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CAPITOLO DICIASSETTE - fiori di Chernobyl

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CAPITOLO DICIASSETTE – fiori di chernobyl

"Non sono me stesso senza di te. Quando sciogli il colore nell'acqua, dopo non puoi più separarlo."
Julian Blackthorn.

Benjamin

Viene un tempo per tutti noi in cui esiste solo il dolore.
Un tempo in cui non c'è altro che il vuoto, in cui ti senti perso, triste, solo.
Queste erano state le uniche cose a cui avevo pensato in quel mese. Non riuscivo a concentrarmi su altro, a provare a pensare ad altro, era impossibile. C'era solo il dolore e talvolta era talmente da sentire anche le ossa farmi male. Non riuscivo più a respirare, senza di lei; non ero più me stesso, senza di lei.
L'unica cosa che avevo fatto era stata uscire e scattare foto, che era la solo che mi era concesso fare, fra le altre cose. Fotografare mi piaceva perchè riuscivo sempre a rendere gli attimi eterni. A volte, mi sentivo come se sapessi già che ben presto quel momento sarebbe stato soltanto un ricordo e per quel motivo decidevo di scattare una foto. Non sapevo dire se pensassi che meritasse di essere ricordato, quell'attimo, oppure se mi aspettassi di dimenticarlo prima o poi. E mentre rivivevo la nostra storia giorno dopo giorno, notte dopo notte, avevo la sensazione di non aver scattato abbastanza fotografie, di non averla guardata abbastanza, vissuta abbastanza, amata abbastanza. Mi chiedevo se lei lo sapesse che non avrei mai potuto amare nessun altro, che non c'era nessun altro. Mi chiedevo se sapesse che tutta la vita non sarebbe mai bastata per amarla come avrebbe meritato, come avrei voluto. Forse avrei dovuto dirglielo, forse sarei dovuto correre da lei e gridarle che se non era lei, non poteva essere nessun altro. Non pensavo di poterla amare di più di come già facevo, e lo sapevo che quella distanza ci avrebbe soltanto portato alla deriva, ma ero arrivato a un punto di rottura, un punto in cui pensavo che sarebbe stato meglio per entrambi pensare a noi stessi per primi.

C'era stato un giorno in cui non ce la facevo più, un giorno in cui avevo sentito la nostra distanza fino alle ossa, il dolore era arrivato così nel profondo che avevo pensato di morire, e un po' lo avevo anche sperato. Chiudi gli occhi, mi dicevo, devi soltanto chiuderli e non riaprirli più. Tremavo per la sua assenza, per la mancanza della sua risata, e in quel momento mi ricordai. Ricordai la lettera che aveva lasciato sotto al mio cuscino mesi prima, il giorno in cui mi avevano dimesso, che avevo trovato ma custodito preziosamente nel mio cassetto, come aveva chiesto lei. L'avevo stretta tra le mani, avevo trattenuto il respiro e avevo osservato la calligrafia perfetta con cui il mio nome era scritto sul foglio squadrettato, specificando che avrei dovuto leggere quella lettera solo quando mi sarei sentito senza più forze, soltanto quando e se avrei desiderato arrendermi.

"Quanto vorrei poter parlare con te, tu non hai idea.
Da una parte spero che tu non arriverai mai a sentire il bisogno di leggere questa lettera, anche se questo significherebbe averla scritta a vuoto, ma dall'altra spero che tu ti arrenda alla curiosità e la legga, fore in questo modo capirai davvero cosa sei per me.
Mi piacerebbe poterti mostrare tutto il caos che cè nella mia testa, soprattutto quando mi guardi e con quegli occhioni che non desiderano fare altre altro che capirmi. E mi piacerebbe che sapessi che lo sento che qualcosa non va in me, da sempre, ma che l'unica luce nel mio buio, sei tu.
Ho passato giorni interi al tuo fianco, a piangere e pregare ogni minuto che potessi tornare a sentire ancora la tua voce, che tu aprissi gli occhi. Ho passato ore a desiderare che tu stringessi la mia mano di nuovo e rivivere la nostra storia come un vecchio film, come le pagine della nostra vita. Quel film che nonostante odiassi, continuavi a rivedere insieme a me e mi abbracciavi sempre alla fine, mentre piangevo e mentre pensavo alle nostre di pagine da scrivere, quella della nostra di vita, la vita che io ti stavo per portare via, la vita che ti avrei dato per poterti riavere accanto. Mi chiedevo se eravamo destinati a chiudere la nostra storia con quel capitolo, oppure se saremmo riusciti ad andare avanti, perchè onestamente il senso di colpa si nutre di me ogni volta che ti guardo. Quando ti accarezzo e quando ti stringo la mano, riesco soltanto a pensare a quello che sarebbe potuto succedere, per colpa mia, alla vita che mio padre stava per rubarti. Non mi perdonerò mai per quello che ti ho fatto passare, per non essere riuscita a proteggerti come avrei dovuto. Probabilmente non avresti mai dovuto cercarmi, avresti dovuto lasciarmi con lui, forse a quest'ora le cose sarebbero state diverse, forse se io me ne fossi andata tu saresti felice, non avresti rischiato la tua vita per salvare la mia. 
Una volta pensavo che la fragilità rappresentasse una debolezza, soprattutto per una persona come me. Hai sempre visto la mia vera essenza, e anche quando pensi di non capirmi, vorrei dirti che tu mi capisci e mi conosci meglio di chiunque altro. Hai visto tutta la mia fragilità e te ne sei preso cura, mi hai insegnato a renderla la mia forza.
Quando ti ho guardato negli occhi la prima volta ho pensato che non ci fosse cosa che mi dava più pace del tuo sguardo, perchè il nero è sempre stato l'unico colore della mia vita, e se prima lo odiavo, guardando te ho imparato ad amarlo. Credevo che fossimo destinati a stare al buio insieme, io e te, ma solo dopo ho capito che, in realtà, tu sei la mia luce. Mi hai insegnato che cadere significa anche sapersi rialzare, che la caduta sta anche nel trovare la forza di rialzarsi. Mi hai dato così tanto in così poco tempo, Ben, più di quanto qualsiasi altra persona abbia fatto da quando sono al mondo. Quando ti vedo vicino a me, mi rendo conto di avere qualcuno disposto a portarmi fuori da questo inferno che mi tortura ogni giorno, qualcuno disposto a scendere in quei gironi per salvarmi. Mi fai sentire fortissima, quando mi sorridi, e grazie al tuo amore ho capito che gli eroi non sono quelli che riescono sempre a salvare tutti. A volte non ce la fanno, a volte non possono, ma si rialzano lo stesso. Essere un eroe significa anche ammettere di avere bisogno di qualcuno accanto per poter vincere. Mi dici spesso che sono una super donna, ma non ho il cuore da eroina come te, io mi sono arresa, gli eroi non si arrendono, mai. Sei tu il mio eroe, lo sarai sempre, sarai sempre la persona di cui ho bisogno per arrivare al mio finale felice. Nessuno mi ha mai insegnato ad amare, e io non sapevo proprio come amarti, ma mi hai insegnato anche a fare questo: ad amarti con ogni briciola di me stessa. Pensavo di non essere in grado di amare nessuno, ma ho sempre cercato di dare il meglio di me per farti capire e per dimostrarti che non ho fatto altro che amarti dal primo giorno. Sai, a volte lo sento nelle ossa il tuo amore, lo percepisco ogni volta che stringo la tua mano, ogni volta che mi abbracci, che stiamo insieme.
Ho sempre cercato di assorbire il tuo dolore e farlo un po' mio, perchè anche se non me ne parlavi io lo sentivo, e cercavo di portarne via un po' ad ogni bacio, speravo di rendere quel peso un po' meno opprimente ad ogni carezza, ma non so se effettivamente io ci sia riuscita. Vorrei proteggerti dal mondo, tenerti al sicuro da tutto, perchè sei una stella bellissima, la più luminosa di tutte, e nessuno deve spegnere la tua luce. Ti posso solo promettere che non accadrà finchè io avrò vita, perchè ti proteggerò da ogni cosa anche a costo della mia vita. Sono disposta a rischiare tutto, per te.
Sento ogni sorriso da quando ci sei tu, anche piangere non mi fa più paura se ci sei tu al mio fianco, e voglio che tu sappia che qualunque cosa accadrà, comunque andranno le cose, tu sei la mia luce. Anche se saremo distanti, io ti porterò con me come so che tu mi porterai con te.
Sempre.
Questa lettera è un regalo che ti lascio per ricordarti chi sei, cosa mi hai insegnato e cosa mi insegni ogni giorno. Queste parole, che non posso dirti a voce ma sento nel profondo del mio cuore, sono tutto il mio amore per te, quell'amore che mi ha sempre fatto vibrare il cuore e lo farà per sempre. Vorrei che ti donassero la forza di combattere per ciò che vuoi, per ciò che è tuo e che nel tuo cuore sai che è giusto. Abbi cura della tua luce, amore mio, abbi cura di quello che sei, del tuo cuore, del nostro cuore. Qualsiasi cosa succeda, qualsiasi cosa ci riservi il futuro, io sarò al tuo fianco quando sarà l'ora di combattere, così come so che tu sarai al mio a prescindere da tutto.
Ti amo Benjamin Woods, per sempre.
Victoria."

