66. Per un ideale sbagliato (II)
Senza più la sua aura magica Evianne si sente debole. Le gira la testa e le ossa delle gambe sembrano essere diventate polvere. Eppure, quando vede Ovest mezzo annegato, trova la forza di raggiungerlo. Dalla tasca del vento recupera la nuvola mordicchiata che racchiude la sua stessa magia. La tentazione di appoggiarla al cuore e di riaverla dentro di sé è intensa, ma resiste a quell'impulso.
«Mangia» lo supplica, avvicinando la nuvola alla bocca del vento. «Mangia. Ci manca solo che mi trovi contro tutti gli dèi perché ho ucciso uno di loro. Mangia, su!»
Ovest emette una piccola vibrazione che preannuncia il risveglio. Subito sbocconcella qualche brandello magico e balza seduto a gambe incrociate. Quando capisce che Evianne lo ha aiutato, la fissa con sconcerto. «Sei arrivata a destinazione. Potevi riprendertela e lasciarci morire.»
Recupera la nuvola di magia in fretta e furia e continua a guardarla con una punta di diffidenza.
«Siamo amici» gli ricorda Evianne. «Mi hai aiutata ad arrivare qui. Non potevo lasciarti morire.»
Ovest la ascolta appena, troppo preso dal suo pasto prelibato. «Che buono! Adesso va molto meglio!»
Evianne vorrebbe avere tempo per i convenevoli, ma il Monte Cintura Azzurra incombe su di lei, un macigno a una punta, bianco come il sale, attraversato da sottili giochi di scale e nicchie che ne decorano la parete grezza.
«Da dove si entra?»
Ovest disegna un cerchio con l'indice e subito si sente un leggero fruscio. Un attimo dopo una porta si intaglia nel fianco della montagna, come tirata da un grande meccanismo fatato. Alcuni banchi di nebbia escono dal varco. Profumano di sale e si dissolvono in mulinelli quando arrivano alla battigia.
Evianne si avvicina all'apertura. Ora che ha perso la sua aura, non riesce più ad annusare la magia e a prevedere un incantesimo, ma è sicura che quello sia un luogo antico, animato da un potere divino.
«Noi non veniamo» le dice Ovest. «C'è puzza di morte là dentro, è un odoraccio che ci resta incollato finché non sbattiamo contro una nuvola di pioggia. La morte ci fa passare la fame, e a noi mangiare piace.»
La parola morte le fa venire la pelle d'oca. Deve trovare Shadee e catturare Ordon prima che sia tardi. Con un inchino saluta il vento. «Grazie del tuo aiuto. Credi di poterci aspettare qui fuori?»
Il vento rilascia un profondo sbadiglio. «Finché avrò da mangiare...»
Evianne deve sbrigarsi o se ne andrà senza attenderla. Accompagnata dalla sinfonia martellante del cuore, entra nell'apertura, un passaggio dalla cui cima pendono stalattiti di sale solidificato, identiche a una chiostra di denti spezzati. Man mano che sale, le gambe faticano a procedere, la abbandonano del tutto quando in uno slargo trova il cadavere di Hondo. Subito si sente rimescolare lo stomaco, gli occhi che frugano dietro ogni torretta in cerca di un secondo corpo.
"Shadee, dove sei? Che è successo qui?" Sembra lo scenario di una battaglia. Ci sono spade dimenticate a terra e frecce con le cuspidi insanguinate. Poi alle orecchie arriva un suono sottile, come quando si avvicina una conchiglia all'orecchio e si sente l'eco del mare. Allo stesso modo Evianne percepisce un respiro stentato che associa a Shadee. È vivo, forse ferito, ma vivo. Improvvisamente sa dove andare. È come se la regina Adama la stesse portando passo dopo passo dal figlio. Fa attenzione a evitare alcune ombre immerse nella nebbia e scivola in una nicchia nascosta da un masso di sale.
«Shadee.»
Alcune frecce lo hanno colpito e hanno inzuppato la camicia di sangue. Il suo volto bruno sta perdendo colore, assumendo un tono grigio che non lascia presagire nulla di buono.
Evianne si accuccia accanto a lui, incapace di dominare la paura di essere arrivata tardi, che la dea Eren sia già lì, accovacciata in un angolo, pronta a rubare i suoi ultimi respiri.
