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52. Il grande Shadee

Quando Shadee torna a Spinarupe non ha tempo per pensare o lasciare che il dolore lo corroda. Riveste il suo corpo di un'armatura di spilli, ancora più pungenti del cappuccio che è costretto a indossare, e trafigge ogni emozione che cerca di indebolirlo non appena abbassa la guardia. Non permetterà a nulla di raggiungerlo, solo all'amore per la sua gente che mai come in quel momento ha bisogno di lui. I ribelli di Jaja non si sono limitati a distruggere Reggia Blu, ma hanno depredato, assalito e saccheggiato le case di mezza capitale, hanno ridotto in ginocchio quel mondo per il quale dicevano di lottare.

Suo padre sfila tra le tende alzate per dare riparo alle famiglie sfollate, sfrutta un bastone grezzo per tenere l'onda. «Quindi è morta?»

Non serve anteporre un soggetto alla domanda. Quel nome non può essere più pronunciato; vero o finto che fosse, era solo un'illusione, un sogno corrotto che Shadee ha dovuto uccidere e al quale non può più pensare.

«Sì, è morta.»

Non abbastanza, non per lui. Trova ancora il modo di superare le resistenze della sua armatura e di ferirlo, ma ci riuscirà per poco, perché presto per lui Chanti di Dolce Acqua, Evianne dei Respiri o qualunque altro sia il suo nome corrisponderà al nulla totale. Stringe i denti per nascondere una fitta che punzecchia il cuore.

Suo padre non si accorge della sua espressione sofferente. Con le sopracciglia raggrinzite contempla la devastazione che ha travolto il regno. «Bene.»

Riprende a sorvegliare le operazioni di ricostruzione e ad assicurarsi che venga prestato soccorso ai feriti. È sempre vigile e attento, anche se non si muove più con l'agilità di un tempo e sembra incredibilmente stanco. Uno strano tanfo di marcio si diffonde dai tagli alla coscia e allo stomaco, si mescola all'aroma dell'olio di datteri e dell'antisettico.

«Forse dovreste riposarvi» tenta Shadee quando lo vede zoppicare.

Suo padre lo schernisce con uno sbuffo acido. «Riposerò quando sarò morto e tu sarai il re.»


*


Mese delle Braci


Nei giorni successivi Shadee si aggira per i quartieri della capitale e aiuta come può. Molti Secondi hanno difeso la casata anziché sostenere i ribelli e hanno pagato la loro onestà a caro prezzo. Il bollettino dei morti è in costante crescita, la lista degli edifici che necessitano ponteggi e interventi di manutenzione infinita. Metà della popolazione di Spinarupe è sfollata. È stato Jaja a scegliere la strada della distruzione, ma per qualche strano motivo nella casata nessuno lo associa all'attentato.

In una sera del mese delle Braci un messaggio anonimo viene depositato da un ambasciatore fantasma davanti alla tenda del re. Suo padre legge la pergamena facendosi luce con un mozzo di sego.

«Jaja, o Shadee come si fa chiamare, rinnega l'attentato alla capitale. Ero solo io il suo obiettivo. Voleva costringermi all'abdicazione. Dice che alcuni disperati, stanchi delle mie vessazioni, si sono aggiunti ai suoi ribelli e hanno sfruttato lo stemma di Soumano per i propri interessi.»

Shadee, la schiena inarcata in avanti per non toccare il soffitto della tenda, si drizza di colpo. «Sono bugie, lo avete visto...»

Re Tavare accartoccia il foglio e lo incendia con la fiammella del mozzicone prima che Shadee possa leggerlo. «Dice di aver allontanato dai suoi seguaci chiunque abbia fatto del male alla casata e al popolo di Spinarupe se non per motivi di difesa.»

Il sangue ribolle a una temperatura così elevata che il volto di Shadee diventa fuoco. Jaja ha voluto il male della casata. Jaja ha colpito suo padre. Jaja e Chenzira e Bulbun e Nandi e... Strappa il nome dai pensieri prima di darle l'onore di ferirlo ancora e guarda la carta infiammata cadere nel catino dell'acqua.

«Per dimostrare la sua buona fede, Jaja farà arrivare cibo e medicinali a Spinarupe. Chiede l'immunità per i suoi ambasciatori.»

«Non vorrete...»

«Sì.» Il tono di suo padre è perentorio. «Non è l'orgoglio che ti permetterà di salvare la tua gente. Ucciderai Jaja come ti è stato richiesto, ma solo dopo che ci saremo rimessi in piedi.»

Shadee esce dalla tenda con la bile che avvelena la milza, lo stomaco, il fegato e tutto quello che si trova nei paraggi. Funziona così il mondo? Jaja trucida la sua gente e loro devono perfino ringraziarlo per avere prestato soccorso?

