CAPITOLO SETTE - hurricane
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Buona lettura! 💘
Capitolo sette - hurricane
però mi si ferma il battito
Victoria
Cosa c'era di tanto sbagliato in me?
Cosa c'era che non funzionava?
Perché ero nata essere l'occhio del ciclone?
Davvero, io davvero ci provavo con tutta me stessa a capirmi, ma non ci riuscivo. Sembrava che l'unico in grado di farmi stare tranquilla, in quel periodo, fosse Benjamin.
Sam, per quanto ci provasse, era più nervoso di me. Non dormiva tranquillo nemmeno lui, e io lo sentivo accanto a me che si agitava in continuazione. Spesse volte mi capitava di abbracciarlo durante la notte perché lo sentivo tremare, oppure lo sentivo piangere. Lui dormiva, non se ne rendeva nemmeno conto e credevo che non lo ricordasse la mattina una volta sveglio, però spesso capitava che gli asciugassi le lacrime, o abbracciassi durante la notte perché stava tremando ed era agitato. La differenza tra me e lui era che io mi svegliavo dagli incubi, lui no. Da quando avevo sognato me stessa in quello specchio, la situazione mi stava sfuggendo di mano. A volte mi svegliavo e non riuscivo a muovermi, non riuscivo nemmeno a gridare per la paura. Vedevo la me stessa, quella dello specchio, sorridermi maliziosamente e graffiarmi con degli artigli al posto delle mani. Io volevo scendere dal letto e scappare via, ma non riuscivo a muovermi. Che poi, alla fine, dove sarei andata? In qualunque posto fossi andata, non sarei mai riuscita a scappare, perché era tutto nella mia testa.
Tutto nella mia testa.
Mi sentivo una pazza, mi capitava perfino di svegliarmi mentre stringevo i pugni fra i miei capelli, temevo che una volta o l'altra qualche ciocca me la sarei strappata. Oltre tutto avevo iniziato a trovarmi le mani segnate, dalle mie unghie, e le dita mangiucchiate. Probabilmente durante i sogni stringevo i pugni talmente forte che mi conficcavo le unghie nella pelle, e quindi mi graffiavo. Non sapevo cosa fare, non volevo più dormire, non mi sentivo più al sicuro nemmeno nei miei sogni. Era possibile?
In quel momento ero inginocchiata a terra, con la testa tra le mani, giuravo di aver sentito i capelli strapparsi e lacerarsi come aveva fatto il mio cuore quando avevo visto l'amore della mia vita che rischiava di uccidere suo fratello, per me. Fino a che punto ci saremmo potuti spingere io e lui? Fino a che punto saremmo arrivati per poterci proteggere l'un l'altro? Dove saremmo finiti, se avessimo perso entrambi il controllo?
L'unica cosa che riuscivo a fare in quel momento, dopo aver visto Benjamin in quel condizioni, era piangere. Piangere come una disperata perché era tutta colpa mia, se io non avessi fatto cadere quella tazza, lui non avrebbe quasi strangolato suo fratello.
Se Benjamin non fosse innamorato di me, niente di ciò che gli era accaduto sarebbe accaduto. Era tutto così incontrollabile, come un uragano che spazzava via ogni cosa, questo era l'amore che sentivamo l'uno per l'altra.
Ryan mi metteva a disagio, credevo lo avessero capito tutti, probabilmente anche lui. Se solo fossi riuscita a parlare, a dire qualcosa, probabilmente non mi sarei sentita così indifesa, ma più pensavo a come tornare a parlare, meno risultati ottenevo. Era tutto inutile. Un blocco mentale che nessuno riusciva a rimuovere.
Ryan si era avvicinato troppo, per di più se io non avessi fatto cadere la tazza lui mi avrebbe baciata di sicuro. Era così vicino a me che sentivo il suo respiro sulle mie labbra e sentivo l'odore del tabacco e dell'alcol penetrare nelle mie narici. Lo avevo fatto apposta a fare cadere quella tazza. Mentre si avvicinava avevo pensato di spingerlo via, ma di sicuro non ci sarei riuscita perché non avevo abbastanza forza. Per quel motivo avevo finto che mi fosse scivolata: in realtà lui era troppo preso a fissarmi perchè si rendesse conto che l'avevo fatta scivolare apposta.
Avevo i brividi, e anche i conati di vomito. Non sapevo cosa fare, se non continuare a piangere. Non riuscivo nemmeno a capire cosa ci facesse la mia migliore amica con uno come lui, come potesse fidarsi, quando io sentivo il tanfo della falsità ogni volta che si avvicinava a Benjamin o a lei.
