CAPITOLO TREDICI - only for the brave
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Vic: moonchild.vic
Ben: ben.oakwood
Sam: sam.stories
Buona lettura! 💘
🚨 WARNING 🚨
capitolo ricco di emozioni, prendetevi tutto il tempo.
it's only for the brave.
love you all
capitolo tredici - only for the brave
as long as i watch over you, you don't need to run.
as long as i watch over you, we don't need to say we're dead.
Victoria
Quando aprii gli occhi mi trovai circonda dal mio migliore amico e Ben che mi stringeva le mani.
Mi guardai attorno frastornata e mi tirai su a sedere sfregandomi il viso con le mani. Ero in una stanza del tribunale, accerchiata, e mi girava la testa. Mi ricordavo vagamente di aver perso i sensi e ricordavo anche di aver visto mia madre, o almeno quella che pensavo fosse mia madre, ossia la madre di Sam. Juliette Moore, la donna che dai dodici ai diciassette anni mi aveva accolta in casa sua, si era presa cura di me un sacco di volte, e mi aveva coccolato più volte durante la notte, era mia madre. Era sempre stata lei, ma non aveva mai avuto il coraggio di dirmelo. La donna che mi preparava il tè caldo anche alle tre del mattino quando mi svegliavo per gli incubi, quella che stava sveglia con me e Sam ad ascoltarci mentre non facevamo altro che raccontare stupidaggini. La donna che la prima volta che mi ero ubriacata con Sammy, aveva passato la notte a tenermi su i capelli e seduta a terra con me, mi aveva fatto stare a casa sua, e non aveva mai rivelato nulla ad Alexander e Nicole. La donna che mi chiamava per sapere come stavo se non andavo a casa loro per due giorni, quella donna, proprio lei, era mia madre. Mi aveva mentito per tutto quel tempo, aveva fatto la mamma, senza dirmi che mia mamma lo era veramente. Mi domandavo come avesse potuto farmi una cosa del genere, come avesse potuto presentarsi in tribunale per aiutarci dopo che ci aveva abbandonati senza nemmeno darci una spiegazione. Mi chiedevo come avesse potuto assistere ad una scena del genere senza fare nulla, senza intervenire, senza fare qualcosa per impedire che accadesse. Mi ero sentita così frastornata guardandola negli occhi, avevo visto gli anni passati con lei e Sammy passarmi nella mente, e avevo visto capito: il comprendere che si trattava di mia madre, dopo tutto quello che stava succedendo in quegli ultimi minuti, era stata la goccia che aveva fatto traboccare il vaso.
Soltanto dopo mi resi conto di Ben accucciato ai miei piedi che mi fissava in ansia e teneva una mano posata sul mio viso, accarezzandomi lievemente e facendomi sentire tantissimo amata con quel piccolo e semplice gesto che per gli altri poteva non significare nulla, ma a me faceva venire da piangere per quanto avessi desiderato averlo di nuovo davanti agli occhi, per quanto mi fosse mancato e mi fossero mancate le sue carezze. Il modo in cui mi stava guardando, il modo in cui mi accarezzava e il suo respiro affannato, ansioso e preoccupato. D'istinto lo abbracciai, e rimasi a stringerlo fra le braccia tutto il tempo che mi era necessario per realizzare che fosse lì e che mi stesse abbracciando. Avrei voluto piangere nuovamente, ma in quel momento proprio non ci riuscivo proprio, era come se gli occhi di mia madre mi avessero prosciugata in quel millesimo di secondo che avevano incontrato i miei. Fu per quello che mi accoccolai a Ben, che lasciai che mi baciasse la testa e che le sue braccia mi cullassero in quella dolce tortura da cui, in pochissimo, mi sarei dovuta certamente separare. Sciolsi l'abbraccio e posai la fronte sulla sua, chiudendo gli occhi e sorridendo quando posò le labbra sul mio naso delicatamente, e poi sfiorò il mio con il suo. Mi sentivo un gatto che faceva le fusa in quei momenti, perché avrei voluto restare così per sempre, soltanto io e lui.
Quando sciolsi il contatto e rimasi solo a stringere la sua mano, mi voltai verso Sam, che mi stava fissando quasi come se fossi una bambola. Gli sorrisi e gli arruffai i capelli: un po' mi faceva ridere la sua espressione scioccata, i suoi occhi verdi che fissavano i miei, la testa piegata di lato e lo sguardo sconvolto, confuso, preoccupato. - Sammy - Sussurrai accarezzando il suo viso.
Vidi le sue iridi tremare, brillare di speranza, e poi di tristezza. Quando sentì il suo nome, osservai una lacrima scendere lentamente lungo il suo viso, e subito dopo mi strattonò fra le sue braccia, coccolandomi e stringendomi così forte che mi sentii togliere il respiro. Lo sentii tirare su con il naso, e strinsi le braccia attorno al suo torace, un pochino più forte, per fargli capire che io ero lì, con lui, fra le sue braccia, come sempre, dove sempre ero stata. - Sono qui Sammy, sono qui -
- Sei la mia luce - Disse rompendo il silenzio. - Com'è bello sentire di nuovo la tua voce nana - Continuò baciandomi la testa continuamente.
Ben aveva le mani posate sulle mie cosce e mi osservava con la testa piegata di lato, incredulo anche lui, come se non stesse più respirando. Lo guardai negli occhi e presi la sua mano, giocando le sue dita e sorridendo di più quando mi baciò le nocche. - Ciao amore mio - Gli dissi accarezzandolo.
- Ti ammazzerei - Sbottò lui. - Cazzo se ti ammazzerei. - Scosse il capo e si passò le mani fra i capelli. - Di baci però. - Esclamò poi avvicinandosi e prendendomi il viso fra le mani stampandomi un bacio con forza, direttamente proporzionale alla forza dell'amore che ci univa.
Sorrisi ancora di più, se possibile, e lascia vagare lo sguardo da lui a Sam, poi di nuovo a lui e poi ancora a Sam. Strinsi le loro mani e mi morsi il labbro, osservando quanto combaciassero alla perfezione fra di loro, quanto mi sentissi completa con loro accanto, era una sensazione così bella, che non pensavo di poterla provare ancora, ero incredula anche io. - Siete gli uomini della mia vita, vi amo tantissimo - Lasciai andare le loro mani e circondai il collo di entrambi con le braccia, abbracciandoli fortissimo, giusto per accertarmi che i pezzi del mio cuore fossero tutti al loro posto.
Restammo così per infiniti istanti, momenti che mai avrei voluto scordare perché fra le loro braccia mi dava troppa, davvero troppa pace e sicurezza. Mi ricordai del giorno in cui Christian mi aveva aiutata a scappare, di quando Sam mi aveva ritrovata e poi era arrivato Ben. Ricordavo quell'abbraccio spacca cuore, quell'abbraccio che mi aveva fatto versare infinite lacrime, quello che aveva tentato di rimettere insieme tutti quei pezzi di me stessa che avevo perso in quel buco infernale, nel quale mi sembrava di essere torturata dagli scagnozzi di Lucifero. Mi sentivo come se stessero uccidendo i miei demoni, come se fossero gli angeli pronti a scappare dal paradiso pur di salvarmi, nonostante pensassi di non meritare tutto quell'amore, tutto quello splendore, tutta la luce che erano e che mi donavano. Li amavo davvero con tutta me stessa, con ogni cellula del mio corpo, pensai che potesse essere altrimenti.
Fu per quello che quando sciolsi il contatto mi sentii vuota, completamente svuotata di tutto, come se quei due mesi senza parlare mi avessero prosciugata ed in quel momento non sapevo nemmeno da che parte iniziare, non sapevo cosa dire, cosa fare, e mi ritrovavo nel mezzo di una crisi isterica. Baciai la testa di mio fratello e arricciai il naso stringendo la mano di Ben, poi attesi che Sam si riprendesse e mi guardasse, per potergli parlare. - Sammy posso chiederti, per favore, di lasciarmi da sola con Ben un secondo? - Gli chiesi quasi intimidita. Avevo scelto di dare la precedenza a lui perché non sapevo quanto tempo avremmo avuto a disposizione per poter parlare, per poter stare insieme, prima che me lo portassero via di nuovo e avevo troppo bisogno di parlargli e dirgli come mi sentivo, cosa avevo provato e quanto lo amassi.
Sam annuì e si avvicinò a darmi un bacio sulla fronte, poi mi sorrise e mi strinse la mano baciandomi anche la guancia. - Tieni qualche parola anche per me, mi sei mancata -
Gli sorrisi e lasciai andare un sospiro osservandolo uscire dalla stanza. Quando mi voltai verso Ben, lui mi stava fissando quasi come se fossi non reale. Nei momenti in cui mi guardava in quel modo io mi sentivo la ragazza più bella del mondo, era assurdo, non avevo mai avuto autostima e nessuno mi aveva mai insegnato ad amarmi, però quel suo sguardo, quel suo modo di osservarmi come se fossi l'unica cosa importante dell'intero universo, mi faceva sentire viva, amata e bellissima. Non era cambiato assolutamente nulla dal nostro primo incontro, la sua espressione del viso era sempre la stessa quando i nostri occhi s'incontravano e mi rallegrava, perché pensavo che un giorno si sarebbe stufato di me, ma se mi guardava ancora nello stesso modo, significava che mi amava sempre e comunque, o forse un po' di più, come nel mio caso. - Ti amo un po' di più di quanto ti amavo ieri, ma meno di quanto ti amerò domani. - Fu la prima cosa che mi passò per la testa da dirgli mentre lo guardavo negli occhi.
