Capitolo 23 - Il club dei reietti
Il cuore di Nat rimbalzò così forte da finirle in gola, impedendole di respirare. Non riuscì più a sentire i piedi che la tenevano ancorata al suolo.
Sua madre e Costa?
Carl Costa si vedeva con sua madre?
Lo stesso uomo che suo padre aveva...?
«Mi scusi». Sorpassò Madame e camminò a passo svelto, imboccando uno dei corridoi e lasciandosi dietro la festa.
Marciò con determinazione, pur non sapendo dove stesse andando. Sapeva solo che aveva bisogno di aria e di stare da sola. Il corridoio era semibuio, le mura con carta da parati color rosso sangue erano state abbellite con quadri dalle cornici d'oro, vasi antichi e piccole statue bianche.
Madame De la Roux era a conoscenza del legame tra i suoi genitori e Costa. Forse lo erano anche gli invitati. No, stupidaggini. Madame doveva saperlo perché lei c'era quando la vita di Nat era mutata.
Perché non aveva un solo ricordo di sua madre e Costa? Perché lei non gliene aveva mai parlato, nemmeno dopo l'arresto di suo padre o dopo il ritrovamento del cadavere di Costa?
Perciò suo padre non aveva ucciso uno sconosciuto. Aveva ucciso l'amante della sua ex moglie.
Quale poteva essere stato il motivo? Di certo non la gelosia. Aveva capito da anni che i suoi non si amavano.
Cosa non le avevano detto?
Una porta si aprì appena prima che lei ci camminasse davanti e rischiò di andare addosso a qualcuno. Stupita, fece un passo indietro. Sean Foster era appena uscito dal bagno. Indossava una camicia bianca, pantaloni neri con cintura e cravatta abbinate.
Era l'outfit dei camerieri del party.
«I camerieri di stasera? Servizi pubblici ordinati dal giudice».
Oh, no.
Sean posò le sue indagatorie pupille verdi su di lei come un metal detector, altrettanto sorpreso di vederla lì. «Come cazzo ti hanno conciata, Miss Lily?»
Il suo primo istinto fu quello di offenderlo a sua volta, ma onestamente pure lei odiava com'era messa quella sera. Scarpe che dolevano, vestito appariscente e stretto come l'acconciatura.
Sean non aveva chiesto "Come ti sei vestita?". No, aveva chiesto "Come ti hanno conciata?". Come se sapesse che non era stata lei a vestirsi in quella maniera.
«Nathalie? Dove sei finita?»
Merda. Sua madre.
Non ci ragionò due volte nel costringere Sean a rientrare nel bagno e lei lo seguì a ruota, chiudendo la porta. Non poteva permettere a sua madre di vederli insieme, sapeva che Sean non si sarebbe trattenuto.
La risatina del ragazzo venne coperta dalla mano che si passò sulla faccia. «Dovevo aspettarmelo che eri una degli ospiti».
Mordersi la lingua, per Nat, fu un tentativo vano per non ribattere. «La padrona di casa è una mia vecchia conoscenza. Mi ha raccontato che le persone che ci servono stasera sono al servizio della comunità per ordine di un giudice. Libertà vigilata, Foster? Che cos'hai fatto?»
«Non è affar tuo».
I capelli di Sean erano stati acconciati in onde morbide, quasi avesse avuto dei ricci di cioccolato. Nathalie non comprendeva come mai lui insistesse quasi sempre nel nasconderli sotto il berretto da baseball nero che metteva al contrario a scuola. Gli dava un'aria da teppistello, ma nascondeva parte del suo fascino.
Un fascino fastidioso, irresistibile, adorabile.
La maniglia della porta si mosse, annunciando l'arrivo di qualcuno.
Nat prese Sean per il polso, condusse entrambi dentro la vasca da bagno e chiuse la morbida tenda. Si accucciarono e lei gli fece cenno di tacere.
Delle risate li fecero irrigidire. «Ma dai!», fece una delle due ragazze.
Il suono dell'acqua che uscì dal lavandino accompagnò le loro chiacchiere.
«Te lo giuro, è lei. La stessa tipa che ha fermato lo sfidante di Darryl Dimah nella sua ultima gara, rendendo nulla la corsa».
«Oh, mio Dio! Adesso ho capito perché mi era familiare. Stasera indossa quel vestito lungo. Quasi mi era impossibile riconoscerla senza vedere quella brutta cicatrice».
