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62. Il principe senza spilli

Shadee ripiega la missiva. La appoggia sul comodino accanto al cappuccio che si è tolto. Non lo indosserà mai più, nemmeno di fronte agli stranieri, nemmeno se gli ultimi membri della casata dovessero torturarlo. Adesso lo sa, ha deciso quale identità gli appartiene anche se il prezzo da pagare sarà alto.

Finisce di sistemare la stanza, la lucida come se fosse un palco sul quale recitare l'ultimo atto della tragedia. Sarà quello che farà a breve, comporrà davanti al popolo le battute conclusive di una storia che non ha saputo gestire. Nella nostra vita, pensa, attraversiamo un'infinita catena di momenti, molti dei quali ci sembrano vuoti e insignificanti, perciò lasciamo che scivolino via, senza dare loro il giusto peso, senza quasi accorgercene. A volte però arriva un istante troppo grande per essere ignorato: ci paralizza, ci costringe a riflettere, con il suo potere riesce a cambiare il flusso del destino. Per Shadee quella notte è costellata di attimi simili, di eventi impercettibili che gli indicano la via da seguire. Di fronte alla prospettiva del mutamento dovrebbe essere spaventato o sentirsi in ansia, invece non è mai stato così in pace con sé stesso.

Quando Kemala torna da lui, è quasi l'alba. Lo trova immerso in una penombra di riflessione, mentre guarda ancora la missiva. Il falco da griot saluta la ragazza con un verso rauco. Sta aspettando una risposta, una che Shadee ha già scritto grazie a una piuma di pavone e a qualche goccia di inchiostro. Finisce di agganciare il cilindro alla zampa del rapace azzurro.

«Vai» gli ordina. Deve inviare il messaggio prima che qualcosa gli impedisca di procedere.

Kemala lo guarda con sospetto. «Che cos'è?»

Ecco, quello è un altro momento che si sta per aggiungere a una notte troppo intensa, un attimo che vorrebbe evitare perché porterà a un confronto difficile, ma Kemala è rimasta con lui fino alla fine, lo ha sostenuto quando ha dato il peggio di sé, le deve almeno una spiegazione.

Le indica il foglietto che riposa accanto al cappuccio di Spilli. «È stato Ordon di Fontebella a inviarmelo.»

Kemala corruccia il volto. «Che cosa vuole da te?»

«Ha visto l'esercito che ho fatto schierare oltre la barriera di Rovi, mi prega di scioglierlo e di non inviarlo contro la sua Bolla.»

Per un attimo le spalle di Kemala sembrano perdere quel filo di tensione che le ingroppava. «È logico. Nessuno vuole la guerra.»

Logico, sì, è quello che pensa anche Shadee. Per questo ha accettato la proposta di Ordon appena ha letto il messaggio, ha capito che il suo era un atto dovuto per espiare il dolore che con la sua cieca rabbia ha provocato. Si gira di lato per sfuggire allo sguardo acuto di Kemala che continua a studiarlo.

«C'è dell'altro, vero?» la sente chiedere.

Shadee si morde il labbro. Negare non servirebbe a nulla. Per una volta deve smetterla di nascondersi come un bambino dietro un cappuccio di spilli che troppo a lungo gli ha impedito di esistere. «Ordon vuole risolvere il conflitto sfidandomi a duello.» Uno scontro tra capi per evitare che i rispettivi popoli si disintegrino a vicenda. «Ha già scelto il posto dove io e lui ci incontreremo, a tre settimane di nave da qui. Chi vincerà cederà il potere all'altro.»

È la prima volta in cui Kemala resta a corto di parole. Il volto bruno diventa all'improvviso pallido, un sussulto spaventato la rimpicciolisce sul posto. «È un'idiozia» sbotta, dopo aver recuperato il controllo.

La voce emette un graffio stridulo che nasconde un singhiozzo. Chi lo avrebbe detto? Kemala, la spietata e altera nobile che lo voleva morto a ogni costo, adesso trattiene a fatica le lacrime per paura di vederlo ammazzato.

Affonda le mani flessuose nelle pieghe della veste nera. «La casata non lo permetterà.»

«Non esiste più la casata» le ricorda Shadee. «È stata distrutta da un'ombra, da un semplice ripiego. Il loro vero re è là fuori, saprà creare un mondo migliore.»

«Chenzira ti fermerebbe, Chenzira non lo permetterebbe!» Sfrutta un nome che Shadee si è costretto a dimenticare e gli sorride con il ghigno di chi capisce d'aver colpito nel segno, di avere girato e rigirato le parole in una ferita che sanguina ancora, perché lui stesso non vuole ammettere che fa male e per testardaggine si rifiuta di curarla.

