Capitolo 5 - Sii il mio fuoco
Stavano ancora giocando? Lei no. «Penso che Laura l'abbia pagato per me».
Lui alzò le braccia, facendo cenno alla stanza. «Vedi qualche preservativo usato in giro? Non ci ho fatto niente e ho ancora voglia. Anzi, è raddoppiata».
«Non raccontarmi balle. Da quando sono arrivata, non hai fatto che tormentarmi. Vuoi davvero farmi credere che sei attratto da me e non miri solo a darmi sui nervi?»
«L'ho fatto perché sei testarda, sei determinata a ignorarmi. Hai fatto finta che non esistessi in qualunque posto ci fossi anch'io. Volevo che mi vedessi. È frustrante. Sono abituato a essere ignorato. Ma quando lo fai tu... ho l'impulso di prendere a pugni qualcuno».
Era stata costretta a ignorarlo. Quando lo guardava, le sue ginocchia cedevano, l'aria diventava pesante, il mondo vorticava. Non poteva permettere a nessuno di avere un tale potere su di lei.
Doveva trovare il modo di uscire. Ma prima si sarebbe rimessa i fuseaux, umidi o meno. Certo, per farlo avrebbe dovuto scoprirsi davanti a lui. L'idea non l'allettava.
«Voltati. Almeno lasciami vestire».
Lui interpretò una smorfia pensosa. «Mi hai appena ordinato di fare qualcosa che, piuttosto che farla, preferirei mutilarmi. Prova a intuire la mia risposta».
«Sean, cazzo, sono seria. Girati. Solo per pochi secondi».
Con la testa dritta e lo sguardo leggermente basso per fissare gli occhi scuri di Nathalie, lui avanzò. «E se piuttosto facessi questo?»
Che voleva fare?
«Stammi lontano. Sean, giuro che se provi a...!»
Indietreggiare servì a poco. Le strappò i fuseaux di mano e li gettò via.
In preda alle lacrime per il disagio, Nat si impose di non osservare la sua reazione. Quant'era schifato? L'avrebbe insultata?
Le tornarono in mente, le loro parole. Le avevano detto che si meritava di peggio, che doveva morire lei al posto di Avery. Avevano minacciato di stuprarla.
«Mettiti al centro della camera».
Nathalie trasalì. L'occhiata che le stava rivolgendo non era cambiata rispetto a prima. Era una pantera nera che ringhiava sottovoce e si leccava i baffi, stava puntando la preda.
Voleva farla fessa, giusto? Doveva aver notato la cicatrice, era impossibile non farlo. Era disgustosa, più scura della sua carnagione e le ricopriva la gamba con dei segnacci rossi. Parevano le ferite dovute a un fulmine.
«Che vuoi fare?»
Il petto di Sean andava su e giù, come se si stesse trattenendo. «Devi imparare due cose su di me, Miss Lily. Uno, faccio solo quello che voglio. Due, io non devo spiegazioni a nessuno. Vai al centro. O sei troppo rigida per godertela?»
Rigida.
Come aveva pensato il primo giorno, non gliel'avrebbe lasciata la soddisfazione. Non era scappato alla vista della cicatrice. Forse poteva dargli un minimo di fiducia. In fondo, era anche curiosa di sapere cosa stava progettando.
Si posizionò, le braccia lungo i fianchi.
«Via scarpe e calzini».
Slacciò le sneakers, con la punta del destro liberò il piede sinistro, poi invertì. Sfilò i corti calzini bianchi e li mise da parte con le scarpe.
«Anche la giacchetta e il top, Miss Lily».
«Stronzo», borbottò, ma fece come richiesto.
Nathalie era rimasta con gli indumenti intimi e la gonna. I capelli, che per quella sera aveva lasciato liberi, le fecero da scudo alla schiena nuda. Al col tempo, il collo prese a sudare a causa loro. E di Sean.