«Shadee, svegliati.» Cerca di sistemarlo sul fianco, per evitare che una pressione eccessiva prema le frecce ancora più in profondità. «Non osare, non sono venuta fino a qui per niente. Ammetto che galoppare sui venti è stato divertente, ma se adesso tu...»
«Mi dispiace.» La voce di Shadee è un soffio.
Evianne si maledice per avere ceduto la sua magia a Ovest. Mai come in quel momento muore dalla voglia di stringere qualche goccia di rugiada, di sentire la vita di Rasa scorrerle nelle vene. A cosa è servito donare ai venti tutta sé stessa se adesso lo guarderà morire?
Shadee apre gli occhi a fatica. «Mi dispiace.» Lo ha già detto. «Non capivo più niente.»
«Non adesso» lo prega Evianne. «Altrimenti dovrò dirti anch'io che mi dispiace per averti mentito, e poi dovrei cercare di spiegarti perché l'ho fatto, e non finirei più, dèi, è una storia eterna e so parlare per ore quando mi ci metto e...»
«Ma io...»
«Parliamo dopo. Adesso devo portarti via.»
Shadee si àncora al masso e le impedisce di muoversi. «I bambini. Sono qui. Liberali.»
È una richiesta confusa, ma Evianne vi legge una storia che avrebbe già dovuto conoscere, semplicemente ora sa in che modo incastonare i tasselli che possedeva. Durante la sua metamorfosi come farfalla, quand'era immersa nell'anfora di Soumano, ha visto un castello dentro al quale si allenavano dei bambini. Sono le vittime che Ordon, Bara e Hondo hanno rapito dagli orfanotrofi, persone che nessuno avrebbe reclamato, menti giovani che potevano sfruttare a loro piacimento. Non può lasciarli lì. Lo ha promesso a sé stessa quando ha ucciso quel ragazzo nel tempio di Dagan, ma non può nemmeno permettere che Shadee muoia in quella nicchia.
«Ovest» sussurra. «Ovest.» Un po' più forte. «Ovest, sono Evianne. Vieni qui!»
Un refolo argenteo spira oltre al masso e poco dopo Ovest si siede davanti a loro, nelle mani una nuvoletta di magia ridotta ormai a uno spicchio. «Buona! Buona! Buona!»
«Devi aiutarmi» lo prega Evianne. «Devi portarlo all'Antro del Vecchio Saggio, da Nandi degli Erranti. Ha bisogno d'aiuto.»
Ovest smette di mangiucchiare la nuvola e le risponde con uno sbadiglio. «Non portiamo in groppa umani che non ci regalano la loro magia. Ha della magia da darci?»
Per Evianne è come se sotto di lei si fosse aperto un baratro. Non può rubare l'aura di Shadee, lo ucciderebbe. Nonostante la mente sia in panne, cerca di restare lucida. «Ascolta. A Fontebella troverai un mio amico, Snorre Passo Svelto. Digli che sono qui, portalo da noi con i rinforzi e dei guaritori.»
Ovest ha l'aria di non ascoltarla più. Riprende a sgranocchiare la nuvola. «Buona! Buona! Buona!»
«Puoi smetterla di mangiare?» esplode Evianne. Non sa più cosa fare per uscire da quella situazione disperata. «Snorre ti darà qualcosa di magico.» Ruberà le piume a Soumano o i cimeli della regina. «Per favore, siamo amici, se mi aiuterai...»
Il corpo di Shadee viene scosso da un fremito. «Jaja. Il falco da griot.»
Non dice altro e per un lungo momento si limita a respirare, il volto contorto dal dolore. Evianne non sa di cosa stia parlando.
«Ma noi abbiamo fame!» grida Ovest, e poi, con lo sbuffo di un vento erratico, scappa via, si rifiuta di aiutarli.
Evianne può solo alzare la mano e stringere la polvere, perché nessun tocco umano è capace di arrestare la corsa di un dio incorporeo. Non riesce a crederci: se ne è andato, li ha lasciati da soli, in balia del nemico.
«D'accordo» cerca di restare calma. «Sei venuto qui su un'imbarcazione, no? Ora ti porto lì e poi ce ne andiamo e per i bambini torneremo dopo con i rinforzi...»