Il mio filo di pensieri fu interrotto da mio fratello, che mi prese il viso fra le mani e mi spinse a guardarlo negli occhi. In quel momento, accucciata per terra a fissare il vuoto, mi sembrava di non sentire assolutamente nulla di ciò che accadeva intorno a me: il vuoto mi aveva risucchiata, essendo l'occhio del ciclone attorno a me c'era l'uragano che girava così veloce da impedirmi di sentire o vedere la catastrofe che avevo generato, a cui avevo dato vita.
- Victoria - Sammy mi chiamò per tornare alla realtà e nel mentre sentivo anche la voce ovattata di Carter che urlava addosso al mio ragazzo per farlo tornare con i piedi per terra. - Victoria ascolta soltanto la mia voce. - Mi richiamò ancora. - Va tutto bene, ok? È tutto a posto. Siamo io e te, andrà tutto per il meglio. Non piangere più, le principesse non piangono, ricordi? Te lo dico sempre. - Era così dolce, che i miei singhiozzi piano piano si zittirono e tornò ad essere un normale pianto. Lo guardai negli occhi e tirai su con il naso a causa delle lacrime. Quando piangevo troppo mi veniva il mal di testa, come stava accadendo in quel momento. Però Sam riusciva sempre a trovare la luce per smorzare la follia dell'uragano, in qualche modo riusciva sempre a spegnere tutto.
Quando riuscii a smettere di piangere, e quando Ben si diede una calmata, Sam mi tese la mano e Carter la tese al mio ragazzo, ci spostammo sul divano e loro due rimasero in piedi, a fissarci sconcertati. Io mi appoggiai a Ben, sulla sua spalla, accovacciandomi e abbracciando le mie ginocchia con l'intenzione di rendermi piccola piccola, mentre Ben circondò il mio collo con il braccio e mi baciò la testa. - Scusami - Sussurrò senza staccare le labbra dalla mia testa. - Perdonami, non ti volevo spaventare. -
Scossi il capo e tirai su con il naso, lasciandogli un bacio sulla spalla. cercai di sorridergli il più dolcemente possibile, senza piangere di nuovo. di fatto, non era lui che mi aveva spaventato, era stata la situazione, e ciò ognuno era in grado di fare per l'altro.
- Voi due non state bene. - Decretò Carter indicandoci. - Così non potete andare avanti, lo sapete vero? Vi piazzo in quarantena se non vi date una calmata. -
- Vuoi un pugno in faccia adesso, oppure lo vuoi a rate? - Domandò Ben schiettamente. - Senti non sono impazzito, ho soltanto perso il controllo qualche secondo. -
- Ben - Intervenne Sam. - Tu hai quasi strangolato tuo fratello. Se Katherine non avesse chiamato Carter, lo avresti ucciso. Un secondo in più e sarebbe morto. -
Ben roteò gli occhi al cielo e arricciò il naso sbuffando scocciato e scacciando i suoi amici con la mano. - Non fare così - Tuonò Carter. - Tu ti rendi conto della situazione? Ve ne rendete entrambi conto? - Era arrabbiato, era davvero davvero arrabbiato. Non avevo mai visto Carter in quelle condizioni, sembrava fuori di sé. - Fin dove dovete arrivare per capire che così non va bene? Fin dove vi volete spingere? Tutto questo - gesticolava come un pazzo, tanto che cercai di trattenere una risata soltanto perché la situazione non era assolutamente divertente. Mi scoccò un'occhiata prima di continuare a parlare e strinse gli ad una fessura. - Victoria non ti azzardare a ridere sono fuori di me. - M'indicò quando notò che trattenevo la risata. - Dicevo che tutto questo, ragazzi, non è normale. Io non ho mai visto nessuna coppia amarsi nel modo viscerale in cui lo fate voi due. Questo amore, vi porterà ad impazzire se non imparate a controllarvi, tutti e due. Io lo dico per voi, perché vi voglio bene e soprattutto perché la situazione non è bella, per nessuno. Entrambi portate un peso sulle spalle che purtroppo non è indifferente, e dovete davvero iniziare a stare attenti, perché state rischiando grosso, entrambi. Cercate di controllarvi e di darvi una calmata, perché se continuate così, qui finisce male. -
Sospirai rumorosamente perché sapevo che aveva ragione, mentre Ben, dal canto suo, assottigliò gli occhi ad una fessura. - Cosa stai tentando di dirci? Attento a come parli pure tu Carter, perché non sono proprio in vena. -
- Sto tentando di dire che dovete mantenere il cazzo di controllo, non potete permettervi perderlo in continuazione. Benjamin se Ryan ti fa incazzare, prendi e vieni via, piantalo in asso o che cazzo ne so. Victoria se vai nel panico esci dalla stanza e vai in bagno, portati qualcuno o fatti una canna, inventa qualcosa che possa aiutarti, perché qui non va affatto bene. Avete la polizia alle calcagna, tutti e due, siete sotto processo, se fate qualche cazzata siete nella merda, lo volete capire? Da camminare mano nella mano a camminare indossando una tuta arancione il passo è breve. - Spiegò fissandoci entrambi con sguardo velato di ansia, rabbia e preoccupazione per entrambi.
