Capitolo 27 - Lavoro di squadra
«Quindi adesso state insieme?»
Raine volse la sua attenzione a Shelby. «Chi?»
«Tu e Jules».
«No. Cosa te lo ha fatto pensare?»
Shelby inarcò un sopracciglio e piegò lateralmente la testa, osservando la ragazza seduta in grembo a Jules. «Sesto senso».
Raine, divertita, agitò una mano. «Non stiamo insieme».
Jules la imboccò con un chicco d'uva. «Ci stiamo solo frequentando».
«Niente di serio».
«Completamente per spasso».
I loro amici, seduti al loro stesso tavolo della mensa, li fissarono poco convinti. L'unica a non degnarli di uno sguardo fu Nathalie, completamente presa dalla calcolatrice e dai calcoli che stava facendo.
Maddie, seduta alla sinistra del ragazzo di Shelby, si poggiò con gli avambracci sul piano a forma di cerchio. «Siete stati la coppia più attesa della scuola. Davvero ci state dicendo che non è nulla di serio?»
Raine annuì. «Noi siamo a posto così. È capitato e basta, non ci ha spinto nessuno. So che avete scommesso su di noi in segreto... Sto parlando con te, Ryuna. Quindi potete dire a quelli che hanno puntato su di me che non serve ringraziarmi».
Jules emise un sospiro svagato e sgranocchiò una patatina. Raine lo scrutò guardinga. «Che c'è?»
«Pioggerellina, siamo onesti con noi stessi». I suoi occhi blu ebbero per un secondo una sfumatura di viola magica. «È vero che ci hai uniti tu alla fine, ma tutto questo non sarebbe capitato se non fosse partito da me. Tu sei troppo cocciuta, non avresti mai fatto la prima mossa».
Il gruppo soffiò un verso di sfida, ci furono risatine interessate.
Rimasta a bocca aperta, Raine incrociò le braccia al petto, sdegnata. «Sì, be', sappi che ti ho preso solo per sfinimento».
Le risate di scherno non mancarono.
Non era assolutamente vero ciò che aveva proclamato la bruna e Jules lo sapeva. Però stette al gioco. «Va bene lo stesso!» Le stampò un grande bacio sulla guancia.
Lei nascose un sorrisetto. «Attento a te, Pepperman».
Nat ebbe l'impressione di star per appiccare un fuoco sulla carta, per quanto stesse spingendo la matita sul foglio nel determinare la cifra che aveva a disposizione sulla sua carta di credito e nascosti nella sua camera.
Non erano abbastanza. Ovviamente non lo erano.
E Sean? Quanto aveva? Poteva seriamente fidarsi di lui per la storia di Madame De la Roux?
Avevano stretto un patto, erano soci, tuttavia l'ago della bilancia pendeva più dalla parte di Nat che da quella del ragazzo.
Non era andata in carcere per omicidio involontario, ci sarebbe finita per un cigno di cristallo. Non poteva essere trascinata dietro le sbarre per uno stupido uccello, solo perché si era scopata in una reggia un uccello differente...
«Nat?»
Sollevò gli occhi, sotterrando il tormento che le stava morsicando gli organi. «Cosa?»
Ryuna spostò lo sguardo da lei ai numeri che aveva scritto, sporchi di gomma e strisciate di matita. «Tutto bene? Hai problemi con Algebra?»
Deglutì, negò e azzannò il suo tramezzino, finendo il pranzo. Raccolse le sue cose e salutò i presenti.
C'erano i corsi pomeridiani, la sua occasione per convincere il club di fotografia ad assumerla come modella.
Non era un'idea sciocca, come credeva Sean. Era solida, regolare, poteva funzionare... se uno scatto avesse avuto il valore di due volte lo stipendio di sua madre.
Usufruendo di un'uscita di emergenza, si occultò nel retro della scuola. Si accertò di essere sola e che nessuno si stesse affacciando dalle finestre, raccattò il pacchetto di Marlboro dallo zaino e se ne accese una. La nuca si poggiò ai mattoni, le palpebre si chiusero, rilassate.
Anche facendo quattro lavori contemporaneamente, non sarebbe mai riuscita ad avere la cifra che le serviva in tempo. Era abituata ad averceli i soldi. Stavolta era in guai grossi.
Lo stress le provocò una cervicale. I test per l'università, mantenere un profilo basso, trovare il denaro per Madame, impedire che sua madre scoprisse che stava facendo di nuovo dei pasticci... Se ci fosse stato Avery, le avrebbe consigliato di scappare dallo Stato.