Non facevo altro che rileggere quella lettera, come un loop infernale che mi ricordava ciò che avevo perso. Avevo davvero sentito ogni parola mentre la leggevo la prima volta, mi sembrava quasi di sentire la sua voce. Avevo sentito il suo senso di colpa e se avessi potuto farlo le avrei detto che non era stata colpa sua, non era colpa di nessuno, men che meno sua. Avevo fatto la mia scelta, avevo seguito il mio cuore e l'istinto, non me ne pentivo e, ad essere del tutto onesto, lo avrei rifatto se ne fosse capitata l'occasione. Qualcuno avrebbe detto che questo amore mi stava distruggendo, ma io avrei solo risposto che avrei preferito essere distrutto dal suo amore e per il suo cuore, piuttosto che morire senza di lei.

In quel momento ero appoggiato allo stipite della porta di camera di Victoria, dagli Hastings. Victoria stava ancora dormendo e mentre la osservavo pensavo solo a quanto mi sentissi in colpa per ciò che le stava succedendo. Dopo che l'avevo vista la notte precedente perchè era piombata in casa a quasi le quattro di notte farfugliando cose senza senso, ero andato nel panico. Inizialmente pensavo fosse sotto effetto di droga, o che fosse ubriaca, ma osservandola e vedendo che più le parlavo meno riusciva ad ascoltarmi, avevo capito che ci fosse qualcosa che non andava. Ricordavo la sua espressione terrorrizzata, mentre fissava un punto alle mie spalle, ed io mi ero inginocchiato per parlarle, ma sembrava non mi sentisse. Continuava a fissare qualcosa dietro di me, qualcosa che, però, non c'era. Mi ero voltato a controllare per cercare di capire cosa stesse guardando, ma non c'era nessuno. Quando era saltata sul posto ed era uscita dalla camera indietreggiando, avevo pensato che si fosse spaventata a causa del tuono dovuto alla tempesta di quella notte, ma non era così. Lei aveva visto qualcosa, era spaventata da qualcosa. Aveva urlato che non era il suo momento ricordavo i suoi pupille ridotte a due spilli, la testa tra le mani, lei accovacciata a terra che tremava come una foglia e scuoteva il capo piangendo disperata. Ad un tratto era balzata in piedi: pensai che si avvicinasse a me e desiderasse farsi aiutare, ma fece l'esatto opposto. Mi guardò negli occhi per una frazione di secondo e corse via. Era scappata in preda a una follia che non riuscivo a comprendere. Ero rimasto accucciato nel corridoio buio per qualche istante, con Arthur ai piedi delle scale che la chiamava e Leonard ed Elizabeth confusi, fuori dalla porta della loro stanza. Mi avevano chiesto spiegazioni, che naturalmente non avevo, per cui avevo fatto spallucce, avevo infilato le scarpe ed una felpa e le ero corso dietro.

Mentre correvo nell'erba bagnata avevo avuto un flashback della notte di Natale, quando avevamo passato ore a cercarla nel parco perchè mi aveva chiamato disperata e poi le avevano fatto degli esami per accertarsi che non soffrisse di demenza fronto temporale. Era risultata negativa a tutti gli esami, il fatto restava che comunque lei non stava bene, da troppo tempo. Sembrava avesse inziato a stare meglio, anche secondo Sam stava meglio, ma a quanto pare ci eravamo sbagliati. Se solo fossi stato meno egoista me ne sarei accorto, se solo fossi stato meno impegnato a scoprire cosa mi stessero nascondendo tutti quanti l'avrei vista, l'avrei notato. Le avevo promesso che ci sarei sempre stato e lei era sicura che non avrei mai potuto deluderla, ma lo avevo fatto. L'avevo lasciata da sola proprio nel momento opportuno, in quello in cui aveva più bisogno di me.

Quei pensieri mi avevano fatto compagnia per tutto il tempo, mentre l'avevo cercata. Avevo corso in lungo e in largo per tutto il parco, ma non l'avevo mai trovata. Preso dal panico, alla fine, avevo telefonato a Sam spiegandogli la situazione e lui, naturalmente, tra imprecazioni, panico e ansia, era uscito a cercarla.

Fu quando stavo per arredermi che ricevetti una telefonata. Lì per lì avevo pensato di non rispondere, ma poi mi soffermai a riflettere e pensai che per chiamarmi alle quattro e mezza del mattino ci dovesse essere qualcosa che non andava, o qualcosa di importante. Non appena portai il telefono all'orecchio la voce roca di mio fratello mi fece perdere un battito: aveva trovato Victoria.

Mi decisi a entrare nella stanza, un po' titubante e tremando quasi, stringendo la chitarra che mi ero fatto portare da Arthur poco prima. A breve sarebbe arrivato il suo psichiatra, ed io sperai di avere qualche minuto con lei prima che la torturasse con le domande. Presi posto trascinandomi una delle sedie accanto al suo letto e la osservai qualche istante accarezzando il suo viso con la punta dei polpastrelli. Era proprio un angelo, nonostante la stanchezza, nonostante fosse visibilmente dimagrita, restava comunque bellissima. La pelle pallida era illuminata e scaldata dai raggi solari, ed io pensai che sarei rimasto a guardarla per sempre, oltre che a quanto mi fosse mancato poterlo fare.

Era tanto tempo che non suonavo la chitarra: da quando era morto mio padre non l'avevo più presa in mano e il primo motivo era che quella che in quel momento stavo osservando era proprio la sua. Me l'aveva lasciata dopo avermi insegnato a suonare, più che altro strimpellare, qualche accordo. Capitava che, talvolta, avessi voglia di suonare, ma quando pensavo a lui mi incupivo e cambiavo idea. In quel momento, però, osservando Victoria, pensai che l'unica cosa che avrebbe potuto farla sorridere in una situazione di quel tipo era la musica, per cui presi un respiro profondo, strinsi la chitarra e accarezzai le corde osservando lo spartito rimediato poco prima. - I'm a sucker, don't count on me. I'm fucked up, yeah, to some degree but I'm thinking you, you're just like me. I'm thinking you, you're just like me... - Non sapevo assolutamente cantare, era proprio una di quelle cose che era meglio evitare per me, ma suonare quella canzone senza canticchiarla sembrava quasi un insulto, soprattutto visto che era una delle preferite di Victoria.

La osservai muoversi leggermente e aprire gli occhi dando largo spazio all'immenso sprazzo di cielo che li caratterizzava. Erano tornati del loro colore normale, ma erano rimasti comunque arrossati e gonfi per il pianto. Aveva delle pesanti occhiaie a ornarle il viso, violacee e tristi, dolorose quanto probabilmente tutto ciò che c'era nella sua testa.

Quando la vidi aggrottare le sopracciglia un po' confusa, ed osservarmi battendo le palpebre, le sorrisi dolcemente, godendomi il suo sguardo anche se il fatto che fosse così spento mi spezzava. Continuai a canticchiare scuotendo la testa leggermente imbarazzato per evidenti motivi, ma a lei non importava. Si era seduta a gambe incrociate e mi osservava con la testa piegata di lato e un timido sorriso. A giudicare dalla sua espressione sembrava quasi che non credesse al fatto che fossi realmente lì al suo fianco, era come se stesse cercando di collegare i puntini per avere un quadro della situazione. Per un momento sollevai le sopracciglia invitandola a cantare con me, ma speravo che comunque quel gesto la aiutasse a capire, le sollevasse il morale. Victoria, però, scosse la testa e deglutì rumorosamente, aggrttò la fronte e allungò un braccio come se volesse toccarmi, ma quando arrivò quasi a sfiorarmi ritrasse la mano di scatto. Ebbi appena il tempo di percepire il calore del suo corpo, perchè subito dopo si spostò all'indietro fissandomi come se non fossi reale. Chiusi gli occhi prendendo un profondo respiro profondo e, nonostante la sua espressione turbata, decisi di continuare a cantare, senza demordere e perdere la speranza. Le dicevo che se lo desiderava potevamo scappare insieme ovunque volesse e che sapevamo entrambi di essere migliori di quanto il resto del mondo potesse dire o pensare.Victoria, per tutta risposta, si inginocchiò e gattonò di nuovo vicino a me, con le iridi tremanti e facendomi pensare che da quelle lacrime, un giorno, sarebbe nato un fiore celeste. Posai la chitarra e mi avvicinai per accarezzarle il viso. Temevo che si spostasse, ma non lo fece. Rimase a guardarmi negli occhi, con amore e anche un po' di tristezza. - Non sapevo suonassi. - Sussurrò posando la mano sulla mia.

- Più che altro strimpello, dire che suono è un insulto a tutti i chitarristi, compreso il tuo amato Christopher Morgan. – Risposi arricciando il naso. Battei le palpebre e feci una smorfa, ma poi tornai ad osservarla e la sua risatina mi colpì come il vento fresco dei primi giorni della primavera. Era così bella quando rideva spensierata, cosa avrei dato per sentire la sua risata per sempre solo Dio lo sapeva. - Posso ascoltarti ridere per sempre? - Mi venne spontaneo domandarglielo, nonostante la situazione fosse triste e sapendo che lei non aveva molta voglia ridere.

