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L'uomo in riva al lago

Durante l'estate, ero solita trascorre alcuni giorni in riva al lago. Quel lago dalle acque limpide e lucenti, che brillavano sotto il sole caldo e dorato come mille cristalli. Nascosto e protetto dalle alte montagne dai dolci pendii smeraldini e dalle vette rocciose e frastagliate dove le nuvole bianche e gonfie come batuffoli di cotone si rincorrevano nel cielo azzurro. I passeri cinguettavano qua e là, volando di pino in pino e sorvolando le acque del lago.

Ogni mattina, l'aria era fresca e leggera, solleticava con dolcezza la mia delicata pelle rosea e io venivo sempre pervasa dal profumo mielato del sottobosco.

Passeggiavo lungo la riva del lago, ammiravo i cigni dalle piume bianche e setose nuotare in circolo e ascoltavo con immenso piacere lo sciabordio delle onde infrangersi sulla spiaggia ghiaiosa.

Andavo sempre a sedermi sotto quel salice piangente, esule e triste, dalle fronde verdi e tristi.

Vicino vi era una panchina, inclinata su un lato, in legno d'ebano, rivolta verso la maestosità del lago.

Ogni giorno vi sedeva un uomo anziano dall'aspetto minuto e un po' goffo. Indossava sempre un cappello di paglia, una camicia in cotone logora a quadretti grigi e neri e un paio di pantaloni blu larghi in tela,, stropicciati e macchiati.

Stava sempre solo, ignorando chiacchiericci e schiamazzi vari dei bambini tedeschi che giocavano con palle e racchette, in riva al lago.

Nessuno mai lo guardava, nessuno aveva mai provato a rivolgergli la parola. Nessuno sapeva il suo nome, nessuno sapeva la sua storia.

Lui era un uomo che era stato distrutto dalla guerra. Aveva perso tutto. Aveva perso la sua famiglia, la moglie e i figli durante i rovinosi bombardati del 1916. Era rimasto solo al mondo. Era diventato presto un emarginato.

Fu costretto a combattere al fronte insieme ad alcuni suoi compaesani. Nessuno di loro alla fine sopravvisse. Aveva assistito alle più brutte e dolorose atrocità provocate dalla guerra, aveva ucciso davanti a sé centinaia di soldati e fu costretto a vederne altri mille morire davanti ai suoi occhi.

Pregava con grande ardore il cessare del rombo dei cannoni e mentre combatteva invano una guerra che non gli apparteneva, una granata difettosa esplose davanti ai suoi occhi e perdette la gamba sinistra.

Subito dopo venne congedato e mandato a casa.

Era felice di rientrare in patria e far presto ritorno alla sua dolce e tiepida dimora. Scoprì, in cuor suo, che la guerra lo aveva profondamente segnato. Si sentiva un uomo orribile pieno di sensi di colpa verso la sua famiglia, con la quale, in passato, si era sempre comportato malissimo. Ora tornato dalla guerra voleva rimediare, voleva cambiare e diventare un uomo migliore per i suoi figli e soprattutto per la sua cara e povera moglie, perché li erano mancati da morire e lui senza loro non era nessuno. La sua stessa esistenza non aveva alcun valore. Le sue giornate erano diventate vuote. Quando finalmente ritornò a casa, davanti gli si parò uno scenario duro, crudo e travolgente. Il paese in cui era nato e cresciuto non c'era più. Era stato spazzato via, raso al suolo dai bombardamenti in una notte d'inverno. Il suo paese era andato completamente distrutto. Sua moglie e i suoi figli erano tutti morti. Fu più dilaniante e devastante della guerra stessa.

Aveva perso per sempre la sua dimora, la sua unica e preziosa famiglia. Aveva perso l'amore dei propri cari. Aveva perso tutto.

Si inginocchiò per terra, davanti alle macerie della sua abitazione e pianse forte, di profondo e inguaribile dolore e urlò per aver subito questa brutta ingiustizia, con il cuore rotto come le rovine davanti ai suoi occhi, gli faceva troppo male per il troppo rancore.

Era rimasto solo al mondo, con mille rimpianti, per non aver mai apprezzato nulla dalla vita e per non aver imparato a rispettare e ad amare veramente sua moglie e i suoi figli che maltrattava e offendeva ogni giorno.

Purtroppo aveva ereditato quel brutto carattere dal padre, che era sempre stato con lui molto cattivo e violento. Era cresciuto così in una famiglia severa, dove il gesto di alzare le mani era l'unico modo per ottenere un po' di rispetto e dignità. A scuola, invece, lo prendevano sempre in giro, per la sua bassa statura e perché era cieco da un occhio. Si sentiva povero e maledetto. Arrabbiato con sé stesso perché non sapeva difendersi come meritava, così durante il fiore degli anni che segnarono la sua adulta gioventù, si ribellò davanti al mondo intero e divenne cattivo, più cattivo di suo padre e iniziò a vendicarsi verso tutte le persone che lo calunniavano alle spalle.

