Harbour
La prima notte all'aperto Kiara sostò in un boschetto vicino a un paese.
Fece sogni agitati, tuttavia riuscì a dormire stremata da quel primo giorno di cammino.
La mattina si svegliò con le occhiaie e di pessimo umore. Rise sarcastica guardandosi nel ruscello vicino alla strada. Sospirò e si rizzò in piedi. L'aspettava un'altra lunga giornata di cammino e non aveva tempo da perdere. Sbuffò, cercando un po' di entusiasmo, prese la bisaccia e riprese la strada.
La Valle era percorsa da una lunga via poco trafficata; carri e viandanti che si spostavano di villaggio in villaggio della valle la percorrevano alzando polveroni e facendosi strada a fatica tra le buche sconnesse. Alla fine, per evitare carri incastrati e contadini arrabbiati, decise di camminare nel bosco, lungo la strada. Era spossante e la ritardava, ma almeno evitava di essere investita dai cavalli da tiro e dai carichi dei carretti.
Man mano che procedeva i villaggi si facevano più grandi e la strada più affollata ma ancora non aveva raggiunto lo sbocco della valle, non aveva nemmeno raggiunto la Grande strada della Lega, la strada maestra che univa tutti i regni. Sospirò e aumentò il passo.
I giorni si susseguivano uguali gli uni agli altri, tra soste di villaggio in villaggio.
Kiara non sopportava l'idea di procedere così a rilento, però non aveva altri mezzi. Contava ancora sulle dita i giorni che aveva passato lontano da casa. Nove.
Il nono giorno raggiunse le Piane di Harbour e finalmente, per la prima volta, lasciò alle spalle i monti che l'avevano vista crescere.
Aveva osservato dall'alto la grande piana e in lontananza aveva visto la leggendaria collina spaccata della capitale.
Harbour la città più importante di quel piccolo regno, che non aveva mai visitato, si trovava a un giorno di cammino dall'uscita della valle.
Petringlass, quella terra, non faceva parte della Lega e, territorialmente, non era importante; si trovava in una regione di confine ed era totalmente montuoso.
Harbour e la sua pianura erano l'unica zona relativamente pianeggiante.
La maestra del villaggio, una vecchia che veniva da lì, aveva insegnato loro un po' della storia della Lega e del regno: una terra autosufficiente, neutrale in tutte le guerre, rimasta illesa anche nell'avanzata di Kandor, che non si era fermato a conquistarla ed era passato direttamente al regno del Venyum più a nord, una delle regioni più calde delle terre conosciute.
Ritornò sulla strada dove si accalcavano persone di ogni genere.
Adesso la strada proseguiva attraverso grandi campi coltivati ed era notevolmente più larga e ordinata.
Solo a sera, raggiunse la città, enorme e meravigliosa.
La collina su cui sorgeva era divisa a metà e la città era stata costruita sul crepaccio, collegato da migliaia di ponti di pietra, sembrava una grande ragnatela.
Harbour era chiamata La Città Sospesa non per niente.
Kiara ne rimase affascinata e per un po' rimase impalata in mezzo alla strada a contemplare quel capolavoro.
L'accesse alla città era possibile grazie ad un lungo ponte, sostenuto da colonne enormi, che collegava la strada maestra, a terra, con la piattaforma principale della città, a un'altezza pari a circa duecento piedi.
Si incamminò per quella salita ma ogni passo che faceva le dava un brivido in più. Non pensava di soffrire di vertigini ma finché si trattava di un albero o una roccia si fidava; se invece era un ponte costruito dall'uomo, aveva i suoi dubbi.
Si sgridò e sorrise leggermente.
Il ponte non sarebbe crollato.
Strinse spasmodicamente la tracolla della bisaccia e salì l'ultimo tratto. Una volta raggiunta la piattaforma si concesse un sospiro, la vista, dopotutto, era mozzafiato.
Si inoltrò nei meandri della città alla ricerca di una locanda e nonostante fosse appena entrata nella città già le piacque.
Era quasi buio ormai, ma la caratteristica di Harbour erano le lanterne, appese ovunque, che illuminavano anche di notte. Le casette, spesso addossate una sopra l'atra sulle pareti della collina, erano abbellite da una moltitudine di fiori. Grandi festoni di glicini, che ormai erano quasi tutti fioriti circondavano le piccole finestre illuminate. Ancora molti passeggiavano chiacchierando e alcuni bambini giocavano su un ponte. Kiara lo attraversò con il naso per aria osservando quelli soprastanti, dai quali cascate di edera verdissima scendevano verso i passanti di sotto, tanto che alcuni potevi sfiorarli con le dita.
Estasiata osservò un vecchio signore passare ad accendere le fiammelle di alcune lampade del ponte di sotto, e dimenticando le vertigini si sporse a guardarlo. Questi se ne accorse e fece un segno di saluto - Buonasera! -.
- Mi scusi...- gli urlò fermandolo - Sa mica dove posso trovare una locanda?-.
L'uomo sorrise cordiale - Due ponti più avanti-.