Victoria incrociò le gambe confusa, incredula. Osservandola notai che stava trattenendo il respiro, visibilmente turbata, e un pur istante ebbi il dubbio che fossi io il problema. - Perchè sono qui? - Domandò invece che rispondere alla mia domanda. Si mise a sedere abbracciandosi le gambe con le braccia, distolse lo sguardo e lo fissò in un punto indefinito, spaventata. - Perchè tu sei qui? Tu... - Dischiuse leggermente le labbra e tornò ad osservarmi. In quel momento, nei suoi occhi, non riuscii a percepire altro che incredulità. Sembrava sotto shock e stava addirittura trattenendo il respiro. Si fece piccola piccola, chiudendosi in se stessa ancora di più e allontanandosi definitivamente da me. - Non capisco. - Scosse il capo e poi si guardò le mani, piegando la testa di lato e fissandole attentamente. Sospettai che stesse contando le sue dita, il che mi fece preoccupare il doppio. Presi posto di fronte a lei sul letto, per rassicurarla, ma quando cercai di allungare la mia mano per afferrare la sua, lei scattò subito indietro, fino a sedersi sul cuscino e rannicchiarsi in se stessa ancora di più, contro lo schienale del letto, mentre mi osservava impaurita. - Tu ti ricordi? Ti ricordi di me? Tu sai chi sono io? -

A quel punto quello in confusione ero io. Presi un respiro profondo e cercai di non mostrarle la mia ansia e la mia perplessità dopo quelle parole. - Perchè mai avrei dovuto dimenticarmi di te? - Le domandai con cautela. - E tu? Tu ti ricordi? Ricordi cosa è successo ieri sera? -

- Io che credevo che... - Alzò la testa tirandosi su dritta e guardandosi attorno un po' prima di tornare a guardarmi negli occhi. - Insomma io li sento. Li sento ancora – La sua voce tremava, così come stava tremando lei, con le lacrime agli occhi. Si tappò le orecchie e scosse la testa, come se non volesse sentire e chiuse gli occhi stringendoli con forza, quasi nella speranza che riaprendoli dopo qualche istante tutto sarebbe finito. - Li ho visti. - Dondolava su stessa ed io rabbrivdii osservandola, perchè non avevo assolutamente idea di cosa fare e come comportarmi. Da una parte pensavo che lei fosse convinta di stare sognando, dall'altra aveva contato le dita delle sue mani, e si era resa benissimo conto di essere sveglia. C'era qualcosa di terribilmente sbagliato in ciò a cui stavo assistendo, qualcosa di doloroso e incomprensibile ai miei occhi, ma soprattutto spaventoso. Improvvisamente realizzai che per tutto quel tempo avevo dato per scontato troppe cose. Sembrava stesse avendo una ricaduta, ma da una parte pensavo che quella volta non era come le altre. Quello non era uno dei suoi incubi, era la realtà, e sembrava che lei avesse proiettato i suoi sogni proprio lì, con noi.

- Chi? - Domandai senza tanti giri di parole. - Che cosa hai visto, Victoria? -

Lei scuoteva la testa, continuava solo a scuotere la testa, sempre più confusa, più spaventata. - Tu non sei reale. - Disse poi prendendosi la testa fra le mani. - Ti sto sognando, ti sto solo sognando – Esclamò con voce tremante. - Non puoi essere qui, non è possibile, io l'ho visto, non è possibile -

In quell'istante non capii più niente, avevo l'ansia che si stava nutrendo di me come un parassita, il mio cuore batteva a mille, pulsava facendosi sentire persino nelle orecchie. Non sapevo cosa fare per farle capire che non stava sognando per cui, alla fine, preso dal panico e immerso nella sua stessa confusione, mi avvicinai di scatto, le presi il viso fra le mani e la baciai. Non sapevo cos'altro fare e mentre la baciavo in me si faceva sempre più spazio la convinzione che avessi fatto una cosa sbagliata, che avessi oltrepassato un limite e che la stessi soltanto distruggendo ancora di più. Inizialmente Victoria rimase di sasso, con le mani sollevate, rannichiata in se stessa e con gli occhi spalancati. Quando però presi la sua mano e la posai sul mio cuore, quando sentì il mio battito sotto al palmo della sua mano si rilassò improvvisamente e chiuse gli occhi. Sentii il sapore delle sue lacrime in quel bacio, ma non mi allontanai. A quel punto ricambiò il bacio, sciolse i nervi e la sua mano libera si aggrappò al mio collo, stringendomi più forte e avvicinandomi a sé. Si lasciò andare completamente, lasciandosi che la prendessi in braccio e la coccolassi in quella dolce tortura. - Sono reale. - Le sussurrai lasciando che mi accarezzasse il viso e mi guardasse come se fosse la prima volta che lo faceva. - E sono qui. - Continuai sfiorandole la testa con i polpastrelli delle dita. - Con te e per te. Sono qui. - Victoria annuì e alla fine appoggiò la testa al mio petto, accoccolandosi e scoppiando in un pianto disperato, sostenuta dalle mie braccia. Avrei voluto poter dire che c'ero sempre stato, che era da sempre così, ma non era vero. Tutto quel disastro, tutta quella catena di eventi che l'aveva portata fino a quel punto, con molta probabilità l'avevo scatenata io. Mi venne da piangere sentendo i suoi singhiozzi, e l'unica cosa che mi venne spontanea fare fu baciarle la testa e poi stringerla al mio, rannicchiandomi in quel letto insieme a lei, come avrei dovuto fare fin dall'inizio, senza mai lasciarla. - Qualsiasi cosa sia, la affronteremo insieme, te lo prometto. -

E così, mentre la stringevo fra le braccia, pensavo che era proprio in quel modo che ci si doveva sentire quando si sapeva di essere completamente persi.

***

Avevo appena lasciato Victoria con lo psichiatra, mentre nel frattempo Nicole stava preparando del tè per tutti. Si vedeva quanto fosse spossata, distrutta dalla situazione. La sua ansia era percepibile a un chilometro di distanza e, a differanza di Alexander che si occupava dei suoi compiti in classe per distrarsi, lei non faceva altro che sospirare e piangere. Alexander mi era sempre sembrato il tipo che non si fasciava la testa prima del tempo, ma quando avevo visto il suo sguardo impallidire la notte precedente quando avevo riportato in casa Victoria, avevo capito che semplicemente reagiva in silenzio al dolore e all'ansia. Nicole piangeva, lui rimaneva zitto e si chiudeva nelle stanze da solo. Avevano chiesto tutti cosa fosse successo, ma la verità era che non sapevo proprio cosa rispondere, semplicemente continuavo a chiedere scusa, e non sapevo esattamente il motivo, lo facevo e basta.

Mi trovavo in cucina con Sam e Richie, e l'ultimo stava osservando la madre con così tanta appressione da stringermi il cuore. Le tremavano le mani, ed era così piccola e minuta che temevo che se fosse arrivata una folata di vento un po' più forte, sarebbe volata via o, peggio ancora, si sarebbe spezzata. Richie si alzò strisciando la sedia, passandosi una mano sul viso, e le andò dietro posando la mano sulla sua e facendo sì che lei si voltasse a guardarlo. - Perchè non vai a sdraiarti un po', mamma? - Domandò il ragazzo a Nicole. - Ci pensiamo noi qui, stai tranquilla. - Le disse con espressione dolce. - Tanto lo sai che il dottor Dustin e Victoria ne avranno per un'ora. È al sicuro ora, andrà tutto bene, stai tranquilla. Lui la può aiutare. - La donna annuì e strinse le mani a suo figlio, che le sorrise con amore dandole un bacio sulle fronte.

Nicole, dal canto suo, lanciò un'occhiata a me e il ragazzo che osservava la scena in silenzio, accanto a me: Sam le sorrise e annuì cercando di trasmetterle tranquillità con lo sguardo e alzando le dita in una V che la fece ridacchiare, Richie sollevò le sopracciglia indicandole con un gesto del capo il piano di sopra ed io, invece, sospirai. Mi sentivo in dovere di dirle qualcosa, qualsiasi cosa, che potesse rappresentare tutto il mio dispiacere. - Nicole! - La chiamai sospirando. Mi alzai in piedi e le andai incontro. La donna mi guardò con quei suoi occhi verdi arrossati dal pianto, e il mio senso di colpa non fece altro che aumentare e divorarmi ancora di più di ciò che già faceva. - Mi dispiace, sul serio. Per non averla trovata prima e per tutto quello che è successo il mese scorso. Insomma se non fosse stato per me probabilmente ora non... -

La donna posò una mano sul mio viso e sorrise, con gli occhi e le labbra che tremavano. Una lacrimà solcò la sua guancia e alla fine chiuse gli occhi e deglutì, per poi riaprirli e sorridermi ancora di più. Aveva un sorriso così puro e genuino che mi stringeva il cuore ogni volta: era sempre stata così dolce e gentile con tutti, a volte mi chiedevo come potesse non arrabbiarsi mai, come potesse non arrivare mai a un punto di rottura. Eppure lei era così: pura e genuina, sempre sorridente. Per quel motivo vederla in quello stato, in quel momento, mi spezzò il cuore. - Io devo solo dirti grazie, per tutto quello che hai fatto per lei. Ne avete passate tante – Disse annuendo e lasciandosi andare al pianto in quel momento di fragilità che aveva colpito tutti quanti. Il nostro equilibrio si era rotto definitivamente e ritrovare il nostro baricentro per stare in piedi nuovamente senza cadere sarebbe stato molto più complicato di quel che tutti noi pensavamo o immaginavamo anche solo lontanamente. Si asciugò le lacrime e tirò su con il naso prendendo le mie mani e, con mio stupore, baciandole ad occhi chiusi. - Tutti e due, Benjamin. Victoria soffriva da tutta la vita ma... - Fece un passo indietro e si posò una mano sul cuore, come se parlarne la riportasse indietro agli anni precedenti. - Ma poi sei arrivato tu. Con te, è felice. Ho visto il suo sorriso, finalmente, dopo anni che lo cercavo. Il tuo amore le ha dato così tanta gioia, è questo che devi ricordarti, è solo questo quello a cui devi pensare. Lo leggo nei tuoi occhi che stai soffrendo, Victoria non è la sola. Purtroppo abbiamo un passato alle nostre spalle che prima o poi ritorna, che lo vogliamo o no. Dobbiamo soltanto avere la forza per richiudere quella porta come abbiamo fatto la prima volta. Lei ha te e devi essere felice di questo tanto quanto lo siamo noi. Non è colpa tua Benjamin, non pensarlo per favore, tu sei il suo sorriso. - Quelle parole mi commossero così tanto che sentii gli occhi bruciare e la vistà si appannò. Mi imposi di chiudere gli occhi per non scoppiare a piangere proprio in quel momento, perchè non volevo mostrare la mia debolezza a nessuno. Il mio cuore non avrebbe retto il peso di tutta quella tristezza che mi stava attanagliando, del mio senso di colpa e dell'ansia. - Puoi piangere se vuoi, non siamo fatti di cartone. Piangere fa di te una persona fortissima. Non cosa tu abbia visto ieri sera, io non c'ero, ma tu sì e non deve essere stato per niente facile. Piangi Benjamin, lasciati andare. -