Mio fratello annuì, avvicinandosi a me e prendendomi la mano. Cercava disperatamente il mio sguardo, ma io ero troppo concentrata sul mio ragazzo per poterlo guardare. Vedevo la vena sul suo collo pulsare, mentre tentava di trattenere la rabbia. Lo osservai un po' e lo vidi stringere i pugni, con disperazione, chiudere gli occhi e agitarsi leggermente al mio fianco. Posai quindi la mano sopra la sua, e mi accoccolai a lui in modo da tranquillizzarlo. Sentii anche il suo battito cardiaco, velocissimo, perdersi qualche istante quando posai la testa sul suo petto. Sospettai che stesse per avere un altro attacco di panico, quindi mi spostai e mi sedetti sulle sue ginocchia, stringendolo forte forte fra le braccia e giocando con i suoi ricci. Ben chiuse gli occhi e strinse il mio busto con forza, come se fossi il suo calmante naturale, la ragione per cui tornava con i piedi per terra ogni volta.
- Carter ha ragione ragazzi, è un gioco pericoloso. - Sam ruppe il silenzio stampa che si era creato e si alzò in piedi affiancando il nostro amico.
- Io credo che finché questa situazione non verrà risolta, dobbiate vedervi il meno possibile per provare a non mettervi in pericolo a vicenda. - Decretò il ragazzo con un sospiro.
Dopo quella frase scattai in piedi e cominciai a scuotere la testa contrariata. Sapevo che sarebbe stata la cosa migliore per tutti e due, ne ero consapevole, ma io non potevo lasciare Ben. Non potevo più stare senza di lui, non potevo permettermi di vivere senza averlo accanto per anche un solo secondo della mia vita, mi veniva da vomitare al solo pensiero di non poter stare con lui.
- Ma che cazzo stai dicendo Carter? Mi stai facendo incazzare, attento a quello che dici, potrei non rispondere delle mie azioni. - Tuonò Ben alzandosi dal divano. - Non ho intenzione di non sperarmi da lei, la discussione è chiusa. Potete andare, grazie. -
- Ben forse dovreste parlarne... - Gli disse Sam. - Potrebbe essere la soluzione migliore per entrambi. -
- No, Samuel, è la peggiore. - Gridò esasperato. - Vi ricordate cosa è successo l'ultima volta che siamo stati separati? Ve lo ricordate o no? Vedete come sta lei adesso e lo vedete come sto io? Non me ne frega un cazzo di quello che pensate sia meglio voi due, ve lo dico chiaramente: della vostra opinione me ne infischio. Se devo finire in galera per essermi innamorato di lei allora che mi arrestino pure, non me ne frega un cazzo. Io non mi separerò da Victoria, chiuso il discorso. E adesso andatevene, tutti e due, voglio stare da solo con lei. - Sibilò a denti stretti e sollevando le sopracciglia.
I due ragazzi rimasero a guardarci, in piedi, immobili come delle statue. Gli occhi verdi di mio fratello mi cercavano, ma tutto ciò che riuscii a fare fu prendere Ben per mano, e posare la testa sulla sua spalla, senza riuscire a guardare in faccia nessuno dei due. Sentivo gli occhi di Carter addosso, ma la stretta di Ben farsi più forte quando senti le mie lacrime bagnare la sua maglietta. - Ho detto che dovete andarvene, adesso! - Esclamò di nuovo, a dire la verità aveva urlato, tanto da farmi sobbalzare.
Carter alzò le braccia in segno di resa e sospirò borbottando qualche istante, ma alla fine se ne andò sbattendo la porta seguito dal mio migliore amico.
