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58. La spilla di Soumano

La risveglia un ticchettio umidiccio sulle guance. Evianne è rannicchiata a terra sopra una superficie compatta e spigolosa che emana un vapore freddo. Un dolore intenso si propaga dalla base del cranio, peggiora quando apre gli occhi e una falce di luce pizzica i capillari. Qualcosa l'ha spazzata via dal tempio di Rasa e ora non si trova più sul ciglio della cascata, ma tra alcuni scogli contro i quali rimbombano le onde del Lago Oceano.

Cerca di mettere a fuoco gli ultimi ricordi. L'aggressione durante il matrimonio, Shadee che impazzisce, Snorre che lo vuole uccidere. Quando ripensa ai corpi di Chenzira e Bulbun, le sfugge un piccolo singhiozzo. È un suono leggero e finisce mangiucchiato da un pianto di donna che Evianne sa subito ricondurre a un nome.

«Nandi?» chiama piano, con un filo di voce arrochito e la bocca impastata.

È ancora giorno, non deve essere rimasta priva di sensi troppo a lungo. Barcolla in piedi tra l'acquerugiola che lustra gli scogli e disegna bolli e schegge sulla sabbia, segue la pista sonora dei singhiozzi sempre più acuti.

«Nandi? Dove sei?»

La trova avvolta da un velo di pioggia. È inginocchiata sulla sabbia e stringe due mani senza nervo portandole alla bocca. Quando Evianne distingue l'incarnato latteo di Chenzira e quello color ebano di Bulbun sente un laccio spinoso aggrovigliare le viscere.

Il vortice d'aria ha spazzato via anche gli Erranti, assieme ad alcuni monoliti che componevano il tempio di Rasa. Chenzira e Bulbun sembrano dormire sulla arena calpestata, quasi non avessero mai preso parte alla battaglia che poco prima stava infuriando. Non doveva finire così. Per gli Erranti, dopo l'incendio a Reggia Blu, Evianne ha provato un'ombra di risentimento, dovuta all'averla coinvolta senza mai rivelarle completamente le loro mosse. Eppure, davanti ai loro corpi, non può che scivolare sui talloni, arrabbiata con la dea Eren che li ha rivendicati troppo presto. Non le ha dato il tempo di chiarire, di cancellare quell'ombra di risentimento che in una piccola porzione di cuore porterà sempre con sé. È questo a straziarla, ancora più della perdita, la consapevolezza che non sentirà mai più la loro voce, che non avrà più modo di ascoltarli e di capire cosa pensassero di lei, se la ritenessero solo una pedina da usare per la causa o qualcosa di diverso.

Mentre Nandi scrolla i loro corpi, ricorda come Bulbun piroettava nel tentativo di imitarla, le canzoni che intonavano insieme gareggiando a stonare l'uno più dell'altra. E poi ricorda Chenzira, i sorrisi leggeri e lo stato di calma proiettato dalla sua aura, la mano che le aggrovigliava i capelli quando la sorprendeva agitata. Ricorda che sono morti entrambi per Shadee come se con quella decisione estrema avessero voluto chiedere perdono.

Evianne capisce che quando si è feriti è facile sbagliare, che in guerra non esiste un buono o un cattivo: anche la persona migliore, per un eccesso di fiducia o un abbaglio, può seguire un percorso sbagliato. Chenzira si fidava di Jaja, Evianne si fidava degli Erranti, e ora Chenzira e Bulbun sono morti, e lei si sente persa, perché non sa cosa fare.

Non consola Nandi, non possiede le parole giuste per provarci. «Vado a palazzo. Se vuoi, mi trovi lì.»

Non dice altro. Ci sarà tempo per i pianti e i funerali e il cordoglio, ma adesso è il momento di salvare quel poco di buono che ognuno di loro ha costruito. Perché i giorni che ha passato con Shadee, Kemala, Maissa e gli Erranti le hanno dimostrato che la provenienza è solo un'etichetta, un capriccio su cui ci fissiamo. Non permetterà che l'attentato al matrimonio diventi la scintilla per innescare una guerra.

Decisa a scagionare Shadee, raggiunge la sala delle udienze di Fontebella. La sua famiglia è lì: la regina Valesca con un bicchiere di vino rosso in mano, Mildri che cuce un taglio sulla spalla scoperta di Snorre, Snorre che dilata le narici, seduto su un piccolo sgabello con l'imbottitura di broccato.

Quando la vede balza in piedi come una molla. «Evianne! Ti ho cercata ovunque. Mi sono svegliato e non c'eri...»

Zuppa di pioggia e con il vestito grigio imbiancato dalla sabbia, Evianne fronteggia la piccola comitiva davanti al trono. «Qualcosa mi ha sbalzata giù dalla cascata. Gli Spilli. Dove sono finiti?»

La regina Valesca svuota il bicchiere e libera un singhiozzo. «Non lo sappiamo. All'improvviso è apparsa in cielo una nube a forma di uccello e li ha portati via, assieme alla loro nave e ai loro averi. Quando hanno ordito il loro complotto ai nostri danni, devono avere studiato anche una via di fuga.»

