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51. La distanza di un oceano

Kemala torna di tanto in tanto per buttare qualche tozzo di pane oltre le grate. Le dà il minimo per tenerla in vita e si rifiuta di svuotare il pitale che trabocca di escrementi. Evianne passa i giorni a dormicchiare immersa nel tanfo di urina. Si costringe a ingurgitare il pane mezzo ammuffito, sperando di aiutare l'aura magica a ripristinarsi in fretta, un desiderio vano. Più il tempo passa, più si sente esausta. Il cibo che le viene dato non è un nutrimento sufficiente, l'assenza di acqua e l'umidità della cella sono un tormento. Tenta di contare i giorni graffiando le unghie sulla parete, ma presto perde lucidità e crolla in un dormiveglia popolato da incubi e deliri.

Un giorno supplica Kemala. «Solo un po' d'acqua, per favore.»

Lei ride: «È servita tutta per spegnere l'incendio che hai causato, spiacente!»

Ripromette a sé stessa di non scongiurare mai più, ma dice dell'altro, almeno crede. Di tanto in tanto si lascia sfuggire il nome di Shadee e quando lo fa gli occhi di Kemala tirano dardi appuntiti, la puniscono in silenzio per avere invocato una persona che non è degna di chiamare. Poi una sera una nuova cadenza di passi rimbomba oltre il tendaggio della cella, a un ritmo che riconoscerebbe ovunque: Shadee. Lo ha sognato mille volte, un miliardo ha immaginato di parlargli. Quando le allucinazioni e i crampi sono i tuoi soli compagni, diventa impossibile sancire il sottile confine che divide la realtà da un delirio.

«Scusa» sussurra con la voce che le resta. «Non volevo. Scusa.» Implorerà il suo perdono anche se sarà solo un miraggio, finché il corpo non smetterà di lottare.

«Resta sveglia» le ordina la voce. Qualcuno sta scuotendo le sbarre. Inizia sempre così. I passi di Shadee, il suo odio, la tomba di rovi. «Ti ho detto di restare sveglia.»

Evianne si acciambella nelle ginocchia per sopprimere un brivido e segue la voce. È un suono distorto che sembra viaggiare attraverso l'acqua. È come se lei si trovasse in fondo a un pozzo, immersa in un liquido vischioso, e qualcuno la chiamasse dalla cima. Sbircia tra le ciglia e resta abbagliata dalla fiamma di una candela. Scatta seduta di colpo, il cuore che batte alla follia, la luce delle stelle che getta delicati riverberi sul volto di Shadee.

È davvero lui. È lì. Questa volta non si tratta solo di una fantasia. Cerca di resistere a un capogiro e di iniziare a scongiurare il suo perdono, ma lui la batte sul tempo. «Mangia.» La voce contiene un ordine severo.

Per non indispettirlo, allunga il braccio e recupera l'anfora con l'acqua e una ciotola colma di verdure cotte e formaggio. Mangia piano per dare allo stomaco il tempo di riabituarsi e intanto lo guarda. Ha il naso arricciato, e il braccio destro è sostenuto da un'amaca di stoffa che lo costringe a tenerlo fermo.

Evianne si siede sul ciglio del letto. «Che cosa sono queste sbarre?»

«Ferro, ma il tessuto che le copre è formato da squame di Ilamba. Indebolisce l'aura magica di chi ne viene circondato.»

Un rimedio perfetto per impedirle di liberarsi con la magia di Rasa. Non che serva, perché lei non se ne andrà mai da lì, non prima di avergli raccontato la sua storia. Beve l'ultimo goccio d'acqua e si sente un po' meglio. Dovrebbe chiedere cosa accadrà adesso, se verrà condannata a morte, ma non le importa. «Non ho ucciso quel bambino.» È l'unica occasione che ha di confrontarsi con lui e non vuole perderla. «Non sapevo nulla dell'assalto a Reggia Blu. Non lo avrei permesso.»

Shadee recupera una chiave dalla casacca e la inserisce nella toppa. È sovrappensiero e sembra non voglia ascoltarla, necessita di tempo per metabolizzare ogni parola. Apre la grata facendo scricchiolare i cardini arrugginiti e le allunga un drappo nero.

«Ora ti alzi e indossi questo mantello. Non ti deve riconoscere nessuno.»

La stoffa affonda sulle ginocchia. Le dita di Evianne si rifiutano di raccoglierla. Improvvisamente l'idea di uscire dalla sua prigione non le pare più così allettante. «Dove andiamo?»

Shadee tronca la domanda con un veloce scossone del capo. «Zitta, se ti sento ancora parlare, armo ogni singolo uomo dei Rovi e lo mando in guerra contro Fontebella.»