Non appena fummo da soli Ben si voltò ad osservarmi e preso il mio viso fra le mani, posò la fronte sulla mia e sollevai lo sguardo incrociando i suoi occhi neri, tanto neri che mi sarei messa a nuotare in quell'oceano di oscurità che mi ricordava tanto ciò che c'era nella mia mente in quel momento. - Nessuno al mondo - Sussurrò sfiorandomi le labbra con il suo respiro. - Nessuno al mondo potrà mai separarci. Io non posso vivere senza di te. -
Non gli risposi, però mi aggrappai alla sua schiena con le mani e strinsi con forza la sua maglia, mentre lui cercava disperatamente un mio bacio, per poter tornare a respirare. Entrambi avevamo smesso di farlo da quando avevano detto che sarebbe stato meglio stare separati per un po', perché eravamo entrambi consapevoli che non ci saremmo riusciti. Fu quando, alla fine, mi baciò che sentii una botta di vita circolare nelle mie vene, dandomi la forza di tornare a respirare e alzarmi in punta di piedi per poter vivere di nuovo. Mi aggrappai a lui con le unghie e con i denti, con tutta la forza che avevo, perché il solo pensiero di dovermi separare da lui mi faceva piangere, come in quel momento. Sentivo il sapore delle docce di rugiada mescolarsi al sapore di quel bacio disperato, che più disperato di così non poteva essere. Singhiozzai addirittura, mentre mi stringeva e mi attirava più vicino, come se la nostra vicinanza non fosse mai abbastanza. Era come una droga, stare con lui. Una dipendenza per la quale ero disposta a morire di overdose, perché mi faceva volare così in alto, che sarebbe stata la morte più bella che potessi desiderare in vita mia. Per cui quando mi prese in braccio come una principessa, quando mise fine al bacio solo per fare le scale e portarmi in camera chiudendo la porta a chiave, mi sentii tremare le gambe, perché mi faceva già male quella distanza, se fossi stata senza di lui per un altro po' avrei di sicuro avuto una crisi di astinenza.
Non appena sentii la serratura chiudersi, lo attirai nuovamente a me e lui mi spinse delicatamente contro il muro, per fare in modo che rimanessi appoggiata con la schiena mentre mi sollevava nuovamente da terra e intrecciava la mia vita alla sua. Sfilò la mia maglietta nello stesso momento in cui io sfilai la sua. Mi guardò dritto negli occhi e giurai di vedere una scintilla di disperazione minacciare di portarci giù negli abissi insieme. Prese il mio polso, passò le dita sulle cicatrici e le baciò. Posò subito dopo la sua fronte sulla mia e con gli occhi seguì tutto il mio corpo, sfiorando con i polpastrelli ogni segno di autolesionismo che vedeva solcarmi la pelle, mentre tornava a baciarmi e lasciare amore dove prima c'era dolore. Presi a giocare con i suoi riccioli, in quel disperato momento così intimo da farmi girare la testa e farmi esplodere il cuore. Lo sentivo battere, battere sempre più forte, per unirsi al suo. Le sue mani che mi sfioravano mi toglievano il respiro, così come i suoi baci, e la sua pelle contro la mia. Non mi ero mai sentita così in tutta la mia vita, mai. Mi sembrava come se fosse la nostra prima volta, quella lì. Era tutto così intenso che avevo i brividi e volevo ascoltare soltanto il rumore dei nostri baci, dei miei sospiri causati dalle sue carezze, del battito del cuore e del nostro amore.
Quando lo sentii diventare parte di me, cercai il suo sguardo, accarezzando il suo viso e senza riuscire a smettere di piangere. La mia vita, era sua, tutta sua, fin dal primo momento e per sempre e lo sarebbe sempre stata. Lo amavo da vivere, in un modo in cui non credevo fosse possibile amare. Mentre baciava ogni mia singola cicatrice sentivo la mia anima consumarsi di amore, di disperazione al solo pensiero che un giorno sarebbe potuto finire. Volevo sentirmi così per tutta la vita, volevo vivere guardandolo negli occhi fino alla fine, volevo stringere la sua mano in eterno, non c'era cosa che desideravo di più. Era qualcosa di inspiegabile, mai mi sarei immaginata che dopo tutto ciò che avevo passato da bambina mi sarei innamorata e mai