Scossi il capo e mi allontanai passandomi le mani sul viso e chiudendo gli occhi. Non potevo piangere, non potevo permettermelo. Non potevo crollare di nuovo, non potevo farmi trovare disperato da lei. Dovevo darle tutta la mia forza, starle accanto in ogni modo possibile, come avrei potuto aiutarla se non facevo altro che piangere? - No, io non posso. - Risposi dandole le spalle. - Però ti ringrazio e ti prometto che qualsiasi cosa succederà, sarò al suo fianco. -

Nicole mi sorrise di nuovo e, alla fine, si riavvicinò a me alzandosi in punta di piedi e baciandomi una guancia. - Non c'è mai fine al peggio, ricordatelo. - Disse alla fine rivolgendosi a tutti e tre. - Probabilmente accadrà qualcosa che ci farà ancora più male. Ricordate che non si tocca mai davvero il fondo, perchè la vita è così. Quando pensate di non farcela, di non riuscire più ad alzarvi,  di mollare, ricordatevi chi siete. Ricordatevi quello che avete passato per arrivare fin lì, quante forza avete, tutti voi, e ritrovatela per rialzarvi, di nuovo. Andremo avanti, andrete avanti, ci credo io e dovrete crederci anche voi. Non pioverà per sempre, crediateci anche voi. -

Nicole lascò la stanza e rimasi così con Sam e Richie. Sam si alzò in piedi e si mise fronte a me, corrugando la fronte e scuotendo il capo. Sbuffò teatralmente e, alla fine, mi fissò dritto negli occhi. Il verde smeraldo delle sue iridi era colmo di ansia e preoccupazione, proprio come lo sguardo di tutti noi, con la sola differenza che lui sapeva esattamente come si sentiva Victoria, a quanto mi avevano spiegato entrambi. Non avevo mai capito quel fatto dei gemelli: sembrava che sentissero e provassero ciò che l'altro provava e sentiva, ma non riuscivo a capire se fosse soltanto una sensazione, o se fosse un peso sul petto, o semplicemente il fatto che si conoscessero così bene da riuscire a leggere le emozioni dell'altro dai semplici gesti e sguardi. Avrei tanto voluto domandare a Sam se potesse dirmi qualcosa su di lei, ma avevo la certezza assoluta che se lo avessi fatto molto probabilmente mi avrebbe riso in faccia e mi avrebbe detto che non si trattava di un mago indovino. Dopo qualche istante di silenzio, alla fine, sollevò il braccio e mi stampò uno schiaffo dritto in fronte. - Smettila immediatamente – Sbottò guardandomi in cagnesco. - Ma che diavolo ti salta in mente? Come puoi pensare che sia colpa tua? Tu l'hai trovata e -

Lo interruppi con un gesto del braccio e sollevando le sopracciglia. - Io non l'ho trovata. - Scattai subito chiudendo gli occhi. - L'ho cercata in lungo e in largo per più di mezz'ora e alla fine l'ha trovata mio fratello. Ti sembro mio fratello? Ho la faccia di Ryan per caso? - Stavo iniziando ad agitarmi più del dovuto, soprattutto perchè mi urtava terribilmente che l'avesse trovata mio fratello e non lo avessi fatto io. Alla fine aveva dovuto chiamarmi per forza, visto che non sapeva dove abitasse Victoria, per cui era passato al parco a prendermi e si era fatto indicare la strada, poi una volta arrivati a destinazione mi aveva aiutato a portarla in casa, aveva salutato Nicole e Alexander molto cordialmente e, alla fine, se n'era andato.

- Te ne siamo grati lo stesso. - Intervenne Richie. - Benjamin lo so che non abbiamo mai avuto un gran rapporto, so che non ti piaccio particolarmente, però ti ringrazio per tutto quello che hai fatto per lei, dico sul serio. - Si avvicinò posandomi una mano sulla spalla e sorridendomi in modo fin troppo fraterno, ma decisi di sorridergli a mia volta senza protestare o lanciargli frecciatine, per il semplice fatto che non era il momento adatto.      

- Non è vero che non mi piaci, Richie – Replicai piegando la testa di lato. Era la verità: non avevo mai odiato Richie ma era vero anche che non nutrivo particolare stima per lui: non mi era mai piaciuto il suo atteggiamento nei confronti di Victoria che era diverso. - Richie tu potresti essere tranquillamente una di quelle persone che potrei considerare come un amico, ma dal momento in cui hai scoperto di me e Victoria hai eretto un muro. Il fatto che non mi piacesse il tuo atteggiamento con Victoria non implica che non mi piacessi tu come persona. Io l'ho capito subito che cosa provavi per lei. In questi mesi, dopo tutto quello che è successo, ti ho visto cambiare e... - Sospirai rumorosamente e sorrisi debolmente. - Direi che potremmo anche provarci, ad andare d'accordo, per lei. Ha bisogno di tutti noi, non vorrei mai che si sentisse sola. In un modo che onestamente non riesco a capire, lei tiene a te, perciò se tu sei disposto potremmo tentare di parlare l'uno con l'altro senza sbranarci o litigare ogni volta. - 

- Ci tengo solo a dirti che non l'ho fatto apposta. Voglio davvero che tu lo sappia. E sì, penso che lei non voglia vederci litigare di continuo, per cui... - M'interruppe passandosi le mani sul viso e mordendosi il labbro, poi alzò i suoi scuri occhi su di me e, alla fine, sorride. - Tregua? - Allungò la mano verso di me ed io, sorridendo a mia volta, la strinsi con forza, restando a guardarlo e sperando che un giorno saremmo riusciti ad andare realmente d'accordo, magari anche a volerci bene.

Sam sospirò rumorosamente. - Sono veramente preoccupatoper lei, non l'ho mai vista in questo stato, mai. Credo sia il suo momento peggiore. - Sentivo la sua ansia e la cosa mi distruggeva perchè mi sentivo realmente colpevole per tutto quello che stava accadendo, e non sapevo più come scusarmi. Non avevo mai visto Sam arrendersi o darsi per vinto, soprattutto se si trattava di Victoria, ma lo vedevo così spento e fragile accanto a me in quel momento, che mi sentii di dargli una spallata e far sì che mi guardasse per donargli un briciolo della mia forza, per condividere il nostro dolore, forse avrebbe fatto meno male.

- Come l'ha trovata? Ryan dico – Mi domandò Richie attirando nuovamente la mia attenzione. Teneva le braccia incrociate al petto e batteva le palpebre attendendo la mia risposta: lui riusciva ad avere sempre, o quasi, il controllo assoluto delle sue emozioni. Più lo guardavo più mi chiedevo come fosse possibile, io perdevo la testa di continuo.

Scossi il capo e feci spallucce. Non mi aveva detto come l'aveva trovata, dove e nemmeno cosa ci facesse nello stesso posto di Victoria. Dubitavo fosse una casualità, ad essere onesti, sospettavo l'avesse seguita ma non avevo idea del motivo. Avevo assolutamente intenzione di scoprirlo e soprattutto di scoprire se le parole di Victoria, prima di uscire da casa mia, avessero un legame con lui. La mia paura più grande, però, era che Victoria avesse sviluppato un rapporto con lui, durante la mia assenza. Che lui l'avesse incantata in qualche modo, che si fosse confidata... - Non lo so. - Risposi. - Non me lo ha detto, ma ho intenzione di scoprirlo. -

- Tuo fratello non mi piace. - Esclamò Sam alzando le braccia al cielo e battendo le palpebre come se fosse una novità. Più veniva fuori l'argomento, più lui lo ribadiva. Victoria mi aveva sempre detto che Sam era quel tipo di persona che non odiava mai nessuno, e Ryan era riuscito nell'impresa, era riuscito a farsi da una delle persone incapaci di provare odio. Sam era troppo puro, un sentimento come l'odio era troppo oscuro per una persona così limpida come lui.

- E dove starebbe la novità scusami? - Gli chiese Richie. - Da quando è comparso negli ultimi mesi lo hai detto almeno una volta al giorno. E vuoi sapere il motivo? - Lo guardò fisso negli occhi, attendendo la sua reazione, che ovviamente non tardò ad arrivare. Sam si mise a braccia conserte e fece una smorfia, corrugando le sopracciglia e arricciando il naso, con fare saccente. Era come se si aspettasse qualche battuta fastidiosa da lui. - Tu non sei razionale. - Gli disse il riccio.

- Ma che stai dicendo? Ma ti senti quando parli? Io non sono razionale? E sentiamo mr so tutto io, perchè non sarei razionale? - Gli chiese adirato e scioccato, senza riuscire a ribattere veramente. A parer mio, però, in fondo al suo cuore sapeva che aveva ragione.