Era ancora inginocchiato a terra, ed io ancora seduta sulla sedia. Era tutto un guardarci dal basso all'alto e dall'alto al basso, senza muoverci di un solo millimetro, quasi come se temessimo entrambi che se solo uno dei due si fosse mosso, tutta quella magia sarebbe svanita, nonostante lo ritenessi impossibile. Nemmeno quando non glielo potevo dire la magia era svanita, nemmeno quando lui non mi poteva sentire, e sapere che quella era la prima volta in cui ci parlavo veramente dopo la sparatoria, un po' mi spezzava il cuore. Ben strisciò sul pavimento e si alzò leggermente posando la fronte sulla mia e chiudendo gli occhi. Con le mani mi accarezzava le cosce e dopo aver stretto la mia vita mi attirò più vicina, fino a impormi un bacio che aveva il sapore di disperazione, mescolato ad amore, follia, brivido e libertà. Intrecciai le dita fra i suoi capelli inspirando di scatto e trattenendo completamente il respiro per godermi quel meraviglioso bacio che urlava un ti amo ad ogni battito cardiaco del mio cuore, sempre veloce come il primo giorno, sempre più suo. - Ogni secondo della mia vita - Sussurrò allontanandosi quel tanto che bastava per riuscire a parlare, nonostante lo facesse sfiorandomi le labbra lo stesso. Era come se non potesse proprio allontanarsi, come se ci fosse qualcosa di estremamente forte che lo legasse a me e lo attirasse vicino, sempre più vicino. - Ti amo più del precedente. - Bisbigliò mordendomi il labbro. - Ogni mia cellula ti ama e ogni mia cellula ha sofferto la mancanza della tua voce. -
Non feci una tempo a rispondere perché tornò baciarmi, con più forza di prima, e ogni secondo che trascorreva a baciarmi mi sembrava realmente di poter sentire l'amore crescere, crescere e ancora crescere. - Amore mio - Dissi con voce tremante e allontanandolo disperatamente. - Non abbiamo tempo, non c'è tempo, ascoltami -
- No ti prego - Esclamò prendendomi il viso fra le mani. - È proprio perché non abbiamo tempo che voglio sentirmi dire che mi ami per tutti i minuti che ci restano. - Tremava la voce anche a lui, tantissimo, era disperato, completamente disperato. - Per favore -
Strusciai le mani sul suo petto e piegai la testa di lato, lasciando una lacrima scendesse solitaria lungo la mia guancia. Mi sentivo di ghiaccio, per tutto quello che stava succedendo, ma mi scioglievo d'amore per lui in egual modo, da morire. Morivo d'amore ogni istante, per lui. - Ben, per favore - Lo spinsi leggermente e sospirai, perché faceva male anche a me sapere che ci saremmo separati, ma dovevo assolutamente dirgli il motivo per il quale non ero andato a trovarlo in quei giorni e poi dovevo correre da Leonard, o forse non c'era bisogno perché ci stava già parlando Sam. - Ascoltami, ci sono tante, tantissime cose che ti vorrei dire in questo momento. Vorrei dirti che mi dispiace per ciò che mio padre ti ha fatto, e che ci sarei dovuta essere io al tuo posto, che avrei dovuto rischiare io la mia vita per proteggere la tua e non viceversa. Mi dispiace averti fatto soffrire in questi mesi, non essere riuscita a dirti tutto ciò che pensavo, ma spero che i miei piccoli gesti e le mie strette di mano abbiano fatto il loro lavoro in egual modo. Voglio dirti che quando sei stato in coma, io sono sempre stata lì, accanto a te, sempre. Non ho mai lasciato la tua mano, ero sempre lì a guardarti e pregare che ti svegliassi, a baciarti anche se tu non potevi ricambiare il mio bacio. - A quei ricordi le lacrime presero a cadere il doppio, più veloci e un po' più dolore ed intense ad ogni parola. - Io ti accarezzavo i capelli, il viso, ti stringevo le mani e mi accoccolavo al tuo petto per provare ad addormentarmi, e io spero che tutti quei piccoli gesti siano serviti a far sì che ti svegliassi, spero che tu mi abbia sentita, che tu abbia sentito il mio amore. - Ormai singhiozzavo e lui piangeva insieme a me, annuendo e asciugandomi le lacrime. - Ogni cosa che ho fatto, fin dall'inizio e in ogni momento, l'ho fatta solo per proteggere te e Sam, ma a quanto pare non è servita perché sono riuscita a fare male a entrambi lo stesso. Tu soffrivi perché io non parlavo, Sam perché non ha voluto lasciarsi andare per me, solo ed esclusivamente per me, e mi fa disperare il fatto che io sia stata così inutile, per tutto questo tempo. Tu sei qui, per colpa mia, Sam sta soffrendo da morire, per colpa mia... Mi sento in colpa da morire, mi sono sentita e mi sento tutt'ora tanto inutile... - Tra un singhiozzo e l'altro guardavo il soffitto con disperazione e sentendomi completamente inutile, però non avevo tempo, in quel momento, per piangere, lui doveva sapere.
- Shh, lo so. Io so tutto, so già tutto, non avevo bisogno di sentirtelo dire. - Mi disse scuotendo il capo e accarezzandomi il viso. - In questi giorni mi sembra di stare perdendo me stesso più che in qualsiasi altro momento della mia vita. - Continuò battendo le palpebre e sorridendo amaramente. - Ma tu sei qui, e sei più bella che mai, anche se hai un oceano di sofferenza negli occhi, e non ti lascerò mai. Non è colpa tua, ok? Rifarei ogni cosa, dal
giorno in cui ti ho conosciuta fino ad ora, non cancellerei niente, nemmeno quel proiettile. Tu mi hai cambiato la vita, e ti assicuro che finché staremo insieme, tu non devi preoccuparti di nulla. Credimi per favore, ti prego, ti scongiuro. Non avere paura, lo so che ne hai e anche tanta, ma ci sono io qui con te e per te. Farei qualsiasi cosa per te, non serve che te lo dimostri perché lo faccio ogni giorno e lo fai anche tu, ti chiedo solo un ultimo sforzo, amore mio. Se fosse necessario mi riprenderei quel proiettile, perché ti ho salvato la vita, così come tu hai salvato la mia il giorno in cui ci siamo incontrati. Non dire mai piu che sei inutile perché il solo fatto che sei qui, il
solo fatto che tu sia assunta tutte le colpe davanti al giudice, alla giuria e a tutto il
tribunale, è qualcosa che va oltre i limiti dell'assurdo. - Mi disse sorridendo e spingendomi a guardarlo negli occhi mentre io non facevo altro che piangere. - Sei una pazza, ma siamo pazzi in due, e va benissimo così. Per sempre, te lo giuro, non sto scherzando. Io e te, per sempre, voglio solo questo nella vita. -
Cosa potevo dirgli dopo le sue parole? Potevo solo continuare a piangere, piangere e ancora piangere. Era così prezioso, così speciale, mi faceva bene al cuore averlo tutto per me. Avrei voluto proteggerlo dal mondo, tenerlo sotto una campana di vetro per evitare che chiunque lo toccasse o anche solo che si avvicinasse, e lui avrebbe voluto fare la stessa cosa per me. - Mi dispiace così tanto, non so più come chiederti perdono. Mi fa sentire così distrutta tutto ciò che è successo. Non ho più parlato per mesi e credimi adesso, mentre ti guardo, mi sento che mi sta crollando addosso tutto quel peso insieme. È come se il non parlare mi avesse protetto dalla pazzia, e ti giuro che se smetto di guardarti negli occhi, vedo tutte quelle voci nella mia testa, tutti i miei demoni, materializzarsi dietro di te, e farmi impazzire. Forse il non parlare era il modo per sfuggire o tenere tutto questo lontano, ma sappi che qualunque cosa accada, comunque vada a finire, ti amo adesso e ti amerò per tutta la mia vita. Ricordatelo sempre, ti prego: più di ieri, ma meno di domani. - Esclamai senza smettere di guardarlo. L'unica pace che avevo, era il nero dei suoi occhi, quello era il buio come amavo e non mi faceva paura, ma mi faceva sentire a casa.
- E allora non smettere di guardarmi - Bisbigliò lui. - Tu guarda me, guarda i miei occhi, e ti giuro che sarai al sicuro per sempre. Ma tu non smettere mai di guardarmi come stai facendo adesso, non farlo mai, ti scongiuro. - Mi stava pregando con ogni cellula del sui corpo, e non avrei nemmeno dovuto riflettere sulla risposta da dargli perché se c'era una cosa che avrei fatto per tutta la vita, quella era guardarlo. Era bellissimo, era tutto ciò che di bello esisteva al mondo, mi si illuminavano gli occhi solo sentendo il suo nome, perché avrei dovuto smettere di guardarlo?