«Non è stato Shadee.» Evianne scatta sulla difensiva, e solo dopo aver finito di parlare, si accorge di avere usato quel nome segreto, quello che ha giurato di non rivelare mai a nessuno.

Eppure la regina non è sorpresa. Ha le guance rubiconde per il vino e per la rabbia, ma i lineamenti sono distesi: ha sempre saputo che Shadee era un impostore, ne è stata informata dalla figlia. Ferita da quel piccolo tradimento, Evianne fissa la cugina.

«È mia madre» si giustifica Mildri. Getta ago e filo in un catino di metallo e aiuta Snorre a infilare la camicia per coprire la spalla. «Non potevo tenerglielo nascosto.»

Evianne non le ha mai chiesto di mantenere il segreto, non lo ha fatto perché non ce ne era bisogno: tra di loro, sin da bambine, c'è sempre stato un tacito accordo. Ciò che si dice alla casa di betulla, resta alla casa di betulla. «Cosa volete fare adesso?»

La regina ordina a un paggio di versarle una nuova coppa di vino. «Sono stati loro a rompere la tregua.»

«No, non è andata così.» Evianne drizza le spalle, decisa a impuntarsi. «Shadee aveva bisogno di me per guarire suo padre. Solo uno stupido avrebbe mandato a monte l'accordo. Mildri...»

Cerca il sostegno di sua cugina, da sempre la sua migliore alleata, ma lei rompe quel veloce contatto di sguardi e volta la testa verso una finestra rigata da alcune serpentine di pioggia.

Evianne sente il cuore affondare nei talloni. «Snorre, almeno tu. Tu lo conosci.»

Snorre stringe le labbra con forza. «Ha provato a ucciderti con i suoi rovi.»

«No. Non lo ha fatto.» Avrebbe potuto ammazzarla senza che lei opponesse resistenza, e invece ha frustato il vuoto, e quando ha capito che rischiava di perdere il controllo e di ferirla... «Mi ha detto di andarmene. Era terrorizzato, per favore.»

«Non è quello che ho visto» insiste Snorre. «Il principe Jaja è il legittimo erede al trono.»

Evianne cerca un'altra frase per convincerlo, vorrebbe raccontargli la storia di Luva e Vala, spiegargli che un potere più forte, divino, ha provato a rubargli quell'identità che con tanta fatica ha conquistato. Non più il doppio di Jaja, non più il principe baciato da Luva, solo e soltanto Shadee. Ma l'inizio del discorso viene reciso da un nuovo arrivo nella sala delle adunanze.

È Nandi e la sua aura è avvolta dalla sete di vendetta. «Il principe Jaja è il re legittimo. Bisogna informarlo, sostenere i ribelli e uccidere Shadee l'usurpatore.»

Evianne non sa più a chi appellarsi, sembra che l'intero universo delle Bolle le stia remando contro. «Come puoi? Chenzira e Bulbun sono morti per lui.»

Una falce di dolore scurisce il volto di Nandi, la fa invecchiare all'improvviso. Un sorriso triste le inarca le labbra: «Sono sempre stati due idioti».

Evianne abbozza un passo verso di lei, la prega in silenzio di non lasciarsi trascinare dall'odio e dal dolore, ma la regina emana un profondo sospiro che trancia anche l'ultima speranza.

«Ho mandato Ordon a occuparsi dei feriti. Da domani studieremo come attaccare i Rovi. Ti prego di mettere da parte i tuoi sentimenti per un assassino, Evianne. La prossima volta che lo vedrai staremo brindando sul suo cadavere.»


*


Evianne esce da palazzo come una furia. Per la prima volta da quando è nata non ha voglia di sorridere, ballare, cantare; vorrebbe solo gridare fino a svuotare i polmoni e buttare fuori, oltre all'ossigeno, tutta la rabbia che sta incamerando. L'hanno abbandonata: Snorre, Mildri, Nandi. Non c'è anima viva che si fidi di lei, anche se è evidente che Shadee è innocente. Solo un folle avrebbe organizzato un attentato in netta minoranza numerica, in terra straniera, quando la sua gente era quasi del tutto disarmata. Perché l'odio rende così ciechi? Perché impedisce di riconoscere perfino la più sgargiante delle realtà?

Tira un calcio a un sassolino e lo guarda ruzzolare in più balzi giù dal sentiero che porta alla casa di betulla. La pietruzza affonda contro un nido di rondine che la tempesta ha divelto dalla cima di un albero. Al suo interno c'è ancora una piuma nera. Per analogia, Evianne ricorda la nuvola che ha velato il cielo e si è tuffata sugli Spilli facendoli sparire nel nulla. Aveva la stessa forma della piuma che Snorre ha usato per riportarla a Fontebella dopo l'assalto dei ribelli a Reggia Blu. Con il tempo si è dimenticata di chiedergli chi gliel'avesse prestata, ma ora non ha più bisogno di una spiegazione, perché l'ha vista di recente.

