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Capitolo Secondo




"[...] Hijo mío, te pido Señor que pronto será lo suficientemente fuerte como para navegar desde Muros y llegar temprano para verme. Yo y tu hermana con ansias aquì en Hampton Court, en las habitaciones que ya ha sido preparado. Piense: usted puede permanecer en la habitación que era una vez de que cismático miserables llamado Henry VIII. Si sólo su madre pudiera ver el digno castigo que le hemos dado a estos arrogantes Inglés..."


"[...] Figlio mio, prego il Signore che presto sarai abbastanza in forze per salpare da Muros e venire a trovarmi. Io e la regina ti attendiamo con ansia qui ad Hampton Court, nelle stanze che ti sono già state preparate. Pensa: potrai alloggiare nella camera da letto che una volta fu di quel miserabile scismatico di nome Enrico VIII. Se solo tua madre potesse vedere la degna punizione che abbiamo dato a questi inglesi arroganti..."


(Dalle Lettere di Sua Maestà Filippo II di Spagna, Sicilia, Sardegna, Portogallo e Inghilterra all'infante Carlos, 3 marzo 1566)




Le tre e tre di notte



Il calice proveniva dai corredi privati di sir William Cecil, e come tale era un piccolo gioiello da trattare con riguardo. Filippo se lo rigirò tra le mani un paio di volte, prima di avvicinarlo alle labbra e bere il primo sorso.

Il proprietario di quel capolavoro era morto e sepolto ormai da mesi. I soldati l'avevano ritrovato disteso sul pavimento della cella, il corpo ridotto a poco più che un vecchio scheletro e gli occhi sbarrati, fissi in direzione della serratura che mai nessuno avrebbe aperto. Prima di gettare sir Cecil nelle fauci della Torre, Filippo aveva ordinato che gli fosse mozzata la lingua, come ricompensa per i servigi resi alla Corona d'Inghilterra. Se solo lei avesse realmente ascoltato i suggerimenti del suo consigliere in merito all'invasione, l'Armada Invencible non sarebbe mai riuscita ad approdare sulle coste inglesi, e forse nemmeno a salpare da quelle spagnole.

Filippo abbandonò il calice sul comodino e aguzzò la vista dritto di fronte a sé.

Fuori dal pertugio, la notte dominava ogni cosa, dalle alte siepi del giardino al profilo delle case di Londra. Filippo tirò le tende e andò a sedersi sul bordo del letto.

Pedro de Valdés era morto: ora poteva concedersi di versare qualche lacrima. Se ne stancò subito, poco abituato com'era. Preferì affogare il dolore nel vino, esattamente come qualche traditore bastardo aveva affogato il governatore nell'acqua della tinozza.

Pedro de Valdés...

Nonostante per ovvie ragioni non fosse stato presente nel momento della battaglia, Filippo era venuto a conoscenza da fonti sicure su come Valdés avesse combattuto per conquistare la gloria e il titolo che gli spettava di diritto. Gli erano state narrate storie inimmaginabili, favole di guerra al limite del ridicolo: eppure fra tutte queste, la vicenda di Valdés era risultata di gran lunga la più attendibile.

Durante il primo sbarco, quello del 1564, il colonnello Pedro de Valdés si era slanciato sulla riva, incurante dei cannoni inglesi, mulinando la spada per esortare i suoi a seguirlo. La presa di Portsmouth e di Southampton erano state rese possibili solamente grazie al coraggio e all'abnegazione che aveva dimostrato sul campo. Da quel giorno in poi, il neo nominato comandante Valdés non aveva fatto altro che continuare instancabilmente a ricacciare gli inglesi a Nord, sempre più a Nord, finché non gli era parso inutile combattere ancora. Poi, com'era noto, i mercenari agli ordini di Alessandro Farnese e la pestilenza in Scozia avevano fatto il resto.

Filippo si prese la testa fra le mani.

Perché Dio non aveva impedito la morte di Valdés? Perché non aveva incenerito l'assassino prima che potesse spingere il governatore dentro la tinozza? Pedro de Valdés aveva forse peccato in qualche modo, nel servire la Spagna? O forse tutto ciò era un avvertimento per lui, per Filippo?