Lo baciai con forza, circondando il suo collo con le braccia, e lo attirai vicino vicino, anche per non farmi sentire mentre gli rivelavo tutto ciò a cui avevo pensato in quei giorni in cui non ero stata da lui. Avevo provato a rendermi utile, in qualche modo. Quando mi abbracciò, infilai la testa nell'incavo del suo collo e la strusciai fino ad avere le labbra vicino al suo orecchio, per far sì che se qualcuno stesse ascoltando, ciò che stavo per dirgli non lo avrebbe sentito. - Ascoltami bene: non rispondere, non a voce alta. In questi giorni non sono venuta da te perché ho cercato di capire da fuori, chi fosse la persona che ci stava fregando. E forse, ma dico forse, ci sono riuscita. Ci ero molto vicina, ma soltanto mentre parlavi ho capito e ho realizzato. - Gli spiegai. - Sam mi ha raccontato di quando siete andati alla centrale, di quando il detective John ti ha chiesto della pistola e te l'ha fatta vedere. Io non sapevo niente di tutto ciò, e avresti dovuto dirlo a tuo padre. Tu l'hai toccata, la pistola dico? -
Sospirò rumorosamente, come se le rotelle del sul cervello stessero iniziando a girare proprio ascoltando quello che dicevo. Annuì allontanandosi quel tanto che bastava per far sì che mi osservasse. Alzai un sopracciglio e chiusi gli occhi scuotendo il capo. Lo sapevo che qualcosa non andava in lui, avevo sempre saputo che non mi sarei potuta fidare. C'era qualcosa che non mi tornava, qualcosa di strano, anche quando mi aveva interrogata dopo che mi avevano tenuta in ostaggio, era stato tutto troppo strano. E poi non aveva senso che non riuscissero a intercettare le chiamate, era palese che non fosse così, era ovvio che stesse facendo gli interessi di qualcun altro e non mi stesse aiutando, almeno a me. Non ne avevo parlato con nessuno per il semplice fatto che sembravo essere l'unica ad avere quel sospetto, ma dal modo in cui mi stava guardando Ben, solo in quel momento deducevo che non fosse così. - Grandissimo figlio di puttana - Sibilai a denti stretti. - È il detective. -
Ben barcollò qualche istante e crollò a terra seduto, fissando il vuoto confuso e con l'espressione di chi stava riflettendo su ciò che avevo appena detto. Si passò le mani sul viso e arricciò il naso quasi incredulo, quasi pensavo che non realizzasse, non ancora. - Il detective? - Domandò corrugando le sopracciglia. - Ma come diavolo... - Gesticolò un po', come se quei gesti potessero aiutarlo a pensare. Era piuttosto concentrato, era evidente, stava collegando tutti i punti come se si trattasse di un vecchio disegno per bambini. - Ma devi essere un sociopatico per fare una cosa del genere, ma che cazzo... Ma come cazzo... Sono confuso. -
- Ma non hai mai pensato che se ci sono le tue impronte sulla pistola significa che devono essere state scambiate? - Gli chiesi inginocchiandomi davanti a lui. - E non hai mai pensato che per esserci le tue impronte significa che tu una cosa l'hai toccata? - Gli dissi dopo. - Ben io non ti ho mai detto di avere una pistola per evitare questi macelli. Se tu non lo sapevi mi spieghi come diavolo è possibile che ci fossero le tue impronte sulla mia pistola? Sam mi ha detto che alla centrale il detective te l'ha fatta vedere, e che tu l'hai toccata, poi adesso me l'hai confermato anche tu. Ciò significa che sono state scambiate, per forza. Quando mio padre ti ha colpito tu la pistola non l'hai toccata, e quando ti hanno portato via quella sera, il detective John era sul posto, la prima cosa che ha fatto è stata venire da me e portarmi via la pistola. Sono state scambiate, per forza, e l'unico che poteva farlo era lui, perché lui le aveva entrambe, le ha sempre avute entrambe. Io so che tutto questo è una follia, me ne rendo conto, ma è così ne sono certa. Non capisco perché, non capisco cosa gli ho fatto e a dirla tutta non lo voglio nemmeno sapere, però... -
- Okay, ammettiamo che questa teoria sia vera, diciamo che è stato lui: come lo proviamo? Come riusciamo a far credere alla giuria che sono innocente? - Domandò tornando, finalmente, a guardarmi negli occhi.
- Non possiamo. - Risposi. - L'unica cosa che posso fare è dire le cose come stanno. Una volta che avranno accertato la mia colpevolezza ti lasceranno andare. E possiamo farlo solo se tu e Sam mi asseconderete. Inoltre adesso è tornata Juliette, cioè lei può... Insomma se non definisce il grado di parentela fra me e lei la sua testimonianza può ritenersi valida, per cui... - Dopo averla nominata, quella che distolse lo sguardo, fui io.
Ben piegò la testa di lato e sospirò profondamente, mise due dita sotto al mio mento e sollevò il mio viso fino a far sì che i nostri sguardi s'incrociassero nuovamente. - Vuoi parlarne? - Domandò indagando e osservandomi attentamente.
- No - Sbottai. - Non c'è tempo da perdere e io non voglio sprecare fiato per quella donna. - Sbuffai arricciando il naso e passandomi le mani sul viso.
- Amore mio - Disse Ben stringendo la mia mano. - Ascoltami bene, te lo dico adesso perché prima non ho potuto ma ci tengo che tu lo sappia. - Sospirò e intrecciò di più le nostre dita, facendosi più vicino e guardandomi negli occhi. Io, veramente, quando mi guardava in quel modo mi scioglievo, non ce la facevo proprio, era più forte di me e soprattutto in quel momento, mi venne da piangere. Aveva quel tenero sorriso innamorato, il
sorriso che spezzava il cuore e poi lo rimetteva a posto. Quell'espressione dolce e tenera, che cancellava ogni cosa e faceva sì che qualsiasi cosa smettesse di avere valore per me, a parte lui. Mi accarezzò il viso e mi sorrise, ancora una volta, poi scostò una ciocca di capelli dietro l'orecchio e mi baciò la testa. - Non mi sono mai espresso a riguardo perché penso che siano cose tue, e di Sam in questo caso, e non mi sono sentito in dovere di poter dire qualcosa. Tu, e anche Sam, avete tutto il diritto di essere arrabbiati, tristi, sentirvi soli e anche un po' umiliati forse. Sarò sincero amore, io non so cosa si prova, non so cosa si potrebbe provare e nemmeno lontanamente lo potrei immaginare. Io so bene chi sono i miei genitori e da quando mio padre è morto la mia famiglia l'ho scelta. Per l'età che ho un tutore legale non mi serve nemmeno più, però sto bene dai Woods, mi sento a casa, e in famiglia, quindi Leonard ed Elizabeth possono ritenersi mia madre e mio padre senza alcun tipo di problema. Elizabeth in due anni, mi ha dato molto di più di ciò che mi ha dato la mia madre biologica in diciassette anni, Vic, e non sto scherzando. Io penso che ciò che entrambi abbiate scoperto sia traumatico, un trauma davvero non indifferente, soprattutto il
modo in cui lo avete scoperto, che è orribile. Però entrambi avete l'altro, potete rialzarvi insieme e farvi forza a vicenda, perché siete l'uno la parte migliore dell'altro. Io non ti sto dicendo che ci devi parlare adesso, forse hai bisogno di prenderti del tempo, per pensare un po' a te e alle tue emozioni dopo tutto questo, o forse dovresti farlo ora semplicemente perché essendo una ferita fresca non riusciresti a tenere freno i tuoi pensieri e saresti in grado di dirle tutto, non saprei con precisione. Io so cosa stai facendo, e lasciati dire che è sbagliato, non è giusto, non va bene e non è sano. Tu adesso non hai bisogno di questo, tu hai bisogno di accettare le tue emozioni, abbracciarle e se ti fa sentire meglio anche condividerle con le persone che ami. Io lo so come stai, ti vedo, ti ho vista in questi mesi, e lo vedo che non ce la fai più ma non è rifiutando il dolore che smetterà di esistere e che smetterai di provarlo. Non rifiutare nessuna delle emozioni che senti ora: se vuoi urlare allora fallo, se la vuoi abbracciare perché ne sentì il bisogno vai da lei e fallo, se vuoi darle una sberla fallo, se vuoi piangere piangi, ma fai qualcosa, fai un cenno, un gesto, che trasmetta l'emozione che senti e che non mi faccia pensare che la stai rifiutando apposta. Io sono qui, sono qui per te e con te, lo facciamo insieme qualsiasi cosa sia, urliamo insieme e piangiamo insieme, se ti va. Ma per favore, guardami e fammi capire che cosa senti, perché io voglio vedere le tue emozioni in questi occhi e mi spaventa da morire il vuoto che sto vedendo adesso. - Concluse posando la fronte sulla mia.
Lasciai cadere una lacrima sul mio viso freddo e stanco, poi mi alzai in punta di piedi e sorrisi prendendo il suo viso fra le mani. - Guardami negli occhi - Sussurrai. - Se c'è una cosa di cui sono sicura al cento per cento è che da quando ci sei tu a riempire le mie giornate e a colorarle, i miei occhi non sono più vuoti. Non potrai mai guardarmi negli occhi e vedere il nulla, perché ci sarai sempre tu e il tuo amore che mi riempie il cuore giorno dopo giorno. - Gli dissi mentre mi stringeva. - Non dire mai più che mi vedi vuota, perché se lo dici significa che non vedi quanto ti amo, quando se potessi, in questo momento, mi taglierei anche le vene per farti tornare a casa con me e stare insieme a te giorno e notte, per tutta la vita. Io, te e nessun altro. Ti amo così tanto che non sento nessun'altra emozione che questa. Credimi. -
Lui annuì e arricciò il naso con aria seria e guardinga, come fosse quasi irritato dalle mie parole. Per un secondo temetti che si fosse arrabbiato, che non avesse capito ciò che io volevo dirgli e ciò che mi premeva di più comprendesse. Erano rare, tra di noi, le incomprensioni. - Non intendevo dire questo. - Disse alla fine sospirando. - Ti sto chiedendo per favore di non rifiutare le tue emozioni e tu mi rispondi dicendomi chiaramente che lo stai facendo. -
- Io non - Mi allontanai sospirando anche di conseguenza alle sue parole e scossi il capo frustrata. - Non intendevo dire questo, che diavolo Benjamin. - Sbottai dandogli le spalle. Feci qualche passo avanti, con l'intenzione di uscire dalla stanza e lasciarlo lì, ma poi mi voltai con le lacrime agli occhi e mi morsi il labbro posando una mano sul cuore e cercando i suoi occhi, tentando di aggrapparmi a lui per rimanere a galla in quell'immenso oceano di casini che ci circondava da mesi. - Intendevo dire che in questo momento, la cosa a cui tengo di più è farti ritornare da me. Non ho detto che me ne sto fregando del resto perché lo so anche io che devo pensare a mio fratello, lo so anche io che devo pensare al fatto che sto parlando per la prima volta dopo due mesi e soltanto grazie a te, lo so anche io che si è presentata mi madre dicendo che era presente quella notte e che non ha fatto nulla per impedire che mio padre ti sparasse. Lo so anche io che devo pensare alla mia migliore amica e ai casini in cui si è cacciata, ma posso pensare a una sola cosa per volta. Il mio cervello sta per implodere Benjamin. Ho così tante cose qui dentro che non puoi nemmeno immaginare, persino adesso mentre ti parlo vedo mio padre dietro di te che ti punta la pistola e spara, e vedo anche me stessa, inginocchiata su quel prato, con la tua testa sulle mie gambe e il tuo cazzo di cuore che smette di battere, tu che hai smesso di respirare tra le mie braccia dopo avermi detto che mi amavi. Vedo gli occhi di Sam piangere, ogni secondo nella mia testa, nonostante non lo faccia davvero. Vedo tutti voi soffrire, per colpa mia, ed era per questo che probabilmente non riuscivo ad esprimere ciò che sentivo perché qui dentro - gridai esasperata - c'è troppo casino, Ben. C'è così tanto caos che le parole non sarebbero mai, mai, mai e poi mai bastate. Ma se vuoi entrare nella mia testa fai pure, però non so se ne uscirai vivo, dato che nemmeno io so se sono viva oppure no. -
Ben fece per replicare, ma nel momento in cui aprì la bocca la porta si spalancò. Era Leonard, che guardava entrambi con aria confusa, ma fece comunque finta di niente. - Dobbiamo tornare dentro, ci ha concesso mezz'ora, non di più. - Disse rompendo il silenzio. - Ben, perché non mi hai detto che hai toccato la pistola alla centrale? - Domandò mentre ci avvicinavamo per uscire.