«Ti aspettavo, Evianne.» La voce la trafigge come una lama acuminata. È un suono che conosce, anche se adesso ha assunto una tonalità più fredda.
Il masso di sale che li nascondeva esplode e da oltre una nube di polvere bianca emerge la sagoma allungata del consigliere Ordon. Evianne pensa che la vita sia buffa, un gioco ironico di coincidenze e paradossi. Ha passato mesi a cercarlo e alla fine è stato lui a stanarla, proprio quando sperava di evitarlo. Adocchia il luccichio di una spada e si piazza davanti a Shadee per proteggerlo, si convince che il consigliere non oserà sfiorarla, visto che appartiene alla sua gente.
È un'illusione, perché il volto di Ordon è contratto dall'odio. «Sei stata la più grande delusione che abbia mai conosciuto, Evianne.» La punta della spada la tiene sotto tiro. In lontananza, nascoste dai pulviscoli di sale, compaiono delle ombre furtive. «Ti ho mandata a Spinarupe allo sbaraglio, con quella stupida scusa di scoprire il volto del principe, solo per vederti fallire. Avrei dovuto immaginare che avresti cercato di distruggere i miei piani, proprio come hanno fatto i tuoi genitori.»
Un pugno di ferro le serra il petto, e in quella stretta atroce Evianne ricorda la dolcezza di sua madre e il coraggio di suo padre. Guarda Ordon, l'occhio di vetro attraversato da un bagliore viola, e finalmente capisce.
«Sei stato tu.» Avrebbe dovuto arrivarci prima, ma era come se la mente si fosse rifiutata di comporre in un quadro d'insieme tutti gli indizi. «Non sono stati gli Spilli a uccidere i miei genitori. Sei stato tu.»
«Alcuni dei miei soldati, già, orfani di Fontebella che ho cresciuto personalmente, nel nome dei miei princìpi. Ho messo loro una divisa nemica e un cappuccio, e tutti voi avete dato per scontato che si trattasse dei terribili Spilli di Spinarupe.»
«I miei genitori...» Evianne non trova le parole. Sente solo la mano di Shadee che combatte e cerca la sua per trasmetterle la forza che gli resta.
«Sospettavano che stessi cercando di ostacolare la pace. Li ho eliminati per evitare che riferissero i loro dubbi alla regina. Pensavo fosse abbastanza per arrivare alla guerra, ma tua zia ha accettato di scambiare ostaggi, addirittura di vendere sua figlia in matrimonio a un popolo di barbari! Solo gli dèi sanno quanto a lungo abbia provato a farle cambiare idea. Tutto inutile, e così ho aspettato, ho dovuto pazientare anni e poi ho pensato a te.»
L'ha mandata a Spinarupe per scoprire il volto del principe Jaja. Lei, goffa e troppo sincera. Senza un piano, senza delle indicazioni precise, in balia del caso. Chiunque si sarebbe atteso un fallimento, di vederla uccisa dal nemico. Il consigliere non voleva che avesse successo, nemmeno che sopravvivesse, perché se fosse morta Mildri e la regina avrebbero schierato l'esercito per vendicarla e lui avrebbe avuto la sua guerra.
«Gli uomini del tempio di Dagan» sussulta. Quei due ragazzi vestiti da Spilli che l'hanno attaccata. Evianne ne ha ammazzato uno e ha pianto il suo volto, il candore della pelle baciata dal chiaro di luna.
Il consigliere sospira. «Dovevano smascherarti e ucciderti. Hondo doveva assicurarsi che accadesse nel momento perfetto.» Il tono diventa sferzante come una frusta. «La regina avrebbe reclamato il tuo sangue, Spinarupe risposto con un esercito per condannare la presenza di una spia.»
Evianne sente una rabbia inedita traboccare dalla pelle, dagli occhi, dalla bocca. «Sei un mostro.»
Si rilassa di un soffio quando la voce di Shadee la accarezza piano. «È come me. Accecato dall'odio, da un amore sbagliato.»
È diverso. Shadee è tornato indietro, ha affrontato i suoi mostri e ha vinto. Per quanto cerchi delle analogie, Evianne non riesce a ottenere due immagini combacianti.
