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Capitolo 12 - I Giocatori del Fuoco

Sean Foster la stava baciando. No. Sean Foster la stava sbranando.

Spinse contro il suo palmo esigente e lo morse alla mandibola, dove si stava creando un accenno di barba. Erano settimane che la punzecchiava e in questo istante era indecisa tra lo scoparlo o picchiarlo.

Le sue frasi indecenti in mensa e a lezione, quando le suonava il clacson nel parcheggio della scuola per spaventarla, la sua malsana abitudine di lasciarle biglietti poco casti sul banco o nell'armadietto.

Voleva castigarlo. Voleva legarlo, voleva azzannarlo, voleva...

No. No.

Che stava pensando?

Piegò il ginocchio e calciò via Sean da sé. Lui gemette e si massaggiò lo stomaco. «Merda, Miss Lily. Credevo ci stessimo divertendo».

Nat saltò giù dal tavolo e ansimò, la testa venne tenuta dalle sue mani nella speranza di fermare l'ebbrezza. Così non andava bene. «È meglio se ti sto alla larga. Mi fai venire voglia di fare cose cattive».

Sean spegneva l'accenno di raffinatezza che aveva tanto faticato a conquistare e riaccendeva in lei l'oscurità che l'aveva resa immatura e sconsiderata. Lord Menace... quanto lo odiava per il potere che aveva su di lei.

«Peccato però che non hai ancora fatto il peggio del peggio».

«Sarebbe?»

La raggiunse nuovamente e le alzò il mento con due dita. «Non ti sei ancora fatta me».

Nathalie ebbe un brivido. La luce nei suoi occhi, così primordiale, era un avvertimento. Sean la vedeva come un fine ultimo, un premio da guadagnarsi dopo una sfida. Perché lei gli teneva testa.

Si raddrizzò, il viso rivolto all'insù per guardarlo in faccia. «Solo perché sei l'uomo, credi di essere tu quello minaccioso?»

Mostrò i denti nel ridere. «Piccola, non sono un ingenuo».

La girò di scatto, la costrinse ad appoggiarsi con le mani al piano e le impose con la mano il volto verso la parete di fronte. Accennò al coltello. «Non so come tu ci sia riuscita, ma è stata la cosa più eccitante che abbia mai visto».

Tentando di allontanarsi dalla sua voce sagace, Nathalie spinse per sbaglio il culo sul suo bacino. L'altra mano di Sean la percorse dall'addome all'inguine, tirandole piano i jeans nell'interno coscia.

«Sei leggiadra e ti muovi come una ballerina, hai una mira da poliziotto, inganni tutti come un'incantatrice. E la cicatrice che hai sulla gamba...» Le leccò il profilo dell'orecchio e inalò il profumo del suo shampoo. «Chi diavolo sei, Nathalie Gray?»

Un'impostora, ecco chi era.

Era un'amante della menzogna. Le bugie davano sollievo. Le bugie proteggevano. Le bugie confondevano ed erano illusioni. Come lei.

Si aggrappò alla mano di lui che era tornata sul suo sesso. «Ti interessa davvero o vuoi solo scopare?»

«Mi lascerai averti?»

Dipendeva. Era una buona idea?

No, col cazzo che lo era. Non aveva bisogno di lui per avere ciò che desiderava. «Io ho Gavin».

Ridacchiò e la mano sinistra scese dal collo al seno. «Ma fammi il piacere. È un rammollito, non riuscirebbe a soddisfarti neanche usando un vibratore. Lui è un terreno colmo di letame, in piena coltivazione. Tu sei un terremoto». Il suo cazzo le si incastrò tra le natiche coperte. «Voglio cavalcare il tuo sisma».

Gesù.

La pressione, la sua temperatura, stavano salendo a livelli mai superati. I suoi muscoli che la circondavano, il suo alito caldo dal sapore piccante sulla guancia, le dita funeste sulla sua carne. Era troppo, tutto insieme.

Una volta sola. E sarebbe finita.

Fanculo. Una volta sola.

«Non qui».

«D'accordo. In palestra? Nel laboratorio di Chimica?»

Idiota.

Lo respinse, tornò a fronteggiarlo e lo strinse per il colletto. «Lo sai che non sono una tipa facile. I nostri preliminari non sono finiti. Giochiamo, brutto stronzo». Lo spinse, prese lo zaino che le era caduto quando l'aveva sollevata e corse via.

Uscì da scuola e trovò la Bugatti. Si mise al posto di guida, le braccia tese nel tenere stretto il volante e dallo specchietto retrovisore attese Sean. Lui si mostrò nel parcheggio poco dopo, quasi tutti gli studenti erano andati via. Individuò la macchina di lei e Nat, abbassando il finestrino, gli mostrò il medio.

Sean colse l'antifona e andò ad accendere il motore della sua auto.

Era ciò che lui aveva voluto fin dall'inizio e Nat aveva intenzione di farlo sudare. Pigiò sull'acceleratore, ruotò lo sterzo fino a uscire dal terreno scolastico e in meno di un minuto una Maserati stava inseguendo una Bugatti.

Nelle notti in cui era a casa da sola e gli incubi la tartassavano, Nathalie faceva delle gite notturne. Adesso sapeva riconoscere le strade e i quartieri di Milton con il buio. Farlo in pieno pomeriggio era una passeggiata.

Trovò Sean nello specchietto retrovisore. Era lì che doveva restare, dietro di lei. Nessuno doveva avere la forza di oltrepassarla. Sapeva dove li stava portando.

Premette la frizione e imbucò un'altra strada, facendo la curva appena un secondo prima di sbandare. Alle sue spalle, la Maserati rischiò grosso.