Nei giorni successivi, il grande Shadee – come si fa chiamare – diventa il benefattore del popolo. I suoi ambasciatori, dotati di immunità politica, inviano medicinali e cibo, cesti contenenti beni di primo uso che Shadee getterebbe nel deserto, sotto piramidi di sabbia e pietre, se solo potesse. Una volta sorprende uno degli ambasciatori a spiarlo da sotto il velo turchese che gli oscura il viso. Riconosce all'istante i suoi movimenti, la tunica troppo larga per nascondere le spade, il modo in cui ciondola sulle punte e porta la mano al pomolo dell'elsa.

«Chenzira!» Shadee lo insegue per i viottoli di Spinarupe, ma è un pedinamento inutile perché lui svanisce nella polvere. Come osa spiarlo? Tira una raffica di pugni contro un muro di mattoni, inferisce su sé stesso fino a scorticarsi le mani, fino a privarsi della pelle e di quegli occhi di ambra che si sente sempre addosso. «Che cosa vuoi da me? Mi hai tradito! Io mi fidavo! Che cosa vuoi?»

È la pioggia a fargli recuperare il controllo. L'odore di bagnato deterge i resti di Spinarupe, diluisce l'afrore del sangue ramato e le zaffate di fumo che si innalzano dalle macerie appena spira il vento. Chenzira è colpevole e con lui Bulbun e Nandi e Jaja. Non importa se l'obiettivo fosse solo il re, se l'assedio gli sia sfuggito di mano. Solo perché l'intenzione era diversa non si vanifica la brutalità del gesto. Jaja ha sempre rifiutato la violenza, ma sulla balaustra del loggiato non portava un segno di pace. Portava frecce che con mano esperta voleva scagliare nella carne di suo padre – lo ha fatto – e adesso... adesso cosa vuole da loro, con quei doni e i messaggi segreti che continua a inviare?

Re Tavare non teme Jaja. Tratta con i suoi ambasciatori di continuo, cerca di strappare condizioni favorevoli per la casata. Shadee, di nuovo nell'ombra, non capisce lo schema del gioco, si sente intrappolato in un vicolo cieco che lo porterà alla sconfitta. E come da miglior pronostico, la sconfitta arriva, nei panni di Hondo che una mattina corre da lui, trafelato, lo raggiunge in un quartiere in fase di ricostruzione.

«Il re...»

Shadee getta un palo di legno a terra, senza preoccuparsi della nube di polvere che ha sollevato. «Che è successo?»

«È collassato mentre visitava la tomba della regina. Le frecce che lo hanno colpito erano rivestite di ciceone e siero di Mamba.»

Il mondo inizia a roteare troppo velocemente attorno al proprio asse. Le parole di Hondo sono arrivate chiare alle orecchie, ma Shadee ha difficoltà a capirne il significato. «Dov'è?»

«Nella tenda in cui ti hanno curato. Shadee!»

Shadee è già volato via, un giavellotto che non conosce deviazioni o rallentamenti, ma si ferma solo quando arriva alla meta. Una guaritrice della casata ha messo suo padre a riposo su uno stuoino di vimini. Dal suo corpo esanime, si alza un odore putrescente, di zolfo e carne rancida. Le ferite sulla coscia e sullo stomaco sono scoperte, ma la guaritrice non le cura, guarda il vapore giallognolo sollevarsi dai tagli, lo indica con un dito tremante.

«Vi accolgano i coralli...»

«Silenzio!» Shadee la interrompe con uno strillo adirato. È la canzone che proprio lui ha intonato al funerale degli Spilli per favorire il passaggio sul fondale dell'Aralla, l'ha dedicata a dei morti, ma suo padre non lo è, suo padre è vivo. Dominato da una furia cieca, prende il polso della guaritrice e la sbatte fuori dalla tenda. «Non è morto. Presto starà bene.»

Ci vuole ben altro che del veleno per uccidere un re. Da un catino recupera un panno inumidito d'aceto e lo usa per detergere la fronte di suo padre, per lavare via il sudore bollente che lucida la pelle scura. Nel frattempo, Hondo lo ha raggiunto.

«Chiama tutti i guaritori che conosci» gli ordina Shadee. «Non mi importa che ricompensa vogliano. Non mi importa se non appartengono alla casata. Minacciali, se necessario, ma che si sbrighino a trovare una cura.»

Hondo emette un verso gutturale. «Sei il re adesso.»

«Io non sono il re!» Con lo straccio bagnato caccia alcune mosche che vogliono cibarsi della carne rancida. «Non può restare qui. Ordina a Emmatu di mettere in sicurezza una stanza a Reggia Blu. Gli serve un letto vero. E trova tutti i medicinali che puoi.»