- Katherine, palesemente. - Richie lo fissò come se fosse ovvio, cosa che lo era e aveva anche ragione, non potevo affermare il contrario. - Tu non sei razionale perchè c'è di mezzo Katherine. A te non piacerebbe a prescindere, qualsiasi cosa facesse, positiva o negativa, lo detesteresti comunque. Non c'entra il fatto che nasconde qualcosa, tu non lo sopporti a prescindere perchè sta con Katherine.  Potrebbe essere la persona più buona che ci sia, ma per Katherine, perchè sei innamorato di lei, tu lo odieresti comunque. -

- Ha ragione – Borbottai sperando che non mi tirasse un pugno in faccia.

Sam mi lanciò un'occhiata furiosa, ma poi tornò ad osservare Richie, che aveva le braccia conserte e lo fissava compiaciuto da se stesso. - Se nomini ancora una volta Katherine, ti do fuoco e uso le tue ceneri per coltivare un orto, sono stato chiaro? - Richie a quel punto si arrese e alzò le braccia scuotendo la testa, al che io posai una mano sulla spalla di Sam, che dal canto scrollò via e si allontanò irritato. - Non ho voglia di parlare di Katherine, per favore – Sbottò scocciato. - Non è una novità che questa situazione mi faccia stare male ma non mettete il dito nella piaga, per cortesia. Stavamo parlando di mia sorella, possiamo concentrarci su di lei, che ha bisogno di noi adesso? - Il suo sguardo era una supplica disperata. Io lo sapevo quanto stesse soffrendo per Katherine, soprattutto perchè in quel mese in cui passava a trovarmi per sapere come stavo, mi aveva rivelato che si vedevano di nascosto da mio fratello. La cosa non mi turbava affatto, nel senso che io volevo bene a Kat e sapevo che Ryan non fosse la persona giusta per lei, senza contare che avevo visto l'amore tra lei e Sam crescere, quindi spalleggiavo il mio amico. Il fatto era che temevo per l'incolumità di entrambi, non sapevo ancora cosa avesse fatto mio fratello, cosa stesse combinando o perchè, e avevo paura per loro nel caso lo avesse scoperto, soprattutto contando il fatto che aveva chiarito più volte di tenere Victoria lontana ma Katherine ci era in mezzo fino al collo. Sospettavo che, in fondo, Ryan già lo sapesse, ma sapevo anche che era innamorato di Katherine e per lei avrebbe fatto di finta di nulla, conoscendolo, non sarebbe stata la prima volta per lui. Era già successo anni prima che la sua ragazza lo tradisse e che lui lo sapesse, ma essendone innamorato fingeva che andasse tutto bene pur di non perderla.

In quel momento, però, non riuscivo a smettere di pensare al fatto che avrei dovuto trovare io Victoria. Non potevo essere così pessimo, non riuscivo a perdonarmi il fatto di essermi lasciato sfuggire lei in quel modo, la sua sofferenza, il suo dolore, pensando solo a me stesso. - Avrei dovuto trovarla io – Sussurrai stringendo i pugni. - Avrei dovuto essere stato io a riportarla a casa. Non avrei dovuto lasciarla, avrei dovuto impedire tutto questo, ma non l'ho fatto. L'ha trovata mio fratello, una delle persone che la spaventa di più l'ha trovata e l'ha riportata a casa sana e salva. Suppongo che dovrei ringraziarlo, eppure... -

- Dovremmo farlo, sì. - S'intromise Sam fissando il vuoto. - Io sono il suo gemello, Benjamin. Era strana da tutto il giorno, avrei dovuto capire prima che non potevo lasciarla da sola, avrei dovuto rimanere con lei o per lo meno impedirle di andare in quel locale. Avrei dovuto fare di più, eppure non l'ho fatto. È stato un mese orribile, è crollata a picco e non sono riuscito nemmeno a salvarla. Le ho promesso che ci sarei sempre stato, che avrei lottato per la sua felicità, ma... -

- Fate sul serio? - Sbottò Richie. Sollevò le sopracciglia adirato, anzi sembrava proprio arrabbiato e contrariato, come se volesse prendere a pugni entrambi. Lo guardavo e mi domandavo come potesse mantenere la lucidità in un momento simile, come fosse possibile che mostrasse sempre il suo lato forte, come potesse mantenere tutto quel controllo. A me stava scivolando tutto dalle mani, come i granelli di sabbia scivolavano fra le dita, avevo perso la testa, non riuscivo più a gestire le mie emozioni, ero assurdamente e terribilmente privo di forze. Non sapevo come gestire la situazione, senza contare che non sapevo nemmeno quale di fatto fosse, la situazione, e onestamente più lo psichiatra stava di sopra con lei, più l'ansia e la paura crescevano. - Cos'è una gara? Avete intenzione di continuare con questo giochetto stupido e senza senso oppure pensate di svegliarvi fuori? No perchè mi sembra una vittimismo insensato, come se steste cercando un colpevole su cui sfogarvi ma siccome, di fatto non c'è, incolpate voi stessi. Se continuate a giocare a chi fra voi due si autocommisera di più non la aiuterete mai, lo volete capire sì o sì? Victoria ha bisogno di qualcuno accanto che sia forte anche per lei, non di qualcuno che la guarda e si incolpa senza smettere di piangere. Non è colpa di nessuno, ne mia, ne tua Benjamin e nemmeno tua, Sam. - Mentre parlava alzava sempre di più il volume della voce, stanco di sentir dire da entrambi quanto ci sentissimo in colpa, probabilmente. - Non potete avere il controllo di ogni singola cosa che accade nel mondo, a voi o a lei. Tutti amiamo Victoria, tutti stiamo male per quello che sta passando, ma se ognuno di noi ragionasse in questo modo finiremmo per perderla definitivamente. Se volete fare qualcosa, se la volete davvero aiutare, rimboccatevi le maniche e smettetela con questo teatrino da quattro soldi. Non ha bisogno di qualcuno che si piange addosso, ha bisogno di qualcuno con i contro cazzi che la guardi esattamente come faceva prima. Ha bisogno di aiuto, ha bisogno di vederci forti e al suo fianco, non di vedervi soffrire per quello che le sta succedendo. - Era rosso in viso, rosso di rabbia, la vena del collo gli pulsava ed ero certo che se fosse calato il silenzio sarei stato in grado di sentire il suo battito cardiaco accelerato dalla rabbia. - Vi credevo più maturi di così, sono sincero. Pensavo che sapeste che cercando di controllare ogni cosa attorno a voi, alla fine il controllo lo avreste perso, ed è proprio quello che state succedendo. Siete ridicoli, entrambi, e lo dico per il vostro bene, perchè ad essere onesto potrei fregarmene. Invece che pensare di gestire ciò che accade nelle vostre vite e pilotare le situazioni convinti di poter risolvere tutto come se foste un cazzo di supereroe, cercate di riprendere il controllo di voi stessi e delle vostre emozioni. Svegliatevi, tutti e due, o qui non risolveremo mai un cazzo con questo atteggiamento da ragazzini di quindici anni. Continuando a vittimizzarvi alla fine non farete niente e sarete praticamente inutili, come soprammobili di bella presenza. Muovetevi, perchè non c'è più tempo. - Concluse avvicinandosi a entrambi e guardandoci come se gli facessimo ribrezzo. - E ora scusatemi, qualcuno al piano di sopra ha bisogno di una persona che la tratti come sempre, come una persona normale qual è, non come una cosa rotta da aggiustare o un problema da risolvere. La fate sentire un peso per voi in questo modo, sappiatelo. - Detto ciò lasciò la stanza e salì al piano di sopra.

Alla fine mi soffermai a pensare alle sue parole e capii che avesse tutte le ragioni del mondo per dire una cosa simile e soprattuto per avercela con noi. Il nostro atteggiamento non avrebbe fatto altro che buttarla giù e non era quello che volevo. Sapevo di dover essere forte per lei, solo che a volte pensavo di non farcela. Credevo di non essere abbastanza, di non avere quello di cui lei aveva bisogno per stare bene. Però Richie aveva ragione, se lei mi avesse visto piangere sarebbe stato soltanto peggio e l'avrei fatta stare ancora più male.

Lanciai un'occhiata a Sam e notai che stava già osservando le scale, come se avesse pensato la stessa cosa. Era così spento, la luce nei suoi occhi non brillava più come prima e mi si strinse il cuore. Le occhiaie solcavano il suo contorno occhi così profondamente che dedussi che fosse stavo sveglio notti intere accanto alla sorella, per aiutarla, per scacciare i brutti sogni, per abbracciarla quando aveva bisogno.