La voce non è più neutra. Durante quel discorso concitato ha assunto una cadenza arrabbiata. Ora che Shadee è più vicino, Evianne vede i suoi occhi bagnarsi di lacrime che non cadono. Tutto il male che gli ha fatto è lì, scolpito in evidenza, in un bassorilievo che enfatizza ogni piega del viso.

«Shadee...»

«No.» Taglia di netto la supplica e alza la mano per impedirle di avvicinarsi. «Non ti è permesso chiamarmi per nome.»

Le sue labbra sono livide di rabbia. Evianne lo guarda erigere muri di difesa per escluderla. Se solo la ascoltasse! Capirebbe che lo ha fatto per amore della sua gente e dei diritti che ogni uomo dovrebbe avere. È stata ingenua, ma non ha mai voluto ferirlo, né contribuire a quello sterminio. A capo basso si infila il mantello, decisa a seguirlo e ad accettare qualunque destino abbia in serbo per lei.

Fuori la notte è fitta. Ora che le luci e le fiamme della cittadella sono spente, sembra che sia divenuta più profonda di un grado. Evianne riesce a intravedere l'edificio fatiscente in cui è rimasta prigioniera per giorni, un vecchio rudere di pietra circondato da alberi brulli che allungano mani scheletriche. Senza scollare lo sguardo dai ciottoli aguzzi che si mischiano al fogliame del sottobosco, segue Shadee. La sua andatura è veloce e lei è ancora troppo debole per tenere il passo. Più volte cade a terra e si sbuccia le ginocchia. Se Shadee se ne accorge, non lo dà a vedere. Non rallenta mai e lei non lo chiama. Ha perso il diritto di stabilire le regole del gioco quando ha venduto i suoi segreti a Chenzira.

Si sforza di non restare troppo indietro, finché dopo una lunga camminata Shadee non decide di fermarsi. Davanti a loro c'è la riva di un fiume mezzo prosciugato dove è attraccata una zattera. L'imbarcazione rudimentale, tirata in secca, sventola una bandiera stracciata con lo stemma di un garofano rosso, lo stesso fiore di cui parlava Snorre nelle segrete di Spinarupe.

Evianne inizia a connettere, il cuore ruzzola in fondo ai talloni. Affretta una falcata per raggiungerlo. «Perché mi hai portata qui?»

Shadee si gira verso di lei e la ferma con uno sguardo sprezzante. La versione dolce che Evianne ha conosciuto sembrerebbe scomparsa, ma deve essere ancora lì, da qualche parte, nascosta dietro un'armatura forgiata dall'odio e dal dolore.

«Ti chiami Evianne dei Respiri e provieni dalla Bolla di Rugiada.» Ha visto le sue ali. Non serve a nulla negare. «Sei la nipote della regina Valesca. Ti ha inviato lei per spiarmi e togliermi il cappuccio. In cambio avresti ottenuto le ali dopo aver fallito per quanti?» Shadee esplode in una risata che chiunque potrebbe scambiare per un singhiozzo. «Tre riti di iniziazione?»

Ci sono tanti dettagli, troppi in quella ricostruzione che le sta vomitando addosso, particolari che perfino Chenzia e Kemala ignoravano. Ci sono anche delle imprecisioni.

«Non l'ho fatto per le ali» confessa Evianne. «L'ho fatto per mia cugina.» La sua futura sposa. Forse non più. «Non dovevo spiare te, ma tuo fratello. Si è complicato tutto sin da quando sono arrivata e ti ho conosciuto. Se solo mi lasciassi spiegare...»

Shadee la fissa con un'implacabilità d'acciaio. «Adesso mi vuoi spiegare? Prima mi hai spiato per conto di Fontebella, poi dei ribelli di Chenzira. Non dovevo fidarmi di te. Senza una storia, senza un motivo per essere qui, senza nessuno.»

Evianne accoglie ogni grido a pugni chiusi, si sforza di sorridergli timidamente, sperando di poter alleviare il suo dolore, ma presto capisce che non è pronto.

La bocca di Shadee torna a formare una linea dura, le spalle tremano, come se avessero accusato il contraccolpo delle proprie parole. «Ho un debito con te. A Fortezza Diaspro mi hai salvato la vita. È solo per questo che ti lascio andare.»

«Non l'ho fatto per avere qualcosa in cambio o per legarti a me...»

«Il debito è ripagato.»

Come per l'effetto immediato di una sentenza, un pizzicotto solletica la mano di Evianne, cancella la campanula bianca tatuata sulla pelle. È solo un motivo ornamentale, eppure con quel gesto Shadee ha reciso il primo legame significativo della loro storia.