Anche Ordon capisce, emette un verso gutturale di disprezzo. «Non era previsto che il principe ti risparmiasse, che non ti uccidesse nemmeno dopo aver scoperto la tua reale identità.» A Reggia Blu, dopo l'incendio alla Cittadella. «Ho dovuto riorganizzarmi in fretta quando sei tornata e allontanare chi avrebbe potuto sostenerti, ma ormai ci siamo.»
Un bagliore folle gli investe il volto, affossa i giri di rughe che solcano gli zigomi affilati. A sorpresa, ripone la spada nella guaina, un gesto che Evianne non comprende.
«Dirò alla regina che la sua cara nipote è morta mentre lei e il principe di Spinarupe stavano cercando di uccidersi a vicenda. Si consolerà con qualche bicchiere di vino e mi crederà.»
Ordon si volta di mezzo giro, non teme nemmeno di darle le spalle, si limita ad alzare un dito e a indicare le ombre che emergono dalla nebbia, sempre più vicine, bambini con il fiore viola sulle guance, armati fino ai denti.
«Non mi servite più» sancisce con il tono di un trionfo. «Uccidete entrambi e quando avrete finito...» Offre una generosa occhiata al soffitto del palazzo. «Gli Spilli vanno fieri della tomba di rovi. Voi morirete sotto una tomba di lacrime.»
Di lacrime e sale. Evianne si raggela. «Aspetta, così farai crollare il monte intero addosso a loro, ai bambini che hai cresciuto...»
Ordon guarda i suoi piccoli soldati. «Oh, già. I bambini che ho cresciuto. È stato difficile averli. La maggior parte di loro non è sopravvissuta al processo di manipolazione mentale. Avevano aure inefficienti, troppo deboli per contenere la mia magia. Ma questi...» Li degna di un ultimo sguardo. «Avete il divieto assoluto di sopravvivere.»
«Non te ne andrai così facilmente» ribatte Evianne. «Non te lo permetteremo.»
Allunga le dita per intrappolare la sua mantella azzurra, ma quando sfiora la stoffa, un'esplosione potentissima le fa perdere l'equilibrio. Nugoli di fumo nero si alzano dai piani bassi del palazzo, blocchi di sale crollano dalla cima del monte. Negli occhi di Shadee, Evianne legge un identico ricordo. L'incendio a Reggia Blu. Secondo il racconto di Snorre, Jaja non ha attaccato la casata perché in cerca di una strage, doveva solo raggiungere re Tavare con pochi ribelli e sfidarlo a duello, ma allora...
«È stato lui» sussurra Evianne. «È stato Ordon.»
Chenzira e gli Erranti hanno seguito la corrente, sbagliando, ma non hanno organizzato quello sterminio. La distruzione di Reggia Blu era solo l'ennesimo trucco per spingerli verso la guerra.
Evianne si sente galleggiare in una strana sensazione. Scoprire che gli Erranti e Jaja non sono gli artefici del massacro la rincuora, ma la situazione è così disperata da spazzare via quel velocissimo attimo di sollievo. Con Serpentella in mano, senza più magia, si piazza davanti a Shadee, pronta ad affrontare l'esercito di bambini.
«Usa le ali» sussurra Shadee. Sta cercando di sfruttare la curva della parete per rialzarsi, ma le gambe non lo reggono. Ha perso troppo sangue e non riuscirà a combattere con lei. «Usa le ali, porta i bambini fuori da qui e scappa.»
Evianne sente una morsa di orrore deformarle i lineamenti del viso. «Non posso. Non le ho più.»
Si aspetterebbe di vedere Shadee crollare, invece sul suo volto sfinito si dipinge un sorriso che un attimo dopo si tramuta in una risata. Di disperazione, di ironia, di complicità, di un piano che si costruisce nelle loro menti all'unisono. Entrambi ricordano la loro forza, l'unione delle loro magie quando insieme cercavano di salvare re Tavare. L'aura di Evianne potrà essere spenta, ma quella di Shadee è ancora lì e lei la conosce, la può già sentire scorrere sulla propria pelle, vibrante di vita, del desiderio traboccante di spazzare via ogni dolore e ingiustizia.
Allunga la mano verso Shadee e lascia che le loro dita si intreccino. «Non ho mai voluto delle ali di rugiada.» Trasparenti, umidicce, testarde. Non le sono mai piaciute, forse perché sapeva di essere destinata ad altro. «Puoi darmi delle ali di spilli?»