avrei pensato di poter amare in quel modo. Era stato lui che mi aveva insegnato a farlo, a capire cosa fosse l'amore e a stringerlo, a non respingerlo. Amavo il modo in cui la luce faceva si che le nostre ombre si fondessero insieme e ne formassero una sola, il modo in cui la mia mano combaciava perfettamente con la sua formando un puzzle perfetto. Amavo il modo in cui dormiva rilassato, la sua dolce espressione da bambino, il modo in cui le sue ciglia sfioravano le mie guance quando posava la fronte sulla mia. Amavo il fatto che tenesse gli occhi chiusi quando mi baciava, per godersi i momenti e imprimerli nella mente. Amavo il modo in cui mi guardava, come se stesse sempre scattando una fotografia per non dimenticare mai niente, il modo in cui osservava ogni mio singolo movimento e ogni mio passo. Adoravo averlo sempre intorno, vedere che non mi perdeva mai di vista, che mi cercava con gli occhi sempre, che mi bastava guardarmi attorno per trovare il suo sguardo. Amavo il modo in cui riconoscevo i suoi passi nel corridoio, il modo in cui sospirava quando sognava e il modo in cui posava la testa sul mio petto. Amavo tutte le volte in cui gli avevo chiesto di chiudere gli occhi, e ascoltare il cielo e la luna, il rumore della pioggia e il battito del mio cuore quando mi prendeva la mano, perché lui lo faceva, sempre. Amavo il modo in cui giocava con i miei capelli, il modo in cui mi baciava, mi prendeva in braccio e mi sfiorava con delicatezza; il modo in cui mi leggeva nel pensiero, come qualche minuto prima. Il modo in cui mi coglieva completamente alla sprovvista e mi baciava così, perché aveva voglia di farlo. Amavo il modo in cui mi faceva sentire bella da morire, unica e rara, amata. Amavo il modo in cui da essere uno sconosciuto qualsiasi, era diventato la mia ragione di vita, il motivo per cui mi svegliavo e continuavo a respirare, giorno dopo giorno. Amavo il modo in cui mi regalava l'alba e il tramonto e tutte le volte in cui mi prometteva di rubare per me la luna perché il buio mi terrorizzava nei sogni. Amavo da impazzire quel momento, quell'amore, quel contatto, pelle contro pelle, vita su vita, tutto quello che avevo e tutto quello che lui aveva. Amavo il fatto che non smetteva di baciarmi nemmeno per un secondo in quei momenti, nemmeno quando mi faceva stendere delicatamente sul letto per far sì che m'intrecciassi ancora di più con lui, con la sua vita. Amavo il modo in cui spegneva tutto, mentre il mondo spariva sotto quella coltre di baci velenosi che invece che uccidermi, mi riportavano alla vita. Amavo il modo in cui mi diceva di amarmi senza parlare, il modo in cui lui mi amava e il modo in cui lo amavo. Non avrei mai immaginato un amore così, di amare così, però era successo, e non potevo più farne a meno.
Respiravo la sua vita e lui respirava la mia, da sempre e per sempre. Eravamo un uragano di emozioni in quel momento, un uragano che aveva spazzato via tutto per far sì che al mondo ci fossimo soltanto noi due. Io, lui e quel momento che sarebbe stato nostro, soltanto per sempre.
***
Accarezzavo i capelli di Benjamin, spogliati di tutto, sotto le lenzuola che sfioravano i nostri corpi ancora intrecciati. Era tarda notte, l'unico rumore che sentivamo era quello del silenzio della casa e i nostri respiri.
Ben mi accarezzava la pelle nuda con i polpastrelli della dita, non diceva nulla, ma quel silenzio parlava per entrambi. Io giocavo con i suoi riccioli, mentre lui aveva la testa posata sul mio petto e teneva gli occhi chiusi, ne ero certa perché sentivo le sue ciglia solleticarmi. Sentivo tanta purezza, in quel piccolo momento, la purezza di un bambino indifeso che cercava disperatamente un appiglio per non cadere negli abissi di un mondo crudele, un bambino che si rifiutava di entrare nel mondo dei grandi.
I suoi capelli corvini erano illuminati dai raggi della luna, i miei di capelli, ricadevano morbidi sul lenzuolo e quello strano momento di intimo silenzio mi faceva sentire come se fossimo stati una goccia di luce in un mare di oscurità.