Se avesse tirato fuori il cellulare per scattarle una foto a tradimento, lo avrebbe menato. Fanculo la loro differenza di massa muscolare, tutti gli uomini si piegano con un calcio all'inguine.
«Mani dietro la schiena, tieniti gli avambracci».
Eseguì.
«Allarga le gambe».
Inspirò bruscamente. Non le avrebbe fatto del male. O per lo meno, lo sperava.
Provò a calmarsi. Poteva andarsene quando voleva. Poteva schiaffeggiarlo, rubargli le chiavi e uscire da lì. Non era costretta a fare nulla. Eppure... più obbediva a Sean, più il peso sulle spalle diminuiva. Non era lei che programmava le sue prossime mosse.
Separò le gambe.
«Di più».
Aumentò la distanza tra i talloni e rimase dritta. Si sentì esposta. La sua era una pessima imitazione della posizione di riposo militare.
Sean si mosse lentamente, fino ad arrivarle a un palmo dal naso.
Nathalie si ricordò che non erano soli, che nelle altre stanze e al piano di sotto c'era una baraonda di persone. Prima o poi, Shelby e le altre sarebbero venute a cercarla. Sapevano che senza di loro, lei non poteva tornare a casa.
Il respiro caldo e accelerato di lui le solleticava le labbra. Lei fu contenta di appurare di non sentirci il sentore dell'alcol.
Alcol! Ecco. Avrebbe potuto dare la colpa all'alcol, per questo aveva ceduto alle avances di lui.
Certo, per due bicchieri mezzi pieni di rum e coca? Come no.
Cogliendola di sorpresa, Sean cadde in ginocchio, continuando a fissarla negli occhi. Pareva in trance, come se una visione celestiale gli fosse apparsa davanti e lui non riuscisse a crederci.
Poteva essersi fatto di qualcosa?
Nat trattenne un gemito, Sean le stava passando entrambi gli indici intorno alle ossa sporgenti delle caviglie. Le dita aumentarono e le risalirono i polpacci. Si agitò quando le mani messe a coppa le passarono sul retro delle ginocchia, rendendola consapevole di quanto fosse sensibile in quel punto. Rifece il percorso all'indietro, più volte, come se la cicatrice non ci fosse.
Per il fatto che le copriva da mesi, le sue gambe non erano più abituate all'aria sulla pelle nuda. Figurarsi a un tocco che non era il suo.
Quando le mani tornarono su, non si fermarono. Nell'esatto istante in cui ebbero una presa dominante sul culo di Nathalie, Sean seppellì la testa sotto il tessuto nero della gonna e gliela baciò; solo le mutandine lo separavano dal suo obiettivo.
Nathalie ansimò e gettò il capo all'indietro, il groviglio caldo nelle membra si infiammò. Le sue unghie stavano lasciando il segno sugli avambracci per la voglia di toccarlo. Se l'avesse fatto, lui si sarebbe fermato?
No, un momento. Lui doveva fermarsi.
Perché non lo stava fermando?
Era sbagliato. Loro due insieme erano sbagliati.
Lei lo detestava.
Ma ciò che le stava facendo era così bello. Stava andando in combustione.
«Speravo indossassi quelle che ho preso per te», le ansimò addosso. «Le ho scelte di proposito assieme al reggiseno. Si intonano alla tua carnagione».
Non era una di quelle bambole a cui si cambiava l'abito a proprio piacimento. «Hai sprecato i tuoi soldi. Li ho buttati, quei tuoi regali sconci». Se sua madre li avesse visti, avrebbe cominciato a fare domande.
Sean rise e la palpò. «Non ho sprecato niente. La tua espressione impacciata quando hai trovato la biancheria, il rossore sulle tue gote, quanto sei stata imbranata nel nascondere l'intimo nell'armadietto e il viso con i capelli... Stavi avendo pensieri poco casti, Miss Lily? Raccontameli».