Shadee le sorride: «Tutto ciò che vorrai».
Dai polpastrelli sorge un rovo che si avvinghia al polso di Evianne e poi abbraccia la schiena come un tralcio d'edera fa con un albero, con delicatezza, senza che le spine la pungano. Quando raggiunge le scapole, esplode in un tripudio di fiori, di aghi che brillano, illuminati da alcune gocce di rugiada.
Shadee la guarda e un sorriso di complicità gli attraversa il volto: «Insieme».
Evianne non vorrebbe mai lasciargli la mano, ma hanno una missione da concludere, un mondo da salvare. «Insieme.»
«I tatuaggi sulla guancia» cerca di avvertirla Shadee.
«Ci penso io. Tu resisti.»
Non serve dire altro. È Shadee a muoverla, a ordinare alle ali di spilli in quale direzione procedere. La fa scendere in picchiata dietro un molosso di sale per evitare che dei dardi la trafiggano, le dà la forza di afferrare un ragazzino da dietro e in silenzio le suggerisce di farlo parlare.
«Puoi non attaccarmi?» chiede Evianne, mentre gli punta Serpentella alla gola.
Il suo avversario proviene da Spinarupe e avrà sì e no dodici anni. «Non posso. Il fiore...»
Il tatuaggio brilla sulla guancia, rilascia un alone violaceo che genera un richiamo e attira tutti i bambini contro di lei.
«Dimmi come togliere il tatuaggio» lo supplica.
Lo solleva a mezz'aria per sfuggire da un colpo di spada. Il ragazzo però non risponde, e come lui nemmeno gli altri a cui grida soccorso.
«Ditemi come togliere il tatuaggio» prega ancora.
Le loro lingue sono ridotte al silenzio, ma oltre le pupille dilatate Evianne vede piccole menti che si dibattono per stringere la libertà. Sono vittime, non carnefici, e lei non avrà pace finché ognuno di loro non avrà di nuovo il diritto di scegliere. Lascia andare il ragazzo e tenta una virata a mezz'aria. Un dardo trafigge l'ala e Shadee perde il controllo, la fa scendere di quota, ma all'ultimo riesce a spingerla in un cunicolo per seminare i soldati.
«Trova Ordon» le grida. «Lui sa.»
Con un battito di ali più intenso Evianne arriva nello slargo dove giace il cadavere di Hondo. Non ha tempo di fermarsi: qualcuno la sta chiamando, una vocina che proviene da un cunicolo poco distante. Si avvita a spirale perché l'apertura alare non la ostacoli, e quando sbuca in un nuovo slargo, ancor più ampio del primo, resta a bocca aperta. Quel luogo corrisponde alla sala da ballo di un palazzo, dove dovrebbero tenersi le cene e i ricevimenti, ma al posto dei lampadari e dei festoni c'è un fiore, uno stelo gigantesco sul quale si aprono mille boccioli di aconito.
Evianne è attenta a non avvicinarsi troppo a quella pianta mostruosa, così immensa da reggere il soffitto del castello. Procede con cautela e con la coda dell'occhio vede che Shadee si sta trascinando sui gomiti nell'androne. Entrambi guardano i pistilli dai quali escono sottili ragnatele viola che si immettono nelle nicchie dove sono imprigionati altri bambini.
«Evianne!» Una vocina la chiama. La conosce. Attenta a non fare rumore, cerca nelle nicchie. I prigionieri sono sempre bambini, ma sono diversi dagli altri, perché il tatuaggio sulle loro guance è ancora leggero, in fase di realizzazione.
«Evianne!» Ancora quel richiamo. Appartiene ai bambini del Nido. Lja con le treccine nere, Mbo con le guance punteggiate di lentiggini scure, Pue che si rigira i pollici per distrarsi e non scoppiare a piangere.
Senza esitazione, Evianne vola da loro. «Ditemi come aiutarvi.»
Prende a pugni il vetro che li imprigiona, perché vederli lì, impauriti e febbricitanti, le spezza il cuore. Il tatuaggio sulle loro guance è slavato, eppure è identico allo stemma che ha visto nel tempio di Dagan sulla pelle del ragazzo che ha ucciso.