- Dopo la morte di mio padre, come ti avevo già detto, sono stato costretto a tornare da mia madre, a Detroit. Non avevo mai perso i contatti con mio fratello, ma quando tornai a casa mi resi conto che lui mi aveva completamente escluso da tutto ciò che era accaduto e che stava accadendo mentre io non c'ero. Pensai che fosse per via di papà, per il fatto che Ryan non voleva farmi preoccupare anche per lui e per la mamma, visto che mi stavo occupando di nostro padre senza l'aiuto di nessuno di loro. Lui aveva scelto di rimanere con mamma per non lasciarla da sola, ma con il senno di poi mi sono convinto che sarebbe stato meglio se lui fosse venuto con noi: forse a quest'ora una famiglia l'avrei ancora. - Ben iniziò a parlare come se mi stesse raccontando una favola, una triste storia narrata da un triste bambino che di favole non ne aveva mai sentite e nemmeno sapeva che cosa fossero. Mi sentii in dovere di non fermare le carezze e di non muovermi di nemmeno un millimetro, per far sì che mi dicesse tutto ciò che gli passava per la testa, per evitare che non si tenesse tutto dentro come aveva sempre fatto, come entrambi avevamo sempre fatto. Era così tra di noi, le parole non erano mai state necessarie, perché mi capiva soltanto guardandomi, mi sembrava quasi che mi leggesse nella mente. Non era necessario che io gli dicessi sempre come mi sentivo, lui lo sapeva, lo capiva da come mi muovevo, da come lo guardavo e lo stesso valeva per me con lui. Non avevo bisogno di sentirmi dire che stava soffrendo: per la situazione, per me, per Ryan e per se stesso. Però sapevo perfettamente che aveva bisogno di dirlo, per cui mi limitavo a giocare con i suoi capelli e baciare la sua testa, in quel momento in cui la sua voce era la mia canzone preferita ed era anche l'unica cosa al mondo che per me contava. - Era tutto cambiato, al mio rientro a casa. Ero arrabbiato perché il mondo mi aveva portato via la persona che più amavo, ed ero arrabbiato perché vedevo quanto tutti stessero andando avanti, ma io rimanevo fermo. Ero bloccato al momento in cui mio padre aveva chiuso gli occhi e non li aveva più riaperti, per me era l'inferno. Mi svegliavo vedendo i suoi occhi che si chiudevano, mi addormentavo sentendo il suo respiro rallentare e fermarsi del tutto. Io ero distrutto: dal dolore, dalla tristezza, dalla rabbia, dalla solitudine. Mi sentivo solo ad affrontare tutto quanto, perché mi sembrava che a nessuno importasse. Passeggiavo per le strade e vedevo le persone ridere, abbracciarsi, tenersi per mano, essere felici. Li guardavo e mi domandavo come potessero stare così bene, quale fosse il loro segreto e dove la trovassero tutta quella voglia di vivere, perché io ero così addolorato, che la voglia di vivere non sapevo nemmeno più cosa fosse. - Mi sembrava di poter sentire il suo dolore stringere il mio cuore e consumare la mia anima. Lo vedevo camminare per le strade della città, perso nel suo mondo, ad osservare le persone attorno a lui. Ben era sempre stato un grande osservatore, aveva sempre guardato i dettagli, contavano solo quelli per lui. Il dettaglio di un sorriso, la fossetta, era la chiave per sorridere davvero, me lo diceva sempre. - Mamma si era rifatta una vita, una vita di merda, ma se l'era rifatta. Stava con uomo, un ludopatico da quattro soldi che ancora mi domando da dove sia arrivato. Mi faceva venire da vomitare il modo in cui si vendeva a lui, era un viscido verme che pensava solo a tre cose nella sua miserabile vita: soldi, sesso, droga o alcol, non esisteva altro e mia madre, in quel momento, era il secondo punto più importante. Lui faceva i raduni con i suoi amichetti all'insegna di alcol e droga, e lei li serviva, faceva tutto quello che lui voleva. Mi ricordo che una volta che l'ha fatta stare accanto a lui in intimo, dicendo che gli portava fortuna guardarla mentre giocava. Io tentavo di uscire di casa il più possibile, mi struggeva vedere quanto mia madre avesse perso la dignità e il rispetto verso se stessa, oltre che il mio nei suoi confronti. Mi faceva davvero schifo, Vic. Mi veniva da vomitare, guardandola. Non riuscivo davvero a capire come fosse possibile perdere se stessi per compiacere un'altra persona, per farla restare. Ero cresciuto con un'idea totalmente diversa dell'amore, e tutt'ora penso che quello non fosse amore, ma essere schiavi. Non facevamo altro che litigare, io e Shelby. Io, da parte mia, tentavo sempre di dissuaderla e di spingerla a lasciarlo, facevamo litigate infinite quando Vince non era in casa, passavamo le ore ad urlare, urlare e urlare, fino al punto in cui scappava via piangendo, ed io me ne andavo di casa e