«Ti prego.» Evianne lo scongiura, perché ormai è chiaro. È un addio. «Aspetta solo un attimo.»

Shadee arretra, Evianne non lo insegue, attratta da una nuova ombra sul limitare del bosco: Snorre. Ha un braccio fasciato e una garza attorno al collo, ma è davvero lui. È chiaro adesso perché Shadee l'ha portata alla zattera dal garofano rosso. La sta cacciando dalla Bolla di Rovi, permettendole di fuggire con Snorre, perché nella sua patria non può esserci spazio per una traditrice.

All'improvviso le sembra di soffocare. Il panico sale fino alla gola. «Non puoi mandarmi via. Non prima di avermi ascoltata.»

Allunga un braccio per trattenerlo, ma Snorre avanza con un salto e la blocca per le spalle. «Lascialo andare.»

«Sei appena arrivato, come puoi dirmi cosa è giusto fare?» Non sa nulla di quello che ha condiviso con Shadee, non sa che esiste ancora una sottile speranza, anche se al momento sembra nascosta sotto un manto nero, impenetrabile. Cerca di liberarsi dalla sua stretta, ma l'aura magica, prosciugata dalle squame di Ilamba, non le permette di trovare la forza.

Snorre rinsalda la presa, lo sguardo severo. «Quindi ti schieri contro tuo fratello?»

Shadee si volta verso di loro con uno scatto velocissimo. «Non ho un fratello da quando se ne è andato.»

«Divertente, visto che sei nato solo per fingere di essere lui.»

«Snorre!» Evianne lo richiama, non può permettergli di calcare una debolezza che tormenta Shadee da quando è nato. Ha sempre pensato di essere solo un pezzo di ricambio, il doppione di suo fratello, qualcuno che non possiede una sua identità e per questo non merita di essere amato. Credeva di essere riuscita a spazzare via quelle insicurezze, ma il suo tradimento ha vanificato tutto, e adesso Evianne ha paura di scoprire cosa accadrà. Non può mandarla via. Se lo farà, tra di loro ci sarà la distanza di un oceano che non saprà come colmare, perché non le sarà consentito salire su una nave e risolcare le acque che dividono le Bolle. Deve tentare, almeno un'altra volta che sarà soltanto l'ennesima e mai l'ultima. «Shadee, aspetta.»

Lui la ignora e abbozza un passo sfinito, svanisce a poco a poco nel cerchio buio frastagliato dai rami e dalle foglie secche.

«Non sapevo nulla dell'attentato. Lascia che ti spieghi.»

Evianne elemosina un briciolo della sua attenzione, ma Snorre aumenta la presa, quando lei si appella alle energie che le restano per sfuggirgli.

«Torniamo a casa, Ev. Sono venuto per riportarti a Fontebella.»

Più Snorre la fissa con la dolcezza di un fratello, più Evianne si sente ardere di determinazione. «No.» Punta i piedi nel terreno brullo, un manto di foglie che scricchiolano sotto i sandali di Nandi. «Io non posso scappare. Ci sono ancora troppe cose che mi trattengono qui.»

«Non adesso.»

Una polvere leggera le sfiora il viso. Evianne chiude gli occhi per una reazione istintiva, ed è come volare, anche se non è suo il battito di ali che la guida, è un librarsi prodotto da un vortice caldo che ricorda un bagno in uno stagno bollente, dal profumo di lavanda.

Quando quella sensazione di torpore svanisce e i piedi tornano incollati a terra, è mattina. Attorno a lei non ci sono più gli alberi tetri della foresta e la zattera con la bandiera dal garofano rosso. Ci sono fusti argentei che toccano un cielo candido e azzurro, cespugli di mirtilli e noccioli dietro i quali si nascondono cervi con il manto di luna. Evianne non ha bisogno di un secondo sguardo per riconoscere quel luogo: casa.

In tralice, fissa Snorre che continua ad abbracciarla. «Come hai fatto?»

Ci vogliono tre settimane di navigazione per tornare a Fontebella o un rimedio magico come le scarpette di cristallo che Evianne ha rotto nel viaggio d'andata. E allora come può essere arrivata nella Foresta d'Argento quando un attimo prima si trovava a Spinarupe?

Snorre le mostra una piuma d'uccello sulla cui sommità è disegnato un occhio di pavone. «Grazie a questa. È un prestito che devo restituire.»

Mille domande affollano la lingua. Snorre alza il dito per silenziarla. «Anch'io ho una storia da raccontare, ma non adesso. Hai bisogno di un bagno. Puzzi da morire.»

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