Non ci fu tempo di soffermarci a pensare ulteriormente perchè sentimmo una parta aprirsi e chiudersi e subito dopo la voce del dottor Dustin che si rivolgeva a Richie dicendo che aspettava lui e i genitori al piano di sotto. Sentii il cuore iniziare a battere così forte che fui costretto ad andare a sedermi sul divano del salone e prendermi la testa tra le mani per cercare di calmarmi. Avere un attacco di ansia ancora prima di sapere cosa stesse succedendo non mi avrebbe di certo aiutato e non avrebbe aiutato lei. Ero un disatro, se non mi fossi dato realmente una mossa sarebbe stata una battaglia persa già in partenza. Sam si rannicchiò al mio fianco, posò le braccia sulle sue ginocchia e si sfregò gli occhi in attesa di Nicole e Alexander, mentre Richie si prese un tè e prese posto sulla poltrona. Tecnicamente io non sarei dovuto essere lì, ma quando il dottore arrivò lo osservai di sottecchi mentre lui faceva lo stesso con me. A giudicare dalla sua espressione e dal modo in cui mi stava osservando credevo avesse capito chi fossi, ma rimasi comunque in silenzio sperando che non mi cacciasse. Sapevo che per privacy e da protocollo avrebbe dovuto chiedermi di lasciare la stanza, ma pensavo anche che dipendesse dalle circostanze e dai legami con il paziente, per cui sperai che, sapendo che fossi il suo ragazzo, mi permettesse di rimanere perchè ero una delle persone più vicine a lei. - Tu devi essere Benjamin. -

Incrociai nuovamente il suo sguardo e mi morsi internamente una guancia pensando che mi avrebbe cacciato proprio in quel momento. Annuii e alzai le dita in una V, sapevo che fosse un'abitudine assolutamente fuori luogo e che potesse apparire come un gesto arrogante ma non riuscivo ugualmente a smettere di farlo. A volte pensavo di tagliarmi le dita per quell'orribile tic nervoso e privo di senso logico, ma l'ansia mi giocava brutti scherzi. - Devo andarmene, vero? - Chiesi battendo le palpebre e sospirando rumorosamente.

Il dottor Dustin scosse il capo e si rivolse ad Alexander e Nicole, che si tenevano per mano e lo fissavano. Alexander sembrava impassibile, ma osservandolo meglio si poteva notare la sua preoccupazione mescolata ai suoi timori. D'altro canto pensavo che non fosse la prima volta che affrontassero una simile conversazione con lui, anche se a giudicare dalle loro espressioni sospettavo che fosse la prima in cui si rendessero conto di quanto effettivamente la situazione fosse grave. - No, al contrario. Dovresti restare. - Dopo quelle parole spalancai gli occhi, perchè mi ricordai delle varie situazioni in cui gli psichiatri tendevano a parlare con le persone più vicine ai pazienti. Carter mi aveva detto che era una cosa che capitava a volte, e non era assolumente una situazione strana o inusuale. Quando il medico riteneva che la situazione fosse pericolosa per l'incolumità del paziente o riteneva che gli aiuti esterni fossero fondamentali, le persone più vicine venivano coinvolte. - Quello che sto per dirvi è complicato da spiegare, da ascoltare e da metabolizzare. Ci terrei solo a dirvi che è una diagnosi molto provvisoria, perchè purtroppo per questo genere di disturbo servono più sedute in primo luogo, e poi un periodo che possa confermare la diagnosi. -

Alexander si spostò nervosamente sul divano, passandosi una mano sul viso e arricciando il naso. - Di quanto tempo stiamo parlando? -

Il dottor Dustin era un uomo molto composto e si poteva notare anche a chi non lo aveva mai visto, proprio come me, quanto amasse il suo lavoro. Era di mezza età, leggermente in carne, capelli brizzolati e barba sempre fatta. I suoi occhi color nocciola, in quel momento, erano fissi su Nicole e Alexander. Aveva l'espressione di chi detestava dare brutte notizie, quasi come se stesse riflettendo sulle parole esatte da dire, per cercare di non traumatizzare nessuno. - Non saprei dirlo con precisione, dipende da molti fattori, ma non meno di un mese, probabilmente anche qualcosa di più. Dovrò occuparmi di lei molto più di prima, dovrà essere seguita e aiutata ventiquattro ore su ventiquattro. Voi siete un pezzo fondamentale in tutto questo, più di quanto possiate immaginare. Stando a quello che mi ha detto, al modo in cui parla, sospetto che si tratti di disturbo psicotico breve, ma potrebbe anche non essere così. - Il dottore si tolse gli occhiali e posò la valigetta a terra, giocando con la montatura e fissandola per evitare, almeno a quanto mi sembrava, i nostri sguardi e le nostre espressioni turbate. - Si tratta di un raro disturbo di personalità, che può essere scatenato da un trauma come ad esempio la perdita di una persona cara o un susseguirsi di traumi, come nel caso di Victoria. Il problema è che i sintomi, che sono simili ad altri disturbi della personalità, possono durare da un giorno a un mese. Si chiama disturbo psicotico breve perchè il paziente che ne soffre, al termine della psicosi, ritorna al suo funzionamento premorboso. Cioè una volta finito sarà esattamente la stessa Victoria di prima, tanto per intenderci. - Spiegò sospirando. Mi sfregai il volto con le mani e rimasi bloccanto in quel frangente in cui il dottore spiegava il problema di Victoria e alla fine scossi il capo perchè mi stavo per sentire male. Sentii Richie posare la tazza sul tavolino al centro del salone, Nicole ricominciare a piangere, Sam muoversi al mio fianco e Alexander soccare un bacio sulla testa di sua moglie affermando che sarebbe andato tutto bene. - Il lavoro che andrò a svolgere con Victoria sarà fondamentale per la conferma della diagnosi. Come vi ho già accennato, il disturbo psicotico breve non può durare più di un mese, perciò se questi sintomi dovessero persistere e prolungarsi è chiaramente da escludere. Se dovesse accadere, naturalmente, procederò con tutte le indagini del caso e farò il possibile, credetemi, per aiutarla e cercare di capire qual è il suo problema. Purtroppo sono malattie difficili da diagnosticare, complicati e confondibili perchè presentano gli stessi sintomi di altri disturbi dell'umore e della personalità, come il disturbo paranoide o il disturbo bordeline. -

- Quali sono i sintomi? - Domandò Richie. - Cosa dovremo affrontare noi esattamente? -

- Deliri, allucinazioni, a volte i pazienti non riescono a tenere un discorso di senso compiuto e hanno un eloquio disorganizzato, nel senso che potrebbero tranquillamente dire cose che non hanno assolutamente un senso logico. Hanno un vero e proprio comportamento completamente disorganizzato, sono paranoici e a volte possono diventare catatonici. Victoria potrebbe persino decidere di non alzarsi più dal letto, di non parlare più con nessuno, potrebbe essere demotivata e credere di non avere uno scopo nella vita. - Ci informò l'uomo mordicchiando la montatura degli occhiali in modo pensieroso.

- Potrebbe essere pericolosa per se stessa? - Domandò Sam con voce tremante. Quando mi voltai ad osservarlo percepii la sua disperazione ed il suo senso di disorientamento: tremava come una foglia e fissava il vuoto giocando nervosamente con l'anello che portava al dito, regalatogli da Victoria, a quanto sapevo.

- Intendi se potrebbe tentare il suicidio? - Chiese il dottor Dustin. Sam annuì e a quel punto posò gli occhi su di lui, che prese un respiro profondo e allargò le braccia. - Potrebbe, sì. È una possibilità che non escluderei. Ma dipende da quanto gravi sono i sintomi. - Deglutì rumorosamente e tornò ad osservare i genitori. - Più la malattia è forte, o meglio più i sintomi sono gravi, più ci sono pensieri abusivi sul farsi del male diciamo, più le possibilità che accada si alzano. Ma questo dipende da come il paziente reagisce ai sintomi, quanto gravi sono e soprattutto quali lei presenta della patologia. Dipende da tante cose, ecco perchè ho bisogno di avere più contatti con lei e di vederla di più, per capire quali siano effettivamente i sintomi che ha, quanto hanno effetto e quale effetto hanno su di lei. Diciamo che devo capire la gravità della situazione per potervi dare indicazioni più specifiche sul come aiutarla. Il disturbo psicotico breve è caratterizzato dalla costante paronoia e da vere e proprie allucinazioni. Victoria potrebbe vedere cose che non esistono, cose del tutto irrazionali che derivano da tutto quello che c'è nella sua testa. Potrebbero essere cose davvero terribili per lei, allucinazioni che potrebbero segnarla nel profondo, e ha bisogno del massimo supporto. Dovete cercare di farle capire che è al sicuro, che non le accadrà nulla di male. Benjamin – Mi chiamò e punto i suoi occhi su di me, catturando il mio sguardo e la mia ansia, come se volesse prosciugarla. - Lei vede in te una figura fondamentale nella sua vita, questo posso garantirtelo. Cerca di spronarla e farle capire che il vostro sentimento è reale ed è forte. Purtroppo un'altra caratteristica del disturbo è proprio che potrebbe non avere più certezze, potrebbe fare molta fatica a relazionarsi, con tutti voi. Benjamin non ti arrendere, anche se dovesse respingerti. Questo disturbo è terribile per il paziente che ne soffre tanto quanto per le persone che lo amano. L'aiuto esterno è davvero fondamentale, la vostra razionalità, per lei, è fondamentale. Dovrete controllare che prenda i farmaci, ma che non ne abusi, preparateglieli voi piuttosto. Aiutatela in ogni modo possibile, state attenti a quello che dice, quello che fa, come si muove, fate in modo che non si lascia andare. Ho bisogno di vederla più spesso, in quanto appunto la durata dei sintomi è fondamentale per la conferma della diagnosi quindi passeremo a una seduta alla settimana invece che ogni due. Le ho prescritto un antipsicotico, vi lascio la ricetta. Adesso sta cercando di dormire, potete ovviamente vederla e parlarle ma comportatevi come sempre, non trattatela come se avesse qualcosa che non va perchè se ne renderebbe conto e questo non ci aiuterebbe. Per qualsiasi cosa sono sempre a vostra disposizione, chiamatemi nel caso aveste bisogno e per qualsiasi cambiamento tenetemi aggiornati. - 

Sospirai rumorosamente e scossi il capo sconvolto, completamente sotto shock. Sam, al mio fianco, alzò le braccia e si morse il labbro respirando pofondamente e incredulo, come se il solo pensiero della sorella in quelle condizioni gli spezzasse il cuore. Effettivamente era così per tutti, presupponevo, tanto che Nicole e Alexander si alzarono ancora sconvolti e confusi accompagnando il dottore alla porta, Richie rimase a fissare il vuoto per diversi istanti ed io, che quasi non riuscivo a respirare, rimasi in silenzio, senza riuscire a mettere a fuoco i miei pensieri, e senza fissare un punto preciso di fronte a me. In quel momento mi trovavo in una bolla, dove il viso sorridente di Victoria rappresentava l'obiettivo da raggiungere, ma in quel momento lo vedevo farsi sempre meno nitido, sempre più lontano e distante, fino a scomparire. Sentii il mio battito cardiaco accelerare, il respiro venire a meno, le mani sudare freddo e la testa girare terribilmente. Tirai il colletto della mia maglietta, annaspando con il respiro pesante e sentendomi come se stessi per soffocare, ma più tentavo di aggrapparmi a un qualcosa per placare il mio panico, più sentivo la bolla stringersi, stringersi ancora, fino a farsi sempre più stretta e minacciare di soffocarmi. Mi alzai di getto dal divano, alzai le braccia arrendevole e posai una mano sul mio cuore, mordendomi le labbra e deglutendo rumorosamente. - Ho bisogno di aria – Dichiarai trattenendo l'aria nei polmoni e espirando solamente una volta fuori nel giardino.