Percepì la lingua, grossa, bagnata e calda, attraverso il pizzo. Le mani strinsero il suo culo e la spinsero verso la bocca peccatrice. I denti tirarono il bordo delle mutandine, le mordicchiò la striscia di pelle tra il pube e l'addome e strusciò il viso sulla sua fica coperta.
Si stava bagnando, la carne pulsava. Lo voleva.
«Ho immaginato di strangolarti con il reggiseno. Di salirti in grembo e ficcarti in bocca quello stupido tanga». Digrignò i denti quando le morse l'interno della coscia.
Lui le respirò sulla pelle e inalò il suo odore. «Sono contento che hai scelto di ficcarmi altro in bocca».
Non era mai stato così. Brutale, irriflessivo, racalcitrante.
Perché proprio Sean Foster?
Nathalie non resistette più. Infilò le mani sotto l'orlo della gonna e tirò i corti capelli del ragazzo che la stava facendo impazzire. Con ancora l'intimo addosso, gli scopò la bocca. Premette contro di lui, mordendosi il labbro per non emettere suoni.
Sean le lasciò dei lividi sulle natiche, infilando le dita sotto l'intimo, e seguì il suo ritmo. Lei lo strattonò alla radice.
Prima che potesse raggiungere il piacere assoluto, lui la sollevò e la tenette contro di sé, alzandosi. Nat si ritrovò con le cosce bloccate sotto le sue ascelle, le braccia di lui a sostenerle la schiena.
Le loro labbra si sfioravano. I loro occhi erano lucidi, le pupille talmente dilatate da nascondere i colori delle loro iridi.
«Sei come me», disse Sean col respiro affannoso.
«E cosa sarei?»
Le morse il labbro inferiore e glielo succhiò. «Una giocatrice». Con un ringhio, si nascose di nuovo contro il suo corpo. La faccia sepolta nella scollatura, la bocca ad assaggiare il seno rivestito anch'esso di pizzo nero.
La testa di Nathalie girava a raffica. Dimenticò ogni cosa, c'era solo Sean e il caldo del suo corpo.
La fece scivolare in basso, costringendola a strusciarsi contro di lui, fino a posizionarla con le gambe intorno alla sua vita e le braccia attorno al collo.
Le scostò una ciocca di capelli dalla guancia bollente. «Voglio questo. Voglio cibarmi di te. Voglio i tuoi versi di piacere, il tuo sguardo su di me, le tue mani che mi graffiano. Voglio lasciarti segni addosso e che tu ne lasci a me».
Le assaporò il collo sudato, la spalla, la clavicola.
«Voglio che mi domini».
Dominarlo? «Ma... Io...»
«C'è qualcosa di estremamente malato in te. Vuoi sapere perché lo percepisco? Perché ho la tua stessa fame. Tu sei come me».
Nat era in apnea. Come fosse sballata. Era stato molto ciò che era accaduto ed era capitato in fretta. Sean le tenne il viso per farsi guardare.
«Voglio che diventi il mio fuoco, Nathalie».
Il suo fuoco.
Per questo lui l'accendeva. Sean era benzina.
Infiammabile, tossica, inquinante. Ma che portava il suo motore a chilometri mai raggiunti.
Era combattuta. Lui era proprio di fronte a lei e, nonostante quello che le aveva fatto, ancora non si erano baciati. Voleva farlo. Desiderava sentire il suo sapore, lasciarsi divorare.
Voleva essere sua.
Per un'ora. Una notte. Un giorno. Fin quando non le sarebbe bastato.
E poi lo avrebbe ucciso, come gli aveva promesso.
Prima la brama, poi il pentimento.
Poteva farlo. Non l'avrebbe saputo nessuno.
Un bussare li fece rinsavire, riportando loro alla realtà. «Sean? Sei lì? È tutta la sera che ti cerco».
Jules.
Nathalie si scostò da Sean, raccolse gli abiti e si rinchiuse dentro il guardaroba con doppia anta, rivestendosi. Non si era accorta della faccia offesa di Sean.