Ben mi strinse comunque il mignolino, nonostante avessi urlato addosso come una pazza, ed io gli andai dietro ugualmente, seguendolo in quel corridoio dove c'erano tutti i nostri amici appoggiati al muro ad aspettarci e dove c'era mia madre, con mio fratello e suo marito, a discutere animatamente.
- Scusa - Bisbigliò Ben al padre fermandosi con la mano in tasca e facendolo voltare. - Non so forse lo trovavo irrilevante perché credevo ci stesse aiutando. - Sussurrò scuotendo la testa e fissando le punte delle sue scarpe.
- Io credo che non lo abbia mai fatto - Rispose Leonard. - Credo sia lui, ne sono quasi sicuro. -
- Anche io, Sam e i ragazzi pensiamo lo stesso. - M'intromisi. - Anzi, io ne sono sicura. -
Leonard mi fissò come se avesse visto un fantasma, poi capii cosa stava realmente accadendo. Già di suo aveva sentito poco la mia voce, in più non spiccicavo parola da due mesi e sicuramente sentirmi in quel momento lo aveva un po' stupito. - Stai bene? - Mi chiese osservando preoccupato.
Feci spallucce e mi voltai verso la mia famiglia e i miei amici, dove osservai Vanessa corrermi incontro e stritolarmi come mai aveva fatto in vita. - Amore mio ti prego parlami, fammi sentire la tua voce. -
- Mi sei mancata biondina - Le sorrisi abbracciandola. - Appena finisce tutto ho bisogno di parlarti, è importante. -
Vanessa mi osservò come se avesse capito tutto senza bisogno di chiedere. Le accarezzai il viso e le sussurrai un grazie, poi fece un cenno a Carter ed in seguito tornai da Ben a salutarlo prima che tornassimo in aula e che ci separassimo nuovamente. - Ti prometto che ci vediamo a casa, qualunque cosa accada. - Lo baciai e lasciai andare la sua mano mentre entrava precedendomi e affiancato da suo padre.
Quando tornai a voltarmi osservai Alexander e Nicole fissarmi da lontano, quasi come se non volessero avvicinarsi a me, e poco dopo si avvicinò anche Richie, che sicuramente era appena arrivato e non sapeva assolutamente nulla di ciò che era successo. M'incamminai io, verso di loro, correndo incontro alla persona che era realmente mia madre e che si era comportata come tale da quando mi aveva salvato la vita. - Ciao, mamma - Dissi a Nicole abbracciandola.
- Victoria - Singhiozzò fra le mie braccia. - La mia piccola Victoria -
- La mia piccola Nicole - Ridacchiai.
All'abbraccio si unì anche Alexander, che in compenso non parlava granchè, ma io e lui, fra di noi, eravamo sempre stati dei grandi chiacchieroni. Alexander era proprio l'uomo che avrei tanto voluto fosse mio padre, come avrei voluto che Nicole fosse mia madre, ma la vita mi aveva donato due mele marce invece che qualcuno su cui fare affidamento, almeno fino ai dodici anni. Abbracciai anche Richie, grata di averlo lì nonostante tutto, anche se Benjamin non gli piaceva granché, ma per sostenermi. Mi chiese di Sam e gli feci un cenno del capo, indicandogli che stava ancora litigando con la madre. Sean stava piangendo e Sammy era fuori dalla grazia di Dio: pensai di avvicinarmi, a dire la verità, di andargli incontro e parlargli, ma sentimmo il martelletto del giudice sbattere con forza tre volte, per cui ci scambiammo un'occhiata, allungò la mano ed io andai verso di lui prendendo un profondo respiro e afferrando la sua mano soltanto una volta vicina a lui. Lo abbracciai entrando in aula stringendo il braccio al suo torace e lasciando che mi baciasse fra i capelli, che mi coccolasse e consolasse come solo lui era in grado di fare.
Fu quando mi diede una gomitata e lo osservai che mi indicò con la testa una panchina sul fondo dell'aula. Mi voltai ad osservare la persona che aveva catturato la sua attenzione e quando i miei occhi si posarono su Ryan scattai come una molla, facendomi più vicina a Sam, impaurita e indifesa.
I suoi capelli scuri e ricci sembravano un cespuglio senza senso a confronto di quelli di Ben che erano ben ordinati e sistemati. Mentre lo osservavo mi chiedevo con quale coraggio si fosse presentato lì, perché e a quale scopo. L'ultima volta che ci eravamo visti mi aveva fatto male, e se non fosse stato per Katherine chissà che cosa sarebbe successo. Io non sapevo il motivo, ma lui mi terrorizzava. Nemmeno negli occhi di mio padre avevo visto tanta cattiveria, perché era stato il suo troppo amore, quell'ossessione malata, a trasformarlo nella persona che era, ma negli occhi di Ryan non vedevo un briciolo di bontà. Ero sempre stata dell'idea che in ognuno di noi esistessero due metà, come due lupi: una metà buona e una metà cattiva, il lupo bianco e il lupo nero; così come la possiede un lato oscuro. In lui però, la parte buona non la riuscivo a vedere, non era come lo yin e lo yang in cui nel nero riuscivi a scorgere una goccia di bianco, era tutto nero, tutto assurdamente nero. E non era nemmeno il nero che amavo io, la mia casa da tutta la vita, il nero che avevo visto negli occhi di Ben. Era una di quelle sfumature particolari, diverse, che mi metteva paura, brividi, e voglia di non guardarlo negli occhi perché mi faceva sentire indifesa. Non avevo intenzione di raccontare a Ben ciò che era successo con suo fratello anche perché se lo avessi fatto sarebbe stata la volta buona che lo avrebbero arrestato veramente per omicidio, ma non perché qualcuno lo aveva incastrato.
A farmi tornare alla realtà era stato il giudice, che aveva chiamato Michael al banco dei testimoni. L'uomo si alzò in piedi e tossicchiò lievemente, poi s'incamminò verso il banco e prima di raggiungerlo si voltò a guardare Ben, gli mandò un bacio e fece il verso del ruggito unito al gesto della mano, come se fosse una tigre. Vidi Ben agitarsi davanti a me e Michael ridacchiare divertito, ci prendeva proprio gusto a prenderlo in giro.
- Figlio di... - Esclamò Benjamin alzandosi dalla sedia per andare da lui, ma Leonard lo bloccò e gli disse seccamente di stare zitto e fermo.
- Michael Brown Garcia: sono consapevole della responsabilità morale e giuridica che assumo con la mia deposizione, mi impegno a dire la verità, tutta la verità e nient'altro che la verità e a non nascondere nulla di quanto è a mia conoscenza. - Esclamò sedendosi e mettendosi il più comodo possibile, grattandosi il mento e la barba disturbato quando si rese conto che, in realtà, la sedia era scomoda.
Il suo avvocato si alzò in piedi e s'incamminò con le mani in tasca verso di lui. Quel tizio non mi piaceva: era palese che sapesse tutto, ogni cosa che aveva fatto Michael, sapeva la verità, e non la voleva dire. Mi domandai come ci potesse essere qualcuno che avesse il coraggio di difenderlo dopo tutto ciò che aveva fatto, ma in fin dei conti era il suo lavoro, sperai soltanto che non fosse dalla sua parte, ma che sostenesse noi, in realtà, nonostante dall'interrogatorio di Ben non mi aveva dato quell'impressione. - Signor Garcia - Disse. - Ci racconti un po' com'è iniziata questa storia e cosa è successo quella notte. -
- Ma che diavolo di domanda del cazzo è - Sbottai rivolgendomi a mio fratello che, dal canto suo, continuava a voltarsi a fissare Ryan come se potesse incenerirlo seduta stante. Non avevo mai visto Sam agitarsi così tanto solo per la presenza indesiderata di una persona, di solito fingeva non esistesse, ma non si innervosiva così tanto.
- È chiaramente iniziata quando io, mio fratello e il signor Illman siamo scappati di prigione. - Rispose. - Paul aveva progettato la fuga da tempo, a quanto pare voleva tornare da sua figlia al più presto possibile. A mia discolpa dico che non sapevo assolutamente per quale motivo volesse rivederla, all'inizio, e nemmeno che cosa le avesse fatto. L'ho scoperto soltanto dopo e questo mi dispiace perché probabilmente se lo avessi saputo non lo avrei aiutato. -
L'avvocato, del quale non sapevo assolutamente il nome, sospirò rumorosamente e annuì qualche istante prima di tornare a parlare. - Quindi sta dicendo che il signor Illman ha attirato la vostra attenzione e le ha chiesto aiuto ingannandovi? - Domandò battendo le palpebre.