Le vene di Nathalie divennero di ghiaccio e si coprì la bocca per non far sentire il suo respiro che si era appesantito. Sean ridusse gli occhi in due fori e grugnì piano.
«Secondo te a che gioco sta giocando? È della nostra stessa classe sociale, però sembra così presa da quel perdente di Foster».
«Vorrà scoparselo e mollarlo, mica può servire per altro. Lei di sicuro lo sa. Poco fa l'ho vista in compagnia di Gavin Raymond. E la sua famiglia? Sua madre mi mette la pelle d'oca, ha uno sguardo vitreo e senz'anima. Non si sa neppure chi sia suo padre».
«Gliel'avrà fatta lui quella cicatrice. Per questo è sparito».
Nat rischiò di graffiarsi le labbra coi denti per quanto stesse spingendo ambedue le mani sulla bocca. Chiuse gli occhi e pianse in silenzio, rovinando il trucco.
Sean reagì in modo attivo, a differenza sua. Uscì dalla vasca, tenendo nascosta Nat con la tenda, e fissò le due ragazze.
Loro sbiancarono e balbettarono delle scuse.
«Lo sapete una cosa? Avete ragione sul fatto che sono un perdente. Sono l'ultimo anello della catena alimentare in questa fottuta comunità. Ma nemmeno io, che sono il peggio del peggio, cadrei mai tanto in basso da voler ascoltare i gemiti di piacere di due oche come voi».
Nat sbirciò leggermente la scena. Le ragazze erano arrossite e avevano serrato le piccole labbra truccate.
«Ora uscite. Così posso farmi una sega immaginando le vostre ricche mammine in bikini. Stanno meglio dopo quel lifting del seno. Attente. Se è una cosa genetica, toccherà anche a voi».
Loro emisero dei versi imbarazzati e indignati, poi uscirono con la coda tra le gambe.
«Via libera, Miss Lily».
In preda ai tremori per la tristezza, Nathalie scavalcò la vasca e si lavò il volto sporco di mascara e lacrime. «Quindi è questo quello che i giovani benestanti pensano di me».
Sean si poggiò con una spalla al muro di ceramica rosa pastello, le mani sepolte nelle tasche dei pantaloni. «Benvenuta nel club dei reietti di Milton, piccola».
«Le conosco, quelle due, facciamo Fisica insieme alla terza ora del mercoledì. Chi altro mi parla alle spalle, a scuola?»
Le aveva sentite le voci su di lei. Solo... non immaginava che ce ne fossero anche così brutte. Talmente tante da poter raggiungere le orecchie di sua madre, in qualunque momento.
Lei non sapeva che sua figlia aveva mostrato la cicatrice a scuola. Che era andata a un circuito illegale di corse. Che era stata vista con il cattivo ragazzo della Milton High. Il quale, a quanto pare, aveva dei precedenti.
«Cristo santo, Miss Lily. Se io mi piangessi addosso ogni volta che sento delle cazzate sul mio conto, a quest'ora mi sarebbe caduto l'uccello e al suo posto avrei una vagina. Perché ti sbatti tanto dietro a loro? Non sono più importanti di te. Tu guidi da paura, lanci coltelli e centri il bersaglio da distanze mitiche, tieni testa a me che ti tormento da settimane. Non hai niente da dimostrare a quel branco di snob, che hanno tutta una vita già servita su un piatto d'argento. È per la cicatrice che sei costantemente in imbarazzo?»
Venne presa per il braccio e portata fuori. Sean la trascinò lungo il corridoio, fino a trovare una porta a doppia anta fatta di legno scuro. Era ovvio che non fosse in quella casa per la prima volta.
La stanza era circondata da mobili, scaffali, librerie, tavoli con sedie e lampade. La libreria di Madame De la Roux.
Sean chiuse a chiave, non accese alcuna luce e sollevò Nat su una scrivania contro il muro. Lei lo ammirò nel chiaro di luna che filtrava dalle grandi vetrate della finestra, la quale occupava tutta la parete che dava sul giardino.
«Che stai facendo?»
Sean frugò nella sua borsetta, fino a trovare il coltellino svizzero che le aveva dato Cillian. «Lo sapevo che ne tenevi uno».
Fece scattare la lama affilata e la poggiò sulla guancia di lei.
«Sean». Il suo tono fu un avvertimento. Non aveva paura, ma non si fidava di lui.
Lui poggiò la punta fredda sul naso di lei, poi sulle sue labbra carnose, quasi a intimarla di stare zitta. Il coltello le andò sul mento, sulla gola, in mezzo al seno, sull'addome.
