulla mia pelle. Era uno di quei momenti che avrei desiderato non finissero mai: il mondo poteva star per finire, ma noi eravamo rinchiusi in quella bolla meravigliosa che ci impediva di essere toccati perfino dall'apocalisse. Ogni tanto Ben mi lasciava umidi baci sulla pelle, mi accarezzava con i polpastrelli delle dita e si accoccolava di più a me, ricordandomi tanto un bambino indifeso: mi faceva così tenerezza che sorridevo mentre lo guardavo con le lacrime agli occhi. - Mio padre diceva sempre che io e Ryan eravamo come due metà della stessa mela. - Disse rompendo il silenzio. Aveva ancora gli occhi chiusi, continuava a disegnare cerchi immaginari sulla mia pelle e respirava lentamente, rilassato. Non mi parlava mai del suo passato e dei suoi ricordi di quando era bambino, di suo padre e della sua infanzia. Non parlava mai nemmeno della sua relazione con Vanessa, del rapporto che aveva con i ragazzi prima che arrivassimo noi, di Katherine e dei momenti che avevano vissuto assieme. Era così riservato, si teneva così tante cose chiuse nel suo cuore che ogni tanto mi domandavo come facesse a non scoppiare e ad autodistruggersi. Credevo fosse perché provasse troppa nostalgia per quei momenti, anche quelli con sua madre, nonostante fosse stato arrabbiato con lei per molto tempo. Perciò rizzai le orecchie, perché avevo intenzione di godermi le sue parole e ascoltarlo per tutto il tempo necessario, come se fossi stata lì con lui, nella sua mente, nei ricordi della sua infanzia. - Ricordo mia madre che ci guardava e scuoteva spesso la testa, dicendo che eravamo così diversi da non sembrare nemmeno fratelli. E mio padre non era d'accordo, non era mai d'accordo con lei quando si trattava di noi due. Per lui eravamo due metà della stessa mela: una cosa sola. Diceva che il regalo più bello che potessero farci era quello di averci dato l'uno all'altro, perché ovunque saremmo andati avremmo sempre avuto qualcuno uguale a noi, la nostra metà, la metà del nostro cuore, la vera anima gemella. Papà, al mio compleanno, aveva detto che mi sarei sempre dovuto ricordare che ovunque sarei andato mio fratello ci sarebbe stato, anche se non fisicamente lui non se ne sarebbe mai andato. Questo perché siamo una cosa sola. Dopo quello tutto che è successo mi sono reso conto che aveva ragione. Ho odiato tanto Ryan per essersi allontanato da me, ho odiato me stesso per averglielo concesso e anche per averlo odiato. Riflettendo mi sono reso conto che avrei voluto averlo accanto quando sono praticamente morto e tornato in vita per chissà quale miracolo, avrei voluto vedere i suoi occhi al mio risveglio. C'eri tu, c'era Arthur, c'erano Elizabeth e Leonard e c'erano i ragazzi, ma lui non c'era. E l'ho odiato per questo, anche se la colpa non era sua. Ora che è tornato non ho più intenzione di lasciarlo andare, perché ho così tanto bisogno di mio fratello che anche ricordare senza averlo qui con noi mi fa male. - Sospirò e si tirò su a sedere, guardandosi intorno e sorridendo con le lacrime agli occhi. - Qui, dove siamo noi adesso, io e Ryan suonavamo sempre insieme, sognando di diventare delle rockstar da grandi. Quel pianoforte è quello che mi ha fatto innamorare della musica, ascoltare papà che lo suonava e vedere mamma che quando lo sentiva si fermava al centro della stanza, posandosi una mano sul cuore e chiudendo gli occhi per sentire l'emozione che la musica di mio padre gli trasmetteva, mi ha fatto innamorare della musica. In cucina, ognuno aveva i suoi posti a tavola: mamma a capotavola perché così era più vicina ai fornelli, io e Ryan alla sua destra e papà alla sua sinistra, di fronte a noi. L'albero di Natale stava proprio in quell'angolo accanto al camino e io, quando ero piccolo, salivo a spalle di papà per arrivare alla punta e incastrare la stella, con Ryan che applaudiva e cantava we are the champions. - Disse scuotendo la testa e continuando a sorridere. - La stanza di Ryan era un completo disastro: lui e la mamma litigavano sempre per il disordine che c'era e lei si rifiutava perfino di metterla in ordine, per la paura. In fondo al corridoio c'era una stanza, prima era di papà ma poi è diventata la mia: mi chiudevo dentro a dipingere, era il mio piccolo rifugio dove nessuno mi disturbava mai. Sognavo di diventare un grande pittore, come Picasso e Van Gogh. Ti ho dipinta, sai? - Si voltò ad osservarmi e piegò la testa di lato sorridendo. Aveva gli occhi lucidi e mi guardava con così tanta purezza, come se al mondo ci fossi solo io, da sentire il mio cuore perdere un battito, fare una capriola e tornare a battere più velocemente di quanto facesse prima. Avrei voluto baciarlo, prendere il suo viso fra le mani e baciarlo fino a morire immersa in quei baci, ma rimasi ferma e immobile ad osservarlo, ad ascoltarlo parlare, perché la sua voce era la mia canzone preferita. - Ti ho dipinta fin dalla prima sera insieme, quando ancora non sapevo il tuo nome. Pensavo solo all'effetto che mi avevi fatto e che non ti avrei più rivista. Ti ho dipinta perché volevo che mi rimanesse qualcosa degli occhi che mi aveva stregati la sera prima, volevo che quel dipinto mi trasmettesse le stesse emozioni, anche se è impossibile. Nessuna foto e nessun dipinto ti renderebbe mai giustizia. Anche adesso, con i capelli scompigliati, il viso struccato e gli occhi assonnati, con la spruzzata di lentiggini che sembrano polvere di stelle, per me sei un incanto. Da quel giorno, Victoria, ogni volta che mi sento triste mi chiudo nella mia stanza e penso a te, a dipingere le emozioni che mi fai provare. È grazie a te se sono tornato a suonare il piano, perché dopo la morte di mio padre avevo smesso di farlo. Quando si è ammalato mi sono detto che avrei dovuto e voluto salvare delle vite, salvare le persone che come lui si erano ammalate, così ho scelto la facoltà di medicina e volevo fare la specializzazione in oncologia. - Continuò senza che l'interrompessi. Mi guardò negli occhi e batteva le palpebre come se stesse per dire la cosa più importante del mondo. - Qui, su questo tappeto, io e Ryan fingevamo di essere dei pugili e lottavamo fino a rotolare l'uno addosso all'altro. Una volta lui ha pure sbattuto la testa contro lo spigolo del tavolo: aveva letteralmente un buco nella testa e rideva, rideva tantissimo, con quella mano sopra la testa, come se fosse una cosa seriamente divertente. Corse da mamma dicendo "mamma guarda ho un buco nella testa!" - Esclamò ridendo. - Adesso che ci penso mi rendo conto che quelli sono i momenti in cui sei felice e non sai di esserlo, perché quando sei bambino non sai cosa sia la felicità, non ci pensi, la vivi e basta. Piangi se vuoi piangere e ridi se vuoi ridere, non scappi, mai. Adesso mentre ti guardo mi sento ancora un bambino, perché tu sei qui, nella mia vecchia casa, su questo tappeto coperta soltanto da questo lenzuolo. E sono felice, ti guardo e mi viene voglia di sorridere e sentirmi come quel bambino per sempre, perché tu mi rendi felice e non sai quanto. Sorrido perché sei l'unica cosa bella della mia vita e sei la ragione per cui ogni mattina mi sveglio. Sorrido perché ti amo e so che non smetterò mai di farlo. Sorrido perché ti ho dipinta fin dal primo giorno e sapevo che tu mi avresti cambiato la vita, perché in quell'oceano che si nasconde nel tuo sguardo, ho sempre rivisto me stesso, quel bambino felice e spensierato di cui ho sempre, sempre avuto nostalgia. Tu mi fai sentire la voglia di tornare bambino, insieme a te - Si abbassò dandomi un bacio delicato sulle labbra e posando la fronte sulla mia. - Ho deciso di andare dallo psicoterapeuta e seguire una terapia di recupero, almeno provarci. Mi ci è voluto un po', ma l'ho chiamato e ho preso appuntamento. Perché voglio stare bene, voglio fare solo sogni belli e vivere davvero, una volta per tutte. Sarà difficile e ne sono consapevole, ma forse se lo affronterai con me farà un po' meno male. -