I colpi sulla porta continuarono. Nat, nascosta tra buio e camicie appese, origliò la conversazione quando Sean girò la chiave. Le loro voci, fortunatamente, erano più vicine rispetto alla musica che stava facendo vibrare il pavimento.
«Che vuoi?»
«Perché ti sei rinchiuso? Sei con una tipa?»
«Sono affari miei. Dimmi che c'è, ho da fare».
«Sean, amico, fratello, sono il più grande fortunato bastardo del mondo».
«Sul "bastardo" mi trovi d'accordo, ma come mai?»
«Colei che amo mi ha amato per prima».
«Parla come mangi, Amleto».
«Raine, fratello. La mia signora, la mia regina, la pioggia del mio arcobaleno. Mi ha baciato!»
«Per zittirti?»
«Vale lo stesso».
«Grandioso. E lei adesso dov'è?»
«Fuggita. Volevo dirtelo prima di cercarla. Amico, sono cotto. Sono morto e risorto. Non è che l'hai vista?»
«Come potrei averla vista se sono qui dentro da un'ora? Dai, vai a parlarle e lascia me in pace». La porta venne richiusa e la chiave rigirata.
Nathalie tirò un sospiro di sollievo e rilasciò un gridolino quando venne presa per un braccio e tirata bruscamente fuori dal guardaroba.
«Perché cazzo ti sei nascosta?»
«Ho agito d'istinto». Finì di coprirsi, i fuseaux freschi le si attaccarono alla pelle.
Sean sbuffò e serrò la mascella. «Certo, è ovvio. Ti vergogni a farti vedere con uno come me».
Che problemi di autostima aveva questo ragazzo?
«Mi sarei vergognata a farmi trovare con chiunque, non è decoroso».
«Decoroso. Ma sentitela, sua altezza reale».
Gli diede un'occhiata in tralice mentre si allacciava la scarpa. «Piantala».
«Secondo te cosa stanno facendo nelle altre camere da letto? A nessuno frega un cazzo di chi ti scopi, perciò smettila di fare la puritana».
Forse aveva ragione, non importava a nessuno. Però la gente parlava. Se sua madre lo avesse scoperto, sarebbe arrivata a programmare un altro trasloco. E Nat non voleva cambiare città ogni volta, solo perché non riusciva a tenere a freno la sua voglia di vivere prima del previsto.
Percependo il dubbio sul volto della ragazza, Sean rimise le chiavi nelle toppe aprendo le porte del bagno e della stanza. Spalancò le ante della portafinestra e le fece cenno. «Andiamo».
Cosa?
«Andiamo dove?»
Dove voleva andare da quel piccolo balcone?
Lo raggiunse e le venne spontaneo cercare di prenderlo quando lui saltò dalla ringhiera all'albero. Sotto di loro, gli ospiti si divertivano tra la canzone del momento, la birra e la piscina, senza far caso al ragazzo spericolato.
Tenendosi al tronco, Sean le porse la mano. «Vieni, Miss Lily. Non fare la rigida».
Inviperita dalle sue parole, si lasciò aiutare nello scavalcare la ringhiera e aggrapparsi ai rami. Doveva avere le traveggole per andargli appresso, ma voleva rimetterlo al suo posto. Un tempo, lei era stato tutto tranne che rigida.
Era stata una che assaporava la vita e adesso si era scordata che gusto avesse.
Si arrampicarono insieme. Sean saltò sul tetto e prese al volo Nathalie. La condusse sul punto più alto, lei si aggrappò al camino per mantenere l'equilibrio. Fu allora che fece caso a ciò che aveva davanti.
«Lo vuoi sapere un segreto?», mormorò Sean al suo fianco.
«Quale?»
«È proprio bello il mondo visto dall'alto».
Aveva ragione. Il quartiere era costellato da luci artificiali e dai piccoli soli nel cielo. In lontananza, si vedevano le colline che incorniciavano Milton.