«Ditemi qualcosa» tenta ancora. «Come faccio a salvarvi?»
A Spinarupe non ha raggiunto il Nido in tempo, non li ha protetti dagli uomini di Hondo che li hanno portati via. Evianne non accetta di fallire una seconda volta e allora, con un colpo di ali spinate scheggia il vetro, genera nella superficie una piccola crepa.
«No» si allarma Pue. Smette di rigirarsi i pollici. «Non aprire!»
Il tatuaggio sulle loro guance si illumina, sulle tempie emergono grosse branchie che connettono gli occhi e il cervello. Lja è la prima a cedere. Il volto viene investito da una furia omicida.
«Che cosa vi hanno fatto?» Evianne indietreggia, quando Mbo e Lja picchiano il vetro per frantumarlo del tutto e attaccarla.
Nell'angolo della nicchia Pue si contorce, combatte contro una seconda voce colpevole di rubargli pensieri e parola. «Iggurtsid!»
Evianne arriccia le sopracciglia senza capire il significato di quel grido disperato, una singola parola che Pue continua a ripetere come se contenesse la soluzione al mistero. «Iggurtsid! Iggurtsid! Iggurtsid!»
Con l'acqua alla gola, cerca Shadee, lo vede recuperare Spillo Bianco per difendersi da alcuni bambini che lo hanno trovato e ora si arrampicano su di lui, gli strappano con le unghie brandelli di pelle dal collo e dalle guance. Una sensazione disperata la travolge, e all'improvviso Evianne perde quota, perché Shadee non riesce più a donarle la sua aura e a mantenerla in volo. Con un battito di ali cerca di attirare l'attenzione di Pue.
Gli occhi del bambino sono iniettati di ombre viola, ma cercano di lottare, mentre le labbra sputano lo stesso ritornello. «Iggurtsid!»
L'illuminazione arriva proprio mentre le ali si sfilacciano come i cordoncini di una fune sottoposta a una lunga usura. Distruggi. Pue al Nido parlava con un elefante immaginario usando le parole al contrario. Quel gioco è diventato un trucco per aggirare i divieti dell'incantesimo e aiutarla. Evianne deve distruggere qualcosa, forse il fiore, lo stelo di aconito su cui si arrampicano mille boccioli identici a elmi di guerrieri.
«Shadee! Provo a distruggere il fiore.» Le serve un'aggiunta di magia, un'onda di rovi per recidere lo stelo alla base. Ma proprio quando invoca il suo aiuto, un'altra sagoma si immette nello slargo e un giavellotto, lanciato con violenza, le trafigge lo stomaco, la oltrepassa da lato a lato.
Per un attimo Evianne non sente niente, nessun dolore, nessuna vertigine, solo un leggero pizzicore vicino all'ombelico. È come se il colpo non l'avesse davvero raggiunta, come se avesse infilzato una bambola, anche se la lancia è proprio lì, ficcata nella carne.
«Non farai nulla, ragazzina.» Ordon la guarda dal basso, piantato davanti al fiore gigante alla maniera di uno scudo, il braccio ancora alzato nell'atto di scagliare la lancia.
«Certo che farò qualcosa» bofonchia Evianne. Il dolore la investe in una scarica improvvisa, parte da dietro l'ombelico e si espande fino agli alluci. Shadee corre subito in suo aiuto e con i rovi cerca di ricucire lo strappo, di donarle ciò che resta della sua aura.
«Shadee.» Evianne prova a chiamarlo. Non può darle la sua magia, non quando quei bambini lo stanno assalendo e la vita sta scivolando via da lui.
Nonostante la distanza le sembra che le dedichi un ultimo sorriso. «Prendi la mia aura» la prega. Il volto è ormai grigio e spento. «Ti appartiene.»
Con uno scatto di magia la fa salire di quota. Non ha messo in conto che Evianne non può, le manca il coraggio, è sempre stata pronta a sacrificare sé stessa, ma non ha mai pensato, nemmeno da lontano, di dover rinunciare a lui.
«Oihcco! Oihcco!» geme Pue.