Accarezzai il suo viso, sorridendo e lasciandogli poi un bacio sull'angolo della bocca. Asciugai quella timida lacrima che scorreva sul suo viso, sola e colma di ricordi del suo passato, di lui e di ciò che era, della persona che amavo e che avevo scelto come compagno di vita. - Sono fiera di te - Sussurrai posando la testa sulla sua spalla. - Sono fierissima del fatto che tu abbia deciso di chiedere aiuto. So che non è una cosa facile, ne ammettere a se stessi di averne bisogno e ne dirlo a voce alta. Però ce l'hai fatta e sono sicura che starai bene. Ti terrò la mano, passo dopo passo, e anche se sarà difficile l'affronteremo insieme. - Gli dissi sfregando il viso sul suo petto. - Ce la faremo - Bisbigliai baciando la sua pelle morbida che profumava di vaniglia, di casa, di amore e di vita. - Dobbiamo farcela, dobbiamo stare bene perché sono tanto stanca di svegliarmi vedendo cose che non esistono e sono molto stanca di sapere che tu soffri e io non riesco a fare niente per aiutarti. Ti sei sempre tenuto tutto dentro, ma voglio che con me tu non lo faccia. Insomma mi hai vista, Ben? Mi hai guardata? - Alzai la testa e lo guardai negli occhi. Sentivo ancora gli occhi gonfi e mi bruciavano tremendamente dopo l'attacco di panico che avevo avuto a causa dell'allucinazione, per poter convivere con la mia malattia senza impazzire dovevo prendere pasticche costantemente e avevo effetti collaterali che non mi aiutavano a vivere una vita normale. - Sono un disastro. - Dissi sorridendo amaramente. - Sono talmente incasinata che a volte mi guardo allo specchio e mi domando cosa pensi la gente quando mi guarda. Sono una schizofrenica paranoide, convivo con una terapia che non potrò mai smettere di fare, prendo pastiglie per non impazzire e per non permettere alla mia malattia di avere la meglio su di me come è già successo. Sono rimasta in silenzio per mesi, perché non riuscivo a parlare, perché stavo troppo male e non c'erano parole che sarebbero state sufficienti a esprimere ciò che provavo. Perché sentivo voci nella mia testa e non lo volevo ammettere, perché ho sempre visto cose che non esistevano. Mia madre mi ha abbandonata, ha scelto il mio gemello e mi ha lasciata da sola a crescere con un mostro che ha abusato di me per anni e ho ucciso mio padre per salvare l'amore della mia vita. Ho scelto te, rispetto a mio padre. La gente mi guardava come se fossi un'aliena, probabilmente si domandava come fosse possibile che io scegliessi il mio ragazzo a mio padre e io non ho mai detto nulla. Mi chiamavano assassina, davvero pensavate che non lo sapessi? E io non ho mai dato spiegazioni. Sono stata espulsa dal college per aver ucciso il mostro che ha ucciso me e che lo ha fatto più volte, sono stata incolpata per questo ma nessuno si è mai chiesto perché l'ho fatto. Ma nonostante io sia schizofrenica, un'assassina, una drogata di psicofarmaci, tu sei qui. Hai rischiato la tua vita, per me. E credimi quando ti dico che non ci posso credere: non posso credere al fatto di aver trovato una persona come te, di meritarmi una persona come te. Non posso credere al fatto che tu mi abbia scelta e che io ti stia dicendo tutto questo a voce alta. Per tutto questo tempo, per questo anno e mezzo, ti guardavo e mi domandavo come fosse possibile, cosa avessi fatto per meritarti. Onestamente ancora adesso non lo capisco, sono incerta su molte cose ancora oggi, dopo anni e anni di terapia, ma di una cosa sono del tutto certa: che per te farei qualsiasi cosa, qualsiasi. Non c'è niente che non farei per te, rischierei tutto e ti darei la mia vita. Quindi sì, sono un disastro e no, non dovresti contare su di me, ma finché il mio cuore batterà lo farà per te e quando cadrai sarò pronta a prenderti per mano per aiutarti a rialzarti. Se le cose si faranno dure allora andremo all'inferno insieme e ne usciremo, insieme. Ho sempre amato il mio buio, l'oscurità, non ho mai cercato la luce e forse perché non pensavo di meritarla, ma per te sono disposta a cercarla e amarla, esattamente come tu ami me. Perché tu sei luce e meriti la luce, non puoi stare al buio. Se questo per me significa uscire allo scoperto e abbandonare il buio, la mia stanza buia, allora lo farò, perché tutto quello di cui ho bisogno sei tu. -

Ben posò le labbra sulle mie, sorridendo e piangendo al tempo stesso. Pensai, mentre lo baciavo e sorridevo asciugando le sue lacrime con i polpastrelli delle dita, che il colpo di fulmine esisteva, esisteva sul serio. Fin dal primo momento in cui avevo incrociato il suo sguardo avevo capito che lui sarebbe stata la persona che mi avrebbe cambiato la vita, e così era stato. Avevo sempre avuto solo Sammy, lui era la mia unica certezza da quando avevo dodici anni, ma Ben mi aveva dato una famiglia, aveva dato ad entrambi una famiglia. Mi aveva insegnato ad amare, ad amarmi, e mi aveva fatto capire cosa volesse dire essere amati. Avevo imparato a comprendere cosa significasse avere il
cuore spezzato, ma avevo anche imparato a sentirlo ripararsi con un bacio, con una carezza. Poi si spezzava di nuovo quando lui si allontanava da me e tornava a battere soltanto quando mi guardava negli occhi. Avevo scoperto cosa significasse sentirsi mancare il respiro ogni volta che la persona che ami soffre, o piange. Avevo imparato ad amare i suoi difetti e trasformarli in pregi perché le cose di se stesso che lui odiava, erano quelle che io amavo di più. Avevo capito cosa significasse avere i brividi ogni volta che mi baciava, sentire le farfalle nello stomaco e una voglia immensa di piangere quando mi stringeva fra le braccia e mi coccolava fino a farmi addormentare. Avevo capito che amare qualcuno non era semplice, ma sapeva regalarti gioie immense anche con i piccoli gesti. Avevo capito, grazie a lui, che forse abbiamo bisogno di spezzarci per essere felici, di un trauma per tornare a stare bene, di cadere per capire che siamo abbastanza forti per rialzarci. Mentre le voci nella mia testa urlavano che non ce l'avrei mai fatta lui con uno sguardo mi faceva capire che invece ce l'avrei fatta; loro dicevano che la pace l'avrei trovata solo nella morte, lui mi abbracciava e diceva in silenzio che la pace era fra le sue braccia; dicevano che ero una debole, lui diceva che ero la persona più forte che avesse mai incontrato.

Perciò lo baciavo e pensavo di amarlo incondizionatamente, senza limiti, senza confini e che lui era l'amore della mia vita. Non c'era nessun altro al mondo in grado di darmi ciò che mi dava lui anche solo guardandomi negli occhi.

In quel momento eravamo soltanto noi due, con la pioggia battente che faceva da sottofondo all'eterno istante in cui lo sentivo parte di me e ad occhi chiusi pensai di amarlo infinitamente e incondizionatamente, fino alle ossa.
Da sempre e per sempre.

*

Arthur stava facendo il nodo alla cravatta a Ben, dopo averlo fatto a Sam, a Carter e anche a Richie. Io e Ben eravamo tornati da Hamilton proprio allo scopo di recarci al campus in occasione della cerimonia di laurea di Carter, Richie e Vanessa. I ragazzi erano riusciti a laurearsi con la sessione di marzo e quel giorno c'era la cerimonia dedicata a tutti i laureandi in presenza di genitori, amici e parenti.

Sam stava cercando di tranquillizzare Carter, che faceva avanti e indietro controllando i gemelli della sua camicia nervosamente e ripetendo in loop tutto ciò che doveva fare. Richie lo prendeva in giro osservandolo con le mani in tasca e scuotendo il capo, perché di fatto non comprendeva quale fosse il problema in tutta quell'agitazione. - Non riesco a capire perché tu sia così agitato. Nemmeno quando hai esposto la tesi eri in questo stato: fatti un goccio, devi solo ritirare un foglio e dire grazie. - Esclamò sistemandosi poi la cravatta e voltandosi verso il mio gemello che, dal canto suo, aveva un sopracciglio sollevato e agitava il
bicchiere con dello champagne dentro, porgendolo a Richie che lo accettò con un enorme sorriso.

-Io invece non capisco per quale motivo tu stia ancora parlando Richard - Replicò scocciato e lanciandogli un'occhiataccia. Scacciò Sam con la mano disturbato, che stava dandogli dello champagne, come se lo avesse appena minacciato con un coltello. - Ma ti si è fritto il cervello? Non mi metto a bere prima della cerimonia, è moralmente scorretto - Sbottò squadrandolo

Ben scoppiò a ridere perché mentre Carter faceva un discorso su quanto bere in quell'occasione fosse sbagliato, Vanessa era al quarto bicchiere di champagne, camminava avanti e indietro con i suoi fogli in mano, borbottando e parlando da sola, o meglio leggendo e rileggendo il suo discorso in loop. - Nel frattempo Vanessa salirà sulle gradinate barcollando ubriaca - Disse incrociando le braccia al petto e piegando la testa di lato guardandola con dolcezza.

-Vanessa si è rotta - Intervenne Sam con una risatina. - Ehi bionda, vuoi altro champagne? - La chiamò sollevando la bottiglia.

-No - Rispose arricciando il naso e voltandosi a guardarlo. - Datemi del whiskey, ho bisogno di qualcosa di più forte -

-Ma la vuoi piantare? Vuoi presentarti biascicando davanti al rettore? - Domandò Carter portandole via il bicchiere vuoto e piazzandosi davanti a Sam che stava tirando fuori il whiskey dalla nostra dispensa.

-Vai al diavolo Collins, tu devi solo fare quattro gradini e sembri posseduto. Almeno io un motivo per essere agitata ce l'ho, imbecille - Erano le prime parole che diceva rivolte a noi, o meglio che diceva in generale fuori dal discorso. Era a casa mia da un paio di ore e non mi aveva ancora rivolto la parola: non aveva fatto altro che leggere e rileggere il
suo discorso, fermandosi in certi momenti perché si rendeva conto che la stavo ascoltando e non voleva che lo facessi. Mi ero ritrovata più volte a borbottare con Richie, perché non riuscivo a comprendere come potesse pretendere che non ascoltassi visto che le stavo acconciando i capelli.

Scossi il capo e mi avvicinai a lei, le strappai i fogli dalle mani, li piegai e li diedi a Ben, che se li mise in tasca e roteò gli occhi al cielo. - Ora basta Vanessa - Esclamai. - Andrà tutto bene ma tu ti devi dare una calmata. Hai tutto scritto su questi fogli e anche se così non fosse faresti il discorso di commiato più bello della storia. Ne sono certa e ne siamo certi tutti, quindi piantala, respira e sorridi, perché sei bellissima e questo è il tuo giorno. - Il rettore, per via di tutto quello che era capitato negli ultimi mesi, le aveva chiesto di fare il discorso di commiato affermando che non ci sarebbe stata persona migliore per farlo. Vanessa aveva accettato, però stava andando completamente in crisi e credevo di sapere il motivo. Non pensavo affatto che fosse per via del discorso, in realtà.