Kiara salutò con la mano e ringraziò poi si ritrasse dal parapetto.
Camminò ancora dieci minuti finché non trovò una piccola locanda nel centro della città.
Entrando sentì un profumo meraviglioso e allora sentì la fame che da giorni ormai si era abituata a sopportare.
Si avvicinò timidamente al bancone, senza avere il coraggio di guardarsi intorno. Una donnona stava pulendo meticolosamente dei boccali da idromele.
-Mi scusi...- Cominciò ma la donna la interruppe con un gesto brusco della mano. Si girò e da un cassetto prese una chiave e gliela porse. -Stanza in fondo a destra- disse indicando un corridoio in fondo al locale.
Pensò ironica alla simpatia della donna e si avviò indecisa, poi tornò indietro. -Vorrei anche qualcosa da mangiare- le disse.
La donna la guardò storta, sbuffò e poi finalmente disse: -Un piatto di zuppa, adesso o dopo?-.
La guadò ancora qualche secondo poi si voltò e sparì dietro una tenda. Kiara rimase ad aspettare davanti al bancone, fino a quando la donna risbucò portando un piatto fumante di minestra e glielo porse. La ragazza lo prese tra le mani e finalmente riuscì a mangiare.
Poco dopo era già coricata sul letto e assopita pensava a quanto avesse vissuto in poco più di una settimana: più di quanto non avesse fatto in sedici anni di vita.
Sorrise pensando a questo e si addormentò.
Quella notte sognò suo padre, sua madre e i suoi amici tutti insieme. Era tutto così vivido che le sembrava quasi reale.
Le lasciò una bella sensazione e la invogliò a continuare nella sua impresa.
Il giorno dopo, si alzò di buon umore ma anche con un senso di malinconia, residuo secondario del sogno della notte passata.
Pagò frettolosamente e si avviò all'aria aperta.
Era una mattina particolarmente afosa e il cielo era coperto da una coltre di nubi.
Inspirò quell'aria, "fresca" ma profumata, e attraversò la città che già ferveva di attività. Piccole bancarelle erano state riallestite e mostravano oggetti dalla strana foggia. Kiara non aveva mai visto tante meraviglie.
I mercanti chiamavano a gran voce i clienti facendo risuonare la città di un allegro vociare. Fu incuriosita da una bancarella che esponeva una grandissima quantità di campane e campanellini.
Dietro il banco era seduto un uomo di mezza età con una grossa pancia rotonda e voluminosi baffi che gli nascondevano tutta la bocca. Fumava tranquillo una lunga pipa di legno intagliato. Due bimbi gli scorrazzavano dietro rincorrendo un pallone.
Si specchiò nel rame lucido di una campana, grande quasi la metà di lei, che dondolava lentamente.
-Posso aiutarla?- le domandò l'uomo mentre la fissava attentamente.
Kiara si riscosse e rise, -No, no grazie, non ho soldi, purtroppo. Scusi se rido, è colpa del mio riflesso nella sua campana, non pensavo di essere così cambiata dopo così poco!-.
Rise ancora, trovandosi comica; con i suoi capelli arruffati e troppo lunghi, l'abbronzatura delle braccia e le spalle bianche, gli abiti già consunti e soprattutto, il fatto che la divertiva di più era che non le stessero male.
Si trovava quasi bella, seminascosta dal mantello da soldato.
L'uomo la guardò, stupito, -Siete una straniera proprio strana. Ne ho visti, e molti, di forestieri, ma mai così allegri!-
Lei lo guardò curiosa, -Davvero a nessuno piace viaggiare?- chiese stupita.
L'uomo sbuffò facendo sollevare i baffi per lasciare scoperto un mezzo sorriso.
-A un sacco di gente piace viaggiare ma spesso dopo un po' smette. Dimmi ragazzina, mi stai simpatica, dove sei diretta? Magari conosco qualcuno che possa aiutarti; ho un sacco di amici nomadi- le disse facendole l'occhiolino. Kiara ci pensò un attimo non sapendo se fosse sicuro fidarsi di quell'uomo panciuto.
Fissando in modo insistente le sue guancie rosse e paffute e la bocca sorridente dietro la pipa capì che era uno dello stesso tenore del padre di Zoe: grande e grosso ma buono come il pane. Decise così di rispondergli.
-Oror-rok! Sono diretta laggiù-.
L'uomo fece una faccia stupita e borbottò qualcosa, -La Capitale non è un posto per ragazzine- disse alzando un sopracciglio insospettito e anche preoccupato, - Davvero stai andando da sola laggiù?- richiese.
Kiara annuì non sapendo bene cosa dire. -A sud fa freddo. Non credo che sopravviveresti a lungo- la avvisò sorridendo comunque comprensivo.
- Tuttavia, conosco qualcuno che potrà darti un passaggio. Forse non sono ancora partiti ... - disse meditabondo.
-scusi ma io non voglio creare problemi a nessuno. Posso cavarmela da sola- affermò convinta. Il mercante rise e sbuffò un anello di fumo.
-ahhh ragazza mia. Ne sai davvero poco del mondo ... -.
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