Stava cercando di ucciderlo? Può darsi. Voleva farlo pisciare sotto? Dannazione, sì.

Era malata quanto lui. Ma lei aveva intenzione di uscirne indenne.

Bruscamente, Nathalie sterzò per un quartiere in via di ristrutturazione e dal finestrino abbassato udì i lavoratori fischiarle. Agì come un robot, gli occhi facevano avanti e indietro dalla strada a Sean.

Terza. Frizione. Acceleratore. Quarta. Quinta. Sterzata. Pedale del gas. Sesta.

Il piede premeva con insistenza sui pedali, le mani sbiancate maltrattavano il volante per le svolte, la schiena e le cosce erano sudate e appiccicate al sedile per la tensione.

Arrivarono a un campo isolato e polveroso, le abitazioni più vicine si trovavano a cinquanta chilometri di distanza. Erano fuori da Milton. Erano soli.

La macchina di Sean la superò e fece mezzo giro su se stessa, il posteriore scodò e le ruote anteriori si imputarono. Frenarono per non andarsi addosso, uno davanti all'altro. Spensero il motore e tornarono coi piedi per terra.

Sean aveva il fiatone e gli arti rigidi, come lei, e le andò incontro per sbraitarle. «Tu sei una pazza! Potevamo morire! Sei matta, completamente...»

Nathalie lo zittì aggrappandosi a lui. Lo strinse con le gambe e le braccia, lo baciò e gli tirò i capelli. Aveva l'adrenalina e la libidine a mille.

Sean lasciò perdere la parte razionale del suo cervello e avanzò fino a far sedere Nathalie sul cofano bollente della Bugatti. Lei lo tirò anelante contro il proprio corpo, non gli permise di respirare a dovere per quanto le sue labbra fossero viziate.

Con dita tremanti ed esigenti, gli tirò su la maglietta nera e gli slacciò la cintura. Sean le tolse la canotta, lasciandola in reggiseno e gustando la piega al lato della spalla. Le strappò via con foga i jeans strappati alle ginocchia e si tastò nelle tasche, fino a trovare il portafoglio con i preservativi.

Nat si sdraiò, fregandosene del caldo proveniente dal motore della macchina. Allacciò le caviglie dietro di lui, poggiandole sul suo culo sodo, e lo attirò a sé. Lo accarezzò, ne sentì la consistenza nel palmo e adorò i suoni che lui fece per il piacere.

Non c'era sua madre, non c'erano i rimproveri, né il fantasma di Avery.

Finché non sarebbe venuta, avrebbe pensato semplicemente a se stessa. Solo per quel lasso di tempo. Perché, sul serio, non ce la faceva più.

Sean le sfilò le mutandine e Nat gettò via la maglietta di quel ragazzo tanto sensuale quanto prepotente. Gliela leccò, avido, pregustando ciò che sarebbe avvenuto. La baciò al ventre, al petto e alla gola. Calzò il condom e le scivolò dentro, come se l'avesse fatto centinaia di volte.

Nathalie gemette, le palpebre serrate e la bocca aperta. Era passato molto dall'ultima volta e faceva un po' male, eppure... Si agganciò alla sua schiena e con la potenza dei suoi polpacci, lo costrinse a muoversi quasi subito.

Le spinte erano brutali, forti, irrequiete e, come il tocco di Sean, smaniose. Probabilmente erano a rischio di scottarsi per via del sole e della Bugatti ancora calda, però non ci pensavano. Erano totalmente presi l'uno dall'altro.

Sean le palpò una coscia. «Mi hai lasciato vincere all'ultimo nella corsa. Sei proprio una bastarda».

Nat faticò a ridere. «Proprio perché l'ho fatto, ho vinto io».

«Non contarci».

Con le unghie, gli lasciò il segno su un avambraccio e si sollevò come poté per venirgli incontro. «Devi avere paura di me. Posso spezzarti. Posso farti male. Oh, Gavin. Mmh, sì. Continua così, piccolo».

La sua gola venne stretta e una spinta più sconnessa e tenace la fece gridare. «Stronza. È me che vuoi. Sei tu il mio fuoco. Ti ho detto che puoi distruggermi, basta che alla fine mi dai questo». Le fece sentire una scossa con il cambio di velocità nella penetrazione. «Ma guai a te se mi fai incazzare».

«Ti piace quando ti faccio incazzare. Ti rende solo più arrapato. Lo sfrutterò quanto serve, perché cazzo se ne godo».

Sean voleva giocare? Lei avrebbe trionfato.

Nathalie affondò i denti sulla sua grossa gola per soffocare l'urlo che le tolse il respiro. L'orgasmo arrivò, la disarmò e la uccise dolcemente. Proprio come Sean.

Lui ruggì un'imprecazione, nascondendo il volto tra le tette di lei, e rilasciò il suo seme bollente nel preservativo.

Nat ritrovò l'ossigeno dopo molto. Era contenta, disorientata e sazia. Decisamente sazia. Si mise seduta con fatica e guardò Sean riallacciarsi i pantaloni. I suoi occhi notarono dei nuovi dettagli sulle sue spalle e la sua gola: graffi, succhiotti e morsi. A decine.

Ops. Veramente non era riuscita a trattenersi così tanto?

Sean seguì la traiettoria del suo sguardo e lei si coprì la bocca con la mano, mortificata. «Oh, mio Dio. M-mi dispiace. Non volevo, io...»

In preda a una seconda foga, lui tornò a stenderla sul cofano e la baciò, duramente e su di giri. «Fammene di più».







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