-Lei non c'è - Bisbigliò arricciando il naso e sollevando lo sguardo dal pavimento ai miei occhi. Sarebbe stata fiera di lei, sarebbe stata orgogliosa di vederla salire su quel palco e fare il discorso di commiato per tutti i laureandi. Avrebbe di sicuro stappato una bottiglia in onore di Vanessa se fosse stata lì, l'avrebbe calmata facendola ballare e cantare, le avrebbe sorriso e lei si sarebbe sentita più tranquilla, avrebbe smesso di disperarsi sicuramente.

-Su questo ti sbagli - Intervenne Sam avvicinando a lei e piegando la testa di lato. - È proprio qui - Posò un dito sul suo cuore e sorrise con gli occhi lucidi. Poi lo posò sulla sua testa e le lasciò un bacio fra i capelli. - E qui. - Disse allontanandosi e infilando le mani in tasca. - Lei non se n'è mai andata, questo te lo posso giurare. -

-Avanti pelandroni! - Arthur prese ad applaudire rientrando nella stanza solo in quel momento, dopo essersi andato a mettere un paio di gemelli ai polsi. - Sono fiero di voi, vi siete laureati! Toglietevi queste facce da funerale e sorridete un po'. Oggi è un giorno di festa, è il vostro giorno -

-Arthur ha ragione - Ben affiancò Carter e sistemò la sua camicia piegando la testa di lato. Picchiettò la mano sulla spalla del suo migliore amico e lo invitò a farsi guardare negli occhi. - Ti sei laureato vecchia ciabatta - Esclamò spintonandolo con la spalla e sorridendo. - Andate a prendere il vostro attestato fieri di voi e di ciò che siete. Fatelo per lei che vorrebbe vederci tutti sorridenti e non può essere qui, ma soprattutto fatelo per voi stessi -

Abbracciai Vanessa e strusciai il viso sulla sua spalla dopo averle asciugato le lacrime e rimesso a posto i biondi capelli. - Più tardi ci ubriachiamo - Sussurrai al suo orecchio. Vanessa sorrise, sentii il suo sorriso sulla pelle e la strinsi più forte, alzandomi in punta di piedi e abbracciandola come se fossimo una cosa sola. - Sono fiera di te, ti voglio bene -

Vanessa soffocò le lacrime in gola e un singhiozzo che la spinse ad abbracciarmi più forte, poi si allontanò, sventolò le mani davanti al viso e tamponò gli occhi soffiando e ridendo di se stessa. - Ora basta, mi si sbava il trucco - Esclamò sorridendo e voltandosi volteggiando e facendo svolazzare i biondissimi e lisci capelli.

Indossava un abito nero, stretto sul busto e morbido sulle gambe. La parte bassa era ornata con del tulle colmo di brillantini ed era corto davanti e un po' più lungo dietro. I tacchi a spillo neri decoravano il tutto rendendola così elegante e bella. Non avrei mai potuto indossare un abito come quello, ma per lei era perfetto. Sembrava quasi che portasse il cielo stellato con se, era stupenda. Io, dal canto mio invece, non avevo assolutamente abbandonato il mio solito stile e indossavo un top bianco con delle catene al posto degli spallini, un gonna a balze nera, calze a rete e un paio di stivali alti fino al ginocchio, uguali alle dr martens ma che avevano la suola abbastanza alta da farmi arrivare, quasi, all'altezza di Sam. Oltre tutto, avevo deciso di sbizzarrirmi con il
trucco e avevo usato l'ombretto nero sfumandolo un po' con del blu metallico, in modo che risaltasse il colore dei miei occhi.

Ci avviamo, tutti insieme, fuori dalla porta mentre Sam stappava un'altra bottiglia di champagne, io e Vanessa ballavamo nel viale senza la musica e i ragazzi fischiavano, urlavano e festeggiavano. Guardando i miei amici pensai che di momenti come quelli ne meritavamo, dopo tutto. Avevamo ricevuto così tanti schiaffi in faccia dalla vita, che ridere per noi, alle volte, ci faceva sentire perfino in colpa. Ma in quell'istante, mentre Carter mi fece volteggiare e rischiammo di inciampare cadendo a terra, mentre Sam mi faceva bere direttamente dal collo della bottiglia, mentre Arthur persisteva a sistemare la camicia di suo fratello e Vanessa e Richie ridevano insieme, pensai a quanto spontaneo fosse quel momento, a quanto lo ritenessi speciale perché era uno dei pochi momenti di normalità che c'era tra di noi e mi domandai se, finalmente, il giorno in cui potevamo iniziare a vivere fosse arrivato.

*

Vanessa era salita sul palcoscenico, aveva sorriso al rettore e gli aveva stretto la mano, poi si era rivolta a noi, il suo pubblico, con un raggiante sorriso e in quel momento ci osservava con la testa piegata di lato e gli occhi lucidi. Noi ragazzi eravamo in prima fila, dietro la platea di laureandi, a fare il tifo per lei. Sam aveva le mani alzate e stringeva uno striscione in cui avevamo scritto che eravamo fieri di loro. Era una piccola cosa, per qualcuno poteva sembra sciocca e stupida, ma per noi che di attimi di pura felicità come quello non ne avevamo vissuti molti, urlare al cielo che eravamo fieri l'uno dell'altra era la cosa più bella che potessimo fare. - Scusate questi secondi di silenzio, volevo ammirare i sorrisi dei miei amici che stanno facendo il tifo per me in questo momento. Mi ero preparata un discorso da oscar, in cui parlavo del futuro, dell'importanza e dell'impatto che il college ha avuto su noi laureandi. Avevo scritto che quando ho scelto questa strada, tre anni fa, non ero sicura che sarebbe stato ciò che davvero sognavo di fare da grande. Avrei dovuto dire che il nostro futuro inizia oggi ma poi, guardando i miei migliori amici che sventolano uno striscione dicendo che sono fieri di me, di noi, ho deciso di buttarlo via e improvvisare con qualcosa che tutti dovrebbero sapere, non soltanto i laureandi. - Disse prendendo il microfono e spostandosi dal leggìo mentre si sistemava la corona di foglie di alloro e piccole bacche rosse che le avevamo messo in testa. Sorrisi e scossi il capo, Arthur applaudì, Sam alzò il dito medio, Ben borbottò tirando fuori i fazzoletti e porgendomeli come se sapesse che mi sarei messa a piangere ancora prima che la mia migliore amica iniziasse a parlare e vidi Carter, nella platea non molto distante dal mio fratellastro, scuotere la testa ridendo, come se si aspettasse una cosa del genere. Non avevo ancora visto i genitori di Vanessa, tra la folla, quelli di Carter erano accanto ai miei e di Richie proprio dietro di noi, ma quelli di Vanessa non c'erano ancora. Sperai di tutto cuore che arrivassero, che almeno in quel giorno fossero presenti per lei, così come lo erano gli Hastings, i Woods e persino Sean e Juliette, nonostante ne io, ne Sam, ne Ben o Arthur, fossimo tra i laureandi. C'era anche Joseph, in un angolino assieme a Gabriel, appoggiati a una colonna dell'aula magna, persino Ryan dall'altro capo della cornetta, al telefono con suo fratello, la stava ascoltando.