Michael rimase qualche istante in silenzio, piegò la testa di lato e poi mi osservò intensamente e dritto negli occhi. Non aveva l'aria di sfida, aveva semplicemente l'aria di una persona che stava riflettendo. Più lo osservavo più mi sembrava strano, sembrava quasi che stesse tentando di chiedermi perdono con lo sguardo, come se si stesse scusando. Lui non era davvero cattivo, in lui la vedevo la scintilla di luce, non come Ryan. - Sì - Esclamò dopo aver preso un respiro profondo. - No - Disse poi. - In realtà non proprio. Oddio non so come spiegarmi, nel senso che io sapevo che voleva tornare da sua figlia, ma non sapevo quale fosse il suo obiettivo finale e soprattutto non sapevo che lui l'avesse Cioè che le avesse fatto del male, ecco. - Rispose alla fine.
- Come ha iniziato a collaborare con il signor Illman? - Domandò il suo avvocato.
- A dire la verità è stato tutto un caso. - Spiegò. - Lui era il mio compagno di cella. Sono arrivato molto dopo di lui, e quando sono entrato in carcere a quanto pare lui stava già progettando la fuga. Più che altro è stato un susseguirsi di minacce da parte di entrambi. Diciamo che posso sembrare uno stupido, ma in realtà non lo sono. Con tutto quello che avevo fatto, farmi passare per imbecille era difficile, per questo ho scoperto il suo progetto di fuga. Paul era pieno di tatuaggi, in carcere puoi farteli fare senza problemi, anzi praticamente quando qualcuno si annoia si fa tatuare. Sapete quelle storie che raccontano sulle gang di detenuti, oppure sui diversi simboli che contraddistinguono le azioni fatte in carcere? Sono tutte vere. - Disse sfregandosi le mani. - Dunque dicevo, Paul era pieno, pieno di tatuaggi, ovunque: braccia, addome, schiena, collo. Non aveva un solo buco. - Ci informò. - Probabilmente i ragazzi non lo hanno notato perché quando lo hanno visto faceva freddo, quindi era completamente coperto. Insomma col passare dei mesi riuscii a dare un senso a quei tatuaggi e a decodificarli, se così si può dire, scoprendo che quello era il suo piano di fuga. Paul si era fatto tatuare la mappa della prigione ed era a conoscenza di ogni ala del carcere, ogni stanza, ogni corridoio, tutto. Quando l'ho scoperto l'ho minacciato e gli ho detto che se non avesse portato fuori me e mio fratello lo avrei denunciato e gli avrei fatto saltare in aria il piano. Così è iniziata la nostra collaborazione, perché lui mi aveva detto che mi avrebbe portato fuori e non mi avrebbe ucciso a patto che una volta fuori lo avessimo aiutato. E così ho fatto. -
- Cosa è successo alla sua faccia? - Domandò all'improvviso l'avvocato.
Michael arricciò il naso e scoccò un'occhiata a Benjamin. Io sapevo che qualcosa era successo in quei giorni, me lo sentivo proprio sotto pelle mentre lo guardavo, non poteva essere tutto ok, non era veramente possibile. Ben era troppo agitato e Michael troppo calmo, per essere due persone che in quei giorni non si erano guardate in faccia. Non me la davano a bere. - Ho sbattuto contro l'anta di uno degli armadietti dove ci sono le doccie. - Disse facendo spallucce e guardando Benjamin un'altra volta.
Il mio ragazzo piegò la testa di lato e, anche se non potevo vedere l'espressione del suo viso ero certa che avesse gli occhi stretti ad una fessura e che lo stesse fissando a sua volta. Si voltò verso Leonard, il quale scosse il capo come se fosse confuso, almeno tanto quanto lo era Benjamin. Era ovvio che fosse colpa sua e che fosse stato lui, e quella carta poteva benissimo giocarsela, quindi perché era stato zitto?
- Ne è sicuro signor Garcia? - Chiese ancora. Michael annuì e, alla fine, tirò su con il naso e tornò a fissare il suo avvocato. - Mi racconti della presunta rapina della signorina Illman. -
Chiusi gli occhi di scatto e mi feci piccola piccola perché non volevo sentire la sua risposta ed il suo racconto, per cui mi strinsi a Sam e mi tappai le orecchie, lasciando che lui raccontasse ma che il suono della sua voce arrivasse ovattato alle mie orecchie. Tutto quel caos era troppo per me, tutto quel continuare a fare le stesse domande e ad ascoltare i ricordi frammentari di tutti loro mi spezzava lentamente. Io volevo dimenticare, ma la vita continuava a sbattermi in faccia il fatto che non lo potessi fare.
- Dunque mi sta dicendo che la signorina si è consegnata? - Stava dicendo l'avvocato quando mi stappai le orecchie.
- Io credo che volesse parlare con il padre, ma lui ha mandato me e Christian. Quel fatto che lei fosse andata volontariamente da lui lo colse un po' alla sprovvista, perché per tutti quei mesi lui era stato fermamente convinto che non avrebbe ceduto, per questo aveva deciso di mostrarsi soltanto alla fine, soltanto quando lo avrebbe ritenuto più opportuno lui. Ha mandato noi perché era convinto che non fosse sola, prima cosa, e in secondo luogo perché per lui era come una specie di test. Se lei lo avesse superato, probabilmente, tutto ciò che è successo dopo non sarebbe successo. Sembra una cosa stupida, oltre che malata, ma era un calcolatore impressionante, sospettava di qualsiasi suo movimento e non si fidava mai, di nessuno. Nei giorni in cui abbiamo tenuto Victoria in quello scantinato, per suoi ordini, avevamo un microfono attaccato e lui ci ascoltava quando più gli andava. - Disse alla fine sospirando.
- Qual era lo scopo del tenerla segregata? - L'avvocato continuava a camminare avanti e indietro con le mani in tasca e ascoltando attentamente come stavano facendo tutti. Stava dicendo realmente le cose come stavano, fino a quel momento era tutto vero, non aveva mentito o sorvolato.
- Non sono sicuro - Scosse il capo e arricciò il naso. - Credo che per lui fosse una specie di quarantena, Benjamin per Paul era un difetto di fabbrica di Victoria perché lei doveva amare solo lui, Benjamin non doveva esistere. Quando ha scoperto di lui ha dato di matto, ha minacciato fin subito di ucciderlo e sono anche sicuro che se le cose non fossero andate in un determinato modo probabilmente lo avrebbe fatto, ci sarebbe riuscito. Credo che lo scopo di quel volerla tenere segregata fosse più disintossicarla da Benjamin, almeno così ho sempre pensato, e far sì che alla fine cedesse e si lasciasse andare, scegliendo lui e non il suo ragazzo. Solo che poi le cose si sono complicate: Benjamin ha parlato con la polizia, lui è venuto a saperlo, e ci ha dato un ultimatum. Abbiamo portato lei da lui, in teoria avremmo dovuto uccidere Benjamin, ma Victoria è scappata aiutata da mio fratello e alla fine chi ci ha rimesso le penne è stato proprio lui. - Piegò la testa di lato e poi portò gli occhi al cielo, come se gli stesse chiedendo perdono. - Paul mi ha ordinato di uccidere mio fratello dicendo espressamente che se non lo avessi fatto avrebbe ucciso mia moglie e i miei due figli. Ho dovuto. -
- Abbiamo ascoltato il signor Woods, su quella sera, ci può dire la sua versione dei fatti? - Domandò poi l'avvocato senza preoccuparsi dei sentimenti dell'uomo che piangeva il fratello e, con molta probabilità, anche la famiglia che per colpa mia e di mio padre aveva perso.
- Io sono arrivato dopo. - Cominciò a raccontare. - Quando sono arrivato Paul stava dando di matto perché Victoria gli aveva urlato in faccia che era un pazzo malato, poi mi ha chiamato in causa. Io tenevo Benjamin e Sam e lui aveva Victoria. - Disse ciondolando un po' su stesso, sicuramente perché ricordava lo squallore di quella scena. Mi stavo per mettere a piangere, perché sapevo cosa stava per dire e sapevo che mi avrebbe fatto male. - La situazione mi è sfuggita di mano quando ho visto quello che stava facendo Paul. Mi ricordo benissimo che ho pensato che avrebbe avuto bisogno di una camicia di forza perché io a mia figlia non avrei mai potuto puntare una pistola alla testa. Gli ha infilato la pistola in bocca, l'ha sbattuta per terra e l'ha baciata, con la forza. In quel momento ho visto la mia di figlia, e per quella debolezza Benjamin è riuscito a liberarsi, ha dato un calcio a Paul e lui si è sbilanciato, cadendo. Benjamin ha spostato Victoria che stava in non dico quali condizioni e alla fine si sono sparati a vicenda, con la differenza che lui ha ucciso Paul, poi io sono scappato. - Concluse.
Mi presi la testa tra le mani e cominciai a scuoterla in preda alla reale isteria, quella pura e profonda che faceva solo venire voglia di gridare, gridare e ancora gridare.
- Non è vero! - Urlò Ben alzandosi in piedi. - Sei un bugiardo, lo sai anche tu che io non ho sparato perché non avevo una pistola, lo sai benissimo! -
- Obiezione! - Esclamò il suo avvocato.
- Accolta. - Replicò il giudice. - Signor Woods si sieda e stia zitto, il suo momento è finito. -
- Non ho altre domande, signor giudice - Disse il suo avvocato tornando a sedersi.
Michael se ne stava fermo a fissare Ben come se stesse provando a leggergli l'anima ed io avrei scommesso che se avesse potuto gli avrebbe chiesto perché si era esposto così tanto per me, anche se ero certa che infondo lo capiva benissimo. Lui aveva una figlia, una famiglia, e le aveva perse, forse era arrivato fino a quel punto per salvarle, o provare a salvare ciò che rimaneva di quello che aveva prima di entrare in carcere e prima che mio padre distruggesse la sua vita. Mi sentivo in colpa, per ciò che gli aveva fatto, se non fosse stato perché lui aveva capito che Paul voleva scappare, a quel punto non ci sarebbe nemmeno arrivato e scontata la sua pena sarebbe tornato dalla sua famiglia. Ero sicura che, prima di me e mio padre, non avesse fatto del male a nessuno, ma noi lo avevamo rovinato, era anche giusto che ce l'avesse con entrambi. Suo fratello era morto, per colpa mia, non aveva più nulla, per colpa mia. Quindi cosa gli rimaneva? Aggrapparsi a ciò che la testimonianza poteva fornirgli, nonostante fosse accusato di sufficienti reati per ottenere l'ergastolo anche se non aveva ucciso lui mio padre. Infondo, anche se mi aveva fatto del male, lo capivo.