tornavo tre giorni dopo. Io odiavo Vince: odiavo il modo in cui aveva cambiato mia madre, il modo in cui mi trattava e il modo in cui faceva come fosse casa sua. Si permetteva cose che io, figlio della donna che si portava a letto, non mi potevo permettere di fare. Aveva un'amante perfino, anzi più di una, e le portava in casa quando mia madre non c'era. Era vergognoso. Anche con lui litigavo fino a che non si stufava e in sostanza mi prendeva a cazzotti. Trovavo la droga ovunque, persino sotto i materassi. In tutta quella situazione, in tutta quella merda, mio fratello vedeva tutto, da sempre, e non faceva mai niente. Ryan non si sbilanciava, quando Vince ed io litigavamo, quando mi prendeva a pugni, lui stava a guardare, non interveniva. All'inizio pensavo che avesse paura di lui, cosa più che comprensibile dato il tipo con cui avevamo a che fare, ma poi avevo iniziato a sospettare che ci fosse dell'altro. Vince se la prendeva sempre con me e mia madre, ma Ryan lo lasciava stare, esisteva ma non esisteva, era per quello che avevo iniziato a pensare che ci fosse qualcosa di strano, che non mi tornava. Anche quando entravamo in casa dopo i pomeriggi passati a giocare a calcio, quando entravamo in cucina alle sette la sera per cenare, e invece che trovare la cena trovavamo questi due schifosi a spassarsela. Vic, ci è successo un sacco di volte: entravamo in cucina e li trovavamo a fare sesso sul tavolo, completamente ubriachi, mentre si passavano bottiglia di vodka, così come se fosse una cosa normale. Mio fratello, stava zitto, tornava al piano di sopra dicendo che non avremmo dovuto disturbarli. Dopo un anno che la situazione andava avanti in quel modo, avevo deciso di seguirlo, per capire fin dove si stesse spingendo. Stava fuori ore, a volte, non mi voleva con lui e si atteggiava sempre in modo sospettoso, per quel motivo decisi di farlo. Scoprii che spacciava, per conto di Vince ed era per quel motivo che se lo teneva buono, era quello il motivo per cui lui non gli diceva mai niente, per cui Ryan faceva sempre tutto quello che gli andava di fare, perché lavorava per Vince. Quando gli dissi che lo avevo scoperto si arrabbiò tantissimo: mi disse che non dovevo immischiarmi, che mi sarei dovuto fare i fatti miei e che sarei dovuto starmene per conto mio e lasciarlo in pace e che per colpa della mia curiosità mi sarei messo nei casini. Con il senno di poi ti dico che aveva ragione - Si fermò qualche istante, come se stesse cercando di mettere insieme le idee per spiegarsi al meglio che poteva. Avrei voluto dirgli di fermarsi, che non mi serviva per forza sapere cosa fosse successo, che non doveva sentirsi obbligato a raccontarmi tutto ciò, che mi bastava stargli accanto in quel momento e per il resto delle nostre. Avrei voluto dirgli che lo avrei amato a prescindere da tutto, nonostante ciò che aveva fatto e nonostante ciò che non mi aveva detto. Non importava sapere chi fosse stato, m'importava solo sapere chi fosse in quel momento e sapere che guardandolo negli occhi leggevo tutto l'amore di cui avevo immensamente bisogno. Avrei voluto che mi guardasse, per capire tutto ciò che avevo dargli, ma l'unica cosa che fece fu sospirare e stringere la mia mano, come se si stesse facendo forza, come se fossi io a dargli la forza necessaria a raccontare il resto della storia. - Dopo svariati tentativi, riuscii a convincerlo a smettere. Lui diceva che lo faceva per noi, perché se si fosse rifiutato ci avrebbe lasciati tutti in mezzo alla strada, ma non ci credevo e non ci credo tutt'ora, assolutamente. Oltre che spacciarla, Ryan ne faceva uso, io ne ero sicuro al cento per cento, ma non ha mai voluto ammetterlo ed io non l'ho mai beccato sul fatto, quindi non potevo assolutamente farci nulla. Insomma, decise alla fine di mollare tutto, a patto che io lo aiutassi con l'ultima consegna. Io accettai, ma lo feci solo ed esclusivamente per lui. Rivolevo mio fratello, il mio fratello di sempre, ed ero disposto a qualsiasi cosa per riaverlo. Però mentre ci preparavamo a consegnare, Vince beccò entrambi. A quanto sembrava lui non aveva assolutamente idea del fatto che io sapessi ogni cosa, perché Ryan non glielo aveva detto. Quel momento, fu la rovina di tutti noi. Cominciò a ricattarmi, dirmi che se non avessi fatto come lui voleva, se non gli avessi fatto da corriere avrebbe ucciso la mamma, ed io sapevo che ne era capace. Per questo alla fine mi arresi. Per Ryan aveva piani più grandi, immensamente grandi. Non sapevo di cosa si trattasse di preciso, ma stava progettando qualcosa di grosso, di molto grosso. Io ero la persona perfetta da incaricare come pusher e Ryan era