-In questi anni, soprattutto in questi ultimi due, sono successe troppe cose, con le quali mi sto trovando a fare i conti proprio adesso. La cosa positiva è che, nonostante tutto, sono riuscita a laurearmi e sono ufficialmente un avvocato. Io sono un avvocato, il mio ragazzo è psicologo, il mio amico è medico e inizierà la specializzazione in neurochirurgia. Che bello, penserete tutti, che gruppo di testoline grandi che siete. Sì, è vero lo siamo e io sono fiera di noi, anche di quelli che non sono qui sopra e non si sono potuti laureare per cause di forza maggiore, soprattutto di loro. Ma sono fiera di noi perché nonostante tutto siamo arrivati alla fine di questo percorso, siamo arrivati qui. Non pensavo di potercela fare, onestamente, non senza le mie amiche, non senza la persona che faceva il tifo per noi e credeva in noi più di quanto lo facessimo noi stessi, però ce l'ho fatta, ce l'abbiamo fatta. Per lei.
Alla facoltà di medicina ci sono un sacco di cose che ti insegnano a combattere la morte, ma neanche una che ti insegni a continuare a vivere, a lottare per la vita. Non c'è niente che insegni ad andare avanti alle persone che restano, ai sopravvissuti. Mi sono chiesta, per molto tempo, cosa ne sarebbe stato di noi dopo che lei se n'era andata. Ero così disperata che mi sono rifugiata nell'alcol, così alla ricerca di risposte che ho cercato su google "come superare la perdita della mia migliore amica" come una stupida, chissà che cosa credevo poi. Ero così distrutta che ho chiesto a Richie se poteva cercare in uno dei suoi libri di medicina come si continua a vivere dopo la morte di una persona che era così tanto parte di te. Non sapevo cosa fare: mi sentivo così sola, sola anche in una stanza piena di gente. Non riuscivo più a vivere, perché la mia vita e la nostra vita, non era e non sarà più la stessa senza Katherine. Ma andava bene così, in quel momento. Il vuoto andava bene, mi stava bene, perché era ciò che mi rimaneva di lei. Guardando noi, i sopravvissuti, mi sentivo come se stessimo andando alla deriva da soli, ognuno per le sue, e pensavo che non ci saremmo mai più ripresi da quella perdita, che non avremmo mai affrontato adeguatamente il dolore. Siamo rimasti indietro, per tanto tempo. Ci siamo rinchiusi in noi stessi pensando che nessuno potesse capirci, che nessuno aveva il diritto di dirci come dovevamo sentirci perché soltanto noi sapevamo cosa avevamo perso, soltanto noi c'eravamo quella notte, soltanto noi avevamo perso la nostra migliore amica. Non abbiamo voluto farci aiutare e su una cosa ho avuto ragione: siamo andati alla deriva, tutti noi. Ci siamo persi, non sapevamo più come ritrovarci, eravamo così spaventati che siamo sfuggiti a ciò che stavamo vivendo nei modi peggiori, non pensando a cosa avrebbe voluto lei per noi, a cosa avrebbe fatto al nostro posto. Siamo stati egoisti, perché ognuno ha pensato a se stesso e ci siamo abbandonati per un po' a vicenda, pensando di dover vivere la nostra tristezza da soli. A volte ci siamo anche giudicati, per come lo stavamo affrontando, ci siamo puntati il dito contro da ipocriti, non riflettendo sul fatto che ognuno di noi stava facendo la stessa cosa ma in modo differente: stavamo scappando, stavamo rifiutando la realtà. Siamo rimasti incastrati nel rifiuto per così tanto tempo che ci siamo persi il mondo che andava avanti, senza di noi e senza di lei, quasi come se non esistessimo, come se lei non fosse mai esistita.
Così, quando mi sono resa conto di quello che stava succedendo, quando mi sono guardata allo specchio e ho guardato i miei amici, ho capito. Ho capito che il dolore è una cosa comune a tutti, ma viene vissuto in modo diverso da ognuno di noi. Non è solo la morte a farci soffrire, è la vita stessa, la perdita e qualsiasi cosa che implichi un cambiamento. Ho capito che quando ci chiediamo perché debba fare tutto così schifo da non riuscire nemmeno a respirare o muovere un muscolo, dobbiamo ricordarci che in un attimo, in un solo battito di ciglia, può cambiare tutto. Possiamo perdere tutto, in un solo attimo. Ed è proprio quello che è successo a noi. È così abbiamo perso una parte della nostra vita, in un solo attimo, in un battito di ciglia. E ho capito che è proprio così che rimani vivo: quando soffri tanto da non riuscire a respirare, è lì che ti rendi conto che sei un sopravvissuto, che stai ancora vivendo, che tu non sei morto, nonostante quello che stai provando e il dolore che senti ti facciano pensare che sia così. Tu sei vivo. Mi sono guardata allo specchio e mi sono domandata il perché, perché io ero ancora viva e lei no, perché anche la persona che mi aveva salvata da una vita colma di tristezza aveva scelto di lasciarsi andare, perché pensava di non poter superare il dolore e perché non voleva restare insieme a noi, perché aveva scelto la via più facile. Mi sono resa conto che i sopravvissuti sono quelli che soffrono fino ad avere tutte le ossa spezzate perché il dolore si fonde così tanto con il tuo corpo che le ossa si spezzano, lo senti nelle ossa, nel profondo delle tue viscere, ed è così che impazzisci. Però sei vivo, sei morto dentro, ma il tuo cuore batte. Dobbiamo scegliere di essere i sopravvissuti scegliendo di continuare a vivere e andare avanti, nonostante tutto, perché la speranza non muore mai. Devi sopravvivere ricordando che un giorno, chissà come e senza una spiegazione logica, non ti sentirai più così, non soffrirai più così tanto. Perché il dolore arriva a tempo debito per tutti, a ciascuno il suo. Quindi il meglio che tutti possiamo fare, è cercare di essere onesti, con noi stessi e le persone che amiamo, ammettendo di stare male, perché non c'è nulla di sbagliato in questo. Va bene stare male, va bene essere tristi, va bene non sapere più dove sbattere la testa e va bene piangere e va bene perdersi, basta solo ricordarsi che non è mai troppo tardi per ritrovarsi. Nessuno può dirci in che modo stare male e quando stare male, non dobbiamo chiedere il permesso. Basta ricordarsi che è dal dolore che si ricomincia, che ripartiamo. Ho imparato che la cosa più insopportabile del dolore, la cosa peggiore, non è che fa male, è che non lo puoi controllare. Possiamo accoglierlo e provarlo quando arriva, lasciarlo andare, ma solo quando ci riusciamo, perché ho imparato anche che ci vuole coraggio per affrontarlo, per scegliere di viverlo, perché fa male da morire. E un'altra delle cose peggiori è che quando pensi di averlo superato, ricomincia tutto da capo e sempre ogni volta ti lascia senza fiato perché quando si tratta del dolore non tocchi mai il fondo.
Perciò ecco cosa ho imparato alla fine. Ci sono 5 fasi del dolore, sono diverse per ciascuno di noi, le viviamo tutti in modo diverso, sono soggettive e ognuno le vive a modo suo, reagisce a modo suo, ma sono sempre e comunque cinque, uguali per tutti.
Rifiuto: quando la perdita e il dolore sono talmente grandi da non pensare che siano veri. Rabbia: contro chi sopravvive, contro noi stessi, rabbia contro chi è felice e sta bene, rabbia contro chi se ne va. Poi patteggiamo, implorando e offrendo tutto quello che abbiamo, anche la nostra anima, in cambio anche di un solo giorno in più, di un solo minuto in più. Quando questo fallisce ed è troppo difficile gestire la rabbia e qualsiasi emozione realizziamo e cadiamo così nella depressione. Crolliamo nella disperazione e ci vuole un po' per ammettere che, alla fine, abbiamo fatto tutto il possibile. Che non è colpa nostra, che le cose accadono e non possiamo avere sempre tutto sotto controllo. Così ci abbandoniamo, ci lasciamo andare e arriviamo all'accettazione, la fase finale, in teoria. Quella in cui scegliamo una volta per tutte di soffrire per poi andare avanti.
Io, però, ne voglio aggiungere una sesta: ricominciare, proprio da lì. Proprio dal momento in cui sei crollato. Rialzarsi. Perché quella secondo me è la fase in cui ci vuole più coraggio. C'è chi non lo trova mai e rimane a terra per sempre, chi scappa per tutta la vita e chi non ce la fa più, perciò molla. Perciò cadere è facile, proprio perché la vita è uno schifo ed è una stronza e realizzare di essere caduti fa male più della caduta stessa. Però rialzarsi, quello è il momento più faticoso, quando ci vuole più coraggio. Ho capito che voglio vivere infinite vite con i miei amici e godermele, senza dare nulla per scontato perché da un momento all'altro può cambiare tutto. Perché il domani non è scontato. Da piccoli ci hanno insegnato a fare progetti, a immaginare il nostro futuro e sognare. Perciò noi facciamo progetti e facciamo anche di tutto per raggiungerli, ma ci dimentichiamo di guardarci attorno, che è la cosa più importante nella vita. Diamo così tante cose per scontate e ce ne rendiamo conto solo quando le perdiamo. Quando non puoi più guardare negli occhi una persona, quando non la puoi più toccare, quando non puoi più parlarci e abbracciarla, o vederla ridere, ti rendi conto di esserti persa qualcosa di fondamentale. Ti chiedi come sia stato possibile, e poi ti rendi conto che davi per scontato che avresti avuto un momento più tardi, o il giorno dopo, o quello dopo ancora. E ti senti uno schifo, perché capisci che nulla è scontato. Ci dimentichiamo così di goderci le cose, le persone. Ci dimentichiamo di vivere. E quando ci sfugge tutto dalle mani, continuiamo a ripetere di non avere avuto abbastanza tempo, di non esserci goduti abbastanza la vita, di non aver detto "ti amo, non posso vivere senza di te perché tu mi hai cambiato la vita e non è vita senza te." Perciò ditelo, prendetevi per mano, guardatevi attorno, godetevelo. Perché è tutto qui e il domani potrebbe non esserci più.
Questo è il motivo per cui sono fiera di me e dei miei amici: perché siamo sopravvissuti e abbiamo scelto di vivere ancora, perché abbiamo avuto il coraggio di cadere nella consapevolezza che saremmo rimasti gravemente feriti e ora ci stiamo rialzando, insieme, come una squadra. Tutti per uno e uno per tutti, perché insieme è più semplice, fa meno male. Concludo dicendo che noi siamo arrivati fin qui per te e con te anche se non ci sei, che tutto questo è per te, da parte nostra. Questa sera alzeremo un calice brindando alla dottoressa più bella, che ora danza fra le stelle ridendo spensierata. Faremo un viaggio e te lo dedicheremo, ti dedicheremo ogni cosa, ogni risata, ogni stretta di mano e ogni abbraccio, come faresti tu. Mi hai fatto capire che se il mondo dovesse finire proprio oggi, in questo momento, non voglio dover chiudere gli occhi pensando di non aver vissuto abbastanza, di non aver dedicato sufficientemente tempo a ciò che amo e a chi amo. A te Katherine, perché ci manchi infinitamente e oggi ti saresti laureata con noi. Immagino di vederti proprio qui, accanto a noi, nella folla a sorridere e piangere, ad applaudire e urlare quanto sei fiera di noi, sventolando bandiera bianca e dicendo che ce l'abbiamo fatta. Sì, Kat, noi ce l'abbiamo fatta, nonostante tutto, nonostante tu non ci sia più. Sono stati lunghi giorni quelli senza di te, probabilmente i più duri di tutta la nostra vita, ma ti racconterò tutto quando ci rincontreremo. Congratulazioni a tutti i laureandi, congratulazioni a me e ai miei migliori amici, perché il nostro futuro inizia oggi. Scegliete di vivere, perché è oggi ciò che conta, oggi è tutto quello che abbiamo. Complimenti a tutti voi, oltre che a noi, perché qualunque sia la vostra storia, qualunque siano stati i vostri ostacoli, qualsiasi cosa abbiate affrontato, oggi siete qui. Siete qui insieme a noi per celebrare un traguardo della vostra vita che segnerà per sempre il vostro futuro. Voglio anche darvi un consiglio: prendetevi un momento per dedicare questo traguardo a qualcuno che è importante per voi, esattamente come io e i miei migliori amici abbiamo qualcuno a cui dedicarlo, trovate anche voi il vostro motivo per vivere la vita più intensamente, qualcuno a cui dedicare i vostri sorrisi e i vostri attimi di libertà. Carpe diem, godetevi l'attimo perché sparirà presto. Questo dovrebbe essere il giorno in cui iniziamo la nostra vita, perciò facciamo in modo che lo sia davvero. Trovate il vostro motivo e ogni giorno sarà come il più bello della vostra vita, è solo così che guardandovi indietro vi sembrerà di aver vissuto, di non aver perso nemmeno un minuto. A noi, congratulazioni. -