In un remoto angolo della sua psiche, Nat si convinse che non avrebbe mai capito Sean. Prima la toccava come fosse un dono celeste, poi la incolpava di non volersi far beccare con lui e dopo la portava a vedere una vista mozzafiato.
Era passata una settimana da quando aveva fatto la sua conoscenza e si era imposta di lasciarlo perdere. A quanto pare, lui aveva idee diverse. Be', avrebbe dovuto motivarsi di più per evitarlo.
Non avrebbe fatto sesso con lui a una festa a casa di sconosciuti. Non era da lei, non più. E non si sarebbe mai arrampicata su un tetto.
Quel tizio aveva una cattiva influenza su di lei. E come una febbre da fieno, non si decideva a lasciarla in pace.
Come sbarazzarsi di lui?
Con grande orrore della ragazza, Sean estrasse una fiaschetta da una tasca e camminò senza riguardi, mantenendo l'equilibrio e bevendo.
«Oh, mio Dio!» Si ancorò ai mattoni, come se stesse abbracciando il camino. «Sean, cosa diavolo combini? Ti sembra un buon momento? Rischi di cadere, fermo!»
Il tetto era triangolare. Avrebbe potuto scivolare e rompersi l'osso del collo.
Non era così tonto, vero?
«Ehi, Foster!» Un amico gli fece cenno dal giardino. «Tuffati, forza!»
Era uno scherzo?
Il suo incoraggiamento coinvolse gli altri e Sean si ritrovò con un pubblico adorante. Il ragazzo riuscì per miracolo a esibirsi in una riverenza, risistemò la fiaschetta in tasca e si mise in posizione per saltare.
La rabbia di Nathalie salì alle stelle. No, col cazzo. La testa maciullata di Avery le si piazzò davanti agli occhi. Non aveva potuto fare niente per il suo amico, ma avrebbe potuto impedire a quel prepotente di compiere un suicidio.
Traballante, si alzò e andò da lui. «Non provarci nemmeno!»
Tendendole nuovamente una trappola, Sean la strinse a sé e fece cadere entrambi. Nat strillò finché non si ritrovò in acqua. Riemerse, scossa dai brividi dell'adrenalina e accolta da applausi e fischi ammirati.
Sean si sollevò con le braccia sulle piastrelle e uscì dalla piscina. Le porse una mano. Lei lo schiaffeggiò alle nocche e fece da sola. «Lo sapevo che neppure il freddo della piscina avrebbe potuto spegnerti», ridacchiò e sorseggiò ancora.
Nathalie, imbestialita, gli rubò la fiaschetta. Le risate intorno a loro non erano diminuite. «Che merda hai in testa, eh? Potevi ucciderci! Solo un coglione come te poteva...»
Inalò un'altra volta la fiaschetta. No.
Tracannò un sorso. Se non fosse stato per la conferma dalle sue papille gustative, il sorriso divertito di Sean avrebbe potuto rispondere per lei.
Analcolico.
«Deficiente!» Gli lanciò contro il petto la fiaschetta di metallo e si diresse, fradicia, dentro la casa. Non avrebbe sopportato ulteriormente la loro ilarità.
Si era fatta un volo dal tetto per salvare lui e quel demente le aveva fatto credere di essere ubriaco. Al diavolo Sean Foster.
Pescò il cellulare dalla borsetta - fortunatamente era intatto - e chiamò un Uber. Era alla festa da poco più di un'ora e si era già bagnata due volte. Non avrebbe atteso Shelby e le ragazze. Fanculo la bugia sul progetto, se ne sarebbe tornata a casa da sola. Pregò che sua madre stesse già dormendo.
Mentre se ne stava immobile sul marciapiede, in attesa, tornò a galla fra i suoi ragionamenti un dubbio. Cos'era la Quarta Strada?
*_*_*_*
Se la storia vi sta piacendo, per favore lasciate commenti e stelle ai capitoli per supportarla.
Grazie!
-Kitta
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