Posai le mani sui fianchi, portando il viso al cielo e chiudendo gli occhi per calciare i sassolini dell'aiuola attorno all'albero, e cominciando a camminare scuotendo il capo quando mi resi conto che calmarmi sarebbe stato più complicato del previsto. Feci il giro di tutto il giardino diverse volte, fino a soffermarmi accanto al cancello d'ingresso e inginocchiarmi a terra, stringendo le gambe fra le braccia, esattamente come Victoria mi aveva insegnato. Non avevo mai sofferto di attacchi di panico in tutta la mia vita, ma gli avvenimenti recenti mi avevano portato anche a quello, abbastanza frequentemente oltrettutto, soprattutto nell'ultimo mese. Mi sentivo così piccolo ed insignificante a confronto del resto del mondo, così inutile, che avevo la sensazione che per quel motivo mi stessero prosciugando tutto l'ossigeno. Era stupido, lo sapevo benissimo, però era ciò che sospettavo stesse accadendo. Ero stato così concentrato e preso dalla situazione con mio fratello, dalla morte di mia madre, da come io mi sentivo realmente, che avevo messo in secondo piano lei, dando per scontato che stesse meglio di quanto potessi stare io. Se c'era una cosa che mi aveva insegnato in quei mesi, era proprio che il dolore e la sofferenza di una persona non era meno banale di quella di altre. Ognuno reagiva ai porblemi a proprio modo, reagiva al dolore a proprio modo, e nessuno aveva il diritto di dire o pensare che ciò che stava vivendo era meno peggio di altro, o che esisteva di peggio al mondo. Ogni persona aveva il diritto di sentirsi triste, nessuno poteva dirgli come doveva stare, come doveva sentirsi, come doveva vivere ed io, preso da ciò che stava accadendo a me, involontariamente, era proprio ciò che avevo fatto con lei. Inconsciamente era come se avessi dato per scontato che dopo la chiusura del processo sarebbe stata una strada tutta in salita per la felicità, per lei, ma era evidente che mi sbagliavo. Mi sarei occupato di lei ogni secondo della mia vita, da quel momento in poi. Le avrei parlato di mia madre, le avrei parlato di ciò che aveva detto Ryan, e lo avrei fatto perchè avevo bisogno di lei tanto quanto lei aveva bisogno di me.

Una delle poche cosa che mia madre mi aveva detto era stata che anche a Chernobyl i fiori erano in grado di crescere, che anche dal marcio del mondo potevano nascere e che, a suo parere, erano molto più belli di qualsiasi altro fiore, proprio perchè erano nati dalla sofferenza, dalla tristezza, ed erano i colori dati dalla forza più pura, quella del cuore, nata dalla fragilità. Secondo lei una persona poteva diventare forte una volta imparato che la fragilità, in realtà, era una virtù, era ciò che rendeva umani, la vera forza.

Sentii il cancello scattare al mio fianco e mi irrigidii all'istante quando sentii le voci di mio fratello e Katherine. Non feci nemmeno in tempo ad alzarmi in piedi, perchè Ryan era già davanti a me e mi osservava dall'alto al basso, con la testa piegata di lato e un sorriso dolceamaro. - Non sapevo soffrissi di attacchi di panico, fratello – Disse abbassandosi e accucciandosi davanti a me.

Scoccai un'occhiata a Kat che mi guardava con gli occhi lucidi e trattenendo il respiro. Le sorrisi leggermente, per ciò che riuscivo, e feci un respiro profondo scuotendo il capo, per poi tornare a guardare Ryan che, nel frattempo, aveva allungato la mano verso di me e aspettava che l'afferrassi. Rimasi nell'incertezza a lungo, ad essere onesto, ma alla fine l'afferrai e lasciai che mi aiutasse a rialzarmi. - A dire il vero è una novità anche per me. - Risposi facendo spallucce.

- Come sta? - Chiese Katherine preoccupata. - Ryan mi ha raccontato quello che è successo. - Affermò poi. La mia amica indossava un top rosa, un paio di jeans bianchi a vita alta e degli stivali neri alti fino alle ginocchia. Una giacca di pelle le copriva le spalle nude, era leggermente truccata e la sua spruzzata di lentiggini era così adorabilmente visibile che fece sorridere pure me, in mezzo a tutta quella tristezza. I biondi capelli fluttuavano nel vento e, quando posai lo sguardo su mio fratello nuovamente, notai come la stava osservando. Sarebbe stato chiaro anche a un cieco che Ryan era realmente innamorato di lei e, per quanto lo conoscevo, ero sicuro al mille per mille che, almeno sui suoi sentimenti per lei, non mentiva.

- Preparati – Replicai solamente. Guardandola negli occhi, dopo la sua domanda, mi venne da piangere, e non sapevo nemmeno per quale motivo. - Peggio di quel che tu possa immaginare. - Tornai a scuotere la testa sentii le labbra tremare, oltre che la lacrime pulsare e pregarmi di lasciarmi andare.

Alle mie parole Kat fece un passo avanti e mi abbracciò teneramente, stringendomi forte e strisciando il viso nell'incavo del mio collo. La mia risposta non tardò ad arrivare, tanto che la strinsi a mia volta e alla fine cedetti alla pressione delle lacrime, lasciando che la mia fragilità si mostrasse ai loro occhi. Mi sentivo annebbiato dal caos, nel mezzo di un uragano che avrebbe distrutto e rovinato ogni cosa, e quell'abbraccio mi fece sentire meno solo in quel ciclone. Katherine era una delle persone più dolci, sensibili ed empatiche che io avessi mai incontrato, ed era per quello che avevo sempre pensato che la sua vicinanza avrebbe aiutato Victoria. - Andrà tutto bene – Bisbigliò accarezzandomi la schiena. - Affronteremo anche questa, con lei. -

Annuii e la strinsi ancora una volta, più forte, e alla fine mi allontanai sorridendole. Ryan posò una mano sulla mia spalla e, per la prima da quando era tornato, rividi di nuovo mio fratello. Il fratello per cui avevo lottato fin da bambino, con il quale ero cresciuto, quello per cui avrei dato la mia vita. Pensandoci bene mi chiesi come potesse una persona cambiare così tanto, se qualcuno potesse realmente cambiare e se, infondo al suo cuore, quel bambino che teneva sempre un pallone sotto braccio esistesse ancora. - Sam è dentro con Richie, ha bisogno di te. - Dissi a Katherine dopo aver scoccato un'occhiata a Ryan.

La vidi respirare profondamente e spostare lo sguardo da me a mio fratello che però, annuì e le fece un cenno del capo sorridendo, così lei gli diede un delicato bacio e corse in casa da Sam che probabilmente stava molto più male di me. - Mi dispiace – Esclamò Ryan. - Sul serio. -

Annuii e mi morsi il labbro guardandolo da sotto le ciglia e tenendo comunque lo sguardo basso. - Lo so – Sussurrai debolmente. Rimasi in silenzio ancora qualche istante, ma poi alzai la testa e lo fissai battendo le palpebre. Feci una smorfia e presi a giocare con i miei anelli, roteai gli occhi al cielo con fare nervoso e alla fine cercai il suo sguardo sospirando. - Grazie – Gli dissi deglutendo rumorosamente e distogliendo lo sguardo. - Per ieri sera intendo. - Continuando tossicchiando. - Per averla trovata, per avermi chiamato e per averla riportata a casa. Non ti ho ringraziato ieri sera, perdonami ma ero... - Piegai la testa di lato fissando lo sguardo in un punto indefinito, nel vuoto probabilmente. - Sconvolto. - Dopo qualche istante di silenzio tornai ad osservarlo, tossicchiando e grattandomi la testa. - Posso chiederti, per favore, come l'hai trovata? -

Ryan sollevò le sopracciglia e portò il viso cielo grattandosi la testa. I suoi occhi scuri si posarono su di me per un istante, poi scosse il capo e fissò l'erba sotto ai suoi piedi. - Lei mi ha seguito, Benjamin. - Esordì rompendo il silenzio. - E io l'ho sentita. -

Spalancai gli occhi confuso, oltre che sorpreso, e lo fissai come se avesse appena un'assurdità. - Lei ha fatto cosa? - Esclamai scioccato.