Strinsi la mano di Ben mentre ero appoggiata alla spalla di Sam, piangendo, ad occhi chiusi. Ero fiera di lei, fiera del fatto che era lì sopra, a parlare a nome di tutti, anche di chi non c'era più. Ero felice di averle sentito dire che fosse fiera di me e, dopo le sue parole mi resi conto che anche io avrei dovuto essere fiera di me per aver scelto la vita e non essermi lasciata andare, anche se stava per accadere. Riflettendoci sopra, capii che la felicità faceva paura tanto quanto il dolore. Era ciò che tutti cercavano e che tutti, in fondo, sapevamo di meritare, ma spaventava così tanto che alla volte era più semplice scegliere di rimanere bloccati per sempre nel proprio loop infernale, piuttosto che lottare per averla. Non era tanto la strada per raggiungerla a fare paura, era più il temere che non arrivasse mai. Se invece arrivava, la strada ne era valsa la pena, ma faceva paura lo stesso, perché così come era arrivata poteva finire. Quindi pensi che devi godertela perché ogni cosa bella prima o poi finisce, perché sai che in quel momento stai bene, sei in pace, sei felice e provi gioia, va tutto per il verso giusto, ma sai anche il dolore torna in un battito di ciglia e quando lo fa si porta via un pezzetto in più del tuo cuore. Per quel motivo la felicità faceva paura, per quel motivo alla fine quando riuscivi a stringerla fra le mani non riuscivi ad apprezzarla, perché non smettevi di pensare al fatto che sarebbe sfuggita, prima o poi, che l'avresti persa, così come la sabbia scivola via fra le dita delle mani, disperdendosi lentamente nel vento e ritornando al suo punto di origine: la spiaggia.

Per quel motivo, guardavo la mia migliore amica su quel palco con la mano posata sul cuore, perché avevo la consapevolezza che lei era fiera di me e la cosa mi rincuorava, ma ero terrorizzata da come mi sentivo. Perché mi sentivo bene, in quel momento, perché mi sentivo a casa, con le mie persone, nel mio posto, e mi chiedevo per quanto ancora quella spensieratezza sarebbe durata. Mi chiedevo se era così che ci si sentiva ad essere felici.

Fu quando Vanessa sorrise che mi lasciai sfuggire un singhiozzo e decisi di alzarmi in piedi. Applaudii fra le lacrime, gocce di felicità che bagnavano il mio viso. I ragazzi fecero lo stesso, i nostri genitori, Carter più di tutti. Era sotto al palco, aveva allungato la mano verso di lei e Vanessa si era accucciata stringendola e sorridendo. Lui doveva averle detto qualcosa, perché era scoppiata a piangere e aveva posato la mano sulla sua guancia per asciugarle le lacrime. Erano bellissimi: un quadro perfetto.

Vanessa scese dal palco con l'aiuto di Carter, saltando giù e abbracciandolo mentre tornava fra i laureandi sorridendo e piangendo immersa in un'ondata di applausi e urla.

Il rettore prese la parola, ringraziò la nostra amica per le sue parole, ringraziò gli studenti e i genitori, fece un discorso pieno di orgoglio per i laureandi e cominciò a chiamarli a ritirare la loro laurea, uno ad uno, stringendo la loro mano e consegnando la pergamena. - Collins Carter, dottorato in psicologia. Congratulazioni signor Collins, ha avuto anche la lode per la sua tesi. Complimenti - Chiamò il rettore mentre il nostro amico saliva le scale e corse a stringergli la mano. Prese la pergamena con un sorriso, si voltò verso di noi e la alzò saltellando orgoglioso della sua laurea. Un coro partì tutto per lui, soprattutto quando si inchinò e ci mandò un bacio, girando su se stesso come se fosse una ballerina e andando a mettersi fra gli altri, alle spalle del rettore.

-Hastings Richard - Chiamò dopo un po'. - Dottorato in chirurgia e futuro neurochirurgo. Congratulazioni, voglio vederti a capo di un ospedale finita la specializzazione. - Disse stringendogli la mano.

Richie alzò la pergamena e mandò un bacio alla platea. Aveva fatto sei anni di medicina, non sapevo in quale modo fosse arrivato alla fine perché io non ce l'avrei mai fatta, ma doveva essere fiero di se stesso e del suo traguardo. La specializzazione era l'ultimo sforzo, il suo sogno stava per realizzarsi.

-Lewis Vanessa - Vanessa tolse la corona di foglie di alloro dalla testa e sorrise salendo le scale, inchinandosi solo una volta presa la sua pergamena. - Sarai un ottimo avvocato signorina Lewis, congratulazioni -

Vanessa fece una giravolta e sorrise trionfante, alzando la sua laurea come se fosse un trofeo, e in effetti lo era, lo era per tutti loro. Oltre che essere dottori, erano vincitori, erano arrivati alla fine e avevano raggiunto un traguardo che permetteva a tutti di poter dare vita ai loro sogni da quel giorno in poi. Credevo che fosse il giorno più bello della loro vita, a giudicare dai loro sorrisi, dall'aria trionfante, dalla gioia che leggevo nei loro lucidi sguardi e quando mi voltai verso il mio gemello e Ben, e li vidi sorridere, sospettai che pensassero la stessa cosa. Era commovente vedere quanto orgoglio ci fosse da parte nostra per le loro vittorie.

Carter si avvicinò improvvisamente al rettore e gli sussurrò qualcosa all'orecchio, l'uomo annuì e il mio amico prese la parola al leggio, dopo aver respirato profondamente e osservato la platea per qualche istante. - Sam, Benjamin, Victoria, potreste avvicinarvi per favore? Ho una cosa importante da dire - Esclamò rompendo il silenzio.

Noi tre ci scambiammo uno sguardo di confusione ma ci avvicinammo. Ben aveva lasciato il telefono ad Arthur, per far sì che Ryan rimanesse ad ascoltare e guardare, perché non poteva essere lì.

-Come diceva Vanessa siamo arrivati tutti alla fine, o quasi. - Esordì annuendo e mordendosi il labbro. - Abbiamo voluto dedicare questo giorno, questo viaggio, alla persona che ci ha dovuto lasciare e che purtroppo non può essere qui. Non si tratta soltanto di una cosa nostra, del nostro gruppo di amici, ma di tutto l'istituto. Con il consenso dei signori Wilson abbiamo parlato con il rettore e gli abbiamo chiesto di dedicare uno spazio alla nostra amica, che se n'è andata e ci ha lasciati qualche mese fa. Frequentava la facoltà di psicologia, come me, e desiderava aprire uno studio e specializzarsi successivamente in psichiatria, sulle malattie mentali. Aveva la nostra età, perciò oggi, esattamente come me, come Vanessa, come Benjamin avrebbe dovuto fare, e come Richie, si sarebbe laureata. Le mancava un solo esame, prima della tesi, non è riuscita nemmeno a dare quella. Il signor Joseph è stato così gentile da ospitarci a cena, qualche tempo fa, e ci ha fatto un regalo stupendo, dandoci qualcosa di Katherine che avrebbe dovuto portare per laurearsi: la sua tesi. Abbiamo scoperto che l'aveva dedicata a noi, raccontava delle conseguenze dei traumi, sia infantili che non, e si collegava a un disturbo mentale che conosciamo molto bene: la schizofrenia. Perciò io e Vanessa, sempre con il consenso di Joseph, abbiamo consegnato la tesi di Katherine, l'abbiamo esposta come se fossimo lei, leggendo passo per passo ciò che era stato scritto, ai suoi insegnanti. Era una cosa simbolica, che ogni insegnante poteva evitare di fare, perché sostanzialmente per loro era una perdita di tempo, ma per noi era di vitale importanza, perché lei è il nostro angelo custode adesso, e ci terremmo a ringraziare tutti gli insegnanti per la loro disponibilità, per il tempo che ci hanno regalato e che nessuno restituirà loro, soltanto per fare questo. Il rettore ha acconsentito a dedicare un piccolo spazio a Katherine, una piccola targhetta sulla sua panchina preferita all'interno del campus, in sua memoria con inciso il suo nome. Era la nostra panchina, quella dove passavamo il nostro tempo fin dai primi giorni qui. Prima eravamo soltanto in quattro: lei, Vanessa, io e Benjamin. Poi, un giorno, si sono unite a noi altre tre persone, regalandoci un po' di movimento nelle nostra noiosa e monotona vita. Grazie, per essere entrati a far parte delle nostre vite, Sam, Arthur e Victoria. Mi sono chiesto spesso, guardando i miei amici, cosa avessi imparato in questi due anni con loro. Quale fosse l'insegnamento dietro tutti i casini che ci hanno inseguito fino ad adesso, e ho capito che loro, tutto loro nessuno escluso, sono la mia famiglia, la mia casa. Tutti noi abbiamo una famiglia, qualcuno che sia sangue del nostro sangue, ma possiamo scegliere le nostre persone, quelle per cui lottare ogni giorno, a cui dedicare il nostro tempo e le nostre vittorie, o i nostri viaggi. Siamo un po' incasinati, parecchio a dire il vero, ma ci siamo scelti a vicenda e abbiamo scelto di diventare una famiglia. Una delle ultime conversazioni fra me e Katherine riguardava proprio questo: quanto fossimo uniti, quanto i nostri casini ci avessero uniti, nel bene e nel male. È come se ci fosse un filo che lega tutti noi, invisibile al resto del mondo ma molto evidente e sentito per noi. Katherine mi disse che era nostro dovere definirci una famiglia perché noi, tra di noi, siamo tutto ciò che abbiamo. Perciò come possiamo non parlare di famiglia, quando è quello che siamo? Ogni cosa che abbiamo affrontato dal giorno in cui ci siamo incontrati in poi, eravamo uno di fianco all'altro, sempre. Come ogni famiglia abbiamo avuto i nostri alti e bassi, li avremo sempre, ma ci siamo scelti e ci sceglieremo ancora, ancora e ancora, giorno dopo giorno. Katherine per noi non morirà mai, è qui con noi, perciò davanti a tutti voi vorrei comunicarvi che è ufficialmente dottoressa in psicologia, laureata con un centodieci e lode. Katherine, la tua pergamena sarà con noi e la tua vitalità, la tua gioia di vivere, la positività che ci regalavi ogni giorno, non la dimenticheremo mai. Sei stata con noi in questo viaggio e sarai con noi anche nel viaggio che inizierà da oggi, l'ultimo: la nostra vita. Congratulazioni dottoressa, ti pensiamo ogni giorno, ci rincontreremo. - Concluse lasciando cadere una lacrima e chiudendo gli occhi facendo un passo indietro.