- Avvocato Woods, è il suo turno - Esclamò il giudice.
Leonard si alzò e fissò Michael in silenzio qualche istante. Sembrava quasi che non sapesse cosa chiedergli o come se non volesse proprio parlare con lui. - Partiamo dal fatto che a prescindere da quella sera, lei finirà dietro le sbarre. Sa suofratello, l'irruzione a casa di Victoria, la pistola puntata alla testa, il fatto di avere ferito suo fratello e la minaccia. Senza contare quello che è successo prima di quella sera, quindi stare qui a interrogarla ore non ha senso. Ho soltanto punto da chiarire. Lei ha visto la pistola con cui dice che Benjamin ha sparato, addosso a lui? - Chiese osservandolo a braccia conserte. Nonostante lui e Ben non fossero davvero padre e figlio, c'erano davvero un sacco di cose che avevano in comune nei modi di fare, nei gesti, nel modo in cui osservavano le persone.
- No, non gliel'ho vista addosso - Rispose Michael. Nel momento in cui sentii la sua risposta mi voltai verso il suo avvocato, che lo fissava scuotendo la testa, come se avesse sbagliato a dire ciò che aveva detto. Michael sospirò e scoccò un'occhiata Ben, che era fermo ed immobile come una statua a guardarlo, sull'orlo di una crisi isterica, e un completo fascio di nervi: se avesse potuto lo avrebbe strangolato. Sperai non notasse Ryan, perché se lo avesse fatto sarebbe stata la fine.
- Quindi mi sta dicendo che lei ha dichiarato che il ragazzo ha sparato senza aver visto la pistola e senza aver visto da dove la tirava fuori e quando? - Domandò di nuovo tirando su con il naso.
- Io ho detto che lui è stato il primo a sparare: non so se la pistola fosse sua o meno, potrebbe essere stata anche di Victoria per quel che mi riguarda. - Replicò in seguito.
- Non ho altre domande, grazie. - Concluse.
Avevo iniziato a tremare come una foglia da qualche istante, perché era arrivata l'ora di testimoniare anche per me. Non sapevo se il processo e quel momento in sé li avrei superati prima o poi, sapevo soltanto che mi sentivo incredibilmente agitata e nervosa al solo pensiero di dover salire al banco dei testimoni. E se per caso le parole non mi fossero uscite? Se per caso avessi detto, per sbaglio, cose che sarebbero potute essere fraintese? E se mi fossi bloccata un'altra volta? Temevo che mi venisse un attacco di panico dal modo in cui stavo tremando, dal modo in cui mi sudavano le mani e sentivo l'ansia mangiarmi lo stomaco. Strinsi i pugni, chiusi gli occhi e respirai profondamente. - Uno, due e tre - contai sussurrando. - Quattro, cinque, sei e sette. - Sentii le dita di Sammy intrecciarsi alle mie e stringerle con forza. Alzai la testa e quando mi voltai verso di lui notai che mi stava osservando attentamente. Sollevò le sopracciglia e mi fece segno di respirare piano. - Otto, nove, dieci. - Contò insieme a me poi. Strinse fortissimo la mia mano e rimasi per qualche istante incastrata in quel limbo temporale in cui c'erano solo i suoi occhi e le verità nascoste dietro i nostri sguardi, le nostre sofferenze, quella notte, i brutti ricordi, il nostro legame, il mio gemello.
- Signorina Illman? - La voce del giudice mi fece tornare con i piedi per terra e quando mi chiamò mi alzai in piedi prendendo un profondo respiro. - Se la sente di testimoniare? -
Avrei voluto rispondere di no, raccontare tutto era peggio che tenerlo soltanto nella mia testa, perché avevo la sensazione che si aprisse il vaso di pandora ed io non avevo la forza per combattere contro tutto quel male, non in quel momento. Annuii ugualmente, anche se ero tutto fuorché pronta, passandomi le dita sotto gli occhi per asciugare quelle timide lacrime che solcavano il mio freddo viso. e lasciando andare la mano di Sam. Mi diressi al banco dei testimoni e sospirai quando il procuratore distrettuale mi fece posare la mano sul codice penale e mi disse di procedere al giuramento. - Victoria Hastings - Disse a gran voce. - Sono consapevole della responsabilità morale e giuridica che assumo con la mia deposizione, mi impegno a dire tutta la verità e nient'altro che la verità e a non nascondere nulla di quanto è a mia conoscenza. -
Leonard si alzò in piedi e mi guardò facendo un cenno con il capo come se stesse cercando di farmi rimanere tranquilla, anche se non stava funzionando. - Signorina Hastings, prima di cominciare vorrei soltanto dirle che la ammiro molto, per essere qui e per essere così forte. Ha tutta la mia stima e la mia comprensione per ciò che sta facendo, perciò, se avesse bisogno di qualche minuto o se non se la sentisse di rispondere alle domande, me lo dica, cercherò di agevolarla il più possibile e di non metterla a disagio. - Il fatto che mi stesse dando del lei mi faceva sentire strana e fuori posto, però le sue parole mi stavano commuovendo ugualmente. Mi asciugai le lacrime e sorrisi dolcemente, sussurrando un grazie e annuendo. - Tutto questo è solo per i coraggiosi, e lei lo è moltissimo. - Disse di nuovo.
- Obiezione! - Esclamò l'avvocato di Michael. - Tutto questo è fuori luogo, favoreggiamento del testimone. -
- Respinta - Rispose il giudice. - Sta incoraggiando la ragazza, faccia silenzio. - Il giudice si stava spazientendo, a quanto stavo notando, tanto che allentò il colletto della tunica e scosse il capo osservandomi. - Concordo con l'avvocato Woods, si prenda tutto il tempo necessario. Lei è molto coraggiosa. Quando se la sente, iniziamo pure. -
Annuii e mi voltai verso Leonard, che prese un profondo respiro e cercò il mio sguardo provando a farmi concentrare esclusivamente su ciò che mi diceva. Stavo evitando di proposito lo sguardo di Ben, perché mi sentivo troppo fragile in quel momento e temevo che guardarlo mi avrebbe fatta crollare. Desideravo soltanto che fosse lì vicino a me, e vederlo a quella distanza, averlo così vicino ma al contempo così lontano non mi stava aiutando. Ciò che stavo per dire non era facile né da raccontare, né da ascoltare, soprattutto per Benjamin e mio fratello, oltre che per me. - Allora Victoria, andiamo per gradi, ti va di dirci come è iniziato tutto questo? - Chiese.
Come domanda era piuttosto semplice, a dire il vero, per cui respirai profondamente e mi misi a giocare con le mie dita mentre cercavo la risposta più corretta ed esaustiva da dare. - Intende dire gli avvenimenti degli ultimi mesi? - Leonard annuì ed io mi leccai il labbro piegando la testa di lato. - Stavo con Benjamin da poco, circa un mesetto, ed è stato poco prima del compleanno di Sam. Stavamo tornando a casa mia dal campus, quel giorno. Ho trovato un pacco davanti al portone di casa e quando l'ho aperto c'era dentro la bambola che mi aveva regalato mio padre quando avevo sette anni. Era la mia bambola preferita, che ero convinta di aver perso quando sono stata mandata dagli assistenti sociali all'età di dodici anni. C'era un bigliettino dentro il fiocco, la polizia dovrebbe averli ancora tutti. - Mi presi qualche istante per prendere un respiro e cercare di calmarmi, di placare il dolore, più che altro, perché era una ferita ancora troppo aperta. - Sul biglietto c'era scritto "una bambola, per la mia bambola." o una cosa del genere. Avevo riconosciuto subito la sua calligrafia, per cui mi sono spaventata immediatamente. Non ne avevo parlato con nessuno, al momento, a parte Sam. Lui mi disse che avrei dovuto parlare con Alexander e Nicole e accertarmi che mio padre fosse ancora in prigione, ma ero troppo spaventata per riuscire a parlarne con qualcuno che non fosse lui. Poco dopo, al compleanno di Sam, durante la notte il carcere mi ha telefonato e mi ha comunicato la sua fuga. - Spiegai semplicemente.
- Quindi Benjamin non sapeva di suo padre in quel momento? E poi, se lui era ancora in carcere quando ha ricevuto il pacco, ha pensato a chi potesse averglielo mandato? - Mi chiese poi.
- Ero troppo spaventata per parlare con qualcuno, soprattutto Benjamin. Non volevo metterlo in pericolo o allarmarlo, dato che comunque non sapevo di chi si trattasse. Inizialmente non pensai a chi potesse avermi mandato quella scatola, quando sono apparsi Michael e Christian ho pensato che potesse essere uno di loro due ma, dato che erano entrambi in prigione con Paul, deduco che ci fosse qualcun altro dietro, e che non torni qualcosa. - Mi rendevo conto di aver lanciato una bomba, ma qualcuno doveva pur dirlo, ed io ormai non avevo più niente da perdere.
- Sta cercando di dirmi che c'è un'altra persona dietro tutto questo, che nessuno sa chi è? - Esclamò Leonard.
Piegai la testa di lato e sospirai profondamente. In quel momento, proprio in quel momento, incrociai lo sguardo di Benjamin. Lì lo vidi annuire, e sussurrare che mi amava. Dal suo labiale lessi che stava dicendo che ero coraggiosa, per cui ci credetti realmente e tornai a guardare suo padre. - Credo. - Dissi. - Ma non so chi sia questa persona, ci sono troppe cose che non tornano. -
- Che intendi dire? - Indagò Leonard. Non volevo calcare troppo la mano, volevo solamente mettere una pulce nell'orecchio alla giuria e al giudice stesso, al procuratore e a tutte quelle persone che avrebbero dovuto dare il giudizio finale del processo.