«Santa María, ruega por nosotros...» mormorò, giungendo le mani. Era da troppo, troppo tempo che non lo faceva. Forse anche da prima di mercoledì. «Ruega por nosotros pecadores, ahora y en la hora de nuestra muerte...»

Era quella stanza, a ridurlo in quello stato. Se fosse rimasto all'Escorial come monsignor de Mogrovejo gli aveva suggerito, niente di tutto ciò sarebbe accaduto.

Niente assassini, niente tentazioni, niente vino, niente peccati. Filippo si coprì la bocca e il naso con il palmo della mano. Niente olezzi da puttana inglese.

Era insopportabile.

Forse Filippo poteva anche essere in grado di ignorare quei ributtanti stemmi floreali – per quanto ne sapeva, i Tudor avevano adottato un blasone che contenesse in sé sia la rosa rossa dei Lancaster che quella degli York, per rammentare l'origine della casata –, ma quelle esalazioni gli erano assolutamente intollerabili.

Si alzò in piedi, le gambe doloranti per il mancato riposo. Non riusciva a prendere sonno. Decise di accostarsi di nuovo alla finestra, scostando lievemente la tenda con due dita. Niente, nemmeno una pur minima avvisaglia dell'alba. Era evidente che aveva completamente perduto la nozione del tempo.

«Santa María, llena eres de gracia, el Señor es contigo...» continuò a recitare, cantilenando sottovoce come fosse una veccia filastrocca. «Bendita tú eres entre las mujeres, y bendito es el fruto de tu vientre...»

Si bloccò di colpo, la gola secca come se avesse trascorso settimane nel deserto. Era stata quella parola: "vientre". Quella singola, maledetta parola.

Filippo svuotò il calice con un ultimo sorso, nonostante il vino fosse già divenuto freddo. Cercò disperatamente di resistere e di non pensare. Ripeté: «Bendita tú eres entre las mujeres, y bendito es el fruto de tu vientre...»

No, troppo tardi. Lei era già tornata ad affacciarsi alla sua mente, frugando nei suoi incubi torbidi, immuni alle preghiere. Filippo scosse la testa, tentò di scacciarla. No, no.

Troppo tardi.

Brandelli di immagini gli sfilarono davanti agli occhi uno dopo l'altro, in una bolgia di colori sanguigni. Rivide lei incatenata nella Torre, con gli stracci stretti al petto e le gambe schifosamente nude, ricoperte di lividi e piaghe. Rivide lei di nuovo, questa volta dentro la gabbia, mentre si prostrava fino al pavimento sudicio per elemosinare un po' d'acqua. E infine rivide lei gravida, con i capelli rossi ad incorniciare il viso pallidissimo, e la bocca spalancata in un sordo grido d'aiuto.

Filippo scaraventò il calice a terra, gettandosi a peso morto sul letto. Quello stesso letto dove lei aveva giaciuto, dove lei aveva fornicato, dove lei si trovava quando i soldati avevano preso Londra.

«Y bendito es el fruto de tu vientre» ringhiò Filippo, imponendosi rigore. «Ruega por nosotros pecadores ahora y en la hora de nuestra muerte...» Si sfilò con rabbia gli stivaletti di cuoio abbandonandoli ai piedi del letto, per poi ricadere nelle coltri e affondare la testa nel cuscino di piume d'oca. La sollevò per un'ultima volta, ma solamente per spegnere la candela con un soffio. «Amen.»



***



"[...] Fue horrible ver esos gusanos que se retorcían sobre sí en el absurdo intento de resistir el fuego de cañón... La sangre ha lavado orgullo Inglés lordando la piedra de la plaza de Westminster. Capitán Carrasco cortó la bandera con gran clamor de la multitud. Las cárceles en Londres ahora están llenos hasta el borde."


"[...] È stato orribile vedere quei vermi contorcersi uno sull'altro nell'assurdo tentativo di resistere alle cannonate... Il sangue ha lavato la superbia inglese lordando la pietra della piazza di Westminster. Il capitano Carrasco ha tagliato l'asta della bandiera con gran strepito della folla. Le carceri di Londra ora sono piene fino all'orlo."