Era tutta colpa del suo egocentrismo. Lei aveva scelto di trasferirsi a Milton per incontrare suo padre, da lì era stata una reazione a catena. Be', quella decisione e il conoscere Sean Foster.
«Sii cauta, Miss Lily. Non vorrai bruciare i tuoi petali».
Parlando del diavolo...
«Perché sai sempre dove sono?» E perché ci teneva così tanto a rovinarle l'umore?
Il suo fianco era poggiato pigramente contro il muro per osservarla, i capelli erano coperti dal berretto da baseball nero sistemato al contrario. Le rubò la sigaretta e fece un tiro. «Ho i miei trucchi. Ricordati cosa sono capace di fare».
Il ricordo fantasma del suo membro che le entrava dentro, facendola sentire piena e appagata, le fece quasi emettere un gemito. Il corpo che l'aveva tenuta bloccata contro una scrivania, un divano e un lampione, adesso era davanti a lei. Non la stava toccando, eppure riuscì a sentire come una pressione all'inguine.
«Sì, sei capace di rovinarmi la giornata». Si riprese il mozzicone e inspirò la nicotina. «Che vuoi?»
Sean la percorse con le pupille. Stivaletti neri, jeans sbiaditi e maglia bianca a maniche lunghe. Non era visibile alcun frammento di pelle indecente, nondimeno era talmente intrigante da fargli girare la testa. «Siamo soci, dobbiamo collaborare. Inoltre... mi piace guardarti. Quindi non chiederti più perché ti sto tra i piedi».
Era irritante il suo modo di fare da seduttore. Non sembrava che stesse prendendo seriamente la cosa come lei. «Ti pare il momento di giocare? Piuttosto, pensa a un piano. Abbiamo bisogno di soldi, Lord Menace, e alla svelta».
Lui fece schioccare l'interno di una guancia. «Forse io ho un'idea».
Era proprio testardo. «Non tirare di nuovo fuori la Quarta Strada».
«È la soluzione più veloce che abbiamo».
«Evitare di finire in prigione facendo qualcosa che rischia di portarci in prigione. Che grande idea».
Sean le andò addosso, costringendola a sollevare il mento per guardarlo. «Ascoltami bene, Gray. Se non ce la facciamo e Madame chiama la polizia, sono io quello fottuto tra noi due. A te potrà pagare la cauzione la tua ricca mammina, io invece resterò dentro perché non ho nessuno in grado di pagare per farmi uscire».
Okay, sotto certi punti aveva ragione lui. Però non era vero che solo lui sarebbe rimasto fottuto. Se l'avessero arrestata, avrebbero scoperto la sua identità e si sarebbe sparsa la voce. Tutti l'avrebbero odiata, ancora.
Spense la cicca, calpestandola. «Faremo le cose per bene. Non si discute. Potremo trovare un lavoro da fare insieme nel weekend».
Sean ringhiò, scoraggiato. «Che diavolo! Ho i compiti e il lavoro in officina cinque giorni su sette, il weekend è l'unico periodo libero che mi concedo».
Non era aria per lamentarsi. «Tu davvero non ci arrivi? Non la senti la lama che pendola sopra le nostre teste? Dimentica i festini e i tuoi amici. Fino alla mezzanotte di Halloween, sei legato al nostro patto».
Una scintilla pericolosa attraversò come un lampo gli occhi di Sean. «Invece non posso proprio scordare i miei amici e i festini».
Nat fece un broncio nauseato. Non la convinceva quella sua espressione diabolica. «Che c'è? A che stai pensando?»
«Hai una vaga idea di quante scommesse, di quanti giochi si facciano alle feste degli studenti e nei locali? Possiamo allearci contro di loro».
Questo era il colmo. Non la stava minimamente ascoltando. «Mi prendi in giro? Vuoi ingannare dei ragazzi con delle scommesse truccate?»
Sean sorrise, incalzato dai propri pensieri. «Ragazzi che saranno ubriachi e fatti. Siamo già in vantaggio».
«Idiota. Niente. Di. Illegale». Era così difficile da capire?
«Fidati di me. Ho già un piano in mente».
«Conosci l'espressione "Quando gli asini voleranno"? Ecco. Faremo come dici tu, quando riuscirai a succhiarmi il cazzo».
«Se facciamo come dico io, risolviamo la situazione prima del previsto. Se facciamo come dici tu, siamo fregati per davvero».