Hondo non muove un passo, lo fissa con curiosità, come si guarda un essere strano.

Shadee gli lancia addosso il panno. «Subito!»

Nelle ore successive muove deserti e oceani per trovare una sistemazione degna. Suo padre non ha mai voluto i privilegi della casata, per lui gli Spilli sedevano tutti alla stessa mensa, senza distinzioni tra i rami minori e quello reale, ma adesso è Shadee a decidere. Il re non verrà lasciato a marcire su uno stuoino rivestito di germi, avrà le cure e le premure che merita per avere sempre amato la sua gente.

Soldati e ancelle schizzano sotto la frusta dei suoi ordini. Lo guardano con timore, un'arma che è disposto a sfoderare se gli permetterà di salvare suo padre. Non gli importa se i sussurri lo chiameranno mostro, despota, tiranno. Il ragazzo onesto che conosceva la gentilezza e curava i fiori nelle serre di sua madre è morto, è stato lui stesso a immolarlo su un altare per il bene della casata.

Ben presto comprende però che i suoi sforzi sono inutili: nessuno dei guaritori degli Spilli sa come creare un antidoto per curare il re. Le ferite alla coscia e allo stomaco peggiorano costantemente. La zona che circonda i fori lasciati dalle cuspidi è gonfia e calda. Se premuta, sputacchia un liquido nel quale navigano croste e vermetti marcescenti. Quando arrivano i medici di Spinarupe e delle città periferiche, suo padre è costretto a indossare il cappuccio per la durata dell'intervento, una tortura che rischia ogni volta di soffocarlo.

«D'ora in poi resterà a capo scoperto» ordina Shadee, togliendogli la cappa di dosso.

«A patto che chi lo visiti giuri su Zeme di non rivelare ad anima viva il suo volto, pena la morte» gli impone il consigliere Emmatu.

Shadee si vede costretto ad accettare il compromesso, nella speranza che fuori da Spinarupe qualcuno trovi la cura per salvarlo. Bastano gli insuccessi dei primi guaritori a offuscare anche quel sottile spiraglio di speranza.

«Maledizione degli dèi, maledizione degli dèi!» strilla un medico di Dossobasso. Si copre il volto srotolando una fascia del turbante di cotone grezzo e fugge via, le mani sollevate in alto per implorare pietà.

Shadee affonda le unghie nei palmi e preme così forte da seghettare la linea della vita. «Dovrei farlo impiccare...»

Come destato da quella prospettiva, suo padre si contorce e con le dita cerca di scavare nello stomaco per strappare via viscere e veleno. Shadee gli stringe le mani e si porta le nocche alla bocca per baciarle.

«C'è una guaritrice» tenta Hondo. Con la voce cammina piano, per paura di azzardare troppo. «Mi sta aiutando a sistemare la mano d'oro.»

«Trovala!»

Shadee resta al capezzale di suo padre anche se sa che non dovrebbe essere lì. La casata e i cittadini di Spinarupe hanno bisogno della sua guida, ma ha il terrore di non esserci quando il re esalerà l'ultimo respiro. No, suo padre vivrà. Si aggrappa a quella speranza, finché in un mezzogiorno infuocato Hondo non torna con la guaritrice. Proviene da Dolce Acqua ed è stata bendata per impedirgli di vedere il re fino a quando non presterà giuramento.

«Me ne frego delle parole e delle regole» esplode Shadee. «Non può salvarlo da cieca. Non abbiamo tempo. Toglietele quella stupida benda.»

La donna ha il mento appuntito come uno spicchio di luna, occhi grandi e furbi, lo stesso nero dei riccioli sputati fuori da una cuffia di mussola. Le dita lunghe, decorate da anelli con zaffiri e acquamarina, indagano le ferite del re. «Ciceone e siero di Mamba.»

«Non ti paghiamo per le chiacchiere» soffia Shadee. «Guariscilo.»

La donna non teme di sfidare un principe. Le labbra dipinte di viola sono incurvate in un sorriso malizioso. «C'è dell'altro. Queste croste solide provengono dal tempio del mio dio.»

Il tempio di Dagan. Lo stesso dove la regina ha rinchiuso Jaja. E lui, da vero rammollito, lo ha lasciato fuggire per salvare una spia. «Cosa significa?»

La donna strofina le mani una contro l'altra come per pulirle dalla polvere. «Che se non morirà divorato dalla febbre, ci penserà il veleno dopo una lunga agonia.»

«Trova un rimedio.»

«La morte è l'unico rimedio. Se lo amate, uccidetelo per porre fine alla sua sofferenza.»

Shadee vede rosso. Sguaina la sciabola e si tuffa contro la donna. Hondo deve pararsi davanti a lui per fermarlo.