Occhio. Non è il fiore che deve distruggere, è l'occhio di Ordon, l'iride di vetro striata di viola. Le chiacchiere di paese dicevano che il consigliere dopo un lungo viaggio vi avesse imprigionato lo spirito di un Gari e che grazie alla sua magia potesse controllare le menti. A volte le storie non sono solo voci, a volte nascondono un fortissimo retaggio di verità e il fiore viola che il consigliere controlla ne è la prova.
Evianne guarda i bambini divincolarsi nelle nicchie, vede il corpo di Shadee ammorbidirsi verso l'incoscienza, mentre i suoi aguzzini lo accoltellano ripetutamente, e poi vede Ordon fissarla con sfida. Non permetterà che scappi, anche se è un piano folle.
A denti stretti, impugna il rovo che Shadee le ha allacciato ai fianchi e lo tira per trasformarlo in una frusta. Un dolore penetrante si riverbera nel corpo, e per un attimo Evianne teme di svenire, ma non può. Si appella a tutte le sue forze e con un colpo secco tira la fune per disfare le ali, le sente srotolarsi come un pizzo raffinato che torna a essere un semplice filo.
In una frazione di secondo, prima di cadere, scaglia il rovo sul volto di Ordon e centra in pieno l'occhio. La sfera di vetro esplode, ridotta in mille pezzi, il consigliere piange perché anche il fiore si sgretola, un po' alla volta.
«Non può finire così. Non può finire così.»
Evianne ha una percezione strana, di precipitare sempre più in basso. La caduta libera viene addolcita da Shadee che evoca una bolla d'acqua per attutire l'impatto e portarla da lui.
«Uccideteli!» ordina Ordon ai bambini. «Siete miei. Io vendicherò mio figlio, la mia famiglia. Uccideteli!»
Ormai vicinissima a terra, con ancora la lancia nello stomaco, Evianne prova un impeto di pietà, capisce che a modo suo anche il consigliere è una vittima, che è facile diventare ciechi quando si segue un ideale sbagliato. Dovrebbe odiarlo per i reati di cui si è macchiato, ma è già stato versato troppo sangue. Quando vede i bambini puntarlo, cerca di fermarli.
«Non uccidetelo» grida. Pagherà a Fontebella, sulla bilancia della giustizia. «Per favore!»
I soldati la ignorano, lo smembrano pezzetto dopo pezzetto, con rabbia e una crudeltà insaziabile. Intanto Evianne ha raggiunto Shadee a terra. Accanto a lui può solo assistere impotente alla morte di Ordon.
Sopra di loro il mondo trema, un boato echeggia nel monte prima che grandi blocchi di sale crollino dal soffitto. L'esplosione iniziale ha danneggiato la struttura. Se non se ne andranno finiranno schiacciati dalle macerie.
«Dobbiamo uscire di qui» sussurra Evianne. «Shadee!» Cerca di scrollarlo per costringerlo a stare sveglio.
Lui non reagisce, non si concede nemmeno una fitta sul viso quando un blocco di sale crolla e gli schiaccia la mano destra bruciata da un abuso di magia. Deve avere capito che è finita, che il Destino ha scritto per loro, nelle sue Tavole, un epilogo di morte.
Evianne cerca di sistemarsi più vicina. È entrata nel Monte Cintura Azzurra con il solo obiettivo di salvarlo e invece, insieme, hanno fatto molto di più. Sono stati l'ago e la rugiada che hanno ricucito e curato due paesi in lotta, liberandoli dall'odio e dalla guerra. Le sarebbe piaciuto avere un futuro con lui, ma non importa. È felice perché dalla vita ha avuto molto, ha racimolato tante piccole gioie che in quell'istante, con il viso di Shadee a un soffio dal suo, le sembrano enormi.
Shadee la guarda. La linea della bocca gli trasforma il volto in un sorriso che è soltanto per lei. «Non riesco più» le dice, le parole deformate dallo sforzo.
Evianne respira a fatica. «Nemmeno io.»
Pensa che manchi qualcosa da aggiungere prima di scendere con lui sul fondale dell'Aralla, qualcosa che ha già detto, anche se Shadee non la sentiva, nei reami di un sogno che non aveva ancora concretezza, qualcosa che avrebbe dovuto confessare sin dal primo giorno della loro storia.
Appoggia delicatamente le labbra su quelle di Shadee.
«Io sono Evianne.»
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