la persona perfetta per diventare il suo braccio destro. Iniziò così un anno travagliato, passato ad avere paura delle luci blu e delle sirene, passato a temere le aggressioni ogni volta che uscivo di casa. Un giorno mi incaricò di una consegna fuori città, il problema era che io e mio fratello non avevamo la patente, per cui non sapevo assolutamente come fare a muovermi. Non potevo prendere i mezzi pubblici, perché c'era il rischio di incontrare qualche autorità, di incontrare la polizia e di essere fermato e perquisito, ed io non volevo assolutamente avere a fare con la polizia. Ne parlai con Ryan e lui giunse a una sola conclusione: voleva rubare una macchina. Per me era fuori discussione, già era fin troppo ciò che stavo facendo, ci mancava soltanto che mi mettessi a rubare una macchina e guidare senza patente. Dopo discussioni di ore, mi arresi e in piena notte uscimmo di casa per fare quella maledetta consegna. Ryan prese a scassinare la portiera di un auto completamente a caso, ma quando riuscì ad aprirla, naturalmente, scattò l'allarme che svegliò tutto il vicinato. Chiamarono la polizia e Ryan scappò via in auto e iniziò così la caccia all'uomo, che però terminò con lui giù da un burrone e le manette sia per me che per mio fratello. Io ero stato preso subito, perché mi aveva lasciato in mezzo alla strada come un deficiente, pensando solo a se stesso e a salvarsi il culo da solo. Dopo due giorni passati in carcere per spaccio e furto d'auto mi assegnarono un avvocato d'ufficio: Leonard Woods. Lui mi ha salvato la vita. Mi ha tirato fuori di prigione e mi ha aiutato in tutti i modi che gli erano possibili. Mi portò a casa sua, mi fece conoscere sua moglie, Elizabeth, e suo figlio, Arthur. Mi aveva fatto stare a casa qualche giorno, per capire come muoversi e cosa stesse accadendo a Ryan. Elizabeth però era dell'idea che fosse meglio per me restare con mia madre, tornare a casa da lei e farmi aiutare da lei, il problema? Quando mi portò a casa mia, la trovai vuota: mia madre e Vince erano scappati e ci avevano abbandonati. Leonard aveva scoperto che Ryan era stato condannato a cinque anni per furto d'auto e spaccio di sostanze stupefacenti, tentò di cercare mia madre ma sembrò che non fosse mai esistita. Fu così che diventai un membro della famiglia Woods e che Leonard ed Elizabeth diventarono i miei tutori legali. - Concluse con un sospiro e, alla fine, si voltò a guardarmi negli occhi, con timore e distacco. Sembrava quasi che avesse paura della mia reazione, anche se non ne capivo il motivo. - Allora, vuoi ancora stare con me? -
Sentii gli occhi pizzicare e alla fine mi abbandonai al pianto. Non avevo nulla da rimpiangere, nonostante la sua storia ed il suo passato, io lo amavo da morire, non potevo esistere senza di lui, il mondo non aveva un senso senza di lui. Gli accarezzai la guancia, e sorrisi leggermente tirando su con il naso, presi il suo braccio e, guardandolo negli occhi, feci l'unica cosa che ero in grado di fare da quando mi avevano tolto l'uso della parola. P - E - R - S - E - M - P - R - E, scrissi sulla sua pelle. Mentre scrivevo sentivo il suo battito cardiaco impazzito sulla mia pelle, lo sentivo anche nelle orecchie. Quando però si rese conto di ciò che gli avevo detto i suoi occhi s'illuminarono, il terrore che ci leggevo fino a qualche istante prima scomparve, e tornai a leggerci soltanto amore, amore puro, infinito, incondizionato proprio come lo era il mio nei suoi confronti. - Ti amo con tutto me stesso. - Sussurrò posando la fronte sulla mia.
- Incondizionatamente. - Bisbigliai con voce spezzata. Lo abbracciai forte, lo strinsi al mio petto con tutta la forza che sentivo di avere, perché non m'importava di rimanere senza, volevo solo che lui si rialzasse e combattesse per ciò in cui credeva, per i suoi valori e per se stesso. Io lo avrei aiutato sempre, non lo avrei mai lasciato, perché meritava tutto e anche di più. Benjamin meritava il mondo intero, però il mondo non meritava lui.
Io e lui eravamo un disastro, una catastrofe senza limite, ma la più bella che esisteva: un'opera d'arte che mi aveva rubato il cuore, nonostante facesse paura quanto faceva paura un uragano.
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Ciao, ciao, ciaaaaaao a tuttiiiiiiiii
ed eccomi qui, con il mio tanto sudato capitolo.
Spero che adesso il personaggio di Benjamin sia un attimo più chiaro e comprensibile a tutti, e spero che non inizierete ad odiarlo perché io lo amo tantissimo, credo sia uno dei personaggi che mi sta riuscendo meglio in anni di scrittura.
Tanti bacini e presto!
Ila
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