Venne definito un "donnaiolo senza cuore" : attirava qualsiasi donna del paese, giovane o adulta, per ricavarne solo del piacere momentaneo, dopodiché una a una le sbatteva fuori casa con senza più un soldo in tasca. Era diventato una canaglia, un ladro di denaro, voleva arricchirsi senza lavorare con le doti delle figlie dei poveri contadini, finché un giorno venne costretto da suo padre a prendere moglie.

Sposò una giovane, venuta vedova troppo presto, figlia di un povero mercante di un paese vicino che stava facendo la fame. Da lei ebbe presto due insopportabili figli maschi. Li odiava, perché non aveva desiderato mai avere alcun figlio dalla vita. Li riteneva invalidi, stupidi, incapaci e immaturi, ma soprattutto li detestava, perché erano fisicamente troppo uguali a lui. Erano un intralcio, un impiccio, solo due bocche in più da sfamare insieme a sua moglie, una donna troppo benevola e dall'animo sempre paziente.

Quando la incontravi per caso tra le vie strette del paese, pareva sempre stanca, stremata, priva di vitalità, infelice per aver sposato un uomo che non l'avrebbe mai rispettata e amata per come si prendeva cura della famiglia. Il suo sguardo trasudava pietà e compassione. Tutti in paese sapevano che il marito la picchiava, ma nessuno fece mai niente per difenderla o proteggerla o allontanarla insieme ai suoi due figli da quel mostro di marito. Trovò finalmente pace solo quando lui fu costretto a partire per la guerra. Li dovette abbandonare tutti, per sempre, non sapendo dell'infausto destino che li attendeva.

Fu così che la vita lo punì, portandogli via ogni più prezioso bene.

I pochi abitanti sopravvissuti al bombardamento aereo raccontarono che lo sentirono piangere e urlare ogni notte, nascosto dentro alle vecchie macerie della sua dimora, fino a che un giorno non consumò tutte le lacrime e uscì da quei quattro muri barcollanti e cercò disperatamente un aiuto da qualcuno.

Nessuno mai dimenticò che razza di uomo fu, quindi nessuno tentò di aiutarlo in nessun modo, perché ancora tutti ricordavano che, con sua moglie e con tutti i suoi compaesani, era stato solo un vero mostro di uomo.

Nonostante era trasandato e senza una gamba, mai a nessuno fece tenerezza e compassione, anzi lo osservavano sempre in malo modo.

Nessuno mai ascoltò le sue richieste imploranti d'aiuto. Tutti presero a ignorarlo. Tutti pensavano che forse tutto questo terribile dolore se lo era in fondo meritato per il suo brutto comportamento e così ben presto lo dimenticarono, anche se lui rimase sempre lì, a gironzolare per tutta la vita in quel piccolo paese.

Dopo la guerra, gli anni furono più floridi e gioiosi, ognuno si era ricostruito una propria dimora e alcuni si erano ricreati una nuova famiglia, molto più solida e numerosa. Sembrava di vivere una nuova vita, migliore, ma non durò a lungo, perché durante un gelido inverno del dopoguerra, in paese scoppiò una violenta epidemia di polmonite. I dottori erano pochi e presto divennero assenti: molti di loro mancarono per essere stati troppo a contatto per cercare di guarire i malati. Le cure scarseggiavano di giorno in giorno, finché qualsiasi medicinale fu introvabile e le costanti bufere di neve non facilitavano nemmeno di certo l'arrivo di altri soccorsi. Morirono tutti quell'inverno, in paese, nei letti delle loro case. L'influenza non risparmiò nessuno, tranne lui che ormai aveva deciso di invecchiare in isolamento nella sua piccola casa di legno, lontano da tutto quello che stava succedendo nel mondo esterno.

Dopo l'epidemia, il paese fu in parte disabitato per molti anni, ma pian piano ricominciò a ripopolarsi di nuova gente, per lo più di austriaci e tedeschi. Lui, fu l'unico a non andarsene dal suo paese. I nuovi abitanti non lo conoscevano e nessuno voleva conoscerlo. Lo ignorarono ancora come un fantasma in mezzo ai vivi.

Passeggiava sempre solo per strada, a testa china, appoggiandosi al bastone, non incrociando mai lo sguardo dei passanti. I bambini, a volte, lo scrutavano incuriositi, altri invece nutrivano un insignificante timore nel vederlo sempre solo, con quel volto sciupato e rugoso, sempre zoppicante in cerca di carità.

Nelle mattine fresche di mezza estate lo si vedeva sempre seduto su quella misera panchina, con il volto rivolto sempre verso il lago. Il suo sguardo non incrociava mai quello di nessuno: era inespressivo, malinconico e perduto come quello di un morto. Se ne stava lì seduto con il bastone appoggiato al suo fianco, assorto nei suoi più cupi e tristi pensieri, dilaniato da infiniti sensi di colpa, perché avrebbe potuto essere un uomo migliore, ma aveva deciso di non esserlo mai.

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