Gli occhi di Kemala dardeggiano, tirano i lampi di una vittoria acclamata. «Non guardarmi così.» Lo sfida con un dito puntato contro il suo petto. «Io lo dico quel nome. Chenzira. Lo dico quante volte voglio. È vero, ti ha nascosto molte cose e ha sbagliato, ma ti ha sempre amato e se fosse ancora vivo troverebbe il modo di fermarti.»

Le sue insinuazioni colpiscono come una gragnola di pietre che non mancano il bersaglio. Sotto il loro tiro Shadee si sente andare in mille pezzi. Tutt'a un tratto anche il semplice atto di respirare gli provoca una sofferenza inaudita. Un flusso di ricordi scorre in testa, gli consegna un'immagine di Chenzira da giovane, durante il loro primo allenamento, quando gli ha regalato Spillo Bianco. Per un attimo gli sembra che sul volto di Kemala si sovrappongano occhi di ambra e una bocca che sussurra una preghiera.

"Non farlo, Shadee. Non farti ammazzare. Vuol dire che sarò morto per niente."

Kemala capisce di avere aperto un varco nelle sue resistenze. Gli stringe le mani chiudendole nella coppa delle sue. «Ascolta, cerchiamo Jaja, ricostruiamo la casata. Un passo alla volta, un giorno alla volta.»

È una prospettiva allettante. In un sogno a occhi aperti, Shadee rivede la casata animare Reggia Blu, immagina un mondo dominato dalla pace che gli ricorda la visione nel tempio di Dagan, quel regno alternativo in cui lui e Chanti erano sposati, avevano un figlio ed erano felici. Aveva promesso di lottare perché quell'illusione diventasse reale e invece è rimasto sopraffatto dal dolore e dall'odio. Adesso però può rimediare, può consegnare un futuro migliore a chi lo merita.

«Non funzionerà» sussurra senza scollare le mani di Kemala dalle sue. «Ordon non si rassegnerà finché non avrà uno scontro. Hondo stesso mi spinge alla guerra.»

«Bene» esclama Kemala con il tono di un generale. «Paga un sicario perché li uccida entrambi e metti fine a questa follia.»

Sarebbe semplice e ingiusto. Sarebbe il gesto di un vile che si nasconde ancora dietro gli ordini di suo padre e li pensa corretti solo perché a volte è troppo difficile articolare un pensiero proprio. Ma Shadee è cambiato, ed è pronto a dimostrarlo a tutti. Lui ha distrutto la sua gente, lui la deve salvare. «Hondo verrà con me al duello. Mi è concesso un secondo. Ucciderò Ordon e se Hondo non capirà...»

Non vorrebbe, è pur sempre sangue del proprio sangue, il cugino che con i suoi modi discutibili lo ha sostenuto quando stava impazzendo, ma se diventerà un ostacolo per la pace, Shadee lo ucciderà e subito dopo scenderà con lui nell'Aralla dai loro avi. È una decisione presa e non cambierà idea, nemmeno ora che Kemala ha rinunciato alla sua maschera di controllo e ha iniziato a singhiozzare.

Le chiede un'ultima cortesia: «Cerca Jaja per me. Dagli questa». Dal comodino recupera una vecchia trottola di frassino. «Digli che lo sapevo che mi lasciava vincere e che l'ho sempre amato anch'io.»

Senza ripensamenti, senza guardare Kemala, va alla ricerca di Hondo. Lo trova in attesa di ordini fuori dalla stanza dove per un mese si è barricato. «Sciogli l'esercito sulla riva del Lago Oceano» comanda. «Non ci sarà nessuna guerra. Manda i soldati a casa e poi convoca i cittadini di Spinarupe dentro le mura di Reggia Blu. Devo fare un annuncio.»


*


Hondo spalanca i cancelli di Reggia Blu. Nel giro di un'ora i popolani che sono rimasti a Spinarupe entrano nella Cittadella per un'occasione che ignorano. L'alone di mistero rende i loro passi incerti, piccole falcate e gesti trattenuti di uomini che vorrebbero essere ovunque fuorché lì. C'è chi teme che dietro l'invito del principe vi sia un tranello e presto il cappio del boia stringerà i loro colli, c'è chi pensa che ecco, è finita, alla fine si avrà la guerra, alla fine dovranno lasciare tutti quanti le loro case e morire in terra straniera per il capriccio di un egoista.