Si fionda nell'Antro d'Argilla con il cuore che pompa a mille. «Chi sei?» grida dalla soglia.

Il Vecchio Saggio siede sul solito tronco rialzato. Dalla fascia di cuoio che tiene indietro una cascata di capelli bianchi manca la piuma centrale. È la conferma che rinsalda il sospetto: è stato lui a dare a Snorre un portale magico per riportarla a casa, lui ad allontanare gli Spilli dal tempio di Rasa. Le servono delle risposte e subito, anche se il Vecchio Saggio non sembra interessato a fornirgliele. Sbircia in una delle sue anfore ed emette uno sbuffo, come se la visione che le Tavole del Destino gli restituiscono non lo stesse soddisfacendo.

«Sei preoccupata per lui, non devi. Lo ho riportato a Spinarupe con la sua gente per evitare altre morti.»

Allora è così. È stato davvero il Vecchio Saggio a inviare la nube a forma di piuma che ha fatto sparire Shadee, a emanare un potere che nessun semplice discendente degli dèi può possedere.

«Sei un dio?» L'unico a non avere lasciato le Bolle per tornare nella galassia con la Creatrice?

Il Vecchio Saggio tamburella l'indice sull'orlo dell'anfora che sta consultando. «È appena arrivato a Spinarupe.» Non la guarda, attratto dal liquido nero in cui si riflettono le Tavole del Destino. «Sono stato io a inviargli un falco per attirarlo qui e aprire le trattative che il tuo intervento a Reggia Blu ha rischiato di compromettere, ma ho sottovalutato il peso dell'odio. È un mostro difficile da sedare.»

Sta parlando del falco da griot che Shadee ha usato per chiedere a Evianne di guarire suo padre e accettare di sposare Mildri. Perché il Vecchio Saggio avrebbe dovuto organizzare le trattative tra le due Bolle nemiche?

«Non sono un dio» sussurra lo sciamano. «Gli dèi hanno abbandonato le Bolle da secoli, ma hanno lasciato quelli come me a raccontare le loro storie e a possedere i loro valori.»

«Sei un griot.»

«Un esiliato che cantava per la pace e che ha vagato a lungo sperando un giorno di poter cancellare l'odio e di donare a questo mondo un futuro migliore.»

Un falco entra dal compluvio che buca il tetto della grotta, atterra sulla spalla del cantore; tra le piume azzurre, sul collo, compare una medaglietta con uno stemma che Evianne ha visto per la prima volta ai Cento Occhi. Il simbolo della lira e della piuma.

«Tu sei Soumano.» Lo sciamano sotto il cui ricordo glorioso si sono riuniti i ribelli di Jaja, colui che venne allontanato dagli Spilli per avere cantato al popolo. Non c'è tempo per stupirsi, né per chiedergli perché non le abbia mai detto la verità. Evianne unisce le mani in segno di preghiera. «Devi aiutarmi. Sai leggere la storia, consultare le Tavole del Destino, devi dirmi cosa fare.»

«Ogni volta che guardo in queste anfore perdo una piccola traccia della mia umanità.» Finalmente il Vecchio Saggio stacca lo sguardo dall'anfora. Ha gli occhi lontani, le iridi che sbiadiscono nel bianco delle sclere. «Un giorno finirò in una storia che non è la mia e non avrò più la forza di tornare indietro. Il mio corpo resterà immobile e, a poco a poco, morirà, come è successo al mio maestro.»

Scuse, sono soltanto scuse. Anche lui si sta rifiutando di aiutarla, e intanto la regina Valesca sta ordinando di forgiare le armi, di allenare i soldati, di costruire la flotta.

«Per favore» lo supplica Evianne, ormai a un passo da lui. «Guarda, dimmi da chi è partito l'attentato. È stato Hondo? Mi basta un nome per mettere fine a tutto questo.»

Il Vecchio Saggio resta con lo sguardo sollevato, come per resistere alla tentazione di sbirciare nuovamente nell'anfora del tempo. «Guarda da sola.»

Lei? Evianne trasalisce. Ma lei non è un griot, non sa come fare e forse... Snorre le direbbe che goffa com'è rovinerebbe tutto, ingarbuglierebbe la matassa del tempo e condannerebbe tutte le Bolle dell'arcipelago all'estinzione.

«Non credo di saperlo fare.»

«Devi solo guardare» incalza il Vecchio Saggio. «E ricordarti di non restare in quelle storie per sempre perché ne finiresti uccisa. Hai qualcosa per cui tornare indietro?»

Evianne preme il petto contro l'anfora gigantesca in cui il Vecchio si rifiuta di guardare, stringe i bordi con entrambe le mani.

Non qualcosa, qualcuno.

«Sì.»

Non si tirerà indietro, non quando può fare la differenza. Lo ha giurato a sé stessa dopo che Shadee ha giustiziato Isedu e non intende rimangiarsi la parola data. Abbassa il volto verso il liquido nero increspato da un soffio di vento.

Guarda.

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