Quando giunse al pube, Nat percepì degli aghi piacevoli che le pungolavano la pelle fino ad arrivare al suo sesso.
Sean spostò l'arma e tagliò lentamente l'abito ai lati delle gambe di Nat, allargandolo, fino ad arrivare alle caviglie e facendola rabbrividire per il rischio di venir tagliata.
Lei sospirò, l'abito ora le permetteva di respirare e di muovere di più gli arti inferiori. Sean si incastrò tra le sue cosce, il tessuto era l'unica cosa che nascondeva i suoi slip. Quelli che si stavano bagnando.
Sean le accarezzò la gamba segnata. «Sai cos'ho pensato la prima volta che ho visto le tue gambe nude, in quella cameretta?»
Nat si stava intossicando con il profumo del suo alito. Aveva bevuto champagne pure lui e doveva aver fumato. L'altra mano del ragazzo l'avvicinò a lui, palpandole il culo.
«Ho ringraziato il cielo vedendo la cicatrice, perché era la prova che mi serviva per apprendere che sei reale e non una visione della mia mente, creata per farmi impazzire». Serrò le dita grezze sulla sua carne e spinse il bacino contro il suo. «Perché se sei reale... posso toccarti».
L'effetto che aveva su di lei non aveva eguali. Si scordò dei loro litigi, delle parole offensive che si erano scambiati.
Adesso erano solo loro due, in una villa della borghesia, dove chiunque li giudicava senza prove.
Erano il gossip della società, l'oggetto del divertimento altrui.
E loro potevano fargliela pagare. Nella casa, nella libreria di Madame.
Per quella notte, non sarebbero stati Nat e Sean. Il centro delle attenzioni dei loro compagni, dell'alto rango, ciò che tutti si aspettavano da loro.
Ora erano Miss Lily e Lord Menace. Brutali, risentiti, amareggiati e vendicativi.
Gli tirò i capelli sul collo, gli occhi di entrambi erano chiusi e le fronti si toccavano. «Non possiamo cascarci di nuovo».
Sean la costrinse a legare le gambe intorno alla sua vita. «Certo che possiamo. E lo faremo. Fa parte di noi. Smettila di fare la leccapiedi del prossimo, non potrai mai piacere a tutti».
Lo prese per la gola e lo guardò negli occhi, in mezzo all'oscurità. «Sei così tremendo con me, sei perfido».
«Devo essere perfido con te».
«Perché?»
Sean calò su di lei e inspirò a fondo il suo profumo, il naso nascosto tra la clavicola e il collo. Il coltellino finì a terra. «La cattiveria è una protezione verso chi può ferirci. Tu puoi farmi tanto male, Miss Lily».
Come lui poteva farne a lei.
Il desiderio crebbe, irrefrenabile, urlava per farsi udire.
Nathalie era stufa dei "devo", "devo", "devo". Aveva bisogno di un "posso", aveva bisogno di un "voglio".
Voglio lui.
Poteva avere dei segreti. Poteva fare tanto di nascosto. Non vi era vergogna nelle menzogne.
«Ti scoperò finché non piangerai».
Lei sorrise e gli ripeté la sua stessa frase di qualche giorno prima. «Prima chiedimi "Per favore"».
Sean si mosse contro di lei, simulando la penetrazione. «Smettila di sorridere».
«Cosa?»
«Attualmente mi odi. Quando sorridi, ho voglia di baciarti. Non vorrei rimetterci un testicolo. Sei tu che mi impedisci di fare tante stronzate e intanto non riesco nemmeno più a dormire. Sei come un freno. Mi levi le energie e il sonno».
Nathalie Gray era la fiamma che lo consumava, il sisma che lo rianimava, il freno che gli dava un contegno. Stava pian piano diventando tutto ciò che riusciva a farlo sentire vivo.
La ragazza si sentì meglio quando lui slegò i capelli dalla morsa dello chignon e se lo avvicinò. «Io sono il tuo freno? Tu sei il mio acceleratore. Prima di te, era tutto fermo».
E se non era quella la verità più assoluta...
Sean le passò le dita tra le ciocche. «Ti avevo detto di stare alla larga da Raymond».
Lei gli fece sentire le unghie sulla schiena coperta e gli slacciò la cintura. «Quando mai ti ho dato retta, Lord Menace? Hai detto che se diventerò tua, tu sarai il mio schiavo, giusto?» Respirò su di lui, eccitata. «Puniscimi».
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