Shadee resta nascosto dietro una colonna. Davanti a lui c'è un piccolo poggiolo dal quale gli Spilli in passato regalavano ampi discorsi alla folla. Da quando i griot sono stati banditi, anche i regnanti hanno smesso di raccontare, si sono barricati dietro le loro mura, nel loro ideale di superiorità, si sono isolati da quel popolo al quale hanno impedito di accedere alla Cittadella.

Ma adesso Shadee sta per cambiare tutto. Si è già spogliato della casacca dai bottoni di madreperla e ha indossato un vestito di cotone grezzo, l'abito più semplice che abbia trovato e che lo accompagnerà nell'atto finale della recita. È pronto a offrire la sua vita e il suo volto, ad accettare le conseguenze che saranno richieste.

Quando Hondo si accorge che il cappuccio di spilli riposa nelle sue mani e non in testa, lo blocca per la spalla. «Che ti sei messo in mente? Sei impazzito?»

Shadee stringe più forte la stoffa, i nervi a fiori di pelle. «Sono il tuo re?»

La domanda spiazza Hondo, lo convince ad allentare la presa. Per lo stupore strabuzza gli occhi chiari sotto il battito scattante delle ciglia. «Sì, sempre.»

«Allora hai ragione tu» gli sorride Shadee come se tra di loro fosse in corso una gara di barzellette sciocche. «Sono impazzito e voglio essere libero di farlo fino alla fine. Ti chiedo di non fermarmi.»

Hondo lo lascia andare, non perché voglia rispettare un ordine, ma perché lo stupore gli ha fatto perdere la percezione del tempo, dello spazio, del suo stesso corpo. Non ha riflessi abbastanza pronti da strattonarlo per la manica e ributtarlo in stanza. Può solo restare nascosto dietro la colonna assieme a Kemala, con lei supplicarlo in silenzio di ripensarci.

Shadee non lo farà. Ha imboccato il sentiero giusto e non intende rintanarsi nell'ombra di un errore. Con passo incerto si costringe a varcare l'arco del loggiato. Nel momento stesso in cui raggiunge la balaustra del poggiolo, il sole smette di giocare a nascondino con le nuvole, gli illumina il volto. Deve essere un segnale voluto dagli dèi: è il primo raggio di una mattina bigia e ha scelto di cadere sul suo viso scoperto proprio ora che la folla lo guarda, trasalisce, solleva gli indici per puntarlo. È la prima volta dall'alba dei tempi in cui uno Spillo si mostra alla sua gente senza maschere e inganni. Eccetto Jaja, Jaja lo ha già fatto, ma suo fratello è sempre stato il migliore.

Adesso spetta a lui onorare il sangue che li lega. Prende un grande respiro, senza lasciarsi intimorire dalla folla che si addensa nella piazza come un maroso scuro e arrabbiato. I cittadini lo fissano con astio, lo ritengono la causa di tutte le loro sofferenze, l'artefice di quel pugno di ferro che nell'ultimo mese li ha stritolati, privati dell'onore e della libertà.

Shadee prende un secondo respiro. Non si scappa, non più. «Mi conoscete come Jaja, il principe di Spilli, il re vostro e della casata.»

Ecco, le prime parole sono state soffiate a un volume molto più basso di quanto vorrebbe. La voce esce a fatica, ma spera sia sufficiente per farsi ascoltare, che non lo abbandoni finché non avrà concluso il discorso.

Con dita tremanti mostra alla folla il cappuccio costellato di spilli. «Quando mio padre mi disse che avrei dovuto indossarlo, avevo quattro anni.» Ricorda ancora quel giorno, l'inizio di tutto. Lui e Jaja nel giardino della regina. «All'inizio provai paura. Il mio primo pensiero fu di scappare e di correre a giocare con le trottole. Volevo solo fingere di non avere mai ricevuto quell'ordine.»

Invece lo ha accettato. Per anni si è trasformato in ciò che gli altri richiedevano solo perché pensava fosse giusto, solo perché non voleva deludere suo padre e la gente che amava. Ma adesso è arrivato il momento di lasciar andare il passato. Fa cadere il cappuccio nel vuoto, lo guarda afflosciarsi ai piedi di una donna in prima fila.

«Poi arrivò il senso del dovere» ricorda. «Era legato all'amore per la mia casata, per i miei genitori, per mio fratello. Vi ho odiati quando avete ucciso mia madre, ho odiato voi e me stesso per non essere stato all'altezza.»

Inspira a fondo e afferra la balaustra per reggersi in piedi, per sopportare il peso di quel discorso che non è ancora finito e più procede più gli grava sulle spalle, gli impedisce di scappare. Non si torna indietro, non ora.