- Se erano tutti e tre in prigione, allora la scatola come è arrivata a casa mia? - Domandai battendo le palpebre. - Dalla prigione non puoi spedire pacchi con bambole che stanno a casa tua, dove nessuno mette piede da almeno sei anni, anche di più forse. Questo non me lo spiego, ed è soltanto un esempio. -
Leonard annuì e mi sembrò quasi di poter scorgere un sorriso in quel gesto del capo, un po' nascosto, ma c'era. - Quando la situazione è degenerata del tutto? -
Non sapevo che cosa rispondere, per me era stata tragica fin dall'inizio, quindi non sapevo definire esattamente il momento in cui era calata a picco. - Non lo so. - Risposi onestamente. - Ad essere sincera per me è stato un disastro fin da subito. Ma se devo dire quando secondo me siamo crollati tutti a picco come dei birilli è stato quando mio padre, dopo la serata al lago, ha fatto picchiare Benjamin e mio fratello. Quel giorno io ho iniziato a ricevere le telefonate e a impazzire del tutto. Non mi ero mai sentita così male in tutta la mia vita come nel momento in cui ho visto le persone che amo di più al mondo sdraiate in un lettino dentro ad un'ambulanza, quando uno di loro era privo di sensi. Pensavo che l'apice del dolore fosse stata la ... - Mi fermai un istante e chiusi gli occhi passandomi le mani sul viso e sospirando. Avevo le mani che tremavano tantissimo, facevo ballare le gambe ed ero sicura che il giudice al mio fianco si sentisse come se ci fosse un terremoto, ma era l'unico modo che avevo per non mettermi a gridare. Potevo anche sembrare fin troppo calma ai loro occhi, ma in realtà stavo impazzendo. - Insomma credevo che l'apice sarebbe sempre rimasto lo stesso di quando avevo dodici anni, di quel giorno in cui mi hanno separata da mia padre dopo avermi trovato sotto lo scrosciare dell'acqua ghiacciata perché mi faceva male qualsiasi osso, mi sarei strappata la pelle, se avessi potuto. Lui era impazzito quel giorno e... - Deglutii con forza, lasciando cadere quella lacrima salata triste e sola, perché ancora mi portavo dentro troppo troppo dolore, e non riuscivo a sfogarlo. - E quello fu il giorno che più di tutti, mi fece male. Ma male per un'infinità di motivi, oltre che fisicamente. Mi porto ancora nel cuore tutti quei lividi e quindi... Quindi pensavo che non ci sarebbe stato più nulla al mondo che potesse farmi così male, però mi sbagliavo. Nel momento in cui lui minacciò Ben, nella mia testa scattò qualcosa, che tutt'ora non mi riesco a spiegare. E fu in quel momento che alla fine mi sfuggì il controllo di tutto, compreso di me stessa. - Dissi alla fine.
- Cosa è successo dopo? - Intervenne il giudice. - Te la senti di continuare? Ti vuoi fermare? - Mi chiese. Aveva un tono amorevole, nonostante stesse facendo il suo lavoro e dovesse essere più freddo.
- Ormai sapete tutto, io sono una sopravvissuta giusto? Quindi tanto vale parlare a ruota libera, per quanto possibile. - Risposi. - Risparmio i particolari e cerco di concentrarmi solo su mio padre e quel filone, spero di non farla troppo lunga. - Sospirai. - Dopo quel giorno l'ordine della questione l'ho perso un po' di vista, perché nella mia testa è ancora tutto molto caotico. Mio padre ha spaccato la vetrina di casa Hastings e ha lasciato un biglietto dicendo che aveva in serbo una sorpresa di compleanno per me, facendo il conto alla rovescia. Non avevo idea di cosa si trattasse, onestamente, pensavo si facesse vedere, e mi spaventai ancora di più, ma non fu così. La notte del mio compleanno è successo tutto un po' un caos in casa, e sono uscita alle quattro del mattino completamente da sola e allo sbaraglio, senza telefono e a piedi. Ho dormito su una panchina, dire che avevo dormito era un'eufemismo, e dopo aver avuto un incubo sono andata a comprarmi una pistola. Nessuno, escluso la mia migliore amica, sapevo che lo avevo fatto, nonostante lei avesse insistito a dirmi che almeno a Sam o Ben avrei dovuto dirlo, io non l'ho fatto. Lo stesso giorno, tornata a casa, trovai i miei genitori... Ehm scusate: Alexander e Nicole, seduti a tavola con una busta intestata a me al centro del tavolo, c'era Sam con me, in quel momento. Quando l'ho aperta ero piuttosto confusa, ma c'era un certificato di nascita: Edward Illman, il mio fratello gemello, persona della quale non conoscevo l'esistenza fino a quel momento. Fu lì che decisi che avrei dovuto fare di tutto pur di scoprire chi fosse, compreso contattare mio padre e consegnarmi. Ero convinta di andare da lui, in realtà, di trovare lui, ma invece trovai Michael e Christian, che quella notte mi colsero alla sprovvista, mi fecero addormentare, mi bendarono e mi portarono in quel garage abbandonato a se stesso, dove al mio risveglio trovai soltanto un materasso, braccia e gambe legate ed ero completamente imbavagliata e nel panico. - Dissi. - Non ho mai visto mio padre, in quelle due settimane, ma dalle condizioni in cui mi svegliavo dove esserci stato per forza, perché mi trovavo ogni giorno un livido in più, e per di più la maglia sollevata. Una maglia piuttosto lunga, che mi faceva da vestito, tanto per capirci. Quindi io so, anche se Michael non lo ha detto, che qualcosa è successo. Può non essere stato lui, e su questo posso anche crederci, ma mio padre, in quel buco, qualcosa mi ha fatto, e tu lo sai bene. Vero Michael? - Mi sentivo come un fiume in piena, la differenza era che il mio corpo sgorgava veleno e dolore, non solo acqua. - Poi Christian mi ha aiutata a scappare, ma quella parte della storia non la ricordo perché ero bendata e non ho visto nulla, non sapevo che ci fossero Benjamin e Sam, l'ho scoperto soltanto quando Sam mi ha tolto la benda e me lo sono trovata davanti. -
Micheal aveva chiuso gli occhi e si era voltato dall'altra parte, non mi stava più guardando, per cui dedussi che le mie supposizioni erano del tutto vere: in quelle due settimane, mio padre aveva approfittato di me nuovamente, ecco perché Christian voleva che me ne andassi ed ecco perché lo ha fatto uccidere, perché per colpa sua, non lo poteva più fare. - Il resto è andato esattamente come ha raccontato Benjamin e onestamente non me la sento di continuare a parlare a ruota libera, perdonatemi. -
- Posso fare io qualche domanda? - L'avvocato di Michael si alzò in piedi. - Naturalmente se l'avvocato Woods ha finito. - Disse poi.
- Tu non mi piaci - Esclamai senza tanti problemi.
- Grazie Victoria. - Replicò. - Comunque, puoi ridirmi come è possibile che tu avessi una pistola la sera dell'incidente? Mi risulta che il detective l'abbia confiscata quando sei stata data per dispersa. -
Scrollai la testa e mi lasciai sfuggire una risatina un po' isterica, perché era una domanda abbastanza stupida. - Ma che domanda è, ne ho comprata un'altra, mi pare ovvio. -
- E dove la teneva? - Chiese di nuovo.
- Sotto il vestito, nella giarrettiera. - Strinsi gli occhi ad una fessura e lo osservai attentamente.
- È sicura, al cento per cento, che Benjamin non fosse a conoscenza della sua pistola? - Mi chiese. - Si ricorda, perfettamente, tutto quello che è successo prima di vedere suo padre? Ne è sicura? - Insistè sottolineando le parole.
- Sì - Esclamai di getto.
- Perchè siete usciti in giardino? - Si avvicinò sollevando le sopracciglia e piegando la testa di lato.
- Perché mi sono sentita male, e siccome loro due erano con me mi hanno portata fuori. - Risposi.
- E perché ti sei sentita male? - Domandó di nuovo.
Sospirai profondamente perché avevo capito dove stava andando a parare, e non potevo nemmeno nascondere quel pezzo della storia, perché mi avevano fatto l'esame tossicologico. - Avevo preso troppi calmanti. - Chiusi gli occhi e mi sfregai le tempie perché mi veniva da piangere, oltre che da vomitare.
- Visto signor giudice? - Esclamò. - La testimonianza della signorina non è attendibile, era sotto effetto di psicofarmaci e probabilmente lo è sempre stata. Magari non ha visto quello che è convinta di aver visto, magari le cose non sono andate -
Prima che terminasse la frase venne interrotto da Benjamin che si alzò di scatto e si rivolse all'avvocato catturando la sua attenzione. - Ma cosa stra cazzo sta dicendo? - Tuonò nero di rabbia. - Sta per caso insinuando che sta mentendo? Che si è immaginata tutto? Ma sta bene con la testa? -
Tossicchiai cercando di mantenere la calma ma ormai ero scoppiata a piangere, e non riuscivo nemmeno più a controllarmi. Come poteva anche solo pensare che avessi inventato tutto, come poteva insinuare che io mi fossi immaginata una cosa del genere soltanto perché ero sotto l'effetto dei calmanti? - Il fatto che io fossi sotto effetto di psicofarmaci non ha cambiato il mio modo di vedere le cose. Gli psicofarmaci non causano allucinazioni, non posso aver visto una cosa per un'altra e non posso credere di aver sparato quando non è così. Sono io che ho sparato in conseguenza allo sparo di mio padre, le pare che possa essermi immaginata di aver ucciso il mio stesso padre? Secondo lei sarei in queste maledette condizioni se mi fossi immaginata tutto? Erano due mesi che non riuscivo neanche a parlare per tutto quello che mi portavo dentro e adesso lei sta insinuando che mi sono immaginata tutto e che la mia tristezza ed il mio dolore non sono reali? -
- Per favore fatela scendere da lì - Disse di nuovo Benjamin. - O almeno fatemi avvicinare a lei, vi prego. -
- Signor giudice, la prego. - Singhiozzai davanti a lui. - Le assicuro che non sto mentendo, è tutto vero. Sono sotto cura psichiatrica da anni, in questi mesi non ho fatto altro che andare dal mio medico. Io lo so che non sto bene, lo so che non sono una persona affidabile al cento per cento come può essere mio fratello o Benjamin perché faccio uso di psicofarmaci e lo so che il medico le ha detto che sono stata dichiarata mentalmente instabile, però mi creda, la prego. La violenza che ho subito è reale, i segni me li porto appresso ancora adesso. Non passa giorno che io non pensi a quello che ho fatto e al male che ho causato per il mio trauma, per il padre orribile che ho avuto e in cui pensi alla violenza che ho subito. Ho ucciso il mio stesso padre, perché lui ha sparato all'unica persona che mi abbia mai fatto sentire amata realmente in tutta la mia vita, all'unica persona che mi abbia mai insegnato ad amare e che mi ha accettata così come sono, come una malata psichiatrica che ha subito una violenza talmente grande che da vedere ancora i lividi sulla sua pelle e da non riuscire a farsi toccare da nessuno, se non due persone in croce, nemmeno adesso, dopo anni. Sono io che ho sparato, non glielo direi se non fosse così. -
- Signor giudice ho il video che ho detto di avere anche al procuratore distrettuale poco prima, lo vuole vedere? - Juliette si fece avanti ed io mi alzai guardandola in cagnesco, perché non aveva alcun diritto di saltare fuori così dal nulla, dicendo di essere stata sul luogo dell'incidente e dicendo soltanto alla fine del processo, quasi, di avere un video.