Carter si avvicinò a noi, si mise in mezzo e ci guardò annuendo e mostrandoci la pergamena della nostra amica. Ero un fiume di lacrime, abbracciata a Vanessa e stringendo la mano di Ben che affiancava Sam mentre teneva la testa bassa e sorrideva fra le lacrime. Alzò il viso al cielo, asciugandosi le lacrime, e mandò un bacio applaudendo orgoglioso. Così come iniziamomi a fare tutti noi.

-A te Katherine - Sussurrai. - Ti porto nel cuore, sono fiera di te. - Posai lo sguardo fra la platea, piangendo e sorridendo e annuendo contemporaneamente e lì, proprio accanto a suo padre, la vidi. Aveva la mano alzata, i capelli come fili d'orati brillavano sotto i raggi del sole primaverili e indossava un abito bianco. Era a piedi scalzi, ci salutava e sorrideva con la mano, applaudendo fiera di noi, di me, di ciò che eravamo. Sembrava così libera, così la mia migliore amica, così la parte di me che mi mancava immensamente. - Lei è qui - Dissi. - La vedo, sta applaudendo e sta sorridendo -

I miei amici mi osservarono in silenzio, interrompendo i loro applausi e avvicinandosi a me ancora di più.

Quando però, osservai meglio la platea soffermandomi sugli studenti, li vidi indicarmi e bisbigliare tra di loro. Qualcuno ridacchiava, qualcuno scuoteva la testa, qualcuno sospirava e qualcuno alzava gli occhi al cielo. Scrollai le spalle e mi scostai da Vanessa, presi il microfono dal leggio e sospirai asciugandomi le lacrime. - Ciao, mi chiamo Victoria Hastings e sono schizofrenica. - Esclamai facendo calare il silenzio improvvisamente. Non volava una mosca, mi fissavano tutti come se fossi pazza, e in effetti un po' lo ero. - Ho vent'anni e mi è stata diagnosticata qualche mese fa. Non sapevo di essere schizofrenica, non sapevo nemmeno che ci fosse questa possibilità visto che mio padre non mi aveva mai detto che mia nonna, nonché sua madre, avesse ereditato la malattia da sua madre. Non ho cercato la mia malattia, non l'ho scelta e me la devo tenere. È un qualcosa che ho cucito addosso e non se ne andrà mai, posso solo tenerla sotto controllo e seguire la terapia. I miei amici e la mia famiglia affrontano la malattia insieme a me, con le mie allucinazioni, anche se non vedono e non vedranno mai ciò che vedo e sento io, li sento vicini più di chiunque altro. Nel corso della mia vita ho avuto più episodi di psicosi e uno di quelli è stato la notte di San Valentino di un anno fa, probabilmente. Dopo quella notte sono stata espulsa dall'istituto perché ritenuta un soggetto pericoloso dai genitori degli alunni e dagli alunni stessi, che mi chiamano "matta, assassina, sociopatica, quella da rinchiudere". Quella notte ho sparato contro mio padre, che ha sparato al mio ragazzo e lo ha quasi ucciso. Mio padre che ha abusato di me per anni: dai sette ai dodici per l'esattezza. Mio padre che mi ha quasi violentata davanti al mio ragazzo e mio fratello gemello, mio padre che mi ha puntato una pistola addosso e mi ha quasi ucciso. Ci sarebbe riuscito, se non fosse stato per il mio ragazzo che mi ha spinta via e si è preso la mia pallottola. Lui è il mio supereroe. Perciò d'istinto ho sparato, senza nemmeno rendermene conto. Non avrei voluto sparare, nonostante lo odi per ciò che mi ha fatto, era pur sempre mio padre e il prezzo da pagare per averlo ucciso a causa della mia malattia e della mia pazzia, come dite tutti, lo pagherò per sempre. Sono stata agli arresti domiciliari in attesa di processo i primi mesi, con un bracciale elettronico attaccato alla caviglia che suonava se mi spostavo di un solo passo in più, potevo muovermi solo nel raggio di due chilometri da casa mia perché non parlavo e non potevano confermare la mia versione dei fatti: era legittima difesa o omicidio colposo? Sono stata assolta e non perché sono matta, ma perché era legittima difesa. Questa è la storia, è così che è andata e voi non sapete niente, perciò non avete il diritto di parlare. Non sapete cosa vedo, cosa sento, con cosa combatto ogni giorno per avere la lucidità necessaria a parlare come una persona normale, perché sono consapevole di non essere una persona come tutte le altre. Sono più fragile, vedo cose che nessuno può vedere, sento voci e mi sveglio nel cuore della notte pensando che i cavalieri della caccia selvaggia stiano arrivando a prendermi, scappo anche, spesse volte, perché per me è reale, non è finzione, io li vedo e li sento. In questo momento, vedo Katherine seduta accanto al signor Wilson, ma vedo anche una nube nera sopra le vostre teste che tuona come se ci fosse un temporale in questa stanza, e parla. Sì, sta parlando. Mi sta dicendo di stare zitta, di spararmi un colpo in testa e lasciarmi morire perché nessuno mi ama e sono un peso per tutti. Però sono qui, in mezzo a voi, vi guardo e vi sorrido anche se voi mi date della pazza. Forse avete ragione, forse sono pazza e probabilmente non dovrei nemmeno stare qui, ma sono una persona. Nelle mie vene scorre sangue, respiro, mangio e dormo come fate voi. Vi starete chiedendo per quale motivo ho detto tutto questo: la risposta è semplice. Non sono tenuta a dare spiegazioni, non sono tenuta a dirvi quello che succede nella mia vita, ma sono stanca. Stanca di essere quella matta e l'assassina, stanca di essere giudicata. Prima di aprire la bocca, prima di giudicare, prima di sparare sentenze e parlare su qualcosa che nemmeno sapete, contate fino a dieci. Le persone hanno delle storie che non vi dicono, la persona accanto a voi probabilmente ha qualcosa da dire, mente costantemente ma sorride comunque, e voi nemmeno lo sapete. Che ne sapete voi di quello che c'è nella testa di chi vi circonda? Siate gentili, sempre, perché non sapete cosa si nasconde dietro gli occhi di una persona, quale storia porti con se ogni istante della sua vita. Non lo sapete e non potete giudicare. Grazie. - Lasciai cadere il microfono a terra fissando la platea che mi guardava come se fossi impazzita, causando frastuono nella sala, accompagnato dai bisbigli delle persone, scesi le scale di corsa e lasciai la stanza immersa fra i sussurri e rincorsa dalla nube nera che mi accompagnava ovunque andassi, inseguita ancora una volta nella mia malattia.

-Tu non sei la tua malattia - Sam urlò a qualche metro di distanza da me, dopo che avevo raggiunto il giardino ed ero inginocchiata a terra, ai piedi di un albero, con la schiena appoggiata al tronco come se potesse sorreggermi o proteggermi.