«Io sono nato per essere un'ombra. Mi sono sempre sentito così, la pallida imitazione di un altro. Mi sono impegnato il doppio per essere degno di mio padre, ed era ingiusto perché se avessi avuto successo il merito non sarebbe stato mio, ma del nome che rappresentavo. Non ho mai potuto essere me stesso, forse non ne ho avuto il coraggio. Per tutti ero solo il sostituto o il principe nato sotto il segno di Luva, la stella più bella dell'universo, ma il suo amore era sbagliato e io...»

Le parole gli muoiono in gola, soccombono sotto la spinta di ricordi così lontani, eppure, per paradosso, così forti da travolgerlo con l'urto di una ventata infuocata. Ripensa a una notte di tanti anni fa, quando era piccolo e assieme a Jaja guardava il cielo con le stelle, ascoltava i miti delle costellazioni e le fiabe di un tempo passato.

«Un bambino mi disse che ero più di questo. Più di Luva, più di un pezzo di stoffa che mi copriva il volto. Ero chi sceglievo di essere.»

Soltanto Shadee, che non voleva dire niente, ma adesso capisce, adesso vuol dire tutto, anche se la folla lo fissa come se fosse un pazzo, trattiene il respiro, sgomenta.

Shadee sorride davanti ai loro volti sbigottiti. «Quel bambino adesso è un uomo.» Si concede una piccola pausa, un'ultima esitazione. «Si chiama Jaja, e non sono io.»

La folla scoppia in un brusio confuso, dita scoordinate si alzano per puntarlo, lo tacciano come un usurpatore, lo indicano per quello che è, qualcuno che non avrebbe mai dovuto regnare, ma Shadee non ha ancora finito. Con il sole negli occhi incamera un boccone gigantesco d'aria e alza la voce, sputa fuori ogni rimasuglio di verità taciuta.

«Mi chiamo Shadee e sono il figlio minore del re.» Mi chiamo Shadee ed esisto, mi chiamo Shadee e mio padre mi amava, anche se... «Da lui ho ricevuto il compito di trasformarmi in Jaja quando mio fratello ha disertato, perché non sopportava di assistere impotente al vostro dolore.»

Davanti a quell'ammissione il brusio della folla cessa. Shadee si sente bruciare mentre si alzano domande e sguardi confusi. È quasi alla fine ormai, deve resistere, recitare le ultime battute prima di calare il sipario.

«Jaja adesso ha preso il mio nome. È il ribelle che vi promette pace, il legittimo re, io...» Ricaccia indietro l'ondata di commozione che gli sale in gola. «Io sono esistito per essere lui, e lui sono diventato, nella maniera peggiore che potessi inventare.» Uccidendo Isedu di Sabbiafine, discriminando i Secondi, condannando chi lo aveva tradito senza ascoltare, lasciando che il dolore lo rendesse una bestia affamata di morte e vendetta.

«Non darò la colpa a Luva o a una leggenda scritta nelle Tavole del Destino. La darò a me stesso e ai miei errori.» Gli occhi si riempiono di lacrime quando si soffermano sul suo popolo, contemplano i segni della distruzione che ha provocato. «Non chiedo il vostro perdono, solo di darmi la possibilità di rimediare.»

Shadee si inchina, umile servitore della gente che avrebbe dovuto guidare e per la quale eviterà la guerra. Quando si rialza, arretra con i pugni chiusi. «Da oggi sparirò, lascerò il mio posto al vero re, quello che avete sempre meritato.»

Torna nell'ombra senza aspettare un suono, che sia di perdono o di condanna, si rifugia nel suo palazzo di ricchezze frantumate, solo per imbattersi in Kemala che gli taglia la strada. Nei suoi occhi scuri ci sono lacrime di orgoglio.

«Sei tu il re che avrei sempre voluto avere» gli dice. Non lo trattiene, lo lascia rintanarsi nella sua stanza.

Dopo esservi arrivato, Shadee riferisce a Hondo il nome del luogo scelto dal consigliere Ordon per il duello, gli affida il compito di preparare una nave con delle provviste destinate a durare tre settimane di viaggio. Prima di chiudere quel capitolo della sua vita, scrive un nome su una pergamena – Evianne –. Vorrebbe avere le parole giuste da dedicarle, ma in fondo tra di loro non è mai stato necessario. Sopra al cartiglio deposita un singolo petalo di campanula bianca e con un ringraziamento e una richiesta di perdono se ne va.

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