- Ma quale video, ma sei impazzita? - S'intromise Sam. - Stai seduta mamma, finiscila, non mi sembra il caso. -
Juliette non gli diede retta e si avvicinò al giudice ugualmente, tirando fuori il computer dalla sua borsa e posandolo sul banco del giudice come se nulla fosse. - Non farlo, ti prego. - Sussurrai. - Io non so se ce la faccio, questo è davvero troppo per me. -
Juliette mi scoccò un'occhiata e mi chiese scusa con lo sguardo, girò il computer, inserì la chiavetta, e lo fece partire.
- Cazzo! - Ben sbattè la mano sul tavolo e sentii l'acciaio delle manette sbattere con violenza sul legno, potevo vedere persino il metallo conficcarsi nei suoi polsi. Fece per venirmi incontro ma il poliziotto lo bloccò, per cui non si poteva muovere da lì, era fermo immobile ad osservarmi mentre il video partiva sotto il mio sguardo ed io non riuscivo a non guardare. Barcollai leggermente e feci qualche passo indietro posando le mani sul banco dei testimoni, con il respiro pesante e le mani tremanti. - Vaffanculo! - Tuonò disperato. - Victoria! - Mi chiamò alzando la voce. - Victoria guardami. - Gridò ancora più forte. - Guarda solo me, guardami negli occhi. - Esclamò frustrato. - Non ascoltare e guardami. Ascolta me, ti amo, ti amo tantissimo e rifarei tutto per te, ogni cosa? Non crollare, sei forte, sei coraggiosa, hai superato di tutto, puoi farcela anche questa volta, possiamo farcela. Victoria per favore, sono qui, guarda me, guardami. -
Non riuscivo più a respirare, stavo impazzendo. Era come se tutto in quella stanza mi stesse facendo soffocare. Sentivo le voci di tutti, ma non riuscivo a tornare con i piedi per terra, era più forte di me, ero arrivata al capolinea.
- Victoria, guardami. - Sentii ancora la voce di Ben e quando mi voltai vidi che aveva gli occhi arrossati e che si stava sforzando per non piangere il più possibile. - Sei fortissima, credimi, sei la persona più forte che io conosca, non sei fragile, sei la più forte. Sei davvero coraggiosa, tutto questo, credimi te lo dico con il cuore, tutto questo che stai affrontando, solo le persone coraggiose come te lo possono superare. Non sei fragile, non sei debole, sei la più forte, fra tutti noi. Sei una sopravvissuta e ti amo da morire per questo, da morire. -
Singhiozzavo così tanto che fui costretta ad accucciarmi e piegarmi con la braccia a stringere me stessa perché ero completamente spezzata e sapevo benissimo che non potevo più vivere così, non ce la facevo. Io non ero forte, non lo ero assolutamente. Lui mi stava chiedendo di non crollare, ma era quello che stavo facendo e per di più sotto gli occhi di tutti.
- Adesso basta! - La voce di Michael interruppe il caos che si era creato ed io mi coprii le labbra con la mano per cercare di non vomitare proprio in quel momento. - Questo è fin troppo anche per me. -
- Michael stai zitto - Gli disse l'avvocato. - Stai buono e resta seduto. -
- Vaffanculo, hai esagerato, ti avevo detto di andarci con i piedi di piombo, ma sei un mostro quasi peggiore di suo padre. - Tuonò. - Ascolti bene signor giudice, perché non lo ripeterò una seconda volta. Mi dispiace per ciò che sta passando la ragazza io Io ho una figlia e le assicuro che non saprei proprio dire come un padre possa essere così meschino viscido per farle ciò che le ha fatto. Victoria, se mi stai ascoltando, mi dispiace. Non ho mai voluto farti del male, me ne pento ogni giorno, mi hanno costretto e obbligato. Quando sono venuto a casa tua ero arrabbiato, ti ho fatto del male e mi dispiace, cancellerei tutto se solo potessi. Mi distrugge pensare che anche mia figlia, per colpa mia, possa stare così. Il video di questa tizia che ancora non ho capito chi diavolo sia si poteva benissimo evitare dato lo stato emotivo della ragazza, fra parentesi. Non è stato Benjamin a sparare, è stata Victoria, per legittima difesa. Credetemi, è stata solo difesa: Paul ha sparato e se Benjamin non si fosse messo in mezzo, probabilmente Victoria a quest'ora non sarebbe più viva. Siamo sempre stati aiutati da fuori, dal capo della polizia, ed è stato per questo motivo che le accuse su Victoria sono cadute. Se io avessi detto come sono realmente andate le cose, lui sarebbe stato arrestato per corruzione. Mi dispiace, non volevo arrivare a tanto, Benjamin Woods è innocente e Victoria Hastings ha sparato perché se non lo avesse probabilmente sarebbero morti tutti e tre, in questo momento. Tu non sei un assassina, Victoria, tu sei un'eroina, hai salvato tutti. Hai salvato anche me, in questo momento, te lo giuro. -
Sentendo le sue parole mi alzai in piedi e lo guardai negli occhi. Lo sapevo che in lui del buono c'era, lo sapevo che non voleva davvero farmi del male e sapevo che avevo ragione a confidare nel fatto che una luce lo stava guidando. Michael era una persona forse mille volte più difficile di me, però mi stava guardando come se stesse vedendo sua figlia, invece che me, e forse era grazie a lei che aveva trovato la forza per dire la verità, il coraggio di dirla a gran voce, proprio come avevo trovato il coraggio io. Nell'aula era calato il silenzio dopo averlo sentito, Benjamin aveva gli occhi spalancati e lo fissava incredulo, mentre Leonard gettò le carte sul tavolo e sorrise, infilando le mani in tasca e tirando un sospiro di sollievo.
Non appena la situazione si calmò il giudice dichiarò Benjamin innocente e disse che avrebbe comunicato soltanto successivamente la pena a Michael. Mi dispiaceva per lui, speravo che trovasse pace, nonostante il luogo in cui avrebbe passato il resto dei suoi giorni di pace ne possedeva poca, o forse non ne possedeva. Mi domandai se anche io, sarei stata in grado di trovare la pace, se era finita davvero o se era appena iniziata e mi chiesi se tutto quel dolore che portavo nel cuore, un giorno chissà quale e quanto lontano, sarebbe diventato la mia forza, oppure mi avrebbe mandata in rovina.
Scesi dal banco dei testimoni e andai verso Ben, che si stava accarezzando i polsi doloranti e mi venne incontro abbracciandomi con forza e facendomi piangere ancora di più, perché lui era di nuovo libero di tornare da me. Era la goccia di purezza che la mia vita, il mio buio, avevano bisogno per non vivere nella paura e chissà, forse la nostra vita sarebbe stata più semplice davvero, da quel momento in poi. - È finita - Sussurrò al mio orecchio riempiendomi il viso di baci. - Sei coraggiosissima, ti amo tantissimo. -
Alle spalle di Ben c'era Michael che ci osservava ed incrociai il suo sguardo, quella volta addolcito ed intenerito, non più freddo e distaccato come prima. Lo ringraziai, fra le lacrime e permettendogli di leggermi il labiale, e lui tirò su il pollice prima che il poliziotto gli mettesse le manette e lo dichiarasse in arresto.
Anche lui era stato coraggioso, tutti lo eravamo stati. Chi per ciò che aveva raccontato, chi per ciò che aveva ascoltato, chi per essere solo stato seduto a guardare, chi per essersi presentato dopo anni. C'era chi era stato coraggioso per averci stretto la mano, chi per essere lì nonostante non fosse il suo posto. In qualche modo lo eravamo tutti ed io lo sapevo, per cui quando mi trovai fra le braccia dei miei fratelli, della mia famiglia, quella vera e che mi aveva cresciuto nonostante i miei guai ed i miei disastri, mi ritrovai a pensare che aveva ragione Leonard, era quel tipo di canzone che potevano ascoltare soltanto i coraggiosi, quelli come Sam, come Ben e un po', ma solo un po', anche come me.
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Scuuuuuusatemi per la lentezza disarmante in cui ci ho messo ad aggiornare, ma sono arrivata, mentre scrivevo, a chiedermi persino se stessi parlando ancora italiano e fosse tutto apposto.
So che è un capitolo molto lungo, vi chiedo scusa infinitamente, ma non me la sentivo di dividerlo perché avrebbe perso di significato.
Grazie per la pazienza, grazie per essere arrivati fino a qui.
Ci sentiamo prestissimo (spero), promesso!
love you all,
ila
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