Alzai la testa per vederlo avvicinarsi, finché non si inginocchiò davanti a me e mi prese le mani, baciandone il dorso e rimanendo a testa bassa. Strinsi gli occhi cercando di trattenere i singhiozzi, ma gli sforzi furono vani perché ero talmente stanca di essere etichettata come quella malata e come l'anello debole, che diedi libero sfogo al peso che mi opprimeva il petto da mesi. - Sono stanca Sammy, stanca di tutti questi sussurri, dei bisbigli della gente quando non capisce che cosa c'è nella mia testa, cosa vedo io costantemente. Nessuno mi capisce, nessuno mi può capire, per quanto ci si provi, quello che vedo e sento lo vedo e lo sento soltanto io. Sono stanca di vivere nell'ombra ma sento anche che è il solo posto dove posso stare -

-Ehi piccolo bruco - Sussurrò sedendosi al mio fianco e circondando il mio collo con un braccio. Posai la testa sul suo petto stringendo la sua camicia mentre lui mi baciava la testa. - Tu vedi Katherine, la vedi. La puoi vedere ancora ridere e ballare anche senza la musica. Tu ora dirai che non è reale e sì, è vero, lei non è davvero qui e non balla sul serio in mezzo alla gente, però la vedi, la puoi vedere. Lo capisci che questo è un dono? Vedilo come una cosa speciale, come un superpotere che nessuno ha a parte te. Non posso dirti di non ascoltare le voci e di ignorare la nube tossica che vedi costantemente, ma posso dirti di apprezzare forse l'unico lato positivo di questa follia: tu vedi Katherine. Non sei pazza, non sei la tua malattia, sei speciale e diversa da tutti noi e questo ci rende ancora più facile amarti. - Disse accarezzandomi. Credevo di sentire il suo sorriso immerso fra i miei capelli, e la sua stretta sicura che mi infondeva pace, tranquillità, tanto che mi fece sorridere leggermente. - Victoria ogni parte di me ti ama, lo capisci? Tu sei la mia anima gemella e non lo dico solo perché sei mia sorella, perché lo sei sempre stata. Ancora prima di sapere che siamo gemelli, io ti avevo scelta e tu avevi scelto me. - Alzai la testa e lo guardai negli occhi, quegli occhi verdi che erano stati la mia casa fin dal primo minuto insieme a lui. Non erano mai servite parole fra di noi, perché lui mi comprendeva come nessuno era capace di fare, nessuno al mondo. - Sei mia sorella fin dal giorno in cui ci siamo incontrati, fin da quando hai lasciato che ti facessi mangiare quella pastasciutta alla mensa della scuola, fin da quando hai scoperto che avevo letto il tuo diario e invece che arrabbiarti e odiarmi tu mi hai abbracciato. Fin da quando ho visto sollievo nel tuo sguardo perché io sapevo e tu non avevi più bisogno di nascondere nulla con me. Siamo fratello e sorella fin da quando ci siamo ubriacati insieme la prima volta e mio padre è venuto a prenderci a calci assistendoci tutta la notte, fin da quando mi hai portato sul tetto di casa tua dicendomi che ti nascondevi lì sopra e contavi le stelle immaginando di disegnare nel cielo, fin da quando mi hai chiesto di raccontarti delle storie per addormentarti. Fin da quando abbiamo fumato insieme il primo spinello e ci siamo rotolati nel letto ballando sul materasso immersi fra le piume dei cuscini rotti. Anche quando ci hanno chiesto se stavamo insieme e ci siamo guardati negli occhi scoppiando a ridere come dei pazzi. Ti ho scelta come mia compagna di vita quando avevamo tredici anni, ti ho scelta a quattordici e anche a quindici, ti ho scelta ogni giorno di ogni anno della nostra vita insieme e lo farò per sempre. Non mi serviva un legame di sangue per considerarti mia sorella, è soltanto una cosa in più. Perché io e te siamo fratelli da tutta la vita. E sei tu, sei sempre stata tu la mia unica e sola anima gemella e niente al mondo ci può separare, nemmeno quello che tu consideri un problema e un peso, perché per me non lo è. Non è un difetto, non sei rotta, non hai bisogno di qualcuno che raccolga i pezzi del tuo cuore perché lo fai già da sola. Non sei un peso, sei la mia esatta metà. Sei speciale nana e ti giuro su Dio che anche le cose più banali di te che tu odi, io le amo, perché mi salvi la vita ogni giorno e sei mia sorella, il regalo più bello che potessero farmi. -

Mi era mancato da morire posare la testa sul suo petto e lasciarmi cullare dalla sua voce e dal battito del suo cuore. Aveva ragione: lui era la mia anima gemella e lo amavo incondizionatamente da tutta la vita. Avrei potuto vivere per sempre soltanto guardandolo negli occhi, ma non volevo vivere in eterno senza avere lui nella mia vita. Tutto ciò di cui avevo bisogno era averlo con me. - Per sempre, io e te. - Risposi lasciandomi abbracciare e sorridendo strusciando la testa nell' incavo del suo collo. - Ti amo da morire Sammy, sei la ragione per cui vado avanti -

-Tu sei la mia - Disse soltanto.

Non aggiunse altro, non ce ne fu bisogno. Rimanemmo seduti a terra per un tempo che non sapevo definire, appoggiati a quell'albero in silenzio per un bel po'. Poi accese uno spinello e me lo offrì, come se mi stesse regalando la possibilità di tornare a due anni prima, quando esistevamo soltanto io e lui. Feci un tiro, presi il suo viso tra le mani e sorrisi, Sam sorrise e io mi avvicinai a lui, espirando il fumo sul suo viso e ammirando la bellezza dei suoi occhi verdi illuminati dai raggi solari. Gli sprazzi gialli si rincorrevano fra le sue iridi che ricordavano la speranza: nei suoi occhi trovavo sempre tutto ciò che mi mancava.

Gli saltai fra le braccia, facendolo ridere, e ci rotolammo nell'erba ascoltando il fruscio delle foglie mosse dal vento della primavera. Mentre mi faceva il solletico e mi faceva ridere pensai che forse era arrivata anche per me la primavera e che l'inverno era finito una volta per tutte, che potevo rilassarmi e respirare a pieni polmoni iniziando a vivere anche se c'era un'ombra al mio fianco che mi avrebbe tenuta per mano fino alla fine dei miei giorni, anche se l'inverno sarebbe sempre tornato a bussare alla mia porta, sapevo che così come iniziava finiva anche e tornava la primavera, tornavano a sbocciare i fiori, la neve si scioglieva e il dolore scompariva. Anche dal marcio del mondo crescevano i fiori e dopo la tempesta sorgeva sempre il sole.
Non avrebbe piovuto per sempre e adesso lo sapevo.

*

Mentre guardavo i miei amici, li osservavo attentamente e riflettevo su ciò che ognuno di aveva passato, mi resi conto che non tutti i dolori sono uguali. Ci sono dolori più pesanti di altri, ci sono dolori che lasciano cicatrici che pulsano per sempre come se la ferita fosse ancora fresca, e ci sono quelli che riesci a lasciare andare, quelli a cui pensi dopo aver voltato pagina e sorridi. A volte, qualcosa di grande ti attraversa e poi se ne va, e a volte ti resta alcune cose ti restano addosso e le porti con te per tutta la vita. A volte ci provi a tirarli via, ci provi a liberarti da quel dolore e a liberare le persone che ami, ma ti rendi conto che per quanto i tentativi siano infiniti, non puoi farci nulla. Devi solo pensare che arriverà il giorno in cui smetterà di fare così male e sarai libero. A volte quando pensi che il ciclone sia passato capisci che ti trovavi proprio nel suo occhio e quando ti guardi indietro e lo vedi andare via, ti rendi conto di averlo superato, capisci di avercela fatta. Quando succede, quando guardi il tuo ciclone da lontano dopo esserne uscito provi quella sensazione, quella libertà e quel sollievo, perché pensavi di non potercela fare, pensavi che saresti rimasta bloccato lì dentro per sempre, però ne sei uscito e sei fiero di te. Sono quei pochi istanti che ti fanno vibrare il cuore, perché sei consapevole che la gioia non durerà per sempre e che la vita è piena di ostacoli, ma sai che hai avuto abbastanza forza per superare quello che in quel momento ti ha distrutto e ridotto in pezzi, quindi hai la speranza che potrai superare anche ciò che arriverà dopo.

Guardavo Carter sorridere e alzare calici in continuazione: per se stesso, per la sua ragazza, per i suoi amici, per Katherine, e pensavo che sua sorella dovesse mancargli più di qualsiasi altra cosa, e mi chiedevo come potesse riuscire a sorridere in quel modo. Se io perdessi Sam morirei con lui, non vorrei vivere in un mondo in cui non potrei più vederlo sorridere. La mia vita era lui, tutto ciò che avevo era lui, nulla aveva senso senza lui al mio fianco. Carter era forte, molto forte, ed ero fiera di lui per non essersi lasciato andare, lo ammiravo per questo.

Vanessa era stata genitore di se stessa, per tutta la vita. Ben e Carter mi avevano detto più volte di quanto i suoi genitori fossero assenti e non si interessassero minimamente a lei, di quante cose aveva fatto per attirare la loro attenzione. Carter mi aveva anche raccontato che era successo, quando andavano ancora al liceo, che lei si fosse ubriacata e fosse stata ricoverata in ospedale, ma che i suoi genitori non si fossero presentati. Era stata la sua governante a firmare le carte della sua dimissione, delegata dai genitori, perché loro erano in viaggio e non potevano tornare. Vanessa e io non avevamo stretto amicizia fin da subito, c'era voluto un po' di tempo, ma averla nella mia vita in quel momento, ascoltarla ridere e vedere quanto coraggio si nascondesse dietro quella maschera da dura mi portava ad ammirarla. Era cresciuta da sola, senza l'aiuto di nessuno, non aveva fratelli o sorelle e speravo che vedesse in me la sorella che non aveva mai avuto, perché sarei sempre rimasta al suo fianco. Anche in quel giorno così importante, non si erano fatti vedere. Era per lavoro, avevano detto.

Richie era cambiato moltissimo, il nostro rapporto non aveva fatto altro che migliorare e potevo dire di avere due fratelli, ormai. Era bello poter parlare con lui senza pensare che qualsiasi cosa dicessi potesse irritarlo o senza credere che mi odiasse, era bello averlo accanto come un fratello. Aveva scelto di starmi accanto e aveva imparato ad apprezzare i miei amici e Ben, era un bel passo avanti averlo fra di noi in quel momento. - Siete degli imbecilli - Asserì osservandoci, facendomi ridere e appoggiare la testa alla sua spalla. - Però si sta bene qui - Disse guardandomi di sottecchi e sorridendomi posando la bottiglia di birra sulle sue labbra.