«Ti farò uccidere» soffia Shadee. «Non sei che una griot, una ciarlatana sobillatrice di folle.»

La donna si drizza sui talloni. «Solo perché la verità non vi piace, non dovete tacciarla come menzogna.»

Shadee butta la spada in un cantuccio, la manda a collidere contro le gambe di ferro di un divanetto, producendo il tintinnio di cristalli infranti. «Trova un'altra guaritrice. Trova le migliori della Bolla.»

Hondo ubbidisce e nei giorni successivi porta al capezzale di suo padre chiunque abbia una minima nozione di medicina. Nonostante le erbe e i filtri e i lenitivi, le ferite peggiorano a vista. I punti di sutura saltano, serpentine di carne marcia si diffondono a raggiera su mezzo torace.

«Sta andando in necrosi» commenta una giovane donna che ha raccolto la chiamata del principe di Spilli. «Se arriverà al cuore...»

Shadee caccia anche lei e resta solo con suo padre. Sostituisce la coperta fradicia di sudore e nei momenti in cui recupera conoscenza lo aiuta a bere qualche intruglio fresco per abbassare la temperatura. Un giorno come un altro, lo raggiunge nella stanza dopo un giro di perlustrazione tra le macerie di Reggia Blu. Si aspetta di trovarlo nella solita posizione, collassato per il dolore, invece lo sorprende nell'atto di stingersi alla vita il cinturone con la sciabola.

«Padre, cosa state facendo?»

«Devo guidare la mia gente. Hanno bisogno del sostegno di un re.»

«Non quando siete in questo stato.»

A Shadee basta poco per vincere la battaglia. È ingiusto: se suo padre fosse in salute, non riuscirebbe nemmeno a sfiorarlo, si limiterebbe a incassare pugni e ad affondare con la bocca nella sabbia. L'uomo su quel letto, invece, è uno spettro pallido dagli occhi infossati. Si aggrappa a tutta la sua nobiltà per mantenere un prestigio che la malattia gli sta strappando via di ora in ora. Shadee vorrebbe dirgli di resistere, darebbe di tutto, perfino la sua vita per salvarlo, ma quando lo vede respirare a fatica, un cappio strozza i suoni che nasconde in gola.

«Mi chiamo Kiroe.» La voce di suo padre è un sussurro. Lo sguardo si vela di una tristezza antica che Shadee non sa interpretare. Pensa stia delirando, un nuovo giro di follia provocato dal veleno, ma poi il re accarezza il cappuccio di spilli che vuole sempre tenere vicino, sul comodino di mogano.

È allora che Shadee capisce. «Siete come me.» Un secondogenito, un pezzo di ricambio, un'ombra che ha dovuto fingersi sole per il bene della casata, rinunciando a esistere.

Suo padre fissa il soffitto, i resti di un affresco che ritraeva un cielo stellato. «Tavare era il mio fratello maggiore. Un tempo la casata lo sapeva. I più anziani sono morti, i più giovani lo hanno scordato.» Un sorriso di nostalgia inarca le labbra. «L'ho detto solo a tua madre prima di sposarla. Ora lo sai anche tu.»

Shadee combatte contro un rospo bollente che blocca la gola, non sa dare un nome alle sensazioni che lo attraversano, sa solo che sono vive e intense e che non riesce a sopportarle. «Lo ricorderò per voi.»

Ha sempre pensato che in tutta Reggia Blu non ci fosse nessuno capace di calarsi nei suoi panni e di intuire, anche solo da lontano, cosa significasse essere la copia di un futuro re. Mai all'altezza, mai adeguato, ma con un impulso fortissimo di esistere e di trovare sé stesso. E invece qualcuno lo guardava di nascosto, gli lanciava occhiate furtive e comprendeva l'inquietudine che lo dilaniava. È stato più bravo di lui, Kiroe, più forte, perché ha ceduto solo a sua moglie, non a uno spadaccino che gli faceva da maestro, non a una straniera che lo stava tradendo. Ha sacrificato sé stesso e ciò che sarebbe potuto diventare solo per il bene della casata. Si chiede se abbia mai avuto paura, se sia sentito come lui, perso e impaurito, mentre si vedeva sparire ogni giorno di più fino a trasformarsi definitivamente in un altro.

«Non sarà invano, padre.» Non permetterà che muoia ucciso da un figlio indegno. «Salverò la casata e avrò vendetta su chi ci ha tradito. Hondo sta cercando una guaritrice che potrà curarvi. Dovete resistere.»

Ma suo padre è di nuovo crollato in un sonno febbricitante, lo ha lasciato solo, con un senso di impotenza che gli gronda tra le mani.

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