- Mi ha seguito, insieme all'altra biondina, Vanessa. - Spiegò annuendo.

In realtà la cosa mi stupì fino a un certo punto. Quando, però, pensai a quello che lui aveva appena detto e quello che aveva farfugliato Victoria, iniziai a collegare i puntini e, alla fine, scoppiai a ridere divertito. - Ti ha seguito. - Dissi ridendo e sfregandomi gli occhi. - Non ci posso credere, lo ha fatto davvero. - Continuai divertito a livelli veramente assurdi. A dire la verità avrei dovuto strozzarla perchè avrebbe potuto cacciarsi nei guai e farsi del male, ma mi divertiva veramente troppo il fatto che si fosse messa a seguire Ryan, anche se non avrebbe dovuto farlo. - è proprio la mia donna, cazzo. -

- Ti diverte così tanto la cosa? - Domandò scioccato dalla mia reazione. A giudicare dalla sua espressione dedussi che si aspettasse che mi sarei arrabbiato o che avrei dato di matto, ma poi pensai a quanto ieri sera fosse nel suo mondo e a quanto fosse fuori di sé, e mi ritrovai a pensare che nonostante quello che le stesse capitando aveva rischiato, per me. Lo aveva seguito e poi era corsa da me, era incredibile, oltre che assurdo. - Benjamin, te l'ho già detto una volta e non sto scherzando: tieni Victoria fuori da questa storia. Veramente Ben, ti sto parlando da fratello, tu devi fare in modo che non faccia più queste stronzate, lo dico per il suo bene. -

Tossicchiai cercando di riprendermi e, dopo aver annuito e fatto una smorfia contrariata, incrociai il mio e sguardo e infilai le mani in tasca raddrizzando la schiena e scalciando un sassolino ai miei piedi. - Che cosa ha visto? - Gli chiesi sollevando le sopracciglia. Ryan strinse gli occhi ad una fessura e fece spallucce distogliendo lo sguardo, poi scosse il capo. - Ryan, te lo sto chiedendo da fratello, che cosa ha visto? -

- Non ha visto nulla! - Esclamò allargando le braccia. - Anche perchè l'ho sentita. -

- Fammi capire... - Gesticolai nervosamente e mi grattai il mento pensieroso. Stavo cercando di ricostruire gli avvenimenti della sera precedente e ad essere onesto c'era comunque qualcosa di strano, qualcosa che non mi tornava e che non mi stava dicendo. - Lei ti ha seguito, l'hai sentita e quindi tu hai seguito lei? -

Battei le palpebre confuso e sospirando rumorosamente, ma poi lo vidi annuire e fare spallucce. - Che cosa ti aspettavi che facessi? - Domandò osservandomi come se fossi pazzo. - Mi ha seguito Ben, si è proprio appostata sotto la pioggia ed è rimasta ad ascoltare e guardare tutto quello che facevo. Per sua fortuna l'ho sentita io e sono stato io ad accorgermi. Senza contare che si è messa a urlare come una pazza, alle tre di notte, nel parcheggio del locale. Chiunque potrebbe averla sentita e vista, stava dando di matto, ed è per quello che l'ho seguita, visto che quella stupida di Vanessa è rimasta a guardarla mentre impazzita correva verso casa tua, sotto la pioggia. Continuava a farfugliare che doveva correre da te, che non aveva più tempo, urlava letteralmente in mezzo alla strada, che cosa avrei dovuto fare? Chissà cosa sarebbe potuto succederle, non potevo lasciarla andare e far finta di niente, soprattutto date le sue condizioni. Se fosse stato qualcun altro probabilmente me ne sarei fregato, ma è la tua ragazza e non stava bene, proprio per niente. -

- E non potevi fermarla invece che farla correre come una pazza sotto la pioggia? - Gridai a quel punto. - Avresti dovuto prenderla e portarla tu da me, non farle fare quella strada da sola in piena notte! Ma ti rendi conto di quello che le sarebbe potuto succedere? -

- Il locale è a nemmeno due isolati da casa tua, Benjamin. - Replicò con calma. - Sono andato a prendere la macchina ma nel frattempo lei è arrivata da te. L'ho vista entrare in casa e poco dopo uscire, le sono corso dietro e quando è caduta mi sono avvicinato a lei. Ha sbattuto la schiena contro un cazzo di albero ed era completamente fuori da testa, alla fine ho lasciato perdere le sue urla e l'ho presa in braccio, poi l'ho portata in macchina e ti ho chiamato. È svenuta per qualche secondo e poi si è ripresa, ma sai com'è non avendo idea di cosa le stesse succedendo non è che potessi fare chissà che cosa. Ringrazia Dio e tutti i santi che sono stato io a trovarla, qui te lo dico e te lo ripeterò fino allo sfinimento: lasciala fuori da questa merda. I nostri problemi devono restare tra di noi: niente Katherine, niente Victoria, niente Vanessa, niente Sam e niente Carter. Smettila Benjamin, devi smetterla tu e devono smetterla loro, basta, lascia perdere. - Sbraitò di rimando.

- Io non so nemmeno di quali cazzo di problemi tu mi stia parlando! - Urlai alzando le braccia. - Se tu mi dicessi che cosa stra cazzo stai combinando, allora forse potrei capirci qualche cosa, ma finchè mi dici di restarne fuori io non riuscirò a farlo. Mi continui a ripetere che devo fidarmi di te, benissimo: dimostramelo. Dimostrami che posso fidarmi, parlami, dimmi che cosa sta succedendo, fammi capire quanto effettivamente può essere pericoloso, dimmelo. Sono tuo fratello, dimmelo, per favore, basta con questi giochetti, parlami, adesso. -

- Vorrei – Esclamò senza fiato e con gli occhi spalancati. - Vorrei, ma non posso farlo. Io non posso. -

- Non puoi, non puoi, non puoi... - Gli diedi le spalle e scossi il capo infilando le mani in tasca. - Come pretendi di avere la mia fiducia se non mi dici che cosa sta succedendo? -

- Se avessi voluto farti del male, se avessi voluto fare del male a Victoria come tutti pensate, non ti avrei chiamato ieri sera. Non ti basta sapere che l'ho riportata da te, come dimostrazione di fiducia? - Mi chiese calmandosi e respirando affannosamente.

Tornai a guardarlo e tirai su con il naso scuotendo il capo. - No, Ryan. - Sussurrai stringendo i pugni. - Mi dispiace, ma no. Non mi basta. -

Quando fece per replicare, però, la porta si spalancò e Victoria si presentò sulla soglia sorridendomi, finchè i suoi occhi non si posarono su mio fratello. La vidi irrigidirsi, tanto che feci un passo avanti per potermi avvicinare e abbracciarla, ma prima che potessi farlo cominciò ad arretrare ad occhi spalancati e, alla fine, si prese la testa tra le mani guardando mio fratello come se fosse un mostro. - No – Esclamò mettendo le mani avanti. Dietro di lei comparvero Katherine e Sam, entrambi confusi, ma lei continuò ad indietreggiare andando a sbattere contro suo fratello. - Ti prego non portarmi via – Disse con voce tremante e piangendo. - Per favore, non voglio venire via con te, voglio restare qui, ti prego. -

Ryan si voltò ad osservarmi confuso, mentre io con le mani sollevate, mi avvicinavo a lei con calma, parandomi davanti a mio fratello e sparando che lo sguardo di Victoria si posasse nei miei occhi. - Va tutto bene, Victoria – Quando fui abbastanza vicino presi il suo viso tra le mani e feci un cenno a Katherine di portare via Ryan. - Ci sono io, andrà tutto bene amore mio, nessuno ti porterà via, ci sono qui io. -

Victoria stava piangendo e, quando l'abbracciai, inziò ad agitare le braccia e ad urlare in preda ad una crisi di panico che non avevo mai visto in tutta la mia vita. Era terrorizzata, tremava per la paura che aveva nei confronti di mio fratello, sembrava avesse sviluppato un vero e proprio terrore verso di lui.

Sam ci oltrepassò mentre lei si disperava e accompagnò fuori i ragazzi mentre io cercavo di calmarla baciandole la testa, ma era così spaventata e tremava così tanto che non ero certo di poterci riuscire.

Fu così che, mentre la stringevo e la prendevo in braccio per portarla al piano di sopra, pensai che forse le parole di mia madre per noi non significavano niente. Victoria era persa, completamente persa e non sapevo se ci sarebbe stato un finale felice per noi, per tutta quella storia e dopo quel dolore spaventoso.

Forse, nel nostro caso, dopo tutte quelle lacrime non sarebbero cresciuti dei fiori, forse sarebbe soltanto aumentato il dolore, e sarebbe diventato così forte da fare impazzire entrambi. Io e lei eravamo mischiati con pelle, anime e ossa, ormai eravamo una persona sola, ed era un po' come mischiare due colori differenti: alla fine, non puoi più separarli.

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Hello, hello, helloooooo
come state??

Finalmente, per la vostra gioia (forse), sono riuscita ad aggiornare.
Vorrei che non vi metteste a gridare o impazzire perché non è ancora il momento honestly hahha

spero che abbiate letto TUTTO SENZA SALTARE NULLA con estrema ATTENZIONE, senza perdervi nulla perché ogni cosa che viene detta in questi capitoli è FONDAMENTALE per i capitoli successivi, se vi siete persi qualche pezzo, non capite più niente.
Sono pesanti, difficili da leggere e anche da scrivere. Spero recepiate le emozioni giuste, che le sentiate nel vostro cuore proprio come succede a me quando scrivo.

vi voglio bene

a presto,
ila
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