-Sì - Esclamò Gabriel. - Si sta bene guardandovi vivere - Gabriel era contorto, ma lo stimavo molto, era un eroe e non sapeva nemmeno di esserlo. Salvava vite ogni giorno, senza chiedere nulla in cambio. Come ogni eroe a volte falliva, ma nonostante ciò andava avanti a testa alta, dimostrando quanta forza aveva.

Sam e Ben erano le mie colonne portanti, una forza della natura, la ragione per cui sorridevo, ridevo e per cui batteva il mio cuore. Amore incondizionato da sempre e per sempre, gli amori della mia vita, quelli grazie ai quali vivevo mille vite in una sola, infinitamente grata di averli con me.

Arthur, che mi somigliava più di quanto si potesse immaginare. Noi eravamo diversi dalle altre persone, avevamo qualcosa che nessuno aveva. Un giorno avrei voluto essere come lui: fiera di ciò che ero, camminando a testa alta, senza sentirmi un mostro.

E Ryan, che aveva rischiato la sua vita per salvare le nostre. Ryan che aveva perso tutto, che aveva sempre e solo voluto proteggerci, era una delle persone che aveva perso di più, fra tutti noi.

Salii in piedi sul tavolo del parco, alzando il calice che mi aveva appena versato Sam al cielo e guardando i miei amici dall'alto. La musica ci faceva da sottofondo in quel momento in cui ci sentivamo liberi e privi di preoccupazione, soprattutto dopo che Gabriel ci aveva comunicato di essere riuscito ad arrestare tutti i complici di Vincent. Ci aveva raggiunto e gli avevamo chiesto di brindare insieme a noi, perché era ciò che andava fatto dopo quanto accaduto. Ce lo meritavamo, dopo tutto. - Brindo a noi - Esclamai sorridendo commossa. - A noi che siamo vivi e che ne abbiamo passate tante, anche troppe, ma siamo ancora vivi. -

Vanessa salì sul tavolo accanto a me, appoggiandosi alla mia spalla e sorridendo alzando anche il suo bicchiere. - A noi, perché ce l'abbiamo fatta, abbiamo vinto -

Ben prese la mia mano e mi accucciai a lasciargli un bacio sulle labbra, posando la fronte sulla sua. - A noi che rischiamo tutto per amore -

Carter gli diede una spallata, ma posò i suoi occhi su Vanessa, che lo osservava dall'alto e gli mandava baci volanti. - A noi e soprattutto a voi, che siete arrivati quando più ne avevo bisogno -

Sam sospirò e annuì con le lacrime agli occhi, bevendo il suo shot e portandolo solo dopo al cielo. - A noi che siamo come fratelli, una famiglia -

-A voi - Affermò Arthur. - Perché siete degli eroi e meritate un po' di felicità. -

Tutti gli occhi erano posati su di lui, sorridevamo tutti, dopo ciò che aveva detto. Posai una mano sul mio cuore, mentre una timida lacrima solcava la mia guancia, e lo osservai come se fosse un piccolo raggio di sole, anche se in effetti lo era davvero

-Credo che le persone vogliano avere degli eroi - Gabriel intervenne, nel silenzio, con le mani nelle tasche dei jeans ci guardava dritto negli occhi. I suoi occhi verdi avevano delle sfumature molto simili a quelle di Sam, eppure erano così diversi. Lui non parlava molto, la maggior parte delle volte non parlava affatto, e pensai che per il tipo di persona che si era sempre dimostrato di essere contavano molto più i fatti, delle parole. - E credo che si sentano meglio a pensare che in mezzo a tutto quell'orrore c'è qualcuno di speciale, qualcuno con dei super poteri. Voi però non ne avete, ma avete vinto lo stesso. Ecco cosa è un eroe. Io non lo sono, sono soltanto una persona che ha lottato al vostro fianco e lo ha fatto con piacere. Vi ho visti cadere, uno dopo l'altro come un effetto domino, e ora vi posso vedere mentre cercate di rialzarmi. Arthur ha ragione: siete degli eroi, dei fottuti eroi. Se c'è una cosa che ho imparato facendo il mio lavoro è che essere un eroe ha il suo prezzo da pagare voi, il vostro, lo avete pagato a sufficienza e con tanto di interessi. Godetevi quello che avete adesso: fate un viaggio, amatevi, ridete a più non posso, urlate, correte sulla spiaggia al chiaro di luna e buttatevi in mare come se quella fosse la vostra ultima notte al mondo. Un battito di ciglia può cambiare tutto quanto, può farvi perdere ogni cosa, quindi vivete come se il domani non esistesse, come se ogni giorno fosse il più bello della vostra vita. Vivete la vita come merita di essere vissuta, la vita che volete ricordare. Questi sono i vostri giorni, fate in modo che siano i più belli. -

-A voi e a Katherine - Ryan era ancora in contatto con noi dal cellulare perché con la convalescenza non poteva essere lì, nel parco, a festeggiare. - Dedicatele il vostro viaggio, raccontatele tutto, le farebbe piacere -

-A Katherine - Fu l'esplosione di un coro che sembrava tutt'altro che angelico.

Eravamo un mix di urla, sorrisi, pianti, balli al chiaro di luna sul tavolo di un banale parco a festeggiare soltanto fra di noi la vita che avremmo dovuto vivere e avevamo deciso di vivere da quella notte in poi. Ci saremmo lasciati tutto alle spalle, avremmo ricordato sorridendo, ci saremmo goduti l'estate che ci attendeva e avremmo ricordato. Ci saremmo raccontati storie, ci saremmo scambiati baci sotto la pioggia a un concerto. Saremmo rimasti svegli per infinite notti a vivere infinite vite, tutte quelle che fino a quel momento non avremmo potuto vivere.

-Vi devo parlare - Fu Sam a interromperci. Era fermo e immobile con un bicchiere in mano, gli occhi lucidi. Scrutava tutti noi in silenzio, ma si soffermò su di me, facendomi saltare giù dal tavolo con il cuore che batteva oltre il limite umano concepito, per la paura, il terrore, il dolore che ancora viveva nel suo sguardo. - Facciamo questo viaggio, per noi tanto quanto per lei. Però - Si soffermò qualche istante facendo un passo indietro e bevendo quel poco che restava del whiskey nel suo bicchiere. - Io non tornerò indietro con voi. -

Spalancai gli occhi e trattenni il respiro, guardandolo come se mi avesse appena pugnalato al cuore. Non mi servì chiedergli spiegazioni, chiedergli il motivo, lo avevo già capito. - D'accordo. - Sussurrai con voce tremante. Le voci nella mia testa urlavano, mi dicevano che gli avevo rovinato la vita, che lo avevo distrutto e che se ne andava per colpa mia. Il cuore mi pregava di chiedergli di restare, ma non potevo obbligarlo a fare qualcosa che lo avrebbe soltanto fatto soffrire. Non ero un'egoista, non lo volevo essere e sapevo che, anche se non sarebbe tornato con noi per chissà quanto tempo, lui non mi stava lasciando, voleva soltanto trovare la sua libertà. - Se è questo quello di cui hai bisogno, allora va bene. - Gli dissi sorridendo amaramente.

-Io non ce la faccio, non così - Bisbigliò tra le lacrime. - Ci ho provato, ma non posso. Lei mi manca da morire, giorno e notte. Ho passato giorni interi sulla sua tomba, a chiedermi perché, a ripeterle che l'amavo che mi dispiaceva perché ci sarei dovuto essere io al suo posto. E adesso, dopo oggi, dopo che sembra che gli stiamo dicendo addio quando lei non se n'è mai andata veramente, sono sempre più convinto di non farcela. Ho bisogno di stare da solo per un po' di tempo, tornerò da te, perché da te tornerò sempre. Ma così non ce la faccio, non posso. Ci ho provato, ma non posso -

-Va tutto bene Sam - Fu Ben a parlare. Gli posò una mano sulla spalla e lo abbracciò in silenzio, davanti a tutti noi. - Va bene così, fai quello che senti più giusto per te stesso. Noi ti appoggiamo - Disse strusciando una mano sulla sua schiena.

-Ovunque tu andrai, io sarò con te - Presi la sua mano e la strinsi forte, arruffandogli i capelli e sorridendo fra le lacrime. - Tu sei più importante di qualsiasi altra cosa, facciamo questo viaggio e qualsiasi scelta farai, io ti appoggerò. Qualsiasi cosa accadrà, noi la supereremo insieme. Siamo una squadra, ricordi? -

Sam annuì e Carter gli saltò a spalle, mentre Gabriel aprì un'altra bottiglia di un altro alcolico che ormai bevevo per inerzia, senza nemmeno più chiedermi quale fosse. Vanessa si avvicinò a lui e gli tempestò le guance di baci, Arthur gli disse che lui appoggiava la sua scelta e insieme, con Ryan che canticchiava e Ben che fingeva di suonare il piano al tavolo.

Passammo il resto della notte così, tra le risate che nascondevano dell'amarezza perché sapevamo che nessuno di noi stava realmente bene, ma ci stavamo provando i ogni modo a vivere quel dolore che nascondevamo nel cuore per poi poterci abbandonare alla vita, quella vera.

Immersa fra le risate, gli abbracci, quei balli al chiaro di lui e i brindisi alla nostra migliore amica che potevo vedere che ci osservava appoggiata al tronco di un albero, pensai di amare tutti loro incondizionatamente, infinitamente e senza nessun limite.
Avrei rischiato la vita per ognuno dei miei amici, perché era tutto ciò che avevo e che avrei sempre avuto e perché, senza di loro, non era vita.

___

i love you all
it's so hard

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