(Dalle Lettere di Sua Maestà Filippo II di Spagna, Sicilia, Sardegna, Portogallo e Inghilterra all'infante Carlos, 4 marzo 1566)




Le nove in punto del mattino



Fu la melodia delle campane a svegliarlo, stavolta, e non l'irritante voce di Pérez.

Filippo si schermì gli occhi con la mano, per proteggersi dal sole che brillava violento oltre le tende di velluto. Aveva fatto costruire la sua camera dell'Escorial appositamente a nord per non dover patire la luce al suo risveglio, ma questa, per l'appunto, non era la sua camera.

Filippo mugolò qualcosa che poteva vagamente assomigliare alle litanie della notte precedente, poi si scoprì e si alzò.

Don Diego de Ruiz lo attendeva già con gli abiti pronti fra le mani, e la testa chinata in segno di deferenza. Alla sua destra, don Blanco de Vicente avanzò con la bacinella d'acqua e l'asciugamano.

Filippo si sciacquò il viso senza soffermarsi troppo ad ammirare il suo riflesso. Percepiva gli avvenimenti della notte passata alla stregua dei suoi sogni, dei suoi incubi. Era accaduto qualcosa di terribile a Valdés, ma ancora non gli pareva vero ciò che aveva visto.

Fu don Diego a sbattergli la realtà in faccia dopo qualche secondo: «La corte rispettosamente vi porge le più intense condoglianze per la morte del governatore di Manchester, Majestad.»

Filippo lo fissò, perso nei ricordi. Valdés, Pedro de Valdés. Barbaramente affogato nella tinozza da bagno.

«Majestad, state bene?»

Filippo si passò le dita sulla pelle bagnata. Avrebbe potuto anche lui finire come Valdés, lì, ora, in quel preciso istante. Sarebbe bastata la mano di don Blanco sulla nuca, per spingere la testa sott'acqua. Lui non avrebbe lottato, era troppo stanco per farlo. Sarebbe bastata una piccola spinta, una morsa, e il desiderio di ucciderlo: nient'altro.

Filippo sollevò la testa. Don Diego e don Blanco lo stavano fissando preoccupati.

«State bene?» ripeté don Diego.

Filippo annuì, si asciugò e riconsegnò il panno a don Blanco. «Chi si è occupato del cadavere?»

Don Diego gli porse le brache scure, non senza un attimo di esitazione. «Il principe d'Eboli ha ordinato che venisse preparato per la tumulazione, Majestad.»

Filippo le infilò e don Diego lo aiutò a stringere la fibbia della cintura.

«Senza attendere i nostri ordini?» domandò il re.

«Senza, Majestad» replicò don Diego, appendendogli al fianco il fodero di metallo della spada.

Don Blanco sollevò la lama e l'infilò nella guaina con uno schiocco.

Filippo passò la mano sull'elsa simile ad un intreccio di serpenti dalle squame d'argento. «Elisabétte si è già svegliata?»

«Ancora no, Majestad» rispose don Diego. «La principessa d'Eboli mi ha comunicato che si sente poco bene.»

Filippo spalancò gli occhi.

«Il dottor Vargas ha detto che soffre dei malanni che affliggono di solito le donne gravide, Majestad» s'affrettò ad aggiungere il cortigiano. «Non dovete angustiarvi.»

Don Blanco legò attorno al collo di Filippo la gorgiera di pizzo a forma di nido d'ape.

Don Diego finì di allacciare le stringhe della sopravveste del re e chiese: «Avete desideri particolari per la colazione, Majestad

Filippo scosse la testa assente, con lo sguardo rivolto alla finestra.

«Con il vostro permesso...» Don Diego de Ruiz e don Blanco de Vicente si congedarono con un piccolo inchino, richiudendo la porta alle loro spalle.

Filippo udì il gracchiare ovattato dei corvi proveniente da oltre il vetro, e li guardò squarciare le nubi con i becchi acuminati. Londra si stava risvegliando, nel bene e nel male, ed era da sveglia che diveniva incontrollabile.

Filippo trasse il crocifisso d'argento fuori dallo scrigno sul comodino. Ci mise parecchio, ma finalmente riuscì a farlo passare oltre gli orli della gorgiera.

Ora era davvero pronto a recitare la sua parte.

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