Nathalie ridacchiò, esausta ed esasperata. «Lo sapevo che non potevo contare su di te. Raccoglierò i soldi da sola, senza il tuo aiuto. Ci farai ammazzare». Lo superò rifilandogli una spallata e rientrò nell'edificio.
Sean Foster era un babbeo in cerca di problemi. Col cavolo che sarebbe stata al suo gioco perverso. Corse clandestine e barare a delle scommesse. Si era bevuto il cervello?
Andando avanti con la propria idea, Nat trovò l'aula giusta. Entrò e socchiuse gli occhi per i flash. Alcuni suoi coetanei stavano scattando delle foto a un cesto di frutta, mettendo le macchine fotografiche costose in svariate posizioni.
Un ragazzo con gli occhiali la notò e le sorrise. «Nathalie?»
«Sì».
«Ciao. Declan, ci siamo sentiti per telefono. Grazie per il tuo aiuto». Le strinse la mano.
Nathalie sorrise con fare ammaliante al direttore del club con cui si era messa d'accordo per fare gli scatti. «Sono felice di potervi essere utile».
E di poterci guadagnare qualcosa, in particolare.
Declan le diede indicazioni su come si sarebbe svolto il servizio fotografico. Che era una prova, che doveva seguire i suggerimenti dei fotografi e che a fine lavoro avrebbero guardato insieme il risultato.
Nathalie si mise al centro della stanza, contro il tavolo dov'era sistemato il cesto di frutta. La porta si aprì e notò Sean, il quale si strinse in un angolo, incurante del lavoro altrui.
Declan batté le mani per rivolgersi a tutti. «D'accordo, ragazzi. Lei è Nat. Ci darà una mano per le foto di oggi. Il tema è "La corruzione". Datele istruzioni e fate del vostro meglio».
Ci fu un vociferare continuo, Nathalie dovette assumere le pose più originali e restare ferma. Si sentì un manichino. Era a disagio, c'erano troppe persone. Forse non aveva pensato bene a questo piano.
«Ehm, Nat?» Una ragazza abbassò la fotocamera per sorriderle impacciata. «Riesci a sembrare più naturale? Sei così... non so, irrigidita. Cerca di essere accattivante. Coloro che guarderanno i nostri lavori, devono essere incapaci di levarti gli occhi di dosso».
Imbarazzata, ci provò. Chi immaginava che assumere una posizione fosse talmente spossante? In quell'istante si sentiva tutto, tranne che sexy.
Declan si passò una mano sul collo. «Così non va».
Merda.
«Chiedo scusa?», si intromise Sean. «Posso?»
E adesso che voleva fare?
Sean la raggiunse, sorprendendo i fotografi e la ragazza. La sua vicinanza, il suo profumo muschiato e caldo, le provocò uno stordimento. Dovette tenersi al tavolo e lui la strinse ai fianchi. La stava fissando come se al mondo ci fosse solo lei da considerare.
«Non ti serve una posa per essere attraente», le sussurrò in confidenza. «Sei uno schianto anche stando ferma».
Dio... Che diritto aveva di parlarle così? Di... di ammirarla così?
Le stava rubando il respiro, la vista, la vita intera. Maledetto. Perché era impossibile per lei ignorarlo? Avrebbe voluto solo lasciarsi andare tra le sue braccia. Niente litigi, niente discordi. Solo loro due, lontano da tutto quello che esisteva.
Declan annuì. «Perfetto! Quella luce nei vostri occhi, non perdetela. Guardatevi, guardatevi. Sean, prendi una delle mele rosse dietro Nat e passagliela. Deve stare tra i vostri visi. Ecco, bene. Nat, tienila tra le vostre bocche. Guardate la mela. Guardatevi negli occhi. E ora me, verso di me. Meraviglioso, ci siamo!»
Il cuore di Nathalie si stava dimenando. Voleva fare qualunque cosa, tranne che starsene immobile.
Sean ghignò e respirò contro il frutto. «Lo vedi? Hai bisogno di me per eccellere».
Nathalie ammise la sua resa. «Qual è il tuo piano?»
«È semplice. Per cominciare, dobbiamo far finta di odiarci».
Un angolo delle labbra di Nat si incurvò verso l'alto. «Io non ho bisogno di fingere, Lord Menace».
«Bene. Secondo, metti a dormire la perfettina Nathalie Gray. A me serve la cattiva ragazza. Mi